Musica, sessualità e disabilità: il concorso che abbatte i pregiudizi

È online il bando per la quinta edizione di Sensuability & Comics, il concorso a fumetti nato per sensibilizzare e informare sul tema della sessualità e disabilità e far conoscere il progetto Sensuability, promosso dall’associazione di promozione sociale Nessunotocchimario

È online il bando per la quinta edizione di Sensuability & Comics, il concorso a fumetti nato per sensibilizzare e informare sul tema della sessualità e disabilità e far conoscere il progetto Sensuability, promosso dall’associazione di promozione sociale Nessunotocchimario. Il concorso di idee, in collaborazione con il Comicon, si concretizzerà nella mostra “Sensuability: ti ha detto niente la mamma?”, in programma dal 14 febbraio 2023. Si rivolge a giovani fumettiste/fumettisti e illustratrici/illustratori esordienti e non, che abbiano raggiunto i 16 anni di età e che abitino o lavorino su tutto il territorio nazionale.

Questa edizione mira a indagare il rapporto tra disabilità, sessualità e musica. L’iscrizione al concorso è gratuita, ogni partecipante dovrà realizzare una tavola o un fumetto originale e inedito, nel quale sia rappresentata una scena romantica, erotica o sensuale tratta da una canzone o un brano famoso o che sia significativa per il/la partecipante. È possibile presentare le opere entro il 20 gennaio 2023. Sensuability & Comics si propone di abbattere gli stereotipi relativi alla sessualità e alla disabilità e favorire la libertà di espressione delle persone oggetto di pregiudizi, proponendo nuovi linguaggi e un nuovo modo di fare cultura che agisca attraverso tutte le forme d’arte.

La locandina

A presiedere la giuria della quinta edizione sarà il fumettista e cantautore Davide Toffolo, frontman dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Ad affiancarlo: Fabio Magnasciutti, Virginia Cabras, Alino Alessandro e Silvia Ziche. “La quinta edizione del concorso Sensuability & Comics esplora il legame tra sessualità, disabilità e musica. – commenta Armanda Salvucci, ideatrice del progetto Sensuability e presidente di Nessunotocchimario – La musica, più di ogni altro, rappresenta un linguaggio universale, capace di parlare a tutti e superare barriere, anche immaginarie, frutto di pregiudizi e difficili da sradicare.

Intendiamo la musica guardando al suo cuore, alla melodia, alle note capaci di trascinare gli ascoltatori in un universo parallelo, rapendone i sensi e toccando le corde più profonde dell’anima. La musica oltre i testi, oltre le immagini dei video, la melodia che aiuta noi tutti a superare i momenti più difficili, che ci accompagna nella quotidianità, che diventa elemento fondante nelle relazioni con l’altro. La musica che si fa sensualità, che si incarna e diventa corpo, fisicità, abbraccio, come nei tanghi di Pugliese e D’Arienzo.

In occasione del quinto compleanno del nostro concorso abbiamo scelto di portare al centro delle illustrazioni e dei fumetti l’espressione più ampia della fantasia dei nostri artisti. Come dialogano sessualità, disabilità e musica? Cosa li colpisce di più in una canzone, in una romanza, in un pezzo strumentale e come questi sentimenti prendono forma?

La musica, da sempre, rompe gli stereotipi, eppure quando diventa parole e immagini si ritrova a riprodurre quella stessa immagine di corpi e fisicità che la società ci impone. Ma può raccontare altro, della gioia dell’incontro e della scoperta che è diritto di tutti. E allora, come dare colore a questi racconti in note? Spazio agli artisti e alle idee che, negli ultimi anni, hanno sempre saputo sorprenderci per la loro sensibilità e profondità”. (today.it)

«Il Ministero per la disabilità? È inutile, non siamo animali nel recinto»

«Col Ministero per la disabilità affidato alla leghista Locatelli diventiamo ancora una volta soggetto di cura e mai in grado di prendere decisioni in autonomia». Parla Marina Cuollo, scrittrice e attivista

È un ritorno ma non è gradito. Quello del ministero per la disabilità, instaurato nel 2018 ai tempi del governo giallo-verde. Per ricoprire questa casella Giorgia Meloni ha scelto “la sceriffa” della Lega, Alessandra Locatelli, già ministra per pochissimi mesi nel giro di rimpasto del 2019 al posto di Lorenzo Fontana.

Ministero per la disabilità
Alessandra Locatelli

Un dicastero malvisto dalle persone con disabilità. «Come se fossimo un mondo a parte, degli animali recintati», spiega a L’Espresso Marina Cuollo, attivista, biologa e scrittrice umoristica, in libreria con il suo ultimo libro Viola (Fandango Libri 2022). C’è un mondo, spiega Cuollo, che in questo mare di slogan e buoni propositi da tempo rimane lì, inascoltato, lontano da una politica che dovrebbe dare dignità alle persone con disabilità. Una politica utile a riconquistare un minimo di autodeterminazione e invece li tratta come fossero bambini.

Marina Cuollo

Marina Cuollo, la Presidente Giorgia Meloni ha scelto Alessandra Locatelli come ministra senza portafoglio della Disabilità. Cosa ne pensa?
«Trovo che avere un ministero sia inutile. Riflettiamoci. Cosa significa? Consideriamo la disabilità una sorta di recinto? Siamo persone che devono essere gestite diversamente a livello di pari opportunità? La verità è che questo Governo non ha consapevolezza della disabilità che è parte dell’esperienza umana, ognuno di noi la incontra nel corso della vita. Gestirla in maniera differente significa considerarla altro da sé. Così non si avrà mai una reale coscienza dei diritti di cui abbiamo bisogno».

Cosa intende con “diritti di cui abbiamo bisogno”?
«È stato affossato il ddl Zan e questo nuovo Governo non lo prenderà mai in considerazione. Questo è un segnale: nessuno ci ha ascoltato. Il ddl Zan riguardava una parte significativa dei nostri diritti perché si rivolgeva anche alle persone che subiscono abilismo in ogni ambito della vita. La destra ha silenziato la nostra comunità. Abbiamo bisogno di autonomia, di prendere la nostra vita in mano, diventare indipendenti. Servono strumenti per autodeterminarci e andare incontro a una vita quanto più libera anche sulle scelta delle assistenze».

Questo governo non la rassicura?
«L’infantilizzazione delle persone disabili mi preoccupa. Fa parte di un retaggio conservatore e tende a relegare la disabilità al pietismo. È questo retaggio cattolico che impedisce di autodeterminarci, diventiamo soggetto di cura, mai in grado di prendere decisioni per la vita».

Alcune associazioni che si occupano di disabilità hanno accolto con favore questo ministero
«Le persone con disabilità hanno opinioni differenti perché sono tutte differenti. Ma c’è da dire una cosa: in alcune associazioni i direttivi sono occupati da persone che non hanno una disabilità. Poi è molto difficile e anche scomodo esprimersi contro un ministero che porta questo nome, la paura è quella di perdere una posizione che potrebbe essere per loro vantaggiosa. Pensano che sia controproducente per le nostre battaglie. Ma bisogna essere chiari e non aver paura di guardare in faccia la realtà delle cose».

Questo Governo ha anche un ministero per la Natalità. Il tema della maternità per le persone con disabilità che spazio occupa nel discorso pubblico?
«La maternità per le persone con disabilità in realtà non occupa spazio alcuno perché è contornata da sempre da molti pregiudizi. Esiste un’evidente difficoltà a immaginare una persona con disabilità come genitore: sia perché si fa fatica a collegare una persona disabile a tutto ciò che riguarda la sfera adulta, sia perché non la si ritiene in grado di prendersi cura di qualcuno (in quanto vista esclusivamente come soggetto di cura)». (espresso.repubblica.it)

In Italia non si sa quante siano le persone con disabilità

In Italia è un grosso problema perché senza dati mancano le basi per decidere le politiche pubbliche e soprattutto quanto finanziarle

La legge di Bilancio approvata alla fine dello scorso anno ha aumentato i soldi destinati al fondo per le politiche per le persone con disabilità: dai 300 milioni di euro previsti per il 2022 si è passati a 350 milioni all’anno fino al 2026, che servono a finanziare molti servizi indispensabili dedicati anche alle persone che eventualmente le assistono. Tuttavia, per lo stesso governo è molto complicato capire se questi fondi siano sufficienti perché in Italia non si sa quante siano effettivamente le persone con disabilità.

La mancanza di dati certi è un grosso problema di cui associazioni, fondazioni, esperti ed esperte discutono da tempo e a cui ISTAT, l’istituto nazionale di statistica, sta cercando faticosamente di rimediare. Una delle conseguenze di questa carenza è che tutte le politiche di sostegno e assistenza, non esclusivamente sanitarie, così come i fondi specifici per l’inclusione, l’accesso al lavoro, all’istruzione e allo sport o ancora l’eliminazione delle barriere architettoniche e la progettazione di luoghi inclusivi sono stati pensati e finanziati sulla base di stime ricavate da sondaggi, quindi approssimative.

Uno dei limiti principali dei dati che riguardano le persone con disabilità è la definizione stessa di disabilità. Secondo l’International classification of functioning, disability and health (Icf), la disabilità infatti non riguarda esclusivamente la presenza di un deficit fisico o psichico. È un concetto ripreso dalla Convenzione delle Nazioni Unite (ONU) del 2006 che ha spostato l’attenzione dalle condizioni individuali al contesto sociale della persona con disabilità in quanto protagonista di relazioni con ambienti e persone. La convenzione spiega che le persone con disabilità «presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri».

Rispetto al passato viene quindi data molta più importanza alla dimensione sociale della disabilità che secondo questo approccio, ormai consolidato, può essere considerata una manifestazione grave dell’incapacità di una società di assicurare l’uguaglianza alle persone con problemi di salute.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il 15 per cento della popolazione mondiale, almeno un miliardo di persone, è in condizione di disabilità. È una percentuale in aumento soprattutto per via dell’invecchiamento della popolazione.

Anche se fare confronti può essere fuorviante, l’ultima stima diffusa sul numero delle persone con disabilità in Italia è piuttosto distante dal 15 per cento stimato dall’OMS. Secondo la piattaforma Disabilità in cifre realizzata dall’ISTAT e relativa al 2019, le persone che soffrono di gravi limitazioni che impediscono loro di svolgere attività abituali sono circa 3 milioni e 100 mila, pari al 5,2 per cento della popolazione. Un altro dato, anche in questo caso molto diverso dai precedenti, può essere ricavato dalle pensioni di disabilità erogate dall’INPS: nel 2017, l’ultimo aggiornamento disponibile, dice che le pensioni di invalidità erano 4,3 milioni.

La stima dell’ISTAT sull’incidenza della disabilità in Italia, che tra le altre cose viene utilizzata dal governo per programmare le politiche e i relativi finanziamenti, è il risultato di un’indagine generale chiamata “Aspetti della vita quotidiana”. A un campione di 20mila famiglie o 50mila persone vengono fatte diverse domande, tra cui questa: “A causa di problemi di salute, in che misura lei ha delle limitazioni, che durano da almeno sei mesi, nelle attività che le persone abitualmente svolgono?” Le risposte possibili sono tre: limitazioni gravi, limitazioni non gravi, nessuna limitazione.

Secondo l’indagine, l’incidenza di persone con disabilità è più alta nelle isole, Sardegna e Sicilia, con il 6,5%, mentre il valore più basso è al Nord Ovest, 4,5%. Le regioni nelle quali il fenomeno è più diffuso sono l’Umbria e la Sardegna, rispettivamente l’6,9% e il 7,9% della popolazione. Campania, Lombardia e Trentino-Alto Adige sono, invece, le Regioni con l’incidenza più bassa: il 4,4%, 4,1% e 3,8%.

Persone con disabilità in Italia
Chart: Il Post  Source: ISTAT e FightTheStroke

L’incidenza è molto alta tra le persone anziane: quasi 1 milione e mezzo di ultra settantacinquenni, cioè più del 20% della popolazione in quella fascia di età, si trovano in condizione di disabilità e un milione tra loro sono donne. Le persone con limitazioni gravi hanno un’età media più elevata di quella del resto della popolazione: 67,5 contro 39,3 anni. Il 29% vive da solo, il 27,4% con il coniuge, il 16,2% con il coniuge e i figli, il 7,4% con i figli e senza coniuge, circa il 9% con uno o entrambi i genitori, il restante 11% circa vive in altre tipologie di nucleo familiare. Ma come detto si tratta di stime.

Il problema più significativo che spiega la mancanza di dati certi è che fino a poco tempo fa l’INPS non aveva digitalizzato i dati relativi alle persone con disabilità: di fatto non esisteva un archivio con tutte le certificazioni rilasciate dalle commissioni mediche che si occupano di stabilire se una persona necessita di un sostegno economico. Tra le altre cose, l’INPS è riuscito a digitalizzarli soltanto a partire dalle certificazioni fatte dopo il 2010: l’impossibilità di ricostruire il passato con precisione, e quindi capire esattamente la condizione delle persone con una disabilità accertata prima del 2010, rende questi dati piuttosto incompleti. Per questo motivo finora l’ISTAT è dovuta ricorrere a indagini campionarie.

Un ulteriore ostacolo è rappresentato dall’occasionalità di indagini molto importanti e mai ripetute, come quella relativa alla violenza sulle donne, del 2014, oppure la Labour Force Survey del 2011 o la EHSIS (European health and social integration survey) relativa alla salute, del 2012. Senza dati aggiornati costantemente è più complicato capire le tendenze e l’impatto che politiche, leggi, riforme e interventi possono aver avuto sulle tante persone interessate da questo tema.

La necessità di avere dati più affidabili sulle persone con disabilità è al centro di una campagna promossa dalla fondazione FightTheStroke, che supporta la causa dei giovani sopravvissuti a un ictus e con paralisi cerebrale infantile. La fondazione ha finanziato e pubblicato una piattaforma digitale, chiamata DisabledData, con l’obiettivo di raccogliere tutti i dati relativi alla disabilità ricavati da diverse fonti e renderli disponibili. I dati sono stati raccolti con il supporto dell’associazione onData, che da anni sostiene la diffusione dei dati come strumento di partecipazione civica, e la piattaforma è stata progettata da Sheldon.studio con un design inclusivo, accessibile a chiunque.

Francesca Fedeli, presidente della fondazione FightTheStroke, spiega che quando iniziarono a lavorare a questo progetto fu subito evidente che c’erano molti problemi dovuti alla differenza tra le varie stime. «Stiamo parlando di dati dietro a cui c’è una comunità di persone molto grande, eterogenea, e che al suo interno ha diverse classificazioni, per esempio legate alle disabilità motorie o sensoriali, con bisogni molto diversi», dice Fedeli. «Spesso le famiglie o i singoli individui non hanno punti di riferimento perché è complicato trovare esperienze simili alla propria. È uno dei motivi per cui è nata la nostra fondazione. La scarsa percezione della situazione è un limite anche per le istituzioni. Per pensare a politiche e soluzioni efficaci è importante fare ricerca, ma senza dati è difficile».

Tutti questi problemi sono ben noti all’ISTAT, che da oltre vent’anni lavora per ottenere dati più affidabili sulle persone con disabilità. Alessandro Solipaca, ricercatore di ISTAT e membro dell’osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, un organismo della presidenza del Consiglio dei ministri, spiega che i dati attuali sono autoriferiti, cioè basati sulle risposte delle persone ai sondaggi, e che per avere stime più affidabili servirebbe un campionamento più specifico rispetto a quello attuale.

Questo limite sarà parzialmente superato da un progetto a cui ISTAT sta lavorando da tempo, cioè nuovo registro sulla disabilità. «Ci saranno diversi livelli di approfondimento: attraverso le certificazioni digitalizzate dall’INPS è stato possibile identificare quante sono le persone con deficit di salute, saranno disponibili informazioni statistiche più appropriate secondo i criteri e i diritti previsti dalla convenzione dell’ONU e inoltre verranno progettate indagini statistiche ad hoc sulla disabilità», dice Solipaca. «Miglioreremo la qualità delle informazioni in generale e anche su singoli ambiti dell’inclusione. I provvedimenti presi dal governo devono individuare chiaramente le persone a cui sono rivolti: dati migliori consentono di promuovere politiche migliori».

Le indagini promosse finora, insieme al lavoro delle associazioni, mostrano che gli strumenti e i finanziamenti sono spesso insufficienti o inefficaci. Per esempio, le politiche di accesso al lavoro sono state ispirate al principio della valorizzazione delle capacità degli individui, anche con lo scopo di favorire la dignità e il diritto all’indipendenza economica, tuttavia i livelli occupazionali delle persone con disabilità sono ancora molto al di sotto della media nazionale e spesso i lavoratori con disabilità vengono relegati a svolgere mansioni secondarie.

Anche gli interventi per favorire la conciliazione tra il lavoro e la cura di un famigliare con disabilità sono stati inefficaci, come testimoniano le carriere lavorative dei cosiddetti caregiver, spesso meno rilevanti di quelle del resto della popolazione. È un problema che riguarda in particolare le donne.

Le famiglie continuano ad avere un ruolo essenziale intorno a cui le istituzioni, dal governo agli enti locali, hanno sviluppato una serie di interventi di sostegno. In prospettiva, però, la rarefazione delle reti famigliari e sociali rischia di mettere in crisi la sostenibilità di questo modello.

Nell’indagine intitolata Conoscere il mondo della disabilità, pubblicata dall’ISTAT, si legge che l’informazione statistica può svolgere un ruolo importante per progettare e realizzare un nuovo modello di welfare e in questo modo contrastare il rischio di esclusione e abbandono. Più dati e informazioni dovrebbero consentire «non soltanto di conoscere meglio le condizioni di vita delle persone con disabilità nei diversi ambiti – e la diversa gravità delle loro limitazioni – ma anche di individuare le varie barriere che determinano i loro svantaggi». (ilpost.it)

ONU, Discriminate le famiglie con persone disabili.

Le famiglie con persone disabili in Italia sono discriminate. Ora lo ha certificato ufficialmente l’Onu.

I cosiddetti «caregiver», cioè chi si prende cura di ragazzi o anziani non autosufficienti, infatti, non può vivere una vita “normale”, esercitare a pieno i propri diritti perché «il mancato riconoscimento giuridico dello status sociale della loro figura ne pregiudica l’adeguato inserimento in un quadro normativo di tutela e assistenza». Tradotto: manca una legge che riconosca chi cura persone con disabilità, violando così «i loro diritti alla vita familiare, a vivere in modo indipendente e a uno standard di vita adeguato».

A stabilirlo è stato, il 3 ottobre scorso, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità*, sulla base di un ricorso avviato nel 2017 dall’allora presidente della Confad, Maria Simona Bellini. Le misure adottate sino a oggi dallo Stato italiano in favore dei caregiver familiari sono state giudicate insufficienti e ritenute largamente inadeguate a garantire una qualità di vita accettabile.

Il Comitato Onu, infatti, ha sottolineato la necessità di sostegni economici, migliore accesso alle abitazioni, attenzione al mantenimento dell’unità del nucleo familiare, servizi di assistenza economicamente accessibili, regime fiscale agevolato, orario di lavoro flessibile, fino al riconoscimento dello status specifico di caregiver familiare all’interno del sistema pensionistico. Tutele oggi del tutto insufficienti quando non inesistenti nel nostro Paese, in cui una proposta di legge che avrebbe introdotto agevolazioni specifiche per i caregiver nella legislatura appena conclusa si è arenata al Senato, senza essere approvata.

Comitato ONU

Lo stesso Comitato Onu esorta quindi l’Italia a fornire un adeguato compenso alla cittadina ricorrente (che si prende cura di una figlia e del marito con disabilità), ad adottare misure appropriate per garantire che la famiglia abbia accesso a servizi di supporto individualizzati adeguati e a prevenire simili violazioni in futuro.

«Questo caso rappresenta una svolta perché il Comitato ha riconosciuto la violazione del diritto al sostegno sociale di un caregiver familiare, oltre che ai diritti delle persone con disabilità», ha affermato Markus Schefer, relatore del Comitato in un comunicato. «Questo è anche il primo caso in cui il Comitato ha esaminato le denunce di “discriminazione per associazione”, dato che la ricorrente è stata trattata meno favorevolmente a causa del suo ruolo di caregiver familiare di persone con disabilità».

Ora l’Italia dovrà presentare al Comitato Onu, entro sei mesi, una risposta scritta su quali azioni intenda attuare per colmare queste gravi lacune. «Speriamo sia l’occasione perché l’Italia faccia davvero un passo avanti nel riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità – commenta Alessando Chiarini, presidente della Confad (Coordinamento nazionale delle famiglie con disabilità) –. E che diventi finalmente concreto l’impegno a dare adeguate tutele e diritti ai caregiver familiari». (avvenire.it)

*Il Comitato Onu per i diritti delle persone con disabilità è formato da esperti indipendenti che hanno il compito di sorvegliare l’attuazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CDPD).

Moda e Disabilità, Lanciata la collezione inclusiva Iulia Barton

Con evento in streaming in contemporanea con Moda Milano Fashion Week

Una rivoluzione che passa (anche) attraverso gli abiti. Inventando anche l’abito giusto, se ancora non c’è. Parte da qui il progetto di Giulia Bartoccioni, 34 anni, imprenditrice romana, fondatrice e anima del brand di moda inclusiva Iulia Barton che venerdì 23 settembre, con un evento in streaming in contemporanea con la Milano Fashion Week, ha presentato la sua prima collezione.

Una linea – il video del lancio è disponibile sui canali social – che non ha precedenti nel panorama del made in Italy perché ribalta il concetto di inclusività mettendo al centro non il design ma il corpo, in nome di una vestibilità realmente universale che aspira a riscrivere il rapporto tra moda e disabilità. Il risultato – spiega il comunicato – sono 20 look adattivi, ma anche no gender, no season e sostenibili, pensati per persone con corpi non conformi ma indossabili da chiunque e in qualsiasi periodo dell’anno.

Moda e disabilità

Quando una persona disabile passa davanti a una vetrina, in genere pensa: quest’abito non fa per me. E non ha torto. Perché la moda tradizionale resta un mondo poco accessibile per chi ha corpi non conformi”, ha spiegato Giulia Bartoccioni, “L’ho visto organizzando sfilate di moda inclusiva per raccogliere fondi da destinare alla ricerca e far parlare di diversità in un contesto tradizionalmente molto chiuso.

Portavamo in passerella modelli e modelle con disabilità e li facevamo sfilare con i look che ci davano i brand tradizionali. Ma erano abiti disegnati per corpi senza problemi, e farli indossare a chi era in carrozzina o magari aveva una protesi era complicato. Lì ho capito che bisognava cambiare prospettiva: serviva una collezione dedicata che fosse facile da portare ma che allo stesso tempo demolisse l’idea della disabilità come qualcosa di poco compatibile con il glamour».

Il risultato – prosegue la nota – sono dieci pezzi in pieno stile urban, tutti intercambiabili, che si possono mescolare tra loro per comporre look diversi, giocando con il colore per togliere quella patina di tristezza che ingiustamente si associa alla disabilità. La collezione è firmata da Diego Salerno (Head designer Iulia Barton ed HR consultant specialist design department Max Mara Fashion Group), ed è frutto di un delicato gioco di incastri.

Perché ogni disabilità ha bisogni differenti ma, in un’ottica di inclusione vera e non solo di facciata, lo stesso abito deve poter essere indossato con facilità e soddisfazione da chiunque. Riuscirci è stato un complesso lavoro di raccolta dati che ha visto il coinvolgimento di oltre cinquanta persone con bisogni differenti. (askanews.com)

“Giornate inclusive: siblings al centro”, a Milano l’evento dedicato

“Le finalità sono quelle di continuare a sensibilizzare la società e le istituzioni sul reale significato dell’inclusione sociale, concetto oggi tanto abusato quanto sconosciuto”

Un dibattito pubblico incentrato sul tema dei siblings, i fratelli e le sorelle delle persone con disabilità. E’ questo il fulcro dell’evento che si terrà sabato 24 settembre (17.00-18.30) a Milano presso il Villaggio Barona, con Stefania Collet, responsabile del Progetto Rare Siblings di Osservatorio Malattie Rare, Don Mauro Santoro, referente del coordinamento diocesano “O Tutti o Nessuno” e l’assessore alla Cultura del Comune di Milano Francesca De Feo. Con loro anche il giornalista de ilfattoquotidiano.it Renato La Cara.

L’iniziativa, che fa parte di Giornate inclusive, è stata creata dalla OdV Nessuno E’ Escluso, con il contributo di Fondazione di Comunità di Milano per il progetto “un respiro in più”. Si tratta di un momento di confronto voluto dalla presidente di Nessuno È Escluso Maria Rosaria Coppola e dal marito Fortunato Nicoletti, che è anche vice-presidente dell’associazione, genitori di due siblings.

Le finalità sono quelle di continuare a sensibilizzare la società e le istituzioni sul reale significato dell’inclusione sociale, concetto oggi tanto abusato quanto sconosciuto” ha detto a ilfattoquotidiano.it la presidente dell’organizzazione di volontariato . “Lo scopo è quello di arrivare a un incontro tra famiglie con e senza disabilità al proprio interno per far comprendere l’importanza di un tema di cui solo negli ultimi tempi si comincia a parlare”, ma che riguarda centinaia di migliaia di persone. L’associazione lavora accanto ai siblings da anni, favorendo l’attivazione di un supporto psicologico e i bisogni delle stesse famiglie.

Programma Siblings

Perché oggi è importante parlare di siblings?E’ fondamentale spostare il focus dalla persona disabile alla sua famiglia – risponde Coppola-, in quanto solo una presa in carico totale della stessa può garantire una vita dignitosa di quelle che non sono altro che persone come tutte le altre. In molti casi i fratelli e le sorelle tendono a chiudersi in se stessi, non sanno con chi condividere il proprio turbamento, sentono i genitori distanti e non più disponibili come una volta”.

Maria Rosaria Coppola, insegnante di professione, riscontra criticità anche nel mondo della scuola: “Vedendo le difficoltà dei miei figli Andrea e Francesca, riesco a notare quello che spesso sfugge allo sguardo dei docenti. E’ difficile percepire – aggiunge – il disagio dei siblings perché gli insegnanti, nella maggioranza dei casi, non conoscono il contesto in cui vivono. Il rendimento può non essere soddisfacente. A volte i ragazzi hanno la testa altrove, ma i prof fanno fatica a caprine le ragioni”.

Per questo l’associazione operativa in tutta la Lombardia si propone di portare il tema dei siblings all’attenzione di docenti e dirigenti scolastici: “È necessario aiutare il personale della scuola a intercettare quel disagio di cui i ragazzi il più delle volte si rifiutano di parlare”. Attualmente, afferma la presidente di Nessuno E’ Escluso, “le famiglie di una persona con malattia rara sono tutelate ancora meno di quelle che assistono un familiare con disabilità e soprattutto in maniera completamente disomogenea sul territorio nazionale”.

Quali sono i principali problemi?Ci sono criticità nella erogazione di farmaci, di reperimento di centri di riferimento, di presa in carico sanitario e sociale, e ciò nonostante l’Italia anche se con molto ritardo, si è dotata di una legge specifica che però ad oggi dopo quasi un anno dalla sua approvazione, non è operativa in quanto mancano tutti i decreti attuativi”. Si tratta del primo disegno di legge delega al Governo sulla disabilità (n.227) che è stato approvato dal parlamento il 22 dicembre 2021 e i cui decreti legislativi applicativi sono previsti entro metà 2023. Il ddl è contenuto all’interno della Missione n.5 del PNRR, intitolato ‘Inclusione e Coesione’. (ilfattoquotidiano.it)

Siria, oltre un quarto dei cittadini è disabile

Siria, oltre un quarto dei cittadini è disabile e i minori sono esposti a violenze più di chiunque altro

Un nuovo dossier dell’Organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch (Hrw) dal titolo “È stato davvero difficile proteggermi”, racconta le difficoltà e gli abusi subiti dai minori affetti da disabilità in Siria. Sono state condotte 34 interviste a bambini e giovani adulti affetti da disabilità e membri delle loro famiglie. Presenti anche le testimonianze di lavoratori e lavoratrici di ONG e associazioni umanitarie. L’area studiata è stata quella del Nord-Est e Nord-Ovest, dove c’è più bisogno di aiuto.

Undici anni di guerra

Secondo dati ONU, in Siria circa il 28% delle persone è affetto da una disabilità. Numeri doppi rispetto alla media mondiale, in maggior parte dovuti al conflitto che va avanti da oltre dieci anni e alla difficoltà a fornire servizi adeguati alla popolazione. Il rischio di rimanere feriti o uccisi durante attacchi aerei è altissimo. Pesano poi la mancanza di accesso ai servizi di salute e di educazione più basilari e la difficoltà nel ricevere aiuti umanitari e supporto psicologico e sanitario.

Tutto si aggiunge alle difficoltà che già devono affrontare bambini e bambine vittime del conflitto siriano. Secondo Save the Children, dall’inizio della guerra 5 milioni di bambini e bambine hanno bisogno di assistenza umanitaria. Il 28% dei minori nel Paese soffre di malnutrizione, e 2,4 milioni non va a scuola.

“Difficile scappare dagli attacchi aerei”

Molti intervistati raccontano come sia difficile scappare dagli attacchi aerei. Thara J. ha 18 anni e ha perso una gamba quando ne aveva 13. Da allora non è stato possibile farle avere un arto prostetico: “Molte volte mi sono rifiutata di scappare durante un attacco. Era troppo difficile correre con le stampelle, e servono diverse persone per farmi salire in macchina”. Alcuni genitori raccontano di non riuscire a comprare gli ausili necessari per i loro figli disabili, quasi tutti elencano grandi e piccole difficoltà nella vita di tutti i giorni.

Siria

“I loro diritti vanno protetti”

La guerra in Siria sta entrando nel suo dodicesimo anno e continua ad avere un impatto devastante sulla vita di questi bambini e bambine”, commenta Emina Cerimovic, ricercatrice presso HRW per i diritti umani delle persone affette da disabilità. “L’ONU, le autorità statali siriane e i governi dei Paesi coinvolti dovrebbero facilitare l’accesso agli aiuti umanitari e assicurare tutto il supporto necessario ai minori. I loro diritti vanno protetti”.

Indirizzare gli aiuti economici

È opportuno indirizzare gli aiuti economici verso questa categoria di persone altamente vulnerabili. Secondo HRW, l’ONU può e deve fare di più. Ad esempio, fino ad oggi non esistono studi che analizzino condizioni e bisogni di minori affetti da disabilità. Questo, a sua volta, condiziona la destinazione là dove serve davvero degli aiuti umanitari. Un operatore umanitario riporta che “non ci hanno formati per supportare chi è affetto da disabilità. Molti ancora credono che sia una questione limitata ad alcuni interventi: costruire rampe per disabili e fornire sedie a rotelle, oppure avere dei centri di riabilitazione”. Sono elementi importanti, ma l’inclusione e la salvaguardia dei diritti passa prima di tutto dalla sicurezza e dal supporto quotidiani.

Una vita in Guerra

Molti di questi bambini e bambine di cui parliamo nel report sono nati poco prima o durante la guerra. Non conoscono altro che violenza, evacuazioni forzate, una quotidianità di privazioni”, commenta Cerimovic. “Moltissimi dipendono dagli aiuti ONU e di altre organizzazioni”. Tutte le parti coinvolte dovrebbero rispettare la legge umanitaria internazionale e quella sui diritti umani delle persone disabili, che garantiscono il diritto alla salute, all’educazione e a standard di vita adeguati lontani da discriminazione e violenza. (larepubblica.it)

(Ri)mettere sulla moto le persone con disabilità? Si può fare

Sul circuito Tazio Nuvolari si è appena svolto uno dei corsi per motociclisti con disabilità organizzato dall’associazione Di.Di e supportato da Bmw Italia. Abbiamo seguito l’evento da un punto di vista privilegiato, quello di un motociclista da poco paraplegico

Cervesina (PV), circuito Tazio Nuvolari: a mettersi il casco per imparare come si fa ad andare in moto ci sono una dozzina di ragazzi con disabilità e una voglia pazzesca di rimontare in sella, o di salirci per la prima volta. L’evento è organizzato dall’associazione Di.Di. (Diversamente Disabili) e supportato da BMW Italia. Di.Di da qualche anno offre corsi di guida dedicati, con moto opportunamente modificate e istruttori certificati.

Presidente e fondatore di Di.Di è Emiliano Malagoli, pilota paraolimpico di livello internazionale. Cresciuto con la passione del motociclismo, Emiliano nel 2011 a seguito di un incidente stradale ha subito l’amputazione della gamba destra, ma dopo soli 400 giorni è rimontato in sella al Mugello. E da lì in poi non si è più fermato.

Dopo la partecipazione alla maratona di New York nel 2019, con una protesi all’arto inferiore, proprio a Cervesina ha annunciato che domenica 25 settembre sarà al via della maratona di Berlino, perché «l’unico modo per migliorarsi è sfidarsi». 

Prima gli esercizi nel paddock

Il corso si svolge come tutti gli altri, o quasi: briefing tecnico sul comportamento da tenere in pista e divisione in gruppi in base alle esigenze. Da una parte chi salirà sulle Pit Bike (il corso è pensato per chi per età o per condizione psico-fisica non può guidare una moto più grande), dall’altra chi ha subito un’amputazione o una grave lesione a un braccio o una gamba, quindi le persone paraplegiche.

Si passa alla vestizione: indossare una tuta in pelle non è facile e lo è ancor meno per chi siede su una carrozzina. In soccorso vengono amici e parenti al seguito, oltre a una squadra di volontari di trenta persone tra lo staff di BMW Motorrad Italia e i soci del Federclub. Persone che nel corso della giornata saranno sempre pronte a dare una mano.

Quindi si va nel paddock, per prendere dimestichezza con la moto adattata e per gli esercizi tra i birilli. Ogni gruppo viene seguito – passo per passo – da istruttori con lo stesso tipo di disabilità. Questo aiuta a mettere a loro agio i partecipanti, che sanno di avere al loro fianco una persona che si è confrontata con le stesse difficoltà. Ciò nonostante, all’inizio la tensione è palpabile tra chi deve montare in sella. Un’ansia che si stempera subito una volta saliti in moto e si vede che ce la si fa. E man mano comincia il divertimento. 

Moto per paraplegici
La moto per i paraplegici ha le rotelle, ma poi si tolgono

Qualche attenzione particolare è richiesta per chi siede su una carrozzina, la persona deve essere caricata di peso sulla moto prima di tutto. La moto è attrezzata con un carrello posteriore che la tiene in piedi da ferma e che viene azionato dal motociclista: deve essere sollevato subito dopo la partenza e abbassato appena prima di fermarsi. Oltre a questo ci sono due bracci laterali con ruote più grandi e fisse, che limitano l’angolo di piega: sono necessari all’inizio, per evitare cadute.

Ho potuto provarla brevemente, durante la pausa pranzo per non togliere spazio ai corsisti. Dopo un paio di tentativi, partire e fermarsi è diventato più facile: i rotelloni quasi non toccavano più terra e quando lo facevano davano fastidio, perché falsavano la piega. Non a caso vengono tolti dopo un paio di prove. Io però non ho avuto tempo. Com’è risalire in moto? Avere un manubrio tra le mani, è stata una sensazione forte, diversa da prima ma molto bella. Mi iscriverò al prossimo corso? Ho tante cose da fare, ma ci sto pensando. 

Nel pomeriggio tutti in pista a dare gas

Se al mattino c’era tensione, dopo pranzo l’aria si taglia con il coltello: è ora di mettere le ruote in pista. Sempre per gruppi: in testa l’istruttore e poi gli allievi che si alternano dietro di lui. A chiudere la fila un secondo istruttore. A fine turno si esce, è il momento del confronto: ogni allievo dice cosa va e cosa no, spiega le difficoltà incontrate. Poi ovviamente a dire la sua interviene l’istruttore.

Secondo turno, più veloci e sicuri. E poi via ancora. A fine giornata, felicità e divertimento si vedono sul volto di chi ha aspettato questo momento per diverso tempo. Per alcuni si è trattato semplicemente di chiudere un cerchio rimasto aperto dopo l’incidente e di risalire in moto un’ultima volta. Magari ripeteranno l’esperienza. Qualcuno (chi può) prenderà la patente speciale AS. C’è poi chi si farà la sua moto da pista. In ogni caso ne è valsa la pena. Come dice Emiliano: «Se si riesce a fare una cosa così difficile come andare in moto, allora le cose di tutti i giorni diventano molto più facili». (corriere.it)

Bandiere Lilla, ecco i 45 comuni migliori per la vacanza dei disabili

L’iniziativa della società cooperativa Bandiere Lilla va in atto dal 2010. Quest’anno 10 new entry. Ma è ancora troppo poco, per una potenziale clientela di oltre 3 milioni di persone. Che continuerà a crescere numericamente

Sono 10 le nuove Bandiere Lilla assegnate dalla Società Cooperativa Sociale “Bandiera Lilla”, che ogni anno premia quelle realtà istituzionali che lavorano giorno dopo giorno per migliorare la propria accessibilità turistica. Le new entry del 2022 sono: Riva del Garda (Trentino Alto Adige), Malcesine e Porto Viro (Veneto), Peccioli (Toscana), Civitanova Marche e Cupra Marittima (Marche), Rocca Imperiale (Calabria), Savoca (Sicilia) e La Maddalena (Sardegna).

Con questa settima edizione, il numero complessivo delle bandiere arriva così a 45 in rappresentanza di 15 regioni (la lista completa qui). Il riconoscimento viene assegnato con il supporto della Consulta Regionale per la tutela dei diritti della persona handicappata della Regione Liguria, a quelle realtà comunali che lavorano, giorno dopo giorno, anno dopo anno per migliorare la propria accessibilità turistica.

Quest’ultima è una delle variabili strutturali più importanti per determinare i criteri qualitativi dell’offerta turistica: un maggiore livello di accessibilità ha un’influenza diretta sull’afflusso di turisti, sulla qualità complessiva del turismo e sui benefici economici generati da questo settore. “L’accessibilità nel turismo può e deve essere un motore per migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità nei Paesi a forte vocazione turistica, dato che gli sforzi vanno a beneficio della società nel suo complesso”, commenta Antonella Celano, presidente di APMARR, Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare.

Antonella Celano, presidente Apmarr 

Il progetto è nato nel 2012 con l’obiettivo di favorire il turismo da parte di persone con disabilità, premiando e supportando quelle realtà che prestano particolare attenzione a questo target turistico: a causa dell’invecchiamento, dei cambiamenti sociodemografici e dei problemi di salute, infatti, il numero di utenti finali del turismo accessibile è in costante aumento e già oggi rappresenta una quota del 15 per cento nel mercato turistico globale. In Italia sono oltre 3 milioni e 150mila gli italiani che convivono con una qualche forma di disabilità e che necessitano di servizi specifici progettati per concentrarsi sulle persone la cui mobilità, vista, capacità uditiva, forza e salute mentale sono in declino.

Un numero destinato ad aumentare. A causa dell’invecchiamento, dei cambiamenti sociodemografici e dei problemi di salute il numero di utenti finali del turismo accessibile è in costante crescita e già oggi, come svelato da Majid Al-Usaimi, presidente del Comitato Paralimpico Asiatico e membro del comitato Paralimpico Internazionale, rappresenta una quota del 15% nel mercato turistico globale. Secondo le recenti stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra il 10-15% della popolazione mondiale ha un qualche tipo di bisogno di assistenza e il numero di persone che necessitano di dispositivi di assistenza (sedia a rotelle, tecnologie della comunicazione) raddoppierà, entro il 2050, da 1 miliardo a 2 miliardi di persone.

L’Istat invece stima un aumento del 70% entro il 2035 dei viaggiatori con disabilità, a patto che le esperienze di turismo e tempo libero diventino sempre più accessibili e inclusive. Sulla base di uno studio dell’Università del Surrey, il potenziale del mercato europeo dell’accessibilità per il turismo è stimato in oltre 133 milioni di turisti, tenendo conto di tutte le persone con disabilità e patologie croniche, insieme ai loro compagni di viaggio con entrate potenziali superiori agli 80 miliardi di euro.

L’accessibilità nel turismo può e deve essere un motore per migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità nei Paesi a forte vocazione turistica, dato che gli sforzi vanno a beneficio della società nel suo complesso – afferma ancora Antonella Celano, presidente di un’associazione pazienti che difende i diritti degli oltre 5,5 milioni di persone affette da una delle oltre 150 patologie reumatologiche.

Per riuscire a migliorare le pratiche di accessibilità, eliminando le principali barriere strutturali (servizi di prenotazione e trasporto, strutture ricettive, comunicazione) e sociali (mancanza di formazione delle imprese e degli operatori del settore turistico e di consapevolezza circa le tematiche dell’accessibilità) occorre pensare a una partecipazione attiva e diretta delle persone con disabilità nella stesura di protocolli internazionali standard che siano in grado di garantire lo stesso livello di accessibilità e qualità del servizio.

Penso che anche la pandemia abbia fatto capire qualcosa in più e abbia portato un’attenzione diversa al tema dell’accessibilità, una maggiore attenzione al tema delle persone e delle loro esigenze: il turismo accessibile non è solo riadattare un bagno a norma di legge. Il mondo dell’ospitalità è molto di più e significa accogliere le persone, farle sentire a loro agio e farle stare bene. La nostra associazione si è sempre battuta affinché indicatori essenziali della qualità della vita come turismo e tempo libero diventino campi di intervento prioritari delle politiche di pari accessibilità“.

Bandiere Lilla

Data l’inevitabile correlazione tra invecchiamento, patologie invalidanti e disabilità, i servizi devono essere progettati per concentrarsi sulle persone la cui mobilità, vista, capacità uditiva, forza e salute mentale sono in declino. Ad esempio, la crociera è diventata una delle opzioni di vacanza preferite da famiglie, coppie e anziani in particolare e le escursioni giornaliere per i turisti in crociera sono un settore in cui gli utenti più anziani richiedono dei servizi speciali.

Anche se un solo membro del gruppo è in sedia a rotelle, è necessario un taxi o un furgone accessibile dal porto alle attrazioni, ai ristoranti o alle aree per il tempo libero e lo shopping. Senza questo tipo di trasporto speciale, il turista dovrà rimanere a bordo e verranno persi rilevanti potenziali introiti.

Allo stesso modo, le persone anziane con difficoltà motorie possono richiedere una guida o personale addestrato e professionale che conosce i percorsi giusti per ridurre al minimo le loro difficoltà di deambulazione. Alcuni di questi clienti apprezzerebbero dei ristoranti con servizi igienici accessibili, camere d’albergo accessibili (in tutte le fasce di prezzo), aree di parcheggio con sorveglianza per gli scooter elettrici e attrazioni adatte a persone con problemi di vista, udito o mobilità.

Altri elementi di servizio a misura delle persone con bisogni e necessità specifiche possono includere la disponibilità di assistenza infermieristica, procedure mediche come la dialisi renale, l’ossigeno o avere accesso alle informazioni sugli ospedali, i medici o i fisioterapisti più vicini al luogo di villeggiatura.

Nelle destinazioni e nei mercati in cui l’accessibilità è insufficiente, le prestazioni del mercato sono inferiori del 25-35% rispetto alle aspettative. Questa è all’incirca la percentuale di persone le cui decisioni di viaggio sono influenzate dalle condizioni di accessibilità e le destinazioni turistiche che non danno priorità e non promuovono l’accessibilità ignorano questo importante mercato di persone con disabilità, turisti anziani e non. In Germania, ad esempio, il 37% delle persone con disabilità ha deciso di non intraprendere un viaggio a causa della mancanza di strutture accessibili ma, tuttavia, il 48% viaggerebbe più frequentemente se queste fossero disponibili e il 60% sarebbe disposto a pagare un prezzo più alto per il loro utilizzo.

Addirittura, come spiegato da Annagrazia Laura, presidente dello European Network for Accessible Tourism (ENAT) nel suo intervento durante il Dubai Accessible Tourism International Summit 2022, la mancanza di strutture e servizi adeguati fa sì che l’economia globale del turismo perda, ogni anno, circa 142 miliardi di euro e 3,4 milioni di posti di lavoro.

Ma qual è il profilo tipico dei viaggiatori con disabilità? Innanzitutto, hanno una forte capacità di spesa, spendendo, in media, da due a quattro volte di più per le loro vacanze e amano ritornare più volte nella stessa destinazione quando la trovano accessibile. Soggiornano in alloggi più costosi per esigenze di spazio, igiene e accesso. Spendono di più per il noleggio di veicoli (necessitano di veicoli più grandi) e per i servizi di trasporto. Pagano di più per lo spazio extra a bordo di un aereo semplicemente per essere più a loro agio durante il viaggio. (repubblica.it)

Arte e inclusione, la «Luce nera» di Burri nelle «sfumature» di dieci giovani disabili

È dedicata all’opera di Alberto Burri la prima guida per un museo in Italia scritta con la comunicazione aumentativa alternativa da 10 giovani con disabilità cognitiva e verbale. 

Arte e inclusione. Ci sono disegnati arcobaleni, forme geometriche e frecce. Ci sono anche tante parole: nome, dai, nave, all’esterno, orientarsi, opere, cantieri navali. Ci sono fotografie: sestante, acrilico, cellotex, museo, Venezia. È una guida diversa dalle altre quella disponibile nell’Ex Seccatoi del Tabacco, un museo dedicato alle opere di Alberto Burri nel luogo dove è nato e a lungo ha lavorato, Città di Castello (Perugia). L’opera si intitola proprio «Museo Burri ex Seccatoi del Tabacco» ed è il risultato di otto mesi di lavoro di dieci giovani disabili.

Hanno tra i 17 e i 25 anni e si fanno chiamare «Le sfumature di Burri». Hanno redatto testi, selezionato foto, progettato l’impaginazione. Ne è scaturito un lavoro in cui, come in un puzzle, ogni pezzo ha preso il suo posto. La guida di venti pagine è destinata a persone con disabilità cognitive e verbali che adesso possono apprendere e apprezzare le opere di Burri attraverso la comunicazione aumentativa alternativa.

Arte, Burri, comunicazione aumentativa

Un progetto sociale che il sindaco tifernate Luca Secondi ha definito come «apripista ad un nuovo modo, ancora più inclusivo, di rendere fruibile a tutti il patrimonio artistico e culturale» di Burri. Il Maestro ha donato a Città di Castello circa 500 opere oggi conservate in tre musei, a Palazzo Albizzini, quindi in due Ex Seccatoi del Tabacco collocati nell’immediata periferia di Città di Castello. Furono acquistati da Burri che li fece dipingere del suo colore preferito, il nero.

Oggi vi si tengono anche conferenze e convegni sull’arte moderna e contemporanea e mostre a tema come quella in corso, «La luce del nero» (aperta fino al 28 agosto), caratterizzata da un innovativo percorso artistico-sensoriale, inclusivo per i non-vedenti. Curata da Bruno Corà, presidente della Fondazione Burri, elabora il tema del nero e dell’oscurità caro al maestro tifernate, offrendo l’esperienza sensoriale del buio ai visitatori.

Aurora Bazzurri, Gioia Giorgi, Livia Tose, Nizar Douari, Alberto Marinelli, Mattia Melelli, Matteo Perioli, Mirko Pietosi, Matteo Ricci, Luca Varzi sono i dieci giovani del gruppo «Le sfumature di Burri» che hanno lavorato alla guida in collaborazione con la logopedista Letizia Giovagnini e gli educatori Matteo Chierici, Anita Meozzi e Cecilia Mazzoni. L’opera fa parte del progetto «Ti illustro la città con la Comunicazione Aumentativa Alternativa», e ha coinvolto il Comune di Città di Castello, la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, l’Usl Umbria1, la Cooperativa sociale «La Rondine» e la Cooperativa Atlante.

La mostra «La luce del nero» è ancora aperta dal martedì al venerdì fino al 28 agosto dal martedì al venerdì (10.00-13.00 e 14.30-18.30) oltre che sabato, domenica e festivi (10.00-18.00). Info: museo@fondazioneburri.com.

STORIA

Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Nata nel 1978 per volontà dello stesso Alberto Burri che, con una prima donazione dotava la Fondazione Palazzo Albizzini di 32 opere, è stata riconosciuta con decreto del presidente della Giunta Regionale dell’Umbria. Secondo le linee espresse dallo statuto, l’istituzione opera per gestire e conservare l’esposizione permanente delle opere dell’artista e per promuovere gli studi sull’arte del Maestro e la sua collocazione nel tempo. A questo scopo la Fondazione gestisce l’apertura al pubblico delle due collezioni, organizza conferenze annuali sull’arte contemporanea, allestisce mostre e partecipa ad eventi espositivi a livello nazionale e internazionale.

La Collezione a Palazzo Albizzini è stata aperta al pubblico nel dicembre 1981 e comprende circa 130 opere dal 1948 al 1989, ordinate cronologicamente in 20 sale. Insieme all’altra sede espositiva degli Ex Seccatoi del Tabacco, inaugurata nel luglio 1990, che ospita 128 opere dal 1970 al 1993, è la raccolta più esaustiva sull’artista, con opere di altissima qualità selezionate dal pittore stesso.Il 12 marzo 2017 è stata inaugurata una nuova sezione museale nei sotterranei degli immensi Ex Seccatoi per esporre tutta l’opera grafica del Maestro. Le tre sezioni espositive costituiscono, dunque, la raccolta più esaustiva del lavoro di Alberto Burri.

L’opera grafica consta di 196 opere create fra il 1957 e il 1994. È un viaggio attraverso le incognite della tecnica grafica che Burri “piega” per ottenere quello che fino a poco tempo prima sembrava impossibile con quegli stessi mezzi. Esemplare la realizzazione delle Combustioni del 1964 e 1965 nelle quali è ricreato sulla carta il processo della combustione, in assenza dell’azione reale del fuoco.

Gli Ex Seccatoi del Tabacco. Collocati nell’immediata periferia di Città di Castello, costituiscono un esemplare recupero di archeologia industriale operato per volontà di Alberto Burri, che li ha immaginati come luogo adatto ad ospitare le sue ultime creazioni. L’enorme complesso, che risale all’immediato dopoguerra, era destinato a raccogliere il tabacco coltivato nell’Alta Valle del Tevere.  Nelle opere esposte l’interesse del pittore si concentra primariamente su un unico materiale: il cellotex, una sorta di impasto di legno impiegato sin dai primi quadri degli anni ’50 come supporto, che ora viene svelato e sulla cui superficie l’artista interviene a volte scalfendo, incidendo o sollevandone la pellicola più esterna, altre volte dipingendolo.

Le opere sono collocate per “cicli” in hangar distinti. Ognuno di essi ha una sua sinfonia composta da più elementi, tutti in armonia fra loro e l’uno imprescindibile dagli altri. I cicli segnano la svolta di Burri verso un’arte più complessa e monumentale, l’artista è stimolato dal rapporto di queste opere con gli spazi suggestivi e affascinanti degli Ex Seccatoi. In questa sede si sono tenute conferenze d’arte moderna e contemporanea, sul restauro del contemporaneo, convegni d’aggiornamento in collaborazione con autorevoli istituzioni parallele, nazionali e internazionali.

(articolo rielaborato da corriere.it e cesvolumbria)