Come funziona lo smart working per le persone con disabilità

L’Ispettorato nazionale del lavoro sostiene che la legge 104 può essere interpretata nell’ottica del lavoro agile e almeno fino al 31 dicembre le persone con disabilità sono tutelate dal regime di smart working semplificato

Lo smart working è divenuto parte integrante della vita lavorativa di milioni di italiani a partire dallo scoppio della pandemia del 2020. Se inizialmente era visto perlopiù come una modalità di lavoro utile per ovviare alle difficoltà imposte dalla situazione, per diverse persone i benefici individuali che derivano dal poter lavorare lontano dal luogo di lavoro sono divenuti apparenti anche in vista di una prospettiva più di lungo termine, tanto da far pensare che quella del lavoro agile diventerà una modalità di lavoro sempre più consolidata e diffusa.

Per le persone con disabilità e i loro famigliari, per esempio, poter lavorare da casa la flessibilità data dal lavoro agile è stata indubbiamente comoda. Ad oggi e almeno fino al 31 dicembre, i lavoratori con disabilità sono tutelati dal regime di smart working semplificato, ma in realtà, secondo una nota dello scorso anno dell’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl), la legge 104 sulla disabilità è già di per sé applicabile allo smart working. Vediamo di cosa stiamo parlando.

Cos’è lo smart working?

A livello giuridico, il termine “lavoro agile” viene definito dalla legge 81 del 2017 come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.” Gli elementi chiave di tale definizione sono l’assenza di vincoli sul luogo e l’orario di lavoro, l’organizzazione in fasi, cicli e obiettivi, e il fatto che le modalità del rapporto di lavoro siano stabilite esplicitamente tramite un accordo tra il lavoratore e il datore di lavoro.

Una più immediata ed efficace definizione è stata fornita a Wired da Arianna Visentini, cofondatrice e co-ammininstratrice delegata di Variazioni, società di consulenza e innovazione organizzativa per l’adozione di politiche di smart working. Visentini definisce lo smart working “una modalità di lavoro che consente alle persone di decidere in autonomia dove lavorare, quando lavorare e in che modo lavorare.”

Persona con disabilità in smart working
Cos’è la legge 104?

La legge 104 del 1992 è la legge “per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.” Si tratta quindi del documento che detta i princìpi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza della persona disabile. Viene applicata a chi sia stato valutato da un’apposita commissione medica dell’Asl come una persona “che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.”

I principali destinatari sono quindi i cittadini con handicap, ma non mancano i riferimenti anche a chi vive con loro, come i caregiver di queste persone o la famiglia. Nello specifico, la legge prevede agevolazioni lavorative e fiscali per i soggetti coperti. I lavoratori con disabilità riconosciuta ai sensi della legge – così come i loro famigliari che li assistono – possono fruire di tre giorni di permesso mensile, e hanno diverse esenzioni fiscali, come il riconoscimento delle spese sanitarie quali oneri deducibili e non quali detrazioni, l’applicazione dell’Iva agevolata al 4% per l’acquisto di protesi e strumenti tecnologici come telefono cellulare e computer, l’esenzione del bollo auto e la detrazione del 19% per l’acquisto di beni.

La 104 è applicabile allo smart working?

La risposta rapida è sì. In una circolare del 26 aprile dello scorso anno, l’Inl ha spiegato che il lavoratore in smart working a cui è applicabile la legge 104 – il lavoratore con disabilità così come i famigliari che devono assisterlo – può fruire dei permessi lavorativi frazionati ad ore anche dallo smart working. Ciò indica un lavoratore tutelato dalla legge 104 ha il diritto di ricevere l’equivalente in ore di tre giorni di permesso al mese sia dal lavoro in sede che dal lavoro da casa. In altre parole, se un dipendente sceglie di restare a casa ma adempie in remoto ai propri doveri lavorativi, non ha utilizzato le proprie ore di permesso.

In secondo luogo, secondo quanto stabilito dal decreto Aiuti bis di luglio, il regime semplificato dello smart working – il quale prevede che ai datori di lavoro sia data la possibilità di attivarlo senza stipulare l’accordo individuale con il dipendente, come avviene per legge in tempi normali – prevede che per diverse categorie sia possibile richiedere il lavoro agile anche quando non è previsto dal datore di lavoro. Tra queste categorie, ci sono i lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità ai sensi della legge 104 e i loro famigliari. Almeno fino alla fine dell’anno, sarà possibile per tali categorie ottenere il lavoro agile purché sia compatibile con la loro attività. (wired.it)

Moda e Disabilità, Lanciata la collezione inclusiva Iulia Barton

Con evento in streaming in contemporanea con Moda Milano Fashion Week

Una rivoluzione che passa (anche) attraverso gli abiti. Inventando anche l’abito giusto, se ancora non c’è. Parte da qui il progetto di Giulia Bartoccioni, 34 anni, imprenditrice romana, fondatrice e anima del brand di moda inclusiva Iulia Barton che venerdì 23 settembre, con un evento in streaming in contemporanea con la Milano Fashion Week, ha presentato la sua prima collezione.

Una linea – il video del lancio è disponibile sui canali social – che non ha precedenti nel panorama del made in Italy perché ribalta il concetto di inclusività mettendo al centro non il design ma il corpo, in nome di una vestibilità realmente universale che aspira a riscrivere il rapporto tra moda e disabilità. Il risultato – spiega il comunicato – sono 20 look adattivi, ma anche no gender, no season e sostenibili, pensati per persone con corpi non conformi ma indossabili da chiunque e in qualsiasi periodo dell’anno.

Moda e disabilità

Quando una persona disabile passa davanti a una vetrina, in genere pensa: quest’abito non fa per me. E non ha torto. Perché la moda tradizionale resta un mondo poco accessibile per chi ha corpi non conformi”, ha spiegato Giulia Bartoccioni, “L’ho visto organizzando sfilate di moda inclusiva per raccogliere fondi da destinare alla ricerca e far parlare di diversità in un contesto tradizionalmente molto chiuso.

Portavamo in passerella modelli e modelle con disabilità e li facevamo sfilare con i look che ci davano i brand tradizionali. Ma erano abiti disegnati per corpi senza problemi, e farli indossare a chi era in carrozzina o magari aveva una protesi era complicato. Lì ho capito che bisognava cambiare prospettiva: serviva una collezione dedicata che fosse facile da portare ma che allo stesso tempo demolisse l’idea della disabilità come qualcosa di poco compatibile con il glamour».

Il risultato – prosegue la nota – sono dieci pezzi in pieno stile urban, tutti intercambiabili, che si possono mescolare tra loro per comporre look diversi, giocando con il colore per togliere quella patina di tristezza che ingiustamente si associa alla disabilità. La collezione è firmata da Diego Salerno (Head designer Iulia Barton ed HR consultant specialist design department Max Mara Fashion Group), ed è frutto di un delicato gioco di incastri.

Perché ogni disabilità ha bisogni differenti ma, in un’ottica di inclusione vera e non solo di facciata, lo stesso abito deve poter essere indossato con facilità e soddisfazione da chiunque. Riuscirci è stato un complesso lavoro di raccolta dati che ha visto il coinvolgimento di oltre cinquanta persone con bisogni differenti. (askanews.com)

Detto tra Noi: La forza dei Caregiver

Caregiver
Rubrica a cura di Angiola Rotella – Presidente di Insieme per l’Autismo onlus
Ebbene sono un caregiver molto fortunato.
Lo sono per mille ragioni ma ce n’è una in particolare sulla quale c’è bisogno di mettere l’accento:
Il lavoro.

Molti caregiver, infatti, sono costretti a rinunciarvi o subiscono così tante pressioni da finire per essere discriminati sul luogo di lavoro.

Il mio lavoro e’ complesso e molto particolare. Richiede uno sforzo in più perché bisogna essere sempre lucido attenti e garantire la sicurezza delle persone. Prevenire eventi indesiderati e quindi anticipare qualunque tipo di potenziale minaccia.
Sono una assistente di volo.

Chiudo la porta dell’aereo e resetto la mia mente. Non sono più la mamma di Paolo lontana da casa. Sono un professionista. Poi atterro, vado in albergo e ritorno nella mia vita fatta di preoccupazioni, di organizzazione e di metodo. Si perché se non ti dai un metodo, non puoi reggere lo stress.

E così da anni a questa parte (periodo covid escluso e li ci sarebbe tanto altro si cui argomentare) mi divido in due o forse in tre qualche volta anche in quattro. Il lavoro resta sempre la cosa più importante non solo per me, anche e soprattutto per mio figlio.

E’ per questo che sto portando avanti un progetto molto ambizioso che si pone l’obiettivo di individuare le attitudini speciali delle persone, le forma e le guida con lo scopo finale di un inserimento lavorativo.

Mio figlio e’ la testa d’ariete di questo progetto, con le sue difficoltà e senza il supporto di un tutor o di un educatore, sta svolgendo un tirocinio gratuito presso un maneggio. Impara a lavorare. In un contesto di persone di buona volontà e grande professionalità gli insegnano come funziona il mondo del lavoro.

E’ l’inizio di un percorso molto complesso ma sono certa che sia la strada giusta. In un panorama umano nel quale ci sono persone che vengono retribuite per non lavorare, ce ne sono altre che nonostante la propria disabilità, vogliono e devono dare dignità alla propria vita attraverso il lavoro.

I requisiti essenziali per far parte del nostro progetto sono spirito di sacrificio e forza di volontà. Chiunque lo confonda per ufficio di collocamento può dirigersi verso altri lidi. Chiunque invece ha voglia di costruire una nuova società inclusiva e ha voglia di abbattere le barriere mentali e mettersi a disposizione sarà accolto con un sorriso, o forse più di uno.
Stay tuned..

Università, pubblicata prima indagine Anvur sugli studenti disabili

Saliti a quasi 40mila, rappresentano il 2% del totale ed il 52% sono ragazze. Il presidente dell’Agenzia Uricchio: “Abbiamo voluto rilevare i loro bisogni e fotografare i servizi offerti dalle università”

Sale il numero degli studenti con disabilità che si iscrivono nelle università italiane. E a fotografare per la prima volta chi sono, di cosa hanno bisogno, qual’è lo stato della didattica e dei servizi offerti è stata l’Anvur, l’Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema universitario e della Ricerca, che è anche andata a ‘fare le pulci’ anche su quanto si spende nel nostro paese – fra governo e atenei – per sostenere i giovani universitari disabili.

Dalla foto scattata dall’Anvur ora sappiamo che sono ormai quasi 40mila (36.816) gli studenti italiani con disabilità o con Dsa (disturbi specifici dell’apprendimento) che nell’anno accademico 2019-2020 risultavano iscritti ai corsi di laurea e post-laurea: il 2% del totale degli studenti. Il 71% degli studenti disabili è iscritto ai corsi triennali, il 15% ai corsi magistrali e l’11,6% ai corsi magistrali a ciclo unico. Tra coloro che proseguono nei corsi post-laurea, 94 sono iscritti anche al dottorato.

Dal Rapporto dell’Anvur “Gli studenti con Disabilità e Dsa (disturbi specifici dell’apprendimento) nelle Università Italiane, una risorsa da valorizzare” presentato a Roma, nella Sala degli Affreschi della sede nazionale della Conferenza dei Rettori Italiani, emerge inoltre che la componente femminile è maggioritaria (52%) e la sua incidenza cresce man mano che si innalza il livello di studio, passando dal 51,7% nei corsi triennali, al 58,6% nei corsi magistrali a ciclo unico, al 70,3% nei master di primo e secondo livello.

Questo primo rapporto è uno strumento estremamente utile che potrà affiancare quelli esistenti e guidare la definizione e l’aggiornamento delle politiche in materia di diritto allo studio in favore degli studenti con disabilità e con disturbi specifici dell’apprendimento” ha rilevato la ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, intervenuta alla presentazione della ricerca.

Allo stesso tempo – ha sottolineato Messa – questo lavoro restituisce la fotografia di un sistema universitario che su questo fronte è attento, attivo e realmente impegnato nell’estendere, anche al di fuori delle mura degli atenei, la cultura dell’inclusione e la personalizzazione dei servizi”.

La ministra ha rilevato inoltre che “le università fanno molto per l’orientamento specifico, per il supporto alla didattica, per il counseling, per migliorare l’accessibilità dei servizi, ma lo scorso anno abbiamo destinato come Ministero, per fronteggiare le difficoltà legate all’emergenza, ulteriori 50 milioni di euro proprio per il co-finanziamento di attività di orientamento e tutorato a beneficio degli studenti che necessitano di azioni specifiche per promuovere l’accesso ai corsi della formazione superiore e alle azioni di recupero e inclusione. Il diritto allo studio per tutti è la nostra priorità“.

Università, presentazione indagine Anvur

Il presidente di Anvur, Antonio Felice Uricchio, ha espresso “piena soddisfazione per la pubblicazione del rapporto e soprattutto per l’impegno profuso dall’agenzia in collaborazione con la Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità (Cnudd) nel rilevare bisogni e stato dei servizi in favore degli studenti universitari con disabilità“.

Auspichiamo che le informazioni raccolte sull’accessibilità degli ambienti, sui trasporti, sulle tecnologie adoperate nella didattica, sull’accesso ai servizi possano essere preziose sia per le istituzioni che hanno partecipato alla rilevazione sia per i due Ministeri- Università e Disabilità – peraltro particolarmente impegnati nel promuovere politiche attive protese a dare effettività al diritto allo studio” ha rilevato Auricchio.

Alla presentazione del Rapporto, hanno partecipato anche il direttore dell’Anvur, Daniele Livon, ed il presidente della Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità (Cnudd), Alberto Arenghi, ed i componenti del gruppo di lavoro incaricato di redigere il rapporto: Adriano Scaletta (Coordinatore del Gruppo, Anvur), Fabio Ferrucci (docente Università del Molise), Lucia Mason (docente Università di Padova), Francesco Alberto Comellini (Mur), Giancarlo Tanucci (docente Università di Bari), Elio Borgonovi (docente Sda Bocconi), e Guido Migliaccio (docente Università del Sannio).

Il Rapporto dell’Anvur sottolinea che a fronte della maggioranza di studentesse con disabilità nei corsi di dottorato invece prevale la componente maschile, che è del 55,3%. Ed un dato “assolutamente inedito” che arriva dall’Anvur è quello relativo alla distribuzione degli studenti nelle diverse aree disciplinari dei corsi di studio. La maggior parte di loro è iscritta ai corsi di area sociale (35,4%) e di area scientifica (30,1%), seguiti da quelli dell’area umanistica (22,9%) e, a distanza, dall’area sanitaria (10%). Anche gli 11.385 immatricolati hanno sostanzialmente seguito le orme di chi li ha preceduti nella scelta dei corsi universitari.

Ma è proprio tra gli immatricolati che si manifestano i segnali del cambiamento più significativo in atto nelle università italiane: la rapida crescita degli studenti con Dsa che, in termini quantitativi hanno ormai superato gli studenti con disabilità. Il 60% degli immatricolati ai corsi di studio triennali e il 51% degli immatricolati ai corsi magistrali a ciclo unico sono studenti con Dsa. Il fenomeno è particolarmente accentuato negli atenei del Nord-Ovest e del Nord-Est dove gli studenti con Dsa, rappresentano, rispettivamente il 76,5% e il 65,2% del totale degli immatricolati.

Gli analisti dell’Anvur sottolineano che si tratta comunque di un trend in crescita anche tra gli immatricolati delle altre aree geografiche. La rilevazione ha riguardato anche i corsi ad accesso programmato che prevedono delle prove selettive per l’ammissione. Nell’a.a. 2019-20 vi hanno partecipato 3.459 studenti con disabilità e 6.409 studenti con Dsa facendo registrare una percentuale di superamento del 74,8% nel primo caso e del 64% nel secondo caso.

Performance al di sopra del dato medio complessivo sono state ottenute da entrambi i gruppi di studenti nelle prove di accesso ai corsi di area umanistica, mentre risultati al di sotto della media riguardano i corsi di area sanitaria. Gli studenti che hanno completato il percorso di studi (triennale, magistrale o magistrale a ciclo unico) sono stati 3.589. Il 38% si è laureato in corsi di area sociale, il 29,7% di area scientifica, il 20 di area umanistica e l’11,2% di area sanitaria. (adnkronos.com)

CAP 90036: La lettera di Maria Letizia che vuole lavorare

“CAP 90036” è una rubrica dedicata alle vostre “lettere“. La storia di questa settimana è quella di Maria Letizia che vuole garantito il diritto al lavoro.

“Mi chiamo Maria Letizia, ho 28 anni e vivo a Palma di Montechiaro (AG). Sono affetta da tetraparesi spastica dalla nascita. Questa patologia ha compromesso le mie funzioni motorie, rendendo necessario l’utilizzo di una sedia a rotelle a motore.

Fortunatamente, le capacità cognitive non sono state compromesse. Dopo la maturità scientifica, ho conseguito la Laurea in Lingue e Culture Moderne per poi completare il mio percorso accademico con la Laurea Magistrale in Lingue Moderne per la Comunicazione Internazionale. Ho raggiunto una conoscenza ottimale dell’inglese e dello spagnolo e una conoscenza di base del francese.

Durante gli studi universitari, mi sono appassionata alla traduzione. Per questo motivo, terminati gli studi, ho deciso di intraprendere la carriera di traduttrice. Questo lavoro è ideale per me perché mi consente di lavorare da casa.

Sono costretta a lavorare in smart working perché le mie condizioni fisiche renderebbero faticoso spostarmi da casa ogni giorno. Ho frequentato un Master in Traduzione Settoriale e un corso professionale di Traduzione per l’editoria.

Maria Letizia

Ho difficoltà a trovare lavoro perché, pur essendo iscritta a diversi portali dove vengono pubblicati annunci per lavori di traduzione, nel 99% delle volte viene richiesta esperienza professionale, che non ho, e nell’altro 1% si tratta di annunci truffaldini o che pagano una tariffa irrisoria a cui non vale la pena rispondere.

Ho inviato curriculum a diverse case editrici, ma fino ad ora solo una mi ha risposto chiedendomi di svolgere delle traduzioni di prova che ho svolto, ma poi non ho avuto più notizie. Per quanto riguarda gli altri settori, fino ad ora ho svolto solo un lavoro un anno fa per conto di un’agenzia di traduzione, poi più niente perché non sono riuscita a candidarmi per nessun altro annuncio per i motivi che ho spiegato sopra.

Purtroppo, per il momento, il cambio generazionale si è arrestato perché chi è anziano va in pensione sempre più tardi e che giovane non riesce ad inserirsi. Il mio sogno è poter lavorare per una casa editrice in veste di traduttrice. È il settore che preferisco perché amo i libri e anche perché mi è congeniale visto che si può lavorare con la ritenuta d’acconto senza aprire una Partita IVA. Non mi conviene aprirla se prima non ho entrate fisse.

Spero di riuscire a trovare lavoro presto per diventare un membro attivo della società. È brutto trovarsi nel limbo dei disoccupati quando gli studi sono finiti e vorresti iniziare a lavorare ma non riesci.

Ci si sente in colpa come se la mancanza di lavoro dipendesse dalla propria negligenza o dalla mancanza di iniziativa, mentre invece è il mercato del lavoro che ti chiude le porte in faccia quando la sola colpa che hai è quella di non aver ancora iniziato a lavorare.”

Per le vostre lettere a CAP 90036 scrivete a lavoriamoinsiemeblog@gmail.com o la sezione “Contatti” del blog. Grazie.

CAP 90036: La lettera di Rita sul lavoro

Cari lettori, di quando in quando vi scrivo direttamente e di solito lo faccio per annunciarvi qualche novità o per introdurre qualche argomento che mi sta particolarmente a cuore. Anche stavolta è così: da oggi prende parte sul blog lo spazio “CAP 90036” dedicato alle vostre “lettere“. Già da qualche tempo avevo pensato a questa possibilità e adesso mi è sembrato il momento giusto per iniziare a pubblicare le vostre storie o riflessioni.

La lettera di oggi arriva da Rita che propone, a mio avviso, una interessante riflessione sulla efficacia della 68/99, la legge che regolamenta il lavoro per le persone con disabilità. Nella fattispecie la preclusa possibilità, a chi già occupato e iscritto alle categorie protette, di partecipare ai concorsi pubblici.

Cap 90036

Mia figlia ha la sclerosi multipla ed è iscritta alla lista delle categorie protette all’art. 8.
Ho scritto al Ministero del Lavoro e Politiche Sociali perché ritengo che vada cambiato qualcosa in questa Legge e più precisamente la possibilità di far partecipare a concorsi pubblici per categorie protette anche ii soggetti iscritti già con occupazione, per poter avere le stesse opportunità di chi non ha disabilità.

La Legge preclude ad un lavoratore di migliorare le sue condizioni di vita. Non sempre il lavoro per chi è disabile è quello giusto per lui. Mia figlia lavora a 30 km da casa e part-time e come tutti aspira ad un lavoro più tranquillo, full time e vicino a casa. Ci sono stati concorsi e siccome lavora non ha potuto farli. Li può fare normalmente come chiunque, ma allora a cosa serve essere iscritti alle categorie protette?

Mi sembra una discriminazione anche se capisco perché è stata fatta. Ma se lascia un lavoro per un altro ritenuto migliore, lascia comunque il suo posto ad un altro e quindi non vedo problemi di occupazione in tal senso. Vedo solo che una volta trovato un posto, nel suo caso privato, non può fare concorsi a lei dedicati solo perché già lavora. Dove sono le politiche sociali in tal senso? Dove le Pari Opportunità?

La Costituzione : Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Mi sembra che la Legge sia in contrasto con questo articolo. Perché ho scritto a voi? Perché vorrei non essere sola a scrivere ai Ministeri e poter far qualcosa in modo che questa Legge possa essere cambiata a favore di tutti gli iscritti alle categorie protette, perché tutti ne trarrebbero beneficio.”

Mi sembra che le istanze che ci sottopone Rita siano condivisibili e rilanciamo a tutti gli interessati questa riflessione e l’invito a far sentire la propria voce alle Istituzioni così come chiede e sollecita Rita.

Per le vostre lettere a CAP 90036 scrivete a lavoriamoinsiemeblog@gmail.com o la sezione “Contatti” del blog. Grazie.

Parole di Carta: La 5G Academy

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione

5G Academy, Una rivoluzione nella rivoluzione

Ciò che non si conosce talvolta può creare diffidenza, o anche paura.
Ad esempio, accade di frequente di non sapere come comportarsi di fronte a una persona con una disabilità, soprattutto se particolarmente invalidante.

Si viene presi dall’imbarazzo di non sapere cosa fare o dire per relazionarsi con lei e, nel dubbio di sbagliare, spesso si rinuncia finendo così col tenere le distanze.
Se poi per un evento fortuito si viene in relazione con questo mondo “diverso”, si capisce che così diverso in realtà non è, ma che invece è popolato di persone simili alle altre per certi aspetti e diverse per altri, come tutti.

Come la trama di un film non procede senza un evento che spezzi la routine dei protagonisti, così nella vita di ciascuno certi momenti di rottura degli equilibri pregressi sono utili, necessari, addirittura auspicabili, anche se quasi sempre è difficile rendersene conto nel momento in cui si presentano.

Guardando poi a ritroso il percorso compiuto, ci si rende conto che non lo si sarebbe intrapreso senza quel momento di difficoltà che ci ha costretto a cambiare direzione portandoci a essere le persone che siamo oggi. Talvolta una caduta, reale o metaforica, può segnare l’inizio di un percorso nuovo e migliore per sé e per chi si incrocia nel proprio cammino.

La perdita di un primo lavoro e un successivo periodo di stallo per una brutta caduta sono stati la chiave di volta per Amelia Focaccio, oggi speaker e program manager di Rainbow Diversamente Radio, molto attiva nel sociale, lei che – ammette – prima si lasciava bloccare dal timore nell’approccio con ogni forma di disabilità.
Oggi collabora con l’Università di Napoli Federico II per la 5G Academy, un importante progetto che coinvolge a vario titolo anche persone con disabilità.

IL CONSIGLIO

Stavolta non è uno soltanto il consiglio da poter dare a chi legge. Lo facciamo attraverso le parole della dottoressa Focaccio: “A mio parere è necessario smettere di considerare le persone con disabilità come l’elemento fragile della società. Al contrario, il mio intento, attraverso le attività della Radio e collaborazioni come quelle con l’Università di Napoli, è quello di far comprendere che possono essere un punto di forza, delle importanti risorse per la società, ovviamente compatibilmente con le oggettive difficoltà che la disabilità porta con sé.

Classe 5G Academy
Studenti nella classe della 5g Academy

La 5G Academy, coordinata dalla professoressa Antonia Tulino, nasce dalla collaborazione tra il CESMA, realtà dell’Università Federico II, TIM e Nokia, ed è un corso di alta formazione che punta alla creazione di figure professionali di alto livello da impiegare a servizio del potenziale rivoluzionario del 5G.

Radio Rainbow ha sottoscritto un protocollo d’intesa con il CESMA e siamo felici perché è presente una rivoluzione nella rivoluzione. Da quest’anno, infatti, il bando della 5G Academy ha riservato dei posti a laureandi e laureati con disabilità, oltre che ai normotipici, per i percorsi formativi che potranno essere di sbocco per impieghi professionali importanti, grazie alla possibilità per questi ragazzi di essere attenzionati per i propri meriti sia dai partner impegnati nella 5G Academy che da parte di aziende esterne.

Anche tra i componenti lo staff è presente un ragazzo con disabilità, il dott. Giovanni Cupidi, una persona molto valida che darà sicuramente il proprio contributo alla buona riuscita del progetto.

Vorrei concludere con un messaggio di incoraggiamento sia alle persone con disabilità perché si mettano sempre in gioco in ciò per cui si sentono portate, sia a chi in generale vive un momento di difficoltà. Per esperienza personale posso dire che proprio grazie a certi incidenti di percorso sono entrata in contatto con un mondo, quello del sociale e della disabilità in particolare, dal quale oggi mi sento arricchita.

Il piano del Governo per l’occupazione delle persone disabili

L’obiettivo del Governo è portare la dimensione del lavoro al centro dei percorsi di inclusione sociale delle persone con disabilità, creando così le condizioni per progetti di vita indipendenti

Arriva un pacchetto di soluzioni delineato dal Governo per favorire l’inserimento nel mercato del lavoro delle persone disabili. Una strategia ad ampio raggio per garantire progetti personalizzati, una rete integrata dei servizi (sanitario, sociale, istruzione/formazione, lavoro) per la continuità nell’accompagnamento dei progetti personalizzati anche mediante la presenza di équipe multidisciplinari.

E, soprattutto, che consenta di portare la dimensione del lavoro al centro dei percorsi di inclusione sociale delle persone con disabilità, creando così le condizioni per progetti di vita indipendenti.

Il pacchetto delle Linee guida

Entro 18 mesi i servizi per il collocamento mirato sono chiamati ad attuare una ricognizione sugli iscritti per verificare le permanenze nelle liste del collocamento obbligatorio per le persone con disabilità iscritte da oltre 24 mesi, identificando: le cause prevalenti della loro perdurante condizione di disoccupazione; il numero di offerte di lavoro presentate loro nel medesimo periodo.

Introduzione o consolidamento, da parte delle amministrazioni competenti per il collocamento mirato, di meccanismi e clausole premianti negli appalti pubblici a favore di imprese ed enti che abbiano istituito la figura del responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro. Ricorso alla figura del responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro anche in forma consulenziale per le Pmi.

E poi ancora gestione sistematica dei dati amministrativi riferiti al collocamento mirato, una piattaforma informatica per la raccolta sistematica delle buone pratiche, adozione del “mainstreaming della disabilità”, così da garantire un sistema di analisi e valutazione delle politiche promosse dalle Regioni che consideri il potenziale impatto delle misure messe in campo sul mondo della disabilità, «non solo in termini di equità ma anche in chiave di crescita economica».

I ministri del governo Orlando e Stefani
I ministri Orlando e Stefani

Sono alcune delle “Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità”, presentate dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando, e dal ministro per la Disabilità, Erika Stefani. «È un documento che mancava da molto tempo, con cui credo si fornisca finalmente una risposta attesa da molti», ha detto Orlando, in occasione della conferenza stampa di presentazione.

«Abbiamo varato un veicolo di cambiamento importante – ha aggiunto Stefani -. Il sistema aveva e ha dei vulnus ovviamente, a partire dal dato culturale che entra in gioco quando le imprese si trovano a valutare persone con disabilità. Le linee guida forniscono in questo senso un veicolo verso un cambiamento».

Tre categorie di beneficiari dei processi di accompagnamento al lavoro

Vengono indicate dal governo tre categorie di beneficiari dei diversi processi di accompagnamento al lavoro. L’obiettivo è delineare percorsi percorsi personalizzati che tengano in considerazione anche alcune specificità che emergono dalla relazione della persona con il servizio per il collocamento mirato.

La prima categoria è rappresentata dai giovani con disabilità che non rientrano ancora tra i beneficiari della normativa in quanto non ancora in età da lavoro o perché ancora nel sistema dell’istruzione, destinatari di interventi che coinvolgeranno operatori e servizi dei sistemi socio sanitari, dell’istruzione e della formazione, allo scopo di garantire nei tempi opportuni un efficace trasferimento dei progetti personalizzati verso il sistema dell’integrazione lavorativa.

La seconda categoria è costituita dalle persone che accedono per la prima volta alle liste del collocamento obbligatorio oppure sono iscritte da non oltre 24 mesi. Infine, il terzo gruppo: i disoccupati da oltre 24 mesi e le persone che rientrano al lavoro, dopo dimissioni/licenziamenti o lunghi periodi di malattia o riabilitazione.

I compiti del responsabile per l’inserimento lavorativo

Tra le soluzioni delineate dal governo, quella del responsabile dell’inserimento lavorativo. Si tratta di una figura che svolge una funzione di facilitazione/mediazione, che interviene sia nel momento dell’ingresso della persona con disabilità nel contesto lavorativo sia nella gestione di un ambiente di lavoro. Cura i rapporti con il centro per l’impiego territorialmente competente per l’inserimento lavorativo dei disabili, nonché con i servizi territoriali per l’inserimento. I centri per l’impiego si fanno promotori di azioni di sensibilizzazione per l’istituzione di un responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro.

Le buone pratiche di inclusione lavorativa

È prevista la raccolta sistematica delle buone pratiche di inclusione lavorativa al fine di contribuire, con la diffusione di esperienze positive ed efficaci, all’innalzamento degli standard di gestione del sistema del collocamento mirato e ad assicurare la disponibilità su tutto il territorio nazionale di modelli replicabili di azioni, procedure e progettualità a beneficio delle persone con disabilità e dei datori di lavoro interessati dalla normativa per il collocamento mirato. Una volta individuate, le buone pratiche dovranno essere inserite in una piattaforma informatica accessibile e aggiornabile. (ilsole24ore.com)

Lo spazio? È aperto a tutti anche a chi ha una disabilità. «Io farò il Parastronauta»

L’Europa dello spazio ha aperto, prima fra tutte le nazioni e i continenti, una finestra anche per i disabili. E dopo gli atleti paralimpici capaci di memorabili imprese presto potremo inseguire intorno alla Terra anche i parastronauti.

Ben 287 disabili su 23.307 candidati hanno inviato la loro proposta all’agenzia spaziale Esa quando l’anno scorso ha aperto il nuovo bando. Alla fine di gennaio, concluso il primo screening, il numero complessivo delle domande accettate è stato di 1.388: e tra queste ce ne sono 27 che provengono da persone con qualche disabilità.

Un passo alla volta (nello spazio)

«La selezione è un processo molto competitivo – nota Antonella Costa, responsabile risorse umane dipartimento voli abitati ed esplorazione robotica in Esa – e già rispondere ai criteri iniziali per partecipare è qualcosa di cui andare fieri. Il prossimo passo sarà una giornata di selezione psicologica in una sede europea e per chi la supererà si passerà alla selezione medica e poi a interviste individuali». Diventare astronauti è una sfida per tutti. Le regole sono stringenti e per i parastronauti l’ammissione è stata limitata a poche disabilità fisiche. Ma è un inizio importante che consentirà di andare oltre.

Spazio e parastronauta

In questa primissima fase sono dunque ammessi deficit agli arti inferiori, ad esempio a causa di un’amputazione o per un problema congenito. Sono accettate limitazioni a uno o entrambi i piedi, a una o entrambe le gambe sotto il ginocchio e anche una differente lunghezza delle gambe.

Inoltre è compatibile anche una statura molto bassa, inferiore ai 130 centimetri. Le limitazioni fisiche devono comunque garantire poter stare in piedi, i movimenti autonomi e l’uso dei propri muscoli in modo controllato sino a consentire la cura della propria persona in orbita.

Importante deve rimanere la capacità di operare nei vari compiti assegnati, nel mantenere e riparare i sistemi di bordo come i manipolatori robotici che richiedono abilità motorie e la facoltà di eseguire intricati compiti manuali. Uguale per tutti rimane la dimostrazione di qualità psicologiche come il rimanere calmi sotto pressione o in condizioni di forte stress. E altrettanto l’abilità nell’eseguire lavori in spazi ristretti in una piccola o in una grande squadra facendo emergere l’adattabilità sotto ogni aspetto.

Ovviamente anche gli addestramenti dovranno adeguarsi per consentire l’esecuzione delle operazioni senza difficoltà. Altrettanto vale per gli ingegneri presto impegnati nello studio di soluzioni tecnologiche al fine di consentire un logico adeguamento nella stazione spaziale internazionale, rimuovendo eventuali barriere.

In autunno il lungo esame dei candidati sarà concluso e verrà finalmente dato l’annuncio di 4/6 nuovi «protagonisti cosmici» più una ventina di riserve. «L’istituzione di una riserva di astronauti e astronaute – dice Josef Aschbacher, direttore generale dell’Esa – offre ai tutti i candidati più opportunità di quante ce ne siano mai state in passato, senza escludere finalmente le diversità». «Per le disabilità – conclude Antonella Costa – ci saranno una o più persone selezionate. Tutto dipenderà dallo sviluppo del progetto parastronauti in corso». (corriere.it)

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Disabile e scartata da tutti oggi fattura milioni di dollari

Disabile e respinta da tutti, scartata. Anche Collette Divitto, 31enne americana affetta da sindrome di Down, ha sperimentato sulla sua pelle le difficoltà della vita. Nel 2016 però ha aperto la sua pasticceria a Boston e da allora è davvero tutto cambiato. Aiuta i meno fortunati a trovare lavoro
Colette Divitto - Disabile affetta da sindrome di Down

Al liceo è stata vittima di bullismo. Poi dopo il college, è stato difficile trovare un lavoro. In tutti questi momenti difficili, però, c’è stata sempre una cosa che ha reso felice Collette Divitto: cucinare. La 31enne americana, affetta da sindrome di Down, ha deciso di trasformare la sua passione in carriera, aprendo la sua pasticceria specializzata in biscotti a Boston, in Massachusetts.

Devo dire che in realtà ho sempre amato cucinare, da quando avevo 4 anni. Sin dal liceo, ho preso lezioni di pasticceria“, ha raccontato Collette alla CBS. “Quello è stato un periodo difficile per me. Non avevo amici, non avevo una vita sociale. Sono stata vittima di bullismo, sempre presa di mira. Ed è per questo che ho preso lezioni di pasticceria“.

Dopo la scuola, la giovane si è iscritta alla Clemson University nella Carolina del Sud, ma dopo il diploma si è accorta di quanto fosse difficile trovare un’occupazione. È stato a questo punto che sua madre l’ha aiutata a creare quello che oggi è il suo lavoro: Collettey’s Cookies.

L’azienda, che ha sede a Boston, è stata fondata da Collette nel 2016 e ha già generato entrate per oltre 1 milione di dollari negli ultimi cinque anni. E se avviare un’attività in proprio a 20 anni non è abbastanza impressionante, Collette Divitto è anche autrice di due libri per bambini, è presente nella docuserie “Born for Business” dedicata agli imprenditori con disabilità e gestisce un’organizzazione no profit. “Sono successe molte cose incredibili!“, ha ammesso la 31enne.

Collette racconta che la parte preferita legata alla gestione della sua attività è l’assunzione di disabili. Collettey’s Leadership Org supporta le persone meno fortunate a trovare lavoro, offrendo corsi di formazione e tutoraggio. Una percentuale dei proventi della Collettey’s Cookies va direttamente all’organizzazione no profit.

Nel 2020 negli USA solo il 17,9% delle persone con disabilità aveva un lavoro. Una percentuale che Collette si è prefissata di far crescere e in tal senso ha creato una petizione a favore dei meno fortunati, che spera attiri l’attenzione del Congresso. L’imprenditrice ha già assunto diverse persone affette da disabilità nella sua stessa azienda.

“La mia missione è creare posti di lavoro per le persone con disabilità”, ha detto. “Ce ne sono davvero tante che vogliono solo avere un lavoro, davvero tante”.

La Collettey’s Cookies ha 15 dipendenti e circa la metà di loro sono persone con disabilità. Hanno un leader forte e determinato a cui ispirarsi. “Non importa chi tu sia, puoi fare una grande differenza in questo mondo; non lasciare che le persone ti buttino giù… Non concentrarti sulle tue disabilità. Devi solo concentrarti sulle tue capacità” dice Collette. (fanpage.it)