“Giornate inclusive: siblings al centro”, a Milano l’evento dedicato

“Le finalità sono quelle di continuare a sensibilizzare la società e le istituzioni sul reale significato dell’inclusione sociale, concetto oggi tanto abusato quanto sconosciuto”

Un dibattito pubblico incentrato sul tema dei siblings, i fratelli e le sorelle delle persone con disabilità. E’ questo il fulcro dell’evento che si terrà sabato 24 settembre (17.00-18.30) a Milano presso il Villaggio Barona, con Stefania Collet, responsabile del Progetto Rare Siblings di Osservatorio Malattie Rare, Don Mauro Santoro, referente del coordinamento diocesano “O Tutti o Nessuno” e l’assessore alla Cultura del Comune di Milano Francesca De Feo. Con loro anche il giornalista de ilfattoquotidiano.it Renato La Cara.

L’iniziativa, che fa parte di Giornate inclusive, è stata creata dalla OdV Nessuno E’ Escluso, con il contributo di Fondazione di Comunità di Milano per il progetto “un respiro in più”. Si tratta di un momento di confronto voluto dalla presidente di Nessuno È Escluso Maria Rosaria Coppola e dal marito Fortunato Nicoletti, che è anche vice-presidente dell’associazione, genitori di due siblings.

Le finalità sono quelle di continuare a sensibilizzare la società e le istituzioni sul reale significato dell’inclusione sociale, concetto oggi tanto abusato quanto sconosciuto” ha detto a ilfattoquotidiano.it la presidente dell’organizzazione di volontariato . “Lo scopo è quello di arrivare a un incontro tra famiglie con e senza disabilità al proprio interno per far comprendere l’importanza di un tema di cui solo negli ultimi tempi si comincia a parlare”, ma che riguarda centinaia di migliaia di persone. L’associazione lavora accanto ai siblings da anni, favorendo l’attivazione di un supporto psicologico e i bisogni delle stesse famiglie.

Programma Siblings

Perché oggi è importante parlare di siblings?E’ fondamentale spostare il focus dalla persona disabile alla sua famiglia – risponde Coppola-, in quanto solo una presa in carico totale della stessa può garantire una vita dignitosa di quelle che non sono altro che persone come tutte le altre. In molti casi i fratelli e le sorelle tendono a chiudersi in se stessi, non sanno con chi condividere il proprio turbamento, sentono i genitori distanti e non più disponibili come una volta”.

Maria Rosaria Coppola, insegnante di professione, riscontra criticità anche nel mondo della scuola: “Vedendo le difficoltà dei miei figli Andrea e Francesca, riesco a notare quello che spesso sfugge allo sguardo dei docenti. E’ difficile percepire – aggiunge – il disagio dei siblings perché gli insegnanti, nella maggioranza dei casi, non conoscono il contesto in cui vivono. Il rendimento può non essere soddisfacente. A volte i ragazzi hanno la testa altrove, ma i prof fanno fatica a caprine le ragioni”.

Per questo l’associazione operativa in tutta la Lombardia si propone di portare il tema dei siblings all’attenzione di docenti e dirigenti scolastici: “È necessario aiutare il personale della scuola a intercettare quel disagio di cui i ragazzi il più delle volte si rifiutano di parlare”. Attualmente, afferma la presidente di Nessuno E’ Escluso, “le famiglie di una persona con malattia rara sono tutelate ancora meno di quelle che assistono un familiare con disabilità e soprattutto in maniera completamente disomogenea sul territorio nazionale”.

Quali sono i principali problemi?Ci sono criticità nella erogazione di farmaci, di reperimento di centri di riferimento, di presa in carico sanitario e sociale, e ciò nonostante l’Italia anche se con molto ritardo, si è dotata di una legge specifica che però ad oggi dopo quasi un anno dalla sua approvazione, non è operativa in quanto mancano tutti i decreti attuativi”. Si tratta del primo disegno di legge delega al Governo sulla disabilità (n.227) che è stato approvato dal parlamento il 22 dicembre 2021 e i cui decreti legislativi applicativi sono previsti entro metà 2023. Il ddl è contenuto all’interno della Missione n.5 del PNRR, intitolato ‘Inclusione e Coesione’. (ilfattoquotidiano.it)

Roma: via libera ai progetti per migliorare la fruibilità di tre musei

La Giunta capitolina ha approvato tre progetti di intervento per la rimozione delle barriere fisiche, sensoriali e cognitive in strutture scelte all’interno del Sistema Musei di Roma Capitale. L’obiettivo, si legge nella nota, è quello di garantire un più ampio accesso e una più diffusa partecipazione alla cultura, fornendo strumenti utili per rendere maggiormente inclusivi i luoghi della cultura e favorire la visita del pubblico con disabilità.

Il via libera ai progetti consente di partecipare a uno specifico bando all’interno della missione 1 del Pnrr dedicata alla digitalizzazione, all’innovazione e alla competitività e cultura, con specifico investimento sul «Patrimonio culturale per la prossima generazione. Con un importo complessivo di quasi 1,5 milioni di euro, la Sovrintendenza capitolina intende intervenire sui Musei Capitolini per 488mila euro, sul Museo di Casal De’ Pazzi per quasi 500mila euro e sulla Centrale Montemartini per 500mila euro.

«Si tratta di un provvedimento dall’alto valore civile e costituzionale– ha commentato l’assessore capitolino alla Cultura, Miguel Gotor perché la cultura deve essere di tutti e per tutti senza barriere. Ecco perché, con i fondi del Pnrr, consentiremo a tre importanti realtà museali cittadine di compiere un notevole salto di qualità in termini di fruibilità e accessibilità».

Si realizzerà un unico percorso di visita accessibile a tutti, nell’ottica dell’«universal design», attraverso l’adeguamento del percorso principale del giardino con una viabilità non differenziata, l’eliminazione di barriere visive e uditive, la sostituzione del l’impianto multimediale con tecnologie più innovative e inclusive che utilizzino una molteplicità di linguaggi. È prevista la sistemazione delle aree all’aperto per migliorare l’accoglienza e l’accessibilità. Inoltre, si procederà all’implementazione del sito web, e all’incremento dell’utilizzo dei social network, per favorire il coinvolgimento degli adolescenti.

Roma musei

Nei Musei Capitolini, la prima raccolta museale pubblica dell’età moderna, la realizzazione del progetto renderà quanto più possibile coincidente l«esperienza di visita del pubblico con disabilità con quello degli altri visitatori per percorribilità e fruizione delle opere. Grazie agli interventi previsti, si ridurranno i disagi derivati dalla complessa architettura e distribuzione degli spazi articolati nel Palazzo dei Conservatori, nel Palazzo Nuovo e nella Galleria sotterranea che ospita la collezione epigrafica e conduce all’antico Tabularium, anch’esso parte del percorso museale.

Il museo verrà dotato di nuovi dispositivi utili al superamento delle barriere architettoniche e di nuovi supporti per l’orientamento nel percorso e la fruizione delle opere per i visitatori con disabilità cognitiva e sensoriale. I contenuti per i visitatori con disabilità sensoriale e cognitiva, si legge nella nota, implementeranno la pagina web dedicata, in un percorso virtuoso tra visita da remoto e in loco, che potrà essere supportata dai contenuti caricati sul web.

Il Museo di Casal De’ Pazzi ospita un importante sito archeo-paleontologico datato a circa 200mila anni fa, tra i pochi musealizzati in Italia e in Europa, e rappresenta un elemento chiave di riqualificazione delle periferie e di interazione con le comunità locali.

Infine, la Centrale Montemartini, museo nato dalla riconversione di un impianto industriale, la prima centrale pubblica di Roma per la produzione di energia elettrica, costruita nel 1912. La struttura accoglie oggi mosaici e reperti archeologici di età romana appartenenti alle Collezioni dei Musei Capitolini. Si lavorerà per rendere gli spazi più confortevoli e accessibili, rimodulando quelli dedicati all’accoglienza di tutti i visitatori e favorendo la visita a persone con disabilità sensoriale attraverso l’installazione di mappe e riproduzioni per l’esplorazione tattile.

La comunicazione interna verrà rinnovata grazie all’ausilio di audioguide e totem touch screen, al fine di ampliare e migliorare l’accesso al patrimonio tecnologico e archeologico del museo. Inoltre, con il restyling dello spazio esterno si contribuirà alla riqualificazione di un’area nevralgica del quartiere Ostiense, oggi oggetto di grandi trasformazioni. (corriere.it)

Arte e inclusione, la «Luce nera» di Burri nelle «sfumature» di dieci giovani disabili

È dedicata all’opera di Alberto Burri la prima guida per un museo in Italia scritta con la comunicazione aumentativa alternativa da 10 giovani con disabilità cognitiva e verbale. 

Arte e inclusione. Ci sono disegnati arcobaleni, forme geometriche e frecce. Ci sono anche tante parole: nome, dai, nave, all’esterno, orientarsi, opere, cantieri navali. Ci sono fotografie: sestante, acrilico, cellotex, museo, Venezia. È una guida diversa dalle altre quella disponibile nell’Ex Seccatoi del Tabacco, un museo dedicato alle opere di Alberto Burri nel luogo dove è nato e a lungo ha lavorato, Città di Castello (Perugia). L’opera si intitola proprio «Museo Burri ex Seccatoi del Tabacco» ed è il risultato di otto mesi di lavoro di dieci giovani disabili.

Hanno tra i 17 e i 25 anni e si fanno chiamare «Le sfumature di Burri». Hanno redatto testi, selezionato foto, progettato l’impaginazione. Ne è scaturito un lavoro in cui, come in un puzzle, ogni pezzo ha preso il suo posto. La guida di venti pagine è destinata a persone con disabilità cognitive e verbali che adesso possono apprendere e apprezzare le opere di Burri attraverso la comunicazione aumentativa alternativa.

Arte, Burri, comunicazione aumentativa

Un progetto sociale che il sindaco tifernate Luca Secondi ha definito come «apripista ad un nuovo modo, ancora più inclusivo, di rendere fruibile a tutti il patrimonio artistico e culturale» di Burri. Il Maestro ha donato a Città di Castello circa 500 opere oggi conservate in tre musei, a Palazzo Albizzini, quindi in due Ex Seccatoi del Tabacco collocati nell’immediata periferia di Città di Castello. Furono acquistati da Burri che li fece dipingere del suo colore preferito, il nero.

Oggi vi si tengono anche conferenze e convegni sull’arte moderna e contemporanea e mostre a tema come quella in corso, «La luce del nero» (aperta fino al 28 agosto), caratterizzata da un innovativo percorso artistico-sensoriale, inclusivo per i non-vedenti. Curata da Bruno Corà, presidente della Fondazione Burri, elabora il tema del nero e dell’oscurità caro al maestro tifernate, offrendo l’esperienza sensoriale del buio ai visitatori.

Aurora Bazzurri, Gioia Giorgi, Livia Tose, Nizar Douari, Alberto Marinelli, Mattia Melelli, Matteo Perioli, Mirko Pietosi, Matteo Ricci, Luca Varzi sono i dieci giovani del gruppo «Le sfumature di Burri» che hanno lavorato alla guida in collaborazione con la logopedista Letizia Giovagnini e gli educatori Matteo Chierici, Anita Meozzi e Cecilia Mazzoni. L’opera fa parte del progetto «Ti illustro la città con la Comunicazione Aumentativa Alternativa», e ha coinvolto il Comune di Città di Castello, la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, l’Usl Umbria1, la Cooperativa sociale «La Rondine» e la Cooperativa Atlante.

La mostra «La luce del nero» è ancora aperta dal martedì al venerdì fino al 28 agosto dal martedì al venerdì (10.00-13.00 e 14.30-18.30) oltre che sabato, domenica e festivi (10.00-18.00). Info: museo@fondazioneburri.com.

STORIA

Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Nata nel 1978 per volontà dello stesso Alberto Burri che, con una prima donazione dotava la Fondazione Palazzo Albizzini di 32 opere, è stata riconosciuta con decreto del presidente della Giunta Regionale dell’Umbria. Secondo le linee espresse dallo statuto, l’istituzione opera per gestire e conservare l’esposizione permanente delle opere dell’artista e per promuovere gli studi sull’arte del Maestro e la sua collocazione nel tempo. A questo scopo la Fondazione gestisce l’apertura al pubblico delle due collezioni, organizza conferenze annuali sull’arte contemporanea, allestisce mostre e partecipa ad eventi espositivi a livello nazionale e internazionale.

La Collezione a Palazzo Albizzini è stata aperta al pubblico nel dicembre 1981 e comprende circa 130 opere dal 1948 al 1989, ordinate cronologicamente in 20 sale. Insieme all’altra sede espositiva degli Ex Seccatoi del Tabacco, inaugurata nel luglio 1990, che ospita 128 opere dal 1970 al 1993, è la raccolta più esaustiva sull’artista, con opere di altissima qualità selezionate dal pittore stesso.Il 12 marzo 2017 è stata inaugurata una nuova sezione museale nei sotterranei degli immensi Ex Seccatoi per esporre tutta l’opera grafica del Maestro. Le tre sezioni espositive costituiscono, dunque, la raccolta più esaustiva del lavoro di Alberto Burri.

L’opera grafica consta di 196 opere create fra il 1957 e il 1994. È un viaggio attraverso le incognite della tecnica grafica che Burri “piega” per ottenere quello che fino a poco tempo prima sembrava impossibile con quegli stessi mezzi. Esemplare la realizzazione delle Combustioni del 1964 e 1965 nelle quali è ricreato sulla carta il processo della combustione, in assenza dell’azione reale del fuoco.

Gli Ex Seccatoi del Tabacco. Collocati nell’immediata periferia di Città di Castello, costituiscono un esemplare recupero di archeologia industriale operato per volontà di Alberto Burri, che li ha immaginati come luogo adatto ad ospitare le sue ultime creazioni. L’enorme complesso, che risale all’immediato dopoguerra, era destinato a raccogliere il tabacco coltivato nell’Alta Valle del Tevere.  Nelle opere esposte l’interesse del pittore si concentra primariamente su un unico materiale: il cellotex, una sorta di impasto di legno impiegato sin dai primi quadri degli anni ’50 come supporto, che ora viene svelato e sulla cui superficie l’artista interviene a volte scalfendo, incidendo o sollevandone la pellicola più esterna, altre volte dipingendolo.

Le opere sono collocate per “cicli” in hangar distinti. Ognuno di essi ha una sua sinfonia composta da più elementi, tutti in armonia fra loro e l’uno imprescindibile dagli altri. I cicli segnano la svolta di Burri verso un’arte più complessa e monumentale, l’artista è stimolato dal rapporto di queste opere con gli spazi suggestivi e affascinanti degli Ex Seccatoi. In questa sede si sono tenute conferenze d’arte moderna e contemporanea, sul restauro del contemporaneo, convegni d’aggiornamento in collaborazione con autorevoli istituzioni parallele, nazionali e internazionali.

(articolo rielaborato da corriere.it e cesvolumbria)

Università, pubblicata prima indagine Anvur sugli studenti disabili

Saliti a quasi 40mila, rappresentano il 2% del totale ed il 52% sono ragazze. Il presidente dell’Agenzia Uricchio: “Abbiamo voluto rilevare i loro bisogni e fotografare i servizi offerti dalle università”

Sale il numero degli studenti con disabilità che si iscrivono nelle università italiane. E a fotografare per la prima volta chi sono, di cosa hanno bisogno, qual’è lo stato della didattica e dei servizi offerti è stata l’Anvur, l’Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema universitario e della Ricerca, che è anche andata a ‘fare le pulci’ anche su quanto si spende nel nostro paese – fra governo e atenei – per sostenere i giovani universitari disabili.

Dalla foto scattata dall’Anvur ora sappiamo che sono ormai quasi 40mila (36.816) gli studenti italiani con disabilità o con Dsa (disturbi specifici dell’apprendimento) che nell’anno accademico 2019-2020 risultavano iscritti ai corsi di laurea e post-laurea: il 2% del totale degli studenti. Il 71% degli studenti disabili è iscritto ai corsi triennali, il 15% ai corsi magistrali e l’11,6% ai corsi magistrali a ciclo unico. Tra coloro che proseguono nei corsi post-laurea, 94 sono iscritti anche al dottorato.

Dal Rapporto dell’Anvur “Gli studenti con Disabilità e Dsa (disturbi specifici dell’apprendimento) nelle Università Italiane, una risorsa da valorizzare” presentato a Roma, nella Sala degli Affreschi della sede nazionale della Conferenza dei Rettori Italiani, emerge inoltre che la componente femminile è maggioritaria (52%) e la sua incidenza cresce man mano che si innalza il livello di studio, passando dal 51,7% nei corsi triennali, al 58,6% nei corsi magistrali a ciclo unico, al 70,3% nei master di primo e secondo livello.

Questo primo rapporto è uno strumento estremamente utile che potrà affiancare quelli esistenti e guidare la definizione e l’aggiornamento delle politiche in materia di diritto allo studio in favore degli studenti con disabilità e con disturbi specifici dell’apprendimento” ha rilevato la ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, intervenuta alla presentazione della ricerca.

Allo stesso tempo – ha sottolineato Messa – questo lavoro restituisce la fotografia di un sistema universitario che su questo fronte è attento, attivo e realmente impegnato nell’estendere, anche al di fuori delle mura degli atenei, la cultura dell’inclusione e la personalizzazione dei servizi”.

La ministra ha rilevato inoltre che “le università fanno molto per l’orientamento specifico, per il supporto alla didattica, per il counseling, per migliorare l’accessibilità dei servizi, ma lo scorso anno abbiamo destinato come Ministero, per fronteggiare le difficoltà legate all’emergenza, ulteriori 50 milioni di euro proprio per il co-finanziamento di attività di orientamento e tutorato a beneficio degli studenti che necessitano di azioni specifiche per promuovere l’accesso ai corsi della formazione superiore e alle azioni di recupero e inclusione. Il diritto allo studio per tutti è la nostra priorità“.

Università, presentazione indagine Anvur

Il presidente di Anvur, Antonio Felice Uricchio, ha espresso “piena soddisfazione per la pubblicazione del rapporto e soprattutto per l’impegno profuso dall’agenzia in collaborazione con la Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità (Cnudd) nel rilevare bisogni e stato dei servizi in favore degli studenti universitari con disabilità“.

Auspichiamo che le informazioni raccolte sull’accessibilità degli ambienti, sui trasporti, sulle tecnologie adoperate nella didattica, sull’accesso ai servizi possano essere preziose sia per le istituzioni che hanno partecipato alla rilevazione sia per i due Ministeri- Università e Disabilità – peraltro particolarmente impegnati nel promuovere politiche attive protese a dare effettività al diritto allo studio” ha rilevato Auricchio.

Alla presentazione del Rapporto, hanno partecipato anche il direttore dell’Anvur, Daniele Livon, ed il presidente della Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità (Cnudd), Alberto Arenghi, ed i componenti del gruppo di lavoro incaricato di redigere il rapporto: Adriano Scaletta (Coordinatore del Gruppo, Anvur), Fabio Ferrucci (docente Università del Molise), Lucia Mason (docente Università di Padova), Francesco Alberto Comellini (Mur), Giancarlo Tanucci (docente Università di Bari), Elio Borgonovi (docente Sda Bocconi), e Guido Migliaccio (docente Università del Sannio).

Il Rapporto dell’Anvur sottolinea che a fronte della maggioranza di studentesse con disabilità nei corsi di dottorato invece prevale la componente maschile, che è del 55,3%. Ed un dato “assolutamente inedito” che arriva dall’Anvur è quello relativo alla distribuzione degli studenti nelle diverse aree disciplinari dei corsi di studio. La maggior parte di loro è iscritta ai corsi di area sociale (35,4%) e di area scientifica (30,1%), seguiti da quelli dell’area umanistica (22,9%) e, a distanza, dall’area sanitaria (10%). Anche gli 11.385 immatricolati hanno sostanzialmente seguito le orme di chi li ha preceduti nella scelta dei corsi universitari.

Ma è proprio tra gli immatricolati che si manifestano i segnali del cambiamento più significativo in atto nelle università italiane: la rapida crescita degli studenti con Dsa che, in termini quantitativi hanno ormai superato gli studenti con disabilità. Il 60% degli immatricolati ai corsi di studio triennali e il 51% degli immatricolati ai corsi magistrali a ciclo unico sono studenti con Dsa. Il fenomeno è particolarmente accentuato negli atenei del Nord-Ovest e del Nord-Est dove gli studenti con Dsa, rappresentano, rispettivamente il 76,5% e il 65,2% del totale degli immatricolati.

Gli analisti dell’Anvur sottolineano che si tratta comunque di un trend in crescita anche tra gli immatricolati delle altre aree geografiche. La rilevazione ha riguardato anche i corsi ad accesso programmato che prevedono delle prove selettive per l’ammissione. Nell’a.a. 2019-20 vi hanno partecipato 3.459 studenti con disabilità e 6.409 studenti con Dsa facendo registrare una percentuale di superamento del 74,8% nel primo caso e del 64% nel secondo caso.

Performance al di sopra del dato medio complessivo sono state ottenute da entrambi i gruppi di studenti nelle prove di accesso ai corsi di area umanistica, mentre risultati al di sotto della media riguardano i corsi di area sanitaria. Gli studenti che hanno completato il percorso di studi (triennale, magistrale o magistrale a ciclo unico) sono stati 3.589. Il 38% si è laureato in corsi di area sociale, il 29,7% di area scientifica, il 20 di area umanistica e l’11,2% di area sanitaria. (adnkronos.com)

La scrittrice Usa. Taussig, la disabilità in prima persona

La scrittura come mezzo per uscire dalla narrazione degli altri sulla propria condizione di donna in sedia a rotelle. Per superare quella condizione di persona osservata per vedere se ce la fa a mettere le buste della spesa in macchina da una persona che si è offerta di aiutarla e, ricevuto un cortese rifiuto, resta lì a verificare. Come racconta Rebekah Taussig in “Felicemente seduta”. Il punto di vista di un corpo disabile e resiliente. Il libro, che esce per le edizioni leplurali (casa editrice femminista nata nel 2021; pagine 270, euro 18,00) è stato presentato ieri a Torino.
Rebekah Taussig
Rebekah Taussig

Nel libro parla dell’abilismo. Come far sviluppare la sensibilità per superarlo?

Un buon punto di partenza è ascoltare di più, leggere di più, sintonizzarsi con le prospettive e le voci delle persone con disabilità. Per la maggior parte della storia, le persone senza disabilità hanno parlato per e al di sopra di queste voci, quindi è necessario fare uno sforzo per cambiare marcia. C’è molto da ascoltare, perché la disabilità è una delle esperienze più estese nell’umanità. Fortunatamente, ci sono sempre più racconti di disabilità in prima persona: biografie e memoir, programmi televisivi, canali YouTube e profili TikTok. Credo che le storie ci cambino: accedono a una parte speciale del nostro cervello e cambiano il modo in cui vediamo le persone e il mondo.

Pensa che si possa superare l’idea del corpo perfetto, efficiente?

Assistiamo già a un allontanamento da questa idea. Negli ultimi anni, abbiamo visto le pubblicità fare progressi nel rappresentare una gamma più ampia e varia: corpi che utilizzano ausili per la mobilità e borse per ileostomia, corpi con cicatrici e peli, smagliature e cellulite, di tutte le forme e le dimensioni. Alcune aziende di abbigliamento includono una gamma più ampia di taglie.

Certo, non lo fanno per essere altruisti o gentili: si stanno rendendo conto che gli ideali che ci sono stati offerti non riflettono chi siamo realmente, e perciò stanno diventando meno attraenti. Ma questo cambiamento degli standard di bellezza è stupendo. Non so come, quanto velocemente, o nemmeno se possiamo allontanarci dall’idea di un corpo perfettamente “capace” rispetto a uno imper-fetto, “disabile”. Ma vedo dei segni.

Lei propone l’essere «adattabili, flessibili e immaginativi » come contributo delle persone disabili a tutti. Come fare?

Le persone disabili vivono in un mondo che non è stato costruito pensando a loro: case, parchi giochi, ristoranti, vestiti, aspettative sul posto di lavoro o in classe, romanticismo e genitorialità. Eppure continuano a vivere, lavorare, amare. Dobbiamo trovare alternative per navigare nel mondo, per interagire con persone estranee, con chi ci ama e i nostri figli, per giocare e lavorare, per vestirci e fare la doccia, per lavarci i denti e cucinare. Le persone disabili sono costrette a fare affidamento sugli strumenti di adattabilità, flessibilità e immaginazione minuto per minuto. Sono capacità di risoluzione dei problemi preziose nel mondo di oggi, che evolve rapidamente.

Lei racconta della famiglia di origine e di come ne ha formata una sua. Quanto conta questa dimensione?

La famiglia è così complicata, vero? Quando stavo crescendo, la mia era una sorta di bolla sacra in cui non ero inghiottita completamente dalla mia disabilità, ma potevo esistere semplicemente come me stessa. Poi ha continuato a essere una rete di sicurezza inestimabile per sostenermi quando non riuscivo a trovare un alloggio o avevo bisogno di aiuto per costruire una rampa o per spostarmi.

In età adulta ho cercato e trovato un senso di comunità tra disabili online e mi sono connessa a una sorta di “famiglia” che poteva darmi un diverso ti- po di supporto e comprensione. Ora che sto costruendo una mia famiglia, spero che sia un posto sicuro e felice in cui mio figlio possa crescere bene. Ma so anche che non possiamo, non dovremmo essere e non saremo l’inizio e la fine per lui.

Il libro è anche un modo per incoraggiare chi è sfiduciato a prendere più consapevolezza?

Molte persone con disabilità hanno passato la maggior parte della vita senza leggere un racconto che riflettesse la loro esperienza. Spero che grazie alla mia storia ci siano altre persone che si sentano viste. Che finiscano il mio libro e sappiano che non sono sole. Lo prendano come una rivendicazione ribelle e corroborante, che li aiuti ad afferrare la loro narrazione e a raccontare le loro storie con le loro voci uniche.

Scrivere le ha cambiato la vita?

Assolutamente sì. Sono cresciuta con la mia storia già raccontata per me. Non avevo la mia voce, ho semplicemente ripetuto a pappagallo la storia che mi era stata raccontata. Scrivere mi ha permesso di afferrare quella storia, di smontarla, capovolgerla, esaminarla con più attenzione e raccontarne una nuova, più vera. La scrittura mi collega a me stessa, è ciò che mi lega alla terra e alle altre persone. È il modo in cui penso: mi sembra quasi di non esistere completamente senza di essa. (avvenire.it)

Artisti disabili? Una 3 giorni a Milano ne ha sottolineato l’esistenza e l’importanza

Dal 1830 al 1940 circa le persone disabili, come quelle tatuate o di altre etnie erano considerate una minoranza “strana”: erano mostrate nei teatri e altri luoghi come “etno-esposizioni” o “freak show”. Tendoni definiti in italiano ”baracca dei fenomeni” in cui si potevano vedere persone “born freak”, ovvero fin dalla nascita non conformi, o “made […]

Dal 1830 al 1940 circa le persone disabili, come quelle tatuate o di altre etnie erano considerate una minoranza “strana”: erano mostrate nei teatri e altri luoghi come “etno-esposizioni” o “freak show”. Tendoni definiti in italiano ”baracca dei fenomeni” in cui si potevano vedere persone “born freak”, ovvero fin dalla nascita non conformi, o “made freak”, ossia tatuate, o stravaganti.

E oggi la situazione non è per forza migliorata– dice Flavia Dalila D’Amico, studiosa e curatrice nel campo delle arti performative, autrice del libro “Lost in Translation” (Bulzoni Editore, 19 euro) sulla storia dell’incontro tra le disabilità e lo spettacolo dalla fine del 1800 ad oggi-. Alcune esperienze del XIX secolo sono anche più valide di altre attuali”.

Lavorare nei “freak show” era considerata una vera occupazione, remunerata: “questi attori erano una rarità, una minoranza” continua la D’Amico. Meglio che nel nostro tempo “in cui prolificano le pratiche di inclusione, ma solo a livello di intrattenimento o esercizio”.

Presenti Accessibili Artisti Disabili

Siamo alla Fabbrica del Vapore al primo giorno di “Presenti accessibili”, iniziativa di Oriente Occidente, del Ministero della Cultura e della Regione Lombardia nel contesto di EBA Europe Beyond Access, il più grande progetto al mondo su arte e disabilità co-finanziato Creative Europe (www.orienteoccidente.it). 

Fino a venerdì 29 aprile Milano ha ospitato, anche al Teatro Carcano e a Palazzo Lombardia, una tre giorni di grande importanza internazionale.

Per il tema, la disabilità, ma soprattutto per come questo viene affrontato: “ci siamo chiesti perché il corpo con diversità nel mondo della danza contemporanea non trova ancora un vero spazio– dice Anna Consolati, project manager di Europe Beyond Access e direttrice generale di Oriente Occidente (associazione culturale che nasce a Rovereto e che, attraverso la danza e il corpo, vuole creare occasioni di dialogo, progettare reti e relazioni)-.

E abbiamo così deciso di organizzare questi tre giorni: sono diciamo gli ‘stati generali dell’arte’ per capire dov’è l’Italia nel 2022 su queste tematiche e come la disabilità possa non afferire solo alla sfera del sociale, ma le persone diversamente abili siano agenti di cambiamento anche per il settore performativo e portare innovazione ed eccellenza”.

Oriente Occidente non è sola in questa operazione: 51 realtà italiane nel mondo della cultura hanno sottoscritto un protocollo d’intesa e creato la Rete Italiana Beyond Access 2021-2023, nonché un network di alleati con realtà provenienti da tutta la Penisola che si interrogano su temi delle arti performative e accessibilità. Ecco perché la tre giorni di “Presenti Accessibili” è ricca di interventi e approfondimenti.

Mercoledì si è anche approfondito il tema della tutela dei professionisti disabili nel cinema e le arti performative: Donatella Franciosi, manager cinematografica, e Giulia Traversi, curatrice e manager di arti performative, hanno discusso i diritti e i doveri degli artisti disabili e delle strutture che li ospitano, come rispettare la qualità artistica del loro lavoro. Ieri i vari incontri si sono concentrati sulla sordità, la Lingua dei Segni (LiS), le sue possibilità di essere utilizzata anche come espressione artistica, e sul rapporto tra persone cieche o ipovedenti e i social.

La giornata si è conclusa al Teatro Carcano, che ha ospitato “Triple Bill”, trittico sul lavoro di tre grandi compagnie: “Feeling Good” firmato da Diego Tortelli, una co-produzione Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto e Oriente Occidente. Poi il lavoro della coreografa Roser López Espinosa per la compagnia svedese Skånes Dansteater, in cui due figure femminili delicate e potenti al tempo stesso si incontrano lasciando emergere i confini delle relazioni.

Infine la Candoco Dance Company ha portato gli spettatori nel repertorio contemporaneo con una pietra miliare: “Set and Reset” creato dalla grande Trisha Brown nel 1983. Venerdì scorso, 29 aprile, Palazzo Lombardia, Sala Biagi, ha ospitato, dalle 11 alle 13.30, il convegno per fissare il punto sulla disabilità in Italia e le arti performative. Tanti interventi, tra cui Umberto Angelini, direttore artistico di Triennale Milano teatro, Ben Evans, Head of Arts and Disability, del British Council, Walter Zampieri, della Commissione Europea, e, fra gli altri, anche un intervento del Ministero della Cultura. (linkiesta.it)

La disabilità vista con gli occhi dei padri

Con lo spettacolo teatrale “Stabat Pater” la compagnia teatrale Alma Rosé porta in scena le storie dei “padri combattenti” raccolte attraverso lunghe interviste. È al Campo Teatrale di Milano fino al 24 aprile

È una notte come tante, la notte di un uomo che deve prendersi cura di un figlio che non parla, non cammina e non gioca come tutti gli altri ragazzi. È una notte di confessioni, di racconti, di rabbia ma anche di amore quella messa in scena dalla compagnia teatrale Alma Rosé in collaborazione con la compagnia Sanpapié con lo spettacolo “Stabat Pater. Viaggio tra padri combattenti” in programma fino al 24 aprile al Campo Teatrale di Milano.

“È uno spettacolo che avevo in mente da molto tempo -racconta Manuel Ferreira, attore e regista di Alma Rosé-. Quando ti nasce un figlio con disabilità, che non è come te lo sognavi, devi seppellire l’idea del figlio che avevi e devi farlo rinascere di nuovo. Spesso questo dolore è associato alle madri, mentre quello dei padri raramente viene raccontato: il dolore degli uomini spesso viene ancora visto come un tabù, qualcosa che viene rimosso e di cui non si parla. Così ho iniziato a intervistare padri di bambini e ragazzi con disabilità per costruire il nostro spettacolo teatrale”.

È proprio Ferreira a dare voce e corpo al padre protagonista dello spettacolo, che è la “somma” di tanti uomini incontrati durante il lungo lavoro di ricerca, interviste e scrittura che ha preceduto la rappresentazione. “Alcuni sono parte della mia famiglia. Sono padrino del figlio con un grave disabilità di un mio carissimo amico: è lui che mi ha ispirato e con cui ho avuto modo di fare lunghe conversazioni.

Siamo riusciti a parlare profondamente e a lungo di quei sentimenti che faticano a esprimersi: l’amore per il proprio figlio nonostante la malattia, il rifiuto della narrazione ‘eroica’ delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Molti altri padri li ho incontrati grazie a realtà come la fondazione Bendetta d’Intino, che si occupa di comunicazione aumentativa, l’associazione l’Abilità impegnata nella promozione del diritto al gioco, l’associazione Cascina Biblioteca”.

Padri spettacolo teatrale

A vestire i panni del figlio è il giovane danzatore Gioele Cosentino, corpo narrante e senza voce, che interagisce con il padre attraverso i suoi abbracci, ma anche i tentativi di respingerlo, i gesti di ribellione quando non vuole indossare i vestiti o non vuole dormire.

Un racconto che condensa il dolore di un padre che vive la difficile quotidianità insieme a un figlio amato, ma con cui non riesce a comunicare. Una quotidianità fatta di cure e attenzioni, ma anche di una ricerca di una dimensione in cui i due possano incontrarsi.

Da dove viene il titolo dello spettacolo?
Dalla preghiera “Stabat Mater” di Iacopone da Todi che racconta il dolore della Madonna davanti alla morte di Gesù. Durante una delle interviste abbiamo incontrato un padre che ci ha raccontato di essere andato nella cappella dell’ospedale dopo la nascita del figlio: davanti alla Croce ha chiesto il perché di quello che gli stava succedendo. Il senso, il disegno profondo.

Questo è un tratto comune a molte famiglie, che si sentono in colpa per la nascita di un figlio con disabilità, si dicono che avrebbero dovuto fare determinate cose e non altre. Questo dolore nella contemplazione mi ha ispirato nella scelta del titolo: e nello spettacolo abbiamo voluto trasformare questa preghiera in qualcosa di diverso, in un rito.

Quando sui media, nei film o nei libri si parla di bambini e ragazzi con disabilità compaiono soprattutto le madri. I racconti al maschile sono più rari.
Rari, ma ci sono: penso ad esempio a Luca Trapanese (padre adottivo della piccola Alba, che racconta la sua quotidianità anche sulla sua pagina Instagram, ndr) o Massimiliano Verga, autore del romanzo “Zigulì. Vita dolceamara con un figlio disabile”. Però è vero: in genere i padri si raccontano meno.

Oggi però le coppie sono più bilanciate rispetto al passato e anche sulla gestione di un figlio con disabilità i padri sono più presenti, nonostante le fatiche immense che questo comporta e che spesso fanno anche saltare i matrimoni.

Quando sui media si parla di genitori di figli con disabilità si usa molto una narrazione “eroica”. Voi invece avete scelto il termine “combattenti” per definire i padri protagonisti del vostro spettacolo. Come mai?
Perché la vita quotidiana di queste persone è una lotta: mi sono ispirato a uno dei papà che ho intervistato e che ho messo nello spettacolo.

Nel tempo libero faccio kickboxing -mi ha detto-. Lo faccio per non prendere a pugni nessuno perché a volte sono così arrabbiato che prenderei a pugni tutti”. Per molti padri il rapporto con i figli è una lotta e devi lottare ogni momento: per vestirlo, per farlo uscire di casa, per convincerlo a mettersi a letto ma anche lottare per trovare uno spazio tuo figlio. E ho voluto mettere in scena questa lotta: nello spettacolo ci sono diversi momenti in cui tra padre e figlio c’è una sorta di combattimento pacifico.”

Lo spettacolo è ambientato di notte, come mai?
Anche in questo caso l’ispirazione è arrivata da uno dei genitori intervistati. In un’intervista un papà mi ha detto che la notte per lui era tremenda: il figlio non lo faceva dormire e di conseguenza sentiva tutti i rumori della notte, le persone per strada, la goccia che cadeva nel lavandino. Ed era un tormento. Inoltre, il fatto di ambientare lo spettacolo di notte mi permetteva di mettere assieme tuti i pezzi, tutte le storie che avevo raccolto, come se fosse un unico flusso di stanchezza dove racchiudere tante situazioni diverse.” (altraeconomia.it)

Guardare l’arte oltre il filtro del corpo con disabilità

Gli Al.Di.Qua Artists – prima associazione italiana di categoria che raccoglie artisti e artiste con disabilità – pretendendo che si guardi alla loro arte. E nel loro video-Manifesto spiegano perché e, soprattutto, come

NON solo artisti ma anche registe, attori, coreografe, lavoratori e lavoratrici dello spettacolo. Corpi differenti che si esprimono con il linguaggio dell’arte ma sono ancora poco visibili. Di loro si parla nelle rubriche dedicate alla disabilità. Al di là del muro invisibile che divide chi è considerato abile da chi è considerato disabile.

Gli Al.Di.Qua Artists – prima associazione italiana di categoria che raccoglie artisti e artiste con disabilità – scavalcano questo muro pretendendo che si guardi alla loro arte. Il loro video-Manifesto, un documento culturale e politico, proiettato per la prima volta mercoledì 23 marzo a Roma al Cinema Nuovo Sacher a Trastevere (qui l’anteprima in short version), chiede che si tenga conto anche di tutti coloro che dell’arte non possono godere perché le strutture sono inaccessibili.

Arte degli Al.Di.Qua Artists

E che, come è stato fatto in altri Paesi, una persona con disabilità momentanea o permanente non debba entrare in teatro o in museo dalla porta sul retro perché quella principale è inaccessibile.

Riaffermano l’arte come diritto fondamentale per il benessere degli individui. In Europa il 12,8% della popolazione tra i 15 e i 64 anni ha una o più disabilità. Annoverando nel calcolo l’interezza della popolazione europea, essa è composta per un quinto da persone con disabilità. Si tratta del 19% della popolazione“, dichiarano.

Le condizioni delle persone con disabilità tendono ad oscurare le loro professioni. Si parla di inclusione, ma così dicendo si sottintende l’esistenza di un gruppo di persone che deve adeguarsi ed “essere inserito”, “essere incluso”, in un mondo che non sarà mai fatto anche a misura degli appartenenti a questo gruppo.

La diversità è spesso spiegata e raccontata dagli abili, che rappresentano la maggioranza. “Anche nel mondo dello spettacolo – concludono gli artisti – la diversità viene interpretata da attori normodotati, ma chi meglio di un attore con disabilità potrebbe interpretare quel ruolo? Eppure non siamo nei casting“, spiegano.

Secondo l’articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948): “Ciascuno ha il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici“. Gli Al.Di.Qua Artists lavorano affinché tutto questo sia reale. (repubblica.it)

Oscar a “Coda”, film sulla disabilità e sulla famiglia

Non c’è dubbio che si sia trattato di un vero e proprio colpo di scena, nonostante alcune previsioni favorevoli già nei giorni scorsi: I segni del cuore – CODA, il film della regista americana Sian Heder, ha vinto l’Oscar come miglior film dell’anno, con una storia su disabilità, famiglia, passione e lealtà.

Il favorito, si sa, già vincitore di numerosi premi, era Il potere del cane, il western crepuscolare della neozelandese Jane Campion, che si è invece dovuta accontentare – si fa per dire – del premio per la regia (uno solo su dodici nomination), diventando la terza donna a ottenere questo riconoscimento dopo Kathryne Bigelow e Chloé Zhao.

In uscita nelle sale italiane con Eagle il prossimo 31 marzo e già consacrato da numerosi premi internazionali (tra cui i tre del Sundance), I segni del cuore – CODA (CODA è l’acronimo di Children of Deaf Adults, figli di adulti sordi), vincitore anche per la sceneggiatura non originale firmata dalla stessa regista, è il romanzo di formazione della giovane Ruby, l’unica persona udente della sua famiglia.

La regista Sian Heder con l'Oscar per "Coda"
La regista Sian Heder con l’Oscar per “Coda”

Ogni giorno, prima di entrare in classe, la diciassettenne lavora per aiutare il fratello e i genitori nell’attività di pesca sulla costa del Massachusetts. Ma da quando è entrata a far parte del coro della scuola, ha scoperto di avere grande passione e smisurato talento per il canto, per questo il maestro Bernardo la spinge a considerare una prestigiosa scuola di musica per il suo futuro. La ragazza dovrà scegliere se abbandonare gli adorati genitori per seguire il suo più grande sogno o continuare ad aiutare la sua famiglia. Il canto, inoltre, l’allontanerebbe ulteriormente da quel “silenzio” in cui vivono immersi i suoi cari.

Una storia che ha emozionato e commosso tanti, ma che, corre l’obbligo ricordarlo, è il remake dell’assai meglio riuscito La famiglia Bélier del francese Éric Lartigau, segno di una Hollywood in crisi di idee che pesca dal serbatoio europeo e “scopre l’acqua calda”, certa del fatto che gli americani conoscono solo il cinema “made in Usa”.

«È arrivato il nostro momento!», ha dichiarato un emozionato Troy Kotsur, il primo attore non udente a ricevere un Academy Award come non protagonista (nel film al fianco di Marlee Matlin, Oscar nel 1986 per Figli di un Dio minore, con William Hurt), mentre tutti lo acclamano ruotando in alto le mani, l’applauso nella lingua dei sordi.

TU CHIAMALA SE VUOI INCLUSIONE

L’inclusione è certamente la parola d’ordine dei nuovi Oscar, da quando due anni fa l’Academy ha stilato una lista di meriti che renderebbero i film degni di essere candidati. Dimostrano di aver recepito le nuove linee guida anche i premi di quest’anno: in cima al podio troviamo due donne, Heder e Campion, le sfide legate alla disabilità ricevono una nuova e giusta attenzione e gli afroamericani conquistano sempre più spesso posti al sole di Hollywood vedendosi riconosciuti talenti prima ingiustamente sottovalutati.

Ed ecco il meritato Oscar come migliore protagonista a Will Smith per Una famiglia vincente di Reinaldo Marcus Green, quello al documentario Summer of Soul di Ahmir “Questlove” Thompson sull’Harlem Cultural Festival del 1969, e quello come miglior attrice non protagonista ad Ariana DeBose per West Side Story di Steven Spielberg. L’attrice afroamericana, ma di origini anche portoricane e italiane, membro della comunità LGBTQI, si sofferma durante i ringraziamenti a sottolineare le difficoltà di realizzare i propri sogni per una come lei, nera e gay, la prima a vincere un Oscar.

L’unico rischio di questa nuova politica di serrata correttezza politica è, in generale, quello di far prevalere questioni di “risarcimento morale” sulle valutazioni dei meriti artistici e di premiare le nobili intenzioni più che la bontà dei risulti.

CONFERME

Come previsto, Jessica Chastain vince per Gli occhi di Tammy Faye nei panni delle celebre telepredicatrice americana travolta dagli scandali nonostante fede e compassione muovessero tutte le sue azioni, Kenneth Branagh sale sul palco per ritirare la statuetta per la migliore sceneggiatura originale di Belfast e No Time to Die di Billie Eilish, scritta per l’ultimo James Bond, è la migliore canzone. Scontata anche la vittoria del disneyano Encanto, che batte in casa Luca, diretto dal nostro Enrico Casagrande.

A raccogliere il maggior numero di statuette è Dune del canadese Denis Villeneuve, che vince solo per categorie tecniche, mentre Massimo Cantini Parrini viene snobbato dall’Oscar che finisce invece nelle mani della favorita Jenny Beavan per i costumi di Crudelia.

SCHIAFFI E LACRIME

Cosa resterà di questa brutta serata degli Oscar, funestata da una regia senza “visione”, dalla frammentazione di una scaletta zeppa di insulsi siparietti, incomprensibili classifiche e continui tributi ad anniversari cinematografici e che dimentica nel capitolo dedicato agli artisti scomparsi la nostra Monica Vitti? Resterà il violento schiaffo sferrato da Will Smith a Chris Rock a causa di una infelice battuta di quest’ultimo sul cranio rasato della moglie dell’attore, Jada Pickett Smith, affetta da alopecia. Un gesto scioccante seguito dal rabbioso invito a non pronunciare mai più il nome della consorte.

Schiaffo di Will Smith a Chris Rock agli Oscar
Il momento in cui Will Smith schiaffeggia Chris Rock

Qualche minuto dopo Smith salirà nuovamente sul palco per ritirare l’Oscar pronunciando, in lacrime, uno dei più deliranti ed enigmatici discorsi di ringraziamento mai uditi in questa occasione. L’attore parla infatti dell’amore che fa fare cose folli e della necessità di proteggere la propria famiglia, della madre e i suoi corsi di uncinetto, della sensazione di essere sopraffatto da ciò che Dio gli chiede di fare.

Non smette di parlare, chiedere scusa e piangere, dando l’impressione di essersi talmente calato nei panni di Richard Williams, padre delle celebri tenniste Venus e Serena e protagonista del film, da vivere quasi nella sua pelle. «Poco fa Denzel Washington mi ha detto – rivela l’attore – di stare attento perché è nel momento più alto che il diavolo viene a prenderti». (avvenire.it)

“Corro da te” con Favino e Miriam Leone: la disabilità raccontata con gli occhi dell’amore

“Corro da te” Il nuovo film di Riccardo Milani in arrivo nelle sale il 17 marzo cerca di andare contro i falsi pietismi nei confronti della disabilità attraverso il tono della commedia

Dopo i quadri familiari di Come un gatto in tangenziale e il seguito Ritorno a Coccia di morto, Riccardo Milani torna a quelle commedie cariche di ironia nel tentativo di mostrare con leggerezza alcuni lati d’ombra dell’uomo, come gli era riuscito con Benvenuto Presidente nel 2013. In uscita il 17 marzo, Corro da te è il remake della pellicola francese del 2018 Tutti in piedi (Tout le monde debout) di Franck Dubosc, storia fortemente improbabile ma piena di comicità e cinismo volti a trattare un argomento delicato come la disabilità senza sfociare in moralismi.

Il debutto alla regia di Dubosc fu un trionfo del politicamente scorretto, un mix di comicità paradossale e storie d’amore tipiche della commedia, che mise d’accordo il pubblico francese. La versione italiana è anch’essa gustosamente leggera, ma manca forse di quella verve surreale d’oltralpe. 

Oltre ai protagonisti Pierfrancesco Favino e Miriam Leone, nel cast troviamo Pietro Sermonti, Vanessa Scalera, Pilar Fogliati, Andrea Pennacchi, Carlo De Ruggieri, Giulio Base e Michele Placido, oltre a Piera Degli Esposti, in una delle sue ultime apparizioni – con tanto di cannule per la respirazione – prima della scomparsa nell’agosto del 2021.

Corro da te, la trama del film

Ormai prossimo ai 50 anni, Gianni (Pierfrancesco Favino) è un importante uomo d’affari, proprietario di una catena di articoli sportivi e soddisfatto della sua vita, in particolare di quella sentimentale, fatta di continue conquiste occasionali. Passando da una donna all’altra, finge di essere una persona sempre diversa per il gusto della sfida. Un giorno, poco dopo i funerali, Gianni incontra Alessia (Pilar Fogliati) che, vedendolo seduto sulla vecchia sedia a rotelle della madre scomparsa, lo crede disabile.

L’enorme equivoco viene alimentato da Gianni, che decide di aggiungere la ragazza alla sua lista calandosi nei panni di questo assurdo quanto complicato “personaggio”. Alessia ha però ben altri piani e gli presenta sua sorella Chiara (Miriam Leone), violinista e tennista paraplegica per davvero. Gianni decide di accettare anche questa sfida basata sulla menzogna, per dimostrare una volta di più a sé stesso e ai suoi amici la sua forza di Don Giovanni, ma dovrà presto rendersi conto che, in realtà, il suo amore per Chiara si fa ogni giorno più autentico.

Il trailer
Ironia e amore, amore e ironia

Come anticipato, la comicità surreale francese e la forza trasgressiva del film di Dubosc non trovano pienamente i propri corrispettivi nella pellicola di Riccardo Milani.

Corro da te è sì un mix di ironia e amore, ma non riesce ad amalgamare bene il tutto, separandolo un po’ troppo nettamente in una prima metà dedicata al primo e forte impatto di Gianni con il mondo della disabilità – fatto di uscite scomode, aneddoti divertenti e riflessioni all’insegna della comicità leggera – e una seconda parte dedicata alla storia d’amore dei protagonisti, carica di romanticismo ma priva di quella forza paradossale che dovrebbe dettare la situazione.

A questo si aggiunge un cambio di personalità di Gianni, da cinico uomo d’affari a ultimo dei romantici, un po’ repentino, seppur inserito in un contesto dove la sospensione dell’incredulità è naturalmente – come richiede tanta commedia – più che obbligatoria. 

Il nuovo film di Riccardo Milani ha dunque il merito di riprendere i mezzi più potenti di Tout le monde debout: il politicamente scorretto, i falsi pietismi, l’ipercorrettismo nei confronti dell’handicap, il tutto in un quadro che fa riflettere sulla condizione del disabile nel mondo.

Tra battute, equivoci e continue gaffe, Gianni è un personaggio quasi liberatorio nell’affrontare finalmente con tanta leggerezza un tema così delicato, facendolo sempre con intelligenza e offrendoci anche un Pierfrancesco Favino cinico, furbo e al tempo stesso innamorato, come non l’avevamo ancora visto.

Corro da te si scontra così solo coi limiti della commedia, non riuscendo a trovare la misura e l’armonia nel dare il giusto spazio alla struttura comica, goffa e surreale e a quella della verità sentimentale. Questo problema di tono non pregiudica o spezza comunque quella che è una commedia garbata su un argomento difficile e, in parte, inedito.

VOTO 6 (today.it)

Corro da te