ONU, Discriminate le famiglie con persone disabili.

Le famiglie con persone disabili in Italia sono discriminate. Ora lo ha certificato ufficialmente l’Onu.

I cosiddetti «caregiver», cioè chi si prende cura di ragazzi o anziani non autosufficienti, infatti, non può vivere una vita “normale”, esercitare a pieno i propri diritti perché «il mancato riconoscimento giuridico dello status sociale della loro figura ne pregiudica l’adeguato inserimento in un quadro normativo di tutela e assistenza». Tradotto: manca una legge che riconosca chi cura persone con disabilità, violando così «i loro diritti alla vita familiare, a vivere in modo indipendente e a uno standard di vita adeguato».

A stabilirlo è stato, il 3 ottobre scorso, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità*, sulla base di un ricorso avviato nel 2017 dall’allora presidente della Confad, Maria Simona Bellini. Le misure adottate sino a oggi dallo Stato italiano in favore dei caregiver familiari sono state giudicate insufficienti e ritenute largamente inadeguate a garantire una qualità di vita accettabile.

Il Comitato Onu, infatti, ha sottolineato la necessità di sostegni economici, migliore accesso alle abitazioni, attenzione al mantenimento dell’unità del nucleo familiare, servizi di assistenza economicamente accessibili, regime fiscale agevolato, orario di lavoro flessibile, fino al riconoscimento dello status specifico di caregiver familiare all’interno del sistema pensionistico. Tutele oggi del tutto insufficienti quando non inesistenti nel nostro Paese, in cui una proposta di legge che avrebbe introdotto agevolazioni specifiche per i caregiver nella legislatura appena conclusa si è arenata al Senato, senza essere approvata.

Comitato ONU

Lo stesso Comitato Onu esorta quindi l’Italia a fornire un adeguato compenso alla cittadina ricorrente (che si prende cura di una figlia e del marito con disabilità), ad adottare misure appropriate per garantire che la famiglia abbia accesso a servizi di supporto individualizzati adeguati e a prevenire simili violazioni in futuro.

«Questo caso rappresenta una svolta perché il Comitato ha riconosciuto la violazione del diritto al sostegno sociale di un caregiver familiare, oltre che ai diritti delle persone con disabilità», ha affermato Markus Schefer, relatore del Comitato in un comunicato. «Questo è anche il primo caso in cui il Comitato ha esaminato le denunce di “discriminazione per associazione”, dato che la ricorrente è stata trattata meno favorevolmente a causa del suo ruolo di caregiver familiare di persone con disabilità».

Ora l’Italia dovrà presentare al Comitato Onu, entro sei mesi, una risposta scritta su quali azioni intenda attuare per colmare queste gravi lacune. «Speriamo sia l’occasione perché l’Italia faccia davvero un passo avanti nel riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità – commenta Alessando Chiarini, presidente della Confad (Coordinamento nazionale delle famiglie con disabilità) –. E che diventi finalmente concreto l’impegno a dare adeguate tutele e diritti ai caregiver familiari». (avvenire.it)

*Il Comitato Onu per i diritti delle persone con disabilità è formato da esperti indipendenti che hanno il compito di sorvegliare l’attuazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CDPD).

Detto tra Noi: La forza dei Caregiver

Caregiver
Rubrica a cura di Angiola Rotella – Presidente di Insieme per l’Autismo onlus
Ebbene sono un caregiver molto fortunato.
Lo sono per mille ragioni ma ce n’è una in particolare sulla quale c’è bisogno di mettere l’accento:
Il lavoro.

Molti caregiver, infatti, sono costretti a rinunciarvi o subiscono così tante pressioni da finire per essere discriminati sul luogo di lavoro.

Il mio lavoro e’ complesso e molto particolare. Richiede uno sforzo in più perché bisogna essere sempre lucido attenti e garantire la sicurezza delle persone. Prevenire eventi indesiderati e quindi anticipare qualunque tipo di potenziale minaccia.
Sono una assistente di volo.

Chiudo la porta dell’aereo e resetto la mia mente. Non sono più la mamma di Paolo lontana da casa. Sono un professionista. Poi atterro, vado in albergo e ritorno nella mia vita fatta di preoccupazioni, di organizzazione e di metodo. Si perché se non ti dai un metodo, non puoi reggere lo stress.

E così da anni a questa parte (periodo covid escluso e li ci sarebbe tanto altro si cui argomentare) mi divido in due o forse in tre qualche volta anche in quattro. Il lavoro resta sempre la cosa più importante non solo per me, anche e soprattutto per mio figlio.

E’ per questo che sto portando avanti un progetto molto ambizioso che si pone l’obiettivo di individuare le attitudini speciali delle persone, le forma e le guida con lo scopo finale di un inserimento lavorativo.

Mio figlio e’ la testa d’ariete di questo progetto, con le sue difficoltà e senza il supporto di un tutor o di un educatore, sta svolgendo un tirocinio gratuito presso un maneggio. Impara a lavorare. In un contesto di persone di buona volontà e grande professionalità gli insegnano come funziona il mondo del lavoro.

E’ l’inizio di un percorso molto complesso ma sono certa che sia la strada giusta. In un panorama umano nel quale ci sono persone che vengono retribuite per non lavorare, ce ne sono altre che nonostante la propria disabilità, vogliono e devono dare dignità alla propria vita attraverso il lavoro.

I requisiti essenziali per far parte del nostro progetto sono spirito di sacrificio e forza di volontà. Chiunque lo confonda per ufficio di collocamento può dirigersi verso altri lidi. Chiunque invece ha voglia di costruire una nuova società inclusiva e ha voglia di abbattere le barriere mentali e mettersi a disposizione sarà accolto con un sorriso, o forse più di uno.
Stay tuned..

CAP 90036: La storia di Rita diventata Caregiver improvvisamente

“CAP 90036” è una rubrica dedicata alle vostre “lettere“. La storia di questa settimana è tratta dalla lettera che ci ha inviato Rita che improvvisamente da nipote è diventata caregiver della zia. Parola, caregiver, che come lei stessa racconta sconosceva.

Mi chiamo Rita, ho 41 anni e vorrei raccontarvi la mia esperienza. Non avrei mai immaginato che la vita della mia famiglia potesse cambiare così radicalmente. Fino a l’anno scorso non conoscevo nemmeno l’esistenza della parola “caregiver” e adesso lo sono diventata.

Tutto inizia ad aprile 2021 quando noto dei cambiamenti di personalità in mia zia di 68 anni. Urla sempre più spesso e reagisce in maniera spropositata a quelli che in realtà sono solo dei piccolissimi problemi. Col tempo tutto ciò si accentua ma imputo il problema alla morte di sua madre, ovvero mia nonna, pensando sia una normale reazione al lutto, fino a quando insieme a mia madre non chiediamo aiuto ad un medico.

Dopo varie cure rivelatesi inutili, si procede a un ricovero dal quale emerge una demenza vascolare. A distanza di un anno la sua situazione è notevolmente peggiorata tanto da doverla trasferire in una struttura che le assicuri cure più adeguate di quelle che possiamo offrirle noi.

Caregiver

Non avrei voluto tutto ciò e nonostante la nostra vita nell’ultimo anno si sia fermata per aiutare mia zia, avrei preferito tenerla in casa con me. Adesso soffro della sindrome di burnout del caregiver essendo stato per me troppo impegnativo il carico morale e fisico di prestare assistenza a mia zia ormai diventata aggressiva a causa della malattia.

Vederla cambiata provoca in me una forte sofferenza. Notare che dimentica gli avvenimenti recenti mi distrugge. Non lo accetto. In questo doloroso cammino siamo state aiutate da un medico che continuerà a seguire mia zia nella sua struttura privata.

Fortunatamente c’è stato lui al nostro fianco. Ci saremmo sentite molto più sole e confuse senza il suo aiuto. Spero che anche le altre famiglie trovino qualcuno disposto ad aiutarle perché tutto ciò non si può affrontare da soli.

Non sentiamo di avere risolto la situazione, perché effettivamente una soluzione non c’è e ci vorrà del tempo per metabolizzare ma l’importante è il benessere di mia zia. Il resto credo verrà da sé.

Per le vostre lettere a CAP 90036 scrivete a lavoriamoinsiemeblog@gmail.com o la sezione “Contatti” del blog. Grazie.

FamilyHelp.AI ci aiuterà a prenderci cura dei nostri cari

Voice assistant, App e intelligenza artificiale fanno sinergia nella soluzione presentata
a SMAU dalla startup emiliana eDialog, che sarà immessa sul mercato dalla primavera 2022.

L’emergenza epidemiologica, acceleratrice della trasformazione di una sanità sempre più digitale, ha portato alla luce in maniera inesorabile lo spesso inconsapevole ruolo di chi assiste un famigliare in difficoltà, non necessariamente malato, oltre la propria professione. In questa ottica arriva allo SMAU Milano 2021 FamilyHelp.AI, la soluzione che intende offrire ai caregiver una modalità efficace per prendersi cura da remoto dei propri cari, soprattutto degli anziani, garantendo la loro autonomia grazie alle potenzialità offerte dagli smart speaker.

A svilupparla e presentarla, in attesa che sbarchi sul mercato la prossima primavera, è la startup emiliana eDialog, fondata nel febbraio 2021 da Enrico Paccini e Stefano Ubaldi. Dalla sede di Fidenza hanno scelto di focalizzare la propria attività di ricerca sullo studio di soluzioni innovative per il superamento delle barriere architettoniche digitali, utilizzando la voce come principale strumento di dialogo con i dispositivi.

FOTO PH Credits Michele Gusmeri

Nella vita siamo o saremo tutti caregiver. Forse in futuro ne avremo anche necessità – dichiara Enrico Paccini, CEO e co-founder di eDialog nonché ideatore del progetto – Questa semplice riflessione, frutto della difficile fase pandemica, ci ha spinto ad utilizzare l’intelligenza artificiale al servizio della persona per creare un rapporto empatico con chi ha bisogno, eliminando le barriere architettoniche digitali attraverso lo smart speaker. La tecnologia sviluppata per l’applicativo, che arriverà sul mercato nella primavera 2022, si rivolge ad aziende operative a vari livelli nell’ambito dell’assistenza domiciliare, con personalizzazioni legate alle diverse esigenze e patologie”.

FAMILYHELP.AI: LE FUNZIONALITÀ

Con pochi semplici comandi sull’app sarà possibile programmare lo smart speaker, come Amazon Echo e Google Home, presente nella casa dell’assistito affinché possa interagirci vocalmente monitorandone i sintomi, incentivandone la misurazione dei parametri vitali, gestendone la terapia farmacologica e favorendone l’aderenza terapeutica con promemoria in agenda. Tramite il cellulare il caregiver potrà seguire la quotidianità del familiare, supportandolo a distanza anche in termini di socialità e limitando spostamenti e contatti in funzione delle necessità.

FOTO PH Credits Michele Gusmeri

Il progetto di Personal Health System punta a incentivare l’indipendenza delle persone e semplificare il ruolo di caregiver. L’assistente virtuale raccoglie i dati estrapolandoli e interpretandoli tramite app per profilare le condizioni di salute dell’anziano, verificandone, ad esempio, pressione arteriosa, glicemia, temperatura o il rispetto delle prescrizioni mediche, oltre alle interazioni avute. Nel caso vengano riscontrate situazioni fuori dalla norma, arriverà sul cellulare una notifica SMS con la conseguente possibilità di generare report da inviare prontamente al medico. Tutti i dettagli di FamilyHelp.AI sono ora anche online su https://familyhelp.ai/

IL MONDO DEI CAREGIVER: I DATI

Solo nel 2018 l’Italia ha riconosciuto con la legge di bilancio la figura del caregiver familiare, ovvero chi si prende cura di una persona vicina senza che costituisca la sua professione, come invece avviene con quello professionale. Ma quanti sono in Italia? Non esiste un dato ufficiale ma appare esaustiva la stima elaborata da PMI.it sui dati ISTAT nell’articolo Caregiver: quanti sono, i dati ISTAT pubblicato nel maggio 2021.

Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica nel 2018 sono 12 milioni 746 mila le persone tra i 18 e i 64 anni (34,6% della popolazione) ad accudire figli minori di 15 anni o parenti malati, disabili o anziani. Tra gli occupati, quasi il 40% dei 18-64enni svolge mansioni di cura. La platea, però, si allarga in maniera esponenziale considerando un grado di complessità superiore del fenomeno, ovvero la mancata consapevolezza di ricoprire il profilo.

Secondo il censimento ISTAT sulla popolazione italiana nel 2019 gli over 65 sono circa 14 milioni. Ulteriori dati utili emergono dal report Aspetti di vita degli over 75 (fonte ISTAT), che evidenzia come nello stesso anno viva in coppia il 44,5% degli anziani dai 75 anni e il 60% abiti nello stesso comune del figlio (il 20,9% vive con i figli, il 15,1% nello stesso caseggiato e il 25,8% entro 1 km). Gli anziani che risiedono soli sono, invece, il 29,6% (l’8,9% non ha inoltre figli) e, tra quelli che hanno figli, il 56,4% è solito vederli giornalmente.

(Comunicato Stampa EDialog)

BrainControl: Intelligenza Artificiale al servizio della disabilità

BrainControl BCI è l’unico sofware brevettato che opera sulle onde cerebrali, traducendo i pensieri dei pazienti in comandi ed azioni sui dispositivi portatili.

Come stai?”, “Ti senti bene?”; semplici domande possono rappresentare per molte famiglie e caregiver una sfida difficilissima da vincere perché un loro famigliare è affetto da una malattia che impedisce qualsiasi tipo di movimento volontario. Parliamo di persone alle quali, nei casi più gravi, sono preclusi anche i movimenti residui di pupille, zigomo o dita. Sono i pazienti locked-in, imprigionati di fatto in un corpo completamente immobile ma dotati di capacità cognitive.

Con BrainControl BCI è da oggi possibile comunicare con l’esterno grazie al pensiero. Un Software e un caschetto EEG, unitamente a un training personalizzato, sono in grado di trasformare in comandi i pensieri del paziente, dando modo di rispondere a semplici domande e di comunicare. Una risposta di poche lettere che cambia la vita a tantissime persone.

BrainControl BCI è una soluzione avveniristica ideata da LiquidWeb, una PMI senese. Si prefigge di aiutare le persone con gravi disabilità, le loro famiglie e caregiver a migliorare la qualità di vita. Il tutto parte dalla convinzione che le persone sono più importanti della tecnologia e che, grazie a quest’ultima, è possibile aiutare chi è colpito da gravi patologie a riavere fiducia nella vita e una connessione con il mondo.

BrainControl BCI è un dispositivo medico CE di classe I brevettato in Italia. È in attesa di ottenere la stessa certificazione in altri Paesi EU, US, Canada, Giappone e Cina; ha vinto nel 2020 il Bando Horizon per la Ricerca e l’Innovazione dell’Unione Europea.
L’utilizzatore di BrainControl BCI è una persona con gravissime disabilità ma con abilità cognitive sufficientemente integre, persone quindi colpite da patologie quali tetraplegia, SLA, sclerosi multipla, distrofie muscolari e anche coloro che hanno subito danni cerebrali di origine ischemica o traumatica.

Il paziente impara ad usare il software e il caschetto EEG grazie a un training personalizzato perché ogni situazione è differente e le variabili talmente sensibili che richiedono necessariamente una personalizzazione 1to1.
Attualmente BrainControl BCI, oltre ad essere stato adottato da diversi pazienti privati, è in uso presso diverse strutture pubbliche, tra cui l’Ospedale San Jacopo di Pistoia, Asur Marche, Asl Lecce, ASST Melegnano.

BrainControl BCI fa parte di una gamma di dispositivi che comprende anche BrainControl Sensory e Avatar. Tre diverse soluzioni, compatibili con i differenti gradi di mobilità e interazione del paziente.
BrainControl Sensory è pensato per pazienti con movimenti residui volontari di qualsiasi parte del corpo (movimenti oculari, movimenti della mano, delle dita, dello zigomo, ecc.). Grazie a una serie di sensori, quali puntatori oculari, sensori di movimento, emulatori mouse, è possibile sfruttare i movimenti residui del paziente per creare un’interazione con il mondo esterno.

BrainControl Avatar è pensato per persone con difficoltà motorie, permette di visitare da remoto installazioni, musei, spazi espositivi ed eventi in genere. In maniera del tutto indipendente, è possibile comandare un alter ego robotico, regolando audio, video e altezza del campo visivo. L’esperienza sarà immersiva e reale, come se si stesse visitando di persona l’ambiente prescelto. Inoltre, il monitor e gli altoparlanti di cui è dotato l’avatar consentono di rendersi visibile a distanza, se lo si desidera, dando spazio a una personificazione dell’Avatar che permette alle persone intorno di interagire con esso, stabilendo una comunicazione nuova e vivace fra le persone in loco e la persona connessa.

Per info:
Ufficio Stampa
Alessia Borgonovo – Mob. 335.6492936
Roberta Riva – Mob. 346.8548236

Disabilità: Lavoratrici caregiver a rischio licenziamento

Essere un caregiver familiare oggi è decisamente drammatico, specie se si è donne: madri, mogli, sorelle di persone con disabilità, in molti casi di persone con malattie rare e croniche gravemente invalidanti, o di persone anziane non autosufficienti. Parliamo di una stima di 7milioni di persone in Italia, per la stragrande maggioranza donne.

Lo Sportello Legale dell’Osservatorio Malattie Rare riceve continue richieste di aiuto: “Hanno utilizzato tutti i permessi (104 e non), tutte le ferie, i congedi, perfino l’aspettativa”, spiega Ilaria Vacca, giornalista dello Sportello Legale. “Se non sono collocabili in smart working? Se i loro familiari non possono assolutamente rischiare il contagio Covid, che fare? E quando i familiari devono essere assistiti h24 e non è più possibile affidarli a strutture semiresidenziali o caregiver professionisti non ancora vaccinati? Dal DPCM 2 marzo 2021, l’ultima misura prevista dal Governo, nessuna risposta per queste persone. Quanti di loro (e quante donne soprattutto) perderanno il posto?

La situazione dei lavoratori fragili ad oggi è drammatica, perché la maggior parte delle misure di tutela introdotte nella prima fase dell’emergenza sanitaria non sono state rinnovate”, si legge in un comunicato di Omar Osservatorio Malattie Rare. “Il DPCM 2 marzo non menziona alcuna proroga rispetto alle originali tutele previste dal Decreto Cura Italia che permettevano ai lavoratori fragili di assentarsi dal lavoro, men che meno prevede forme di tutela per i cargiver familiarei. Il ricorso allo smart working è solo fortemente raccomandato, ma nessun obbligo legale è previsto in nessun caso.

Resta attivo solo il congedo parentale straordinario per i genitori dipendenti in caso di sospensione dell’attività didattica in presenza (in zona rossa sostanzialmente) delle classi seconde e terze delle scuole secondarie di primo grado”, prosegue il comunicato Omar. “Lo stesso Congedo è stato previsto per i genitori di figli in situazione di disabilità grave – riconosciuta ai sensi dell’Art. 3 comma 3 della Legge 104/92 – in caso di sospensione della didattica in presenza di scuole di ogni ordine e grado o in caso di chiusura dei centri diurni a carattere assistenziale, indipendentemente dallo scenario di gravità e dal livello di rischio in cui è inserita la regione dove è ubicata la scuola o il centro di assistenza. Il congedo prevede il riconoscimento di un’indennità pari al 50% della retribuzione, calcolata secondo quanto previsto dalla normativa precedente.”

Gli unici specifici riferimenti alla disabilità del DPCM 2 marzo riguardano le attività sociali e socio-sanitarie (da svolgere secondo i piani territoriali e seguendo i protocolli previsti), la deroga al distanziamento sociale per le categorie effettivamente impossibilitate a rispettarlo e la possibilità di svolgere sempre attività motoria all’aperto per queste stesse categorie”, riporta la nota. “A questo si aggiunge la novità, forse l’unica davvero positiva, introdotta dal comma 5 dell’Art. 11, che introduce – per i soli territori in ‘zona gialla’ – una deroga fondamentale all’assistenza da parte di caregiver per gli accessi a visite mediche e ai pronto soccorso per persone affette da grave disabilità. Gli accompagnatori dei pazienti in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, possono ora accedere al pronto soccorso insieme al paziente.

Stando alla norma il caregiver, inoltre, può prestare assistenza anche nel reparto di degenza, ma unicamente nel rispetto delle indicazioni del direttore sanitario della struttura. Il che potrebbe implicare una certa discrezionalità rispetto alla possibilità di restare con il proprio familiare durante tutto il ricovero.

Al DPCM 2 marzo seguirà il Decreto Legge ‘Sostegni’, che dovrebbe prevedere – secondo le bozze non ufficiali circolate nei giorni precedenti – un articolo dedicato alla tutela dei lavoratori fragili. Nulla – conclude il comunicato – è previsto, ancora una volta, per i caregiver, sempre più invisibili agli occhi del mondo. Specie se donne.

(clicmedicina.it)

Covid. Sui vaccini per i disabili (e chi li assiste) tanti annunci e pochi fatti

Vaccinazioni per i disabili ancora ferme o a rilento. Ancora peggio per i loro caregiver, familiari e operatori.

Scontano i ritardi generali nelle vaccinazioni, tutti slittano e i disabili ancora di più, ma anche indicazioni incomprensibili, incongruenze, con patologie previste come prioritarie e altre, simili, fuori dagli elenchi.

Questo a livello nazionale, mentre solo tre Regioni, Emilia Romagna, Lazio e Abruzzo, hanno messo in campo proprie iniziative, ma con metodologie diverse, a conferma di una grande confusione. E ancora una volta a rimetterci sono le famiglie dei disabili che per tutelarli li tengono a casa da mesi senza le preziose attività riabilitative e socializzanti. In particolare autistici e altri disabili mentali, completamente dimenticati tra i prioritari.

Le “Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti-Sars CoV2/Covid-19” del ministero della Salute dello scorso 8 febbraio, inserisce nella “fase 2” le “persone estremamente vulnerabili” e tra loro alcune forme di disabilità come Sla, paralisi cerebrali infantili, fibrosi cistica, sindrome di Down. Molto poche e con alcune incongruenze.
Ricordiamo, innanzitutto, che nella prima fase di vaccinazione, ancora in corso, si è intervenuti nelle Rsa che, oltre agli anziani, ospitano anche disabili con varie patologie. Per loro e per gli operatori la vaccinazione è stata fatta o lo sarà nei prossimi giorni. Per tutti. Chi, invece, vive in famiglia dovrà attendere la “fase 2” o chissà quando se non rientra nell’elenco delle “Raccomandazioni” dell’8 febbraio.

Un’evidente disparità di trattamento. E in alcune Regioni va anche peggio perché alcune strutture come i centri di riabilitazione, pur ospitando disabili anche gravi e in regime residenziale, non sono inserite nella prima fase.
Niente vaccino per i disabili e neanche per gli operatori. Il motivo sarebbero i ritardi nell’approvvigionamento dei vaccini, ma sta di fatto che a parità di condizioni non si capisce perché siano finiti in fondo alla lista. Ma le incongruenze maggiori riguardano le patologie previste come prioritarie nella “fase 2”, ai limiti della discriminazione. Ad esempio è stata, molto giustamente, inserita la Sla ma non si capisce perché non lo siano la Distrofia muscolare e la Sma (Atrofia muscolare spinale) che appartengono alla stessa “famiglia” e, pur meno gravi, sono molto simili, in particolare da un punto di vista respiratorio.

Mentre in altri Paesi tutti quelli che hanno problemi respiratori di questo tipo sono trattati allo stesso modo per le vaccinazioni. Altra incongruenza è aver inserito i caregiver degli emofiliaci. Giustissimo. Ma non ci sono gli altri, anche quelli delle patologie previste come prioritarie in quanto gravi. Dimenticanza? Contraddizione? Mentre totalmente trascurati sono gli affetti da sindrome dello spettro autistico, e quasi tutte le disabilità mentali. Con grossi problemi perché a queste persone è molto difficile far rispettare le norme sul distanziamento fisico e l’uso della mascherina. La priorità per loro non è, dunque, motivata da rischi clinici ma comportamentali. Ma questo sembra che non sia stato preso in esame. Una confusione confermata a livello regionale.

Emilia Romagna e Lazio hanno scelto di operare attraverso i servizi: trovate voi le persone che corrispondono all’identikit previsto a livello nazionale. In questo caso, ovviamente, dipende molto da come operano i vari servizi pubblici che si occupano delle più diverse disabilità, dalla loro efficienza e capacità organizzativa. Ad esempio ieri si è proceduto alla somministrazione del vaccino per tutte le persone ricoverate presso il reparto di Unità Spinale del CTO “Andrea Alesini” di Roma, in cui vengono curate e riabilitate persone che hanno subito una lesione al midollo spinale, quindi esposte a maggior rischio in caso di contagio da Covid-19. E lo stesso si è poi fatto al Centro Paraplegici di Ostia.

Ma siamo ancora all’inizio e i numeri sono bassi. Basti pensare che, secondo le indicazioni del ministero, nella “fase 2” nel Lazio rientrerebbero circa 50mila disabili gravi, ma in realtà dovrebbero essere almeno 80mila. E non è detto che attraverso i servizi si riesca a raggiungerli tutti.

L’Abruzzo, invece, ha scelto un’altra strada. Il singolo disabile, e il caregiver, autonomamente si prenotano al centro vaccinale, ovviamente con priorità. Altre regioni come le Marche e la Sicilia avevano annunciato proprie iniziative ma ancora non si è visto nulla. Mentre nelle altre (non tutte) si sta procedendo solo alla vaccinazione dei disabili nelle Rsa. Con molta lentezza, non solo per i ritardi nell’approvvigionamento dei vaccini, ma anche per la carenza di operatori per andare nelle diverse strutture.
(avvenire.it)

Detto tra Noi: Riflessioni ad alta voce

Rubrica a cura di Angiola Rotella – Presidente di Insieme per l’Autismo ONLUS

Quando ero più giovane e mio figlio più piccolo, mi piaceva scrivere d’amore perché mi portava in un mondo diverso. Amplificavo le emozioni attraverso pensieri scritti qua e là immaginandomi protagonista di una classica commedia americana. Mi faceva distrarre. Sopraggiunta poi una tecnologia più avanzata, ho iniziato a staccare la penna dal foglio gradualmente e nel tempo, affrontando enormi dispiaceri che talvolta la vita infligge, non avevo neanche più granché da raccontare.

Gli ultimi anni poi sono stati così frustranti che proprio d’amore c’era davvero poco da scrivere.
Si perché per quanto i professionisti sanitari provino a convincerti che tu esisti e che devi pensare soprattutto a te stesso per poter sorreggere chi ne ha bisogno, il sano egoismo rimane una condizione che il CAREGIVER non si può permettere.
Il che è paradossale perché non si può neanche permettere di ammalarsi ma neanche trascurarsi.
E quindi inizia la trasformazione da persona ad automa. Una essere vivente al servizio del prossimo che manutenta la propria anima come fosse un meccanico in una officina di riparazioni. Senza sentimenti.
O comunque con un garage nascosto da qualche parte, pieno di scatoloni nei quali sono contenute le emozioni che non si possono vivere. Restano lì, a prendere muffa e polvere finché qualcuno li apra o li butti via.

A questo non ci pensa mai nessuno anzi sono tutti pronti ad approfittarne in qualche modo. Mai qualcuno che ti sollevi da qualche incombenza, anzi. Se puoi fare questo, puoi fare anche quest’altro. E visto che ti trovi facendo, fai anche per me.
E gli anni passano, le rughe iniziano a segnare il viso ed il cuore con la stessa intensità. Ti rattrappisci. Ti dimentichi come si piange e quando ti capita per commozione improvvisa, sollecitata da un ricordo o da uno stimolo esterno e senti quel sapore salato sulla pelle, ti stupisci piacevolmente e sorridi nello scoprire che ne sei ancora capace.

Così vivono quasi tutte le persone che si prendono cura di un caro non autosufficiente. E ciò non perché la disabilità sia un peso per il caregiver. Il peso per il caregiver e’ la società e la totale assenza di cultura e di civiltà.

Combattere continuamente una realtà fatta di ingiustizie, di diritti negati. Confrontarsi con chi pur avendo la responsabilità sanitaria, amministrativa, scolastica, politica e civile di sollevare il carico di queste vite, si approccia come si stesse trattando di cose inanimate e non di persone.
Potranno sembrare parole molto dure, per alcuni anche esagerate. E lo sono. Sono parole dure ed esagerate che esprimono esattamente la realtà dei fatti. Una realtà dura ed esagerata.
E quando il falso buonismo, utilizzato per coprire un più sincero pietismo, farà davvero spazio alla consapevolezza e all’amore, allora davvero si inizierà a costruire una società degna di rispetto.

Con le migliori intenzioni di aver seminato un piccolo germoglio nei cuori più sensibili, vi saluto e vi do appuntamento a presto, con una frase che mi piace molto di Marc Twain: “Il pericolo non viene da quello che non conosciamo, ma da quello che crediamo vero ed invece non lo è”.

Detto tra Noi: Caregiver e dintorni

Una Rubrica a cura di Angiola Rotella – Presidente Insieme per l’Autismo ONLUS

La crisi politica che stiamo vivendo in questo periodo, che speriamo si risolva al più presto, ci mette nelle condizioni di dover constatare che, ancora una volta e con una ennesima scusa, la disabilità continua inevitabilmente ad essere trascurata.

La speranza è ormai il sentimento motore delle persone che vivono questa condizione ed è un sentimento che fa credere che, presto o tardi, si esca da questo anonimato forzato e si riconquisti quella dignità che purtroppo continua ad essere calpestata dalle innumerevoli priorità che, evidentemente, non tengono conto del diritto alla vita negato alle persone con disabilità ed ai caregiver per naturale conseguenza.

Infatti oggi voglio soffermarmi sulla figura “disgraziata” del caregiver.
E’ stato pubblicato, infatti, pochi giorni fa, su G.U., il decreto ed il riparto delle risorse relative al triennio 2018/2019/2020 destinate alle regioni che devono utilizzarle per “interventi di sollievo” ai caregiver familiari.
La cosa mi preoccupa molto, se si tiene conto di quanto già evidenziato prima.
Proprio perché in un momento di totale assenza dello Stato, gli interventi di sollievo potrebbero essere molto distanti dai reali bisogni dei caregiver che mai come oggi si traducono in “emergenza economica”.

Tocca fare molta attenzione a come le regioni intendono interpretare il decreto in questione perché di avvoltoi sulle spalle dei disabili e delle loro famiglie ce ne sono già abbastanza.
A tal proposito numerose associazioni a tutela dei diritti delle persone con disabilità e loro famiglie si sono già premurate di chiedere incontri alle relative regioni per poter insieme individuare i percorsi migliori.

Sarà sufficiente?
Essendo direttamente coinvolta, in quanto io stessa caregiver, mi auguro che si tenga conto del momento storico che si sta attraversando e di tutte le relative ripercussioni a danno dei caregiver.
E’ stato ed è tuttora molto duro occuparsi dei propri cari con disabilità al tempo del covid. E’ necessario uno sforzo in più per entrare davvero nelle case delle persone con disabilità e rendersi conto delle infinite sfumature che rappresentano i giorni difficili che viviamo.
Il mio personale augurio di potervi dare al più presto, buone notizie.

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Disabilità e accesso alle cure, i caregiver replicano a Caponetto: “Tutto da fare”

Le associazioni Hermes e Oltre lo sguardo insoddisfatte delle risposte dell’Ufficio disabilità del governo: “Non ha detto nulla: dopo nove mesi dall’inizio della pandemia, non possiamo accettare non risposte. Occorre garantire subito procedure capaci di assicurare terapie adeguate ai pazienti con disabilità, in caso di ricovero”

Su disabilità e accesso alle cure, siamo ancora in alto mare: così i caregiver familiari delle associazioni Hermes e Oltre lo sguardo replicano alle risposte di Antonio Caponetto, capo dell’Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità.

Il caregiver in ospedale, per mantenere la relazione col mondo

Facciamo seguito alla sua intervista rilasciata il 4 dicembre a Redattore Sociale e alla nostra lettera aperta dello scorso 29 novembre. indirizzata al Ministro Speranza – scrivono le associazioni – Leggere una serie di risposte a domande chiare, ci ha portate inevitabilmente a porci delle domande: Cosa ha detto? Nulla. Da un lato ha dimostrato l’indiscutibile abilità di non fornire alcuna risposta a nessuna delle domande sulla necessità di un protocollo dedicato alle persone con disabilità non autosufficienti e non collaboranti in caso di positività al Covid19 e necessità di cure in ambiente ospedaliero, dall’altro ha dimostrato poca sensibilità a comprendere cosa significa esser persona con disabilità non autosufficiente e non collaborante”, commentano le presidenti delle due associazioni, Elena Improta e Loredana Fiorini, tornando poi a far chiarezza su quali siano le reali condizioni e necessità dei pazienti con disabilità ricoverati. “In caso di ricovero in ospedale, l’unica possibilità di mediazione tra la persona con disabilità e l’intero apparato sanitario è mantenere la relazione persona-mondo attraverso la figura del familiare-caregiver, relazione fondamentale oltre che necessaria per la sua stessa sopravvivenza”:

Protocollo, il contrario di discrezionalità

Le associazioni chiariscono poi la definizione di protocollo, ovvero “l’elenco di azioni e adempimenti descritti in maniera chiara e, quindi, di agevole interpretazione e applicazione, per garantire una tutela a chi ne abbia bisogno. Per esempio, il protocollo covid per varie attività svolte in azienda prevede che il datore di lavoro, mediante il responsabile alla sicurezza, svolga una serie di controlli sull’effettivo rispetto delle regole sancite dal protocollo per garantire la sicurezza stessa del lavoratore: misurazione temperatura all’ingresso, dotazione di mascherine, distanziamento fisico, verifica periodica del ricambio d’aria ecc. Protocolli e linee guida servono a costruire un sistema di tutela per tutte le parti coinvolte: per chi ha la responsabilità di gestire un’attività in sicurezza e per il soggetto che è al centro dell’impianto delle misure di sicurezza. In pratica, un protocollo discende dalla consapevolezza del decisore pubblico che, per raggiungere un obiettivo predeterminato in maniera uniforme, generalizzata e omogenea su tutto il territorio nazionale non demanda al giudizio soggettivo del responsabile di turno”.
Un protocollo quindi garantisce tutele adeguate ed è il contrario di discrezionalità: “Se la determinazione delle misure necessarie fosse affidata alla discrezionalità del singolo – osservano le associazioni – non solo si avrebbero trattamenti differenziati per situazioni uguali, con palese violazione del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione, ma si rimetterebbero alla fallace valutazione individuale – influenzata da esperienze, vissuto, idee, preconcetti – le decisioni su ambiti di particolare delicatezza. Per tutelare le parti in gioco occorre definire una lista di azioni-base, che rappresenta tangibilmente la creazione di un contesto di diritto”.

Il paziente non autosufficiente chiede procedure “particolari

Il secondo punto che viene chiarito dalle associazioni è che ”il paziente non autosufficiente, non collaborante non è un paziente come tutti gli altri. E’ quanto affermano l’Onu, l’Unione Europea, persino la nostra stessa Costituzione Italiana e tutte le leggi in tema di disabilità. Dai principi che possono trarsi da queste fonti qualificate appare evidente che vi sono regole le quali dovrebbero esser applicate a pazienti che necessitano di attenzioni particolari e che tali regole devono essere codificate in procedure. Anzi, a maggior ragione in un contesto di emergenza, si dovrebbe comprendere che non si possono considerare i non autosufficienti alla pari con tutti gli altri. Sarebbe come stabilire la regola che, durante l’evacuazione a causa di un incendio, si deve garantire l’apertura delle porte per la fuga e lasciare che chiunque fugga dal pericolo come può: se non ha le gambe o totalmente allettato, si arrangi, fino a morire carbonizzato. Colpa sua se non ha i mezzi fisici per scappare attraverso le porte aperte attraverso cui fuggono tutti gli altri! Così, il protocollo Covid serve a fare una valutazione sulla capacità del paziente non autosufficiente, non collaborante ricoverato, ad esempio: chiedere aiuto, manifestare e indicare dolore e sofferenza, collaborare nella cura. Si può anche aggiungere un altro elemento, ovvero la valutazione della capacità del familiare di essere elemento indispensabile, efficace e fattivo per la cura del paziente con disabilità”.

“Essere al loro fianco, per assisterli e curarli”

I caregiver familiari ribadiscono quindi le loro richieste: “Dopo nove mesi dall’inizio dell’emergenza sanitaria, dopo le denunce di casi in tutta Italia di difficoltà nella gestione ospedaliera delle persone con disabilità non collaboranti autonomamente e ancora, dopo le recenti immagini che riportano le lesioni ai polsi per contenzione della donna con disabilità, ricoverata all’ospedale Cardarelli di Napoli, non possiamo accettare le sue dichiarazioni e accogliere le sue incerte promesse, a medio e a lungo termine – affermano – L’emergenza sanitaria da Covid 19 va avanti da mesi e ci accompagnerà ancora per mesi. Le persone con disabilità, i loro caregiver, le associazioni di rappresentanza che hanno sottoscritto il documento inviato al Ministro Speranza in questo dato momento non chiedono ‘percorsi speciali, ospedali progettati a misura per persone con disabilità’: di questo riparleremo. Oggi chiediamo, con urgenza, il rispetto della condizione e dei diritti della persona con disabilità. Chiediamo tutele e garanzie affinché, in caso di ricovero ospedaliero, i nostri cari possano usufruire e beneficiare dei trattamenti terapeutici, come tutti, senza dover finire legati e sedati per la loro stessa condizione di disabilità psichica, intellettiva e relazionale, che impedisce qualsiasi relazione fondata sul rapporto di fiducia paziente-operatore sanitario e di collaborazione con gli stessi. Noi vogliamo fortemente essere al loro fianco per assisterli e curarli non per essere solamente presenti al fine vita!”, concludono.
(redattoresociale.it)