Con evento in streaming in contemporanea con Moda Milano Fashion Week
Una rivoluzione che passa (anche) attraverso gli abiti. Inventando anche l’abito giusto, se ancora non c’è. Parte da qui il progetto di Giulia Bartoccioni, 34 anni, imprenditrice romana, fondatrice e anima del brand di moda inclusiva Iulia Barton che venerdì 23 settembre, con un evento in streaming in contemporanea con la Milano Fashion Week, ha presentato la sua prima collezione.
Una linea – il video del lancio è disponibile sui canali social – che non ha precedenti nel panorama del made in Italy perché ribalta il concetto di inclusività mettendo al centro non il design ma il corpo, in nome di una vestibilità realmente universale che aspira a riscrivere il rapporto tra moda e disabilità. Il risultato – spiega il comunicato – sono 20 look adattivi, ma anche no gender, no season e sostenibili, pensati per persone con corpi non conformi ma indossabili da chiunque e in qualsiasi periodo dell’anno.
“Quando una persona disabile passa davanti a una vetrina, in genere pensa: quest’abito non fa per me. E non ha torto. Perché la moda tradizionale resta un mondo poco accessibile per chi ha corpi non conformi”, ha spiegato Giulia Bartoccioni, “L’ho visto organizzando sfilate di moda inclusiva per raccogliere fondi da destinare alla ricerca e far parlare di diversità in un contesto tradizionalmente molto chiuso.
Portavamo in passerella modelli e modelle con disabilità e li facevamo sfilare con i look che ci davano i brand tradizionali. Ma erano abiti disegnati per corpi senza problemi, e farli indossare a chi era in carrozzina o magari aveva una protesi era complicato. Lì ho capito che bisognava cambiare prospettiva: serviva una collezione dedicata che fosse facile da portare ma che allo stesso tempo demolisse l’idea della disabilità come qualcosa di poco compatibile con il glamour».
Il risultato – prosegue la nota – sono dieci pezzi in pieno stile urban, tutti intercambiabili, che si possono mescolare tra loro per comporre look diversi, giocando con il colore per togliere quella patina di tristezza che ingiustamente si associa alla disabilità. La collezione è firmata da Diego Salerno (Head designer Iulia Barton ed HR consultant specialist design department Max Mara Fashion Group), ed è frutto di un delicato gioco di incastri.
Perché ogni disabilità ha bisogni differenti ma, in un’ottica di inclusione vera e non solo di facciata, lo stesso abito deve poter essere indossato con facilità e soddisfazione da chiunque. Riuscirci è stato un complesso lavoro di raccolta dati che ha visto il coinvolgimento di oltre cinquanta persone con bisogni differenti. (askanews.com)
Con la sua gamba protesica, Niu Yu ha sfidato gli stereotipi di bellezza alla Shanghai Fashion Week
Dopo New York, Londra, Milano e Parigi… anche la Shanghai Fashion Week – lo scorso ottobre – ha trovato la sua top model astro nascente. Si chiama Niu Yu, è una modella cinese (da tenere d’occhio, perché di strada ne farà molta) e ha 24 anni. Segni particolari? È diversamente abile, e la sua preziosa presenza alla settimana della moda di Shanghai ha dato il via in Cina a un necessario dibattito sulla bellezza inclusiva.
Non è la prima volta che Niu Yu compare sulla scena pubblica cinese. Sebbene la Shanghai Fashion Week abbia segnato il suo debutto come modella disabile in passerella, l’autorevole testata cinese Global Times ci ricorda che Niu ha fatto parlare di sé quando, il 12 maggio 2018, ha completato con la sua gamba protesica la maratona di Wenchuan.
Data e città non erano state scelte a caso per l’evento sportivo: è esattamente a Wenchuan, nella provincia del Sichuan nel sud-ovest della Cina, che Niu Yu è rimasta vittima del devastante terremoto del 2008.
La maratona, avvenuta tra l’altro nel 21esimo compleanno della modella cinese, commemorava anche il decimo anniversario dal tragico evento. Fu lì che Niu, incastrata tra le macerie per tre lunghissimi giorni all’età di soli 11 anni, perse la sua gamba.
Oggi sono passati 13 anni dal terremoto di Wenchuan. E se allora Niu Yu era una piccola 11enne con il sogno di proseguire una carriera sportiva nell’atletica leggera (sport che praticava a scuola), oggi – chi gliel’avrebbe mai detto – è un astro nascente della moda cinese e non solo. Questo per lei significa tanto, così tanto che, come ha raccontato lei stessa a Global Times, la notte prima della sfilata non è riuscita a prendere sonno dall’emozione.
La casa di moda per cui ha sfilato si chiama Pony, un marchio che sfida appunto i pregiudizi con la bellezza inclusiva: “Ero rimasta colpita da ciò che il brand comunicava trovandomi molto d’accordo – racconta Niu Yu. – Pony sosteneva che, nella visione tradizionale, lo sport è sempre stato connesso all’idea di un paio di gambe sane. Ma lo sport dovrebbe essere una percezione dell’anima. Anche se non ho una gamba, io amerò profondamente lo sport per sempre”.
La gamba protesica di Niu Yu, modella diversamente abile che ha portato la bellezza inclusiva in passerella alla Shanghai Fashion Week.
L’aver presenziato nel cast di modelle del brand Pony alla Shanghai Fashion Week ha fatto di Niu Yu la modella cinese più cercata in rete. Persino il videoclip, come conferma Global Times, è diventato un trend topic sulla piattaforma social Weibo (che corrisponde al nostro Twitter, censurato in Cina, ndr).
Al momento, Niu Yu lavora come fotografa, ha un profilo seguitissimo sulla piattaforma social cinese Douyin (più di 850mila followers!) e – potete scommetterci – ha intenzione di proseguire con la carriera nella moda.
“Sento di avere una responsabilità sociale, quella di poter sensibilizzare sulla disabilità – conclude Niu Yu. – Mostrare la mia vita al pubblico può rendere più semplice la familiarizzazione con il nostro gruppo e può anche ricordare ad altre persone disabili che la società è più tollerante di quanto possano immaginare. Dopo la maratona, molte persone disabili hanno cominciato a inviarmi messaggi sui social media, per condividere le proprie storie. Ho realizzato immediatamente che forse posso avere un impatto positivo sulle loro vite e su quelle degli altri”.
Più che un debutto, quello di Aaron Philip è la riconferma che le barriere sono fatte per essere infrante. Nera, transgender e con disabilità, la modella simbolo della campagna fw 2020 di Moschino, che l’anno scorso la scelse come unico volto della maison, ieri ha sfilato per la prima volta alla New York Fashion Week sancendo il ritorno dal vivo del brand.
Mentre la carrozzina scivolava veloce sulla piovosa passerella collocata nel cuore del Bryant Park di Manhattan, lo sguardo di Aaron, in tailleur giallo e borsetta en pendant in stile tea-party, restava fisso e imperturbabile verso il fondo della passerella, senza concedere nulla al sentimentalismo o alla retorica di chi vuole fare dei portatori di disabilità dei martiri della diversity. In Aaron Rose Philip c’è tanta consapevolezza e autoironia da farle dire candidamente, in un tweet diventato virale, “Non sono un attivista, me ne fotto lol“. Come a dire, “sono altro dalla mia malattia, smettetela di fare di me una bandiera“. Suo malgrado questa modella è diventata per molti un simbolo e la sua storia merita di essere raccontata.
Nata ad Antigua e Barbuda, nel Mar dei Caraibi, il 15 marzo 2001, all’età di tre anni le viene diagnosticata una paralisi cerebrale tetraplegica. In cerca di una migliore assistenza sanitaria, con la sua famiglia emigra negli Stati Uniti, dove tuttora vive nel Bronx di New York. Come tanti suoi compagni della Gen Z, Philip si sente a suo agio sui social media e ad appena 12 anni apre il suo blog “Aaronverse” su Tumblr, dove parla della sua convivenza con la paralisi cerebrale. Grazie ai suoi racconti riesce a farsi notare dall’ex Ceo della piattaforma David Karp.
Photo credit: Dimitrios Kambouris – Getty Images
Nel 2016, appena adolescente, pubblica un libro di memorie intitolato This Kid Can Fly: It’s About Ability (Not Disability), dove descrive in dettaglio le sue esperienze di crescita con paralisi cerebrale. Scritto insieme a Tanya Bolden, il libro viene pubblicato da HarperCollins e contribuisce ad accrescere la sua fama on e offline. Dopo aver fatto coming out come gender-fluid all’età di 14 anni e in seguito essersi dichiarata donna trans non conforme al genere, decide di dedicarsi alla moda.
Grazie ai social media nota una mancanza di rappresentazione delle donne trans di colore all’interno dell’industria della moda, per non parlare di chiunque abbia una disabilità, così decide di mettersi in gioco. Dopo diversi progetti editoriali sul tema dell’inclusività, nel 2019 diventa il volto della rivista Paper, dove in occasione del Pride viene intervistata dalla top model Naomi Campbell. È il segno che qualcosa sta cambiando e infatti di lì a poco Aaron viene scelta come ambassador di diversi brand, da Dove a Sephora, da Outdoor Voices a Nike, fino a comparire nel video musicale da oltre 100 milioni di visualizzazioni Mother’s Daughter di Miley Cyrus.
Dopo aver debuttato in passerella nel 2019 nel finale di sfilata di Willie Norris Workshop e aver prestato il volto alla sfilata digitale di Collina Strada, Marc Jacobs la coinvolge in diversi progetti online, finché Jeremy Scott, direttore creativo di Moschino, non la sceglie un anno fa per la già ricordata campagna fw 2020 del brand e oggi per sfilare alla NYFW con la collezione ss 2022, accanto a modelle del calibro di Gigi Hadid e Precious Lee.
“Le ragazze e le donne trans nere contano e sono belle. Spero che questo sia l’inizio di qualcosa di più grande e ispiri e consenta a più marchi globali allo stesso livello di lavorare veramente per includere e normalizzare le presenze e i talenti disabili nelle loro vetrine – ha detto lo stilista in una dichiarazione alla stampa –. Le persone disabili, i modelli e i talenti contano così tanto e possiamo fare tanto purché vengano prese le misure per accoglierli correttamente“.
Photo credit: Melodie Jeng – Getty Images
“L’industria della moda ha conosciuto solo un tipo di corpo e un tipo di figura commerciabile per così tanto tempo. Ora [invece] stiamo entrando in questo momento, e in questo clima, in cui tutti i tipi di corpi vogliono essere spinti in avanti e celebrati, non solo celebrati, ma essere visti come desiderabili e commerciabili” – ha detto in un’intervista alla Cnn Aaron, che denuncia “una grande mancanza di visibilità e attenzione verso le persone con disabilità nella moda”.
“Al momento, sono uno dei due modelli fisicamente disabili in tutto il settore, accanto a Jillian Mercado. Non dovrebbe essere responsabilità di chiunque sia emarginato amplificare la propria voce quando ci sono così tante voci che possono amplificarle – ha aggiunto Philip –. Ma è il solo modo di arrivare dove devi essere. Quindi lo farò. E spero di farlo in modo che le altre ragazze nella mia posizione possano semplicemente vivere e fare il loro lavoro“. Che forza della natura questa ragazza. Detesta l’etichetta di attivista e ha ragione. Lei è molto di più.
In Italia ci sono 3,1 milioni di persone con disabilità e se vogliono vestirsi alla moda devono districarsi tra zip, bottoni, etichette abrasive, scarpe coi lacci, negozi mal progettati e mancanza di formazione del personale.
Abbiamo i vestiti per i pets ma non per le persone con disabilità che, chissà perché, sembrano non godere del diritto a una vita estetica. In Italia sono 3,1 milioni e se vogliono vestirsi alla moda devono districarsi tra zip, bottoni, etichette abrasive, scarpe coi lacci, negozi mal progettati, mancanza di formazione del personale e di prodotti e vestiti adatti. In alternativa, possono rivolgersi ai marchi di abbigliamento adattabili, la cosiddetta adaptive fashion. na nicchia emergente e in forte crescita, assai utile sebbene un po’ ghettizzante.
L’obiettivo dell’adaptive fashion è l’inclusione sociale dei diversamente abili, anche se alcuni studi sottolineano come sia importante non tanto includere, quanto integrare. Una volta i giovani fuggivano la società come la peste, adesso vogliono entrarci a tutti i costi. Aria dei tempi. Scegliere Elle Goldstein, modella affetta da sindrome di Down e rappresentata da Zebedee Management – agenzia “creata per aumentare la rappresentazione delle persone escluse dai media” – come testimonial della campagna pubblicitaria di un mascara è qualcosa, bravo Gucci!, ma non è sufficiente, bisogna offrire soluzioni di design.
I marchi “adaptive” hanno nomi come IZ Adaptive, Abilitee, So Yes, Tommy Adaptive, ma il merito dei loro creatori è di aprire la via, progettando una moda sia funzionale che esteticamente gradevole. Che cool sarebbe una sacca per stomia, chessò, di Balenciaga.
L’adaptive fashion è come la tana del Bianconiglio, dove ciò che è non è, e ciò che non è, è: clip per cateteri dai colori vivaci e cinture per microinfusori che sembrano cinture (Abilitee), gonne costruite per una struttura seduta, pantaloni con elastico in vita e giacche con cerniere magnetiche, che possono essere indossate con una sola mano (So Yes), jeans boyfriend dal taglio rilassato con chiusure in velcro nascoste, vestiti a portafoglio con chiusure magnetiche e t-shirt senza etichetta con cuciture piatte per un maggiore comfort sensoriale (Tommy Adaptive), frutto della collaborazione tra Tommy Hilfiger e Mindy Scheier, che ha iniziato a disegnare abiti adattivi quando suo figlio Oliver, affetto da una forma di distrofia muscolare, voleva indossare i jeans come i suoi amici, ma non riusciva a chiudere il bottone.
Nel 2012, lo studente Matthew Walzer aveva inviato una lettera a Nike in cui descriveva la sua lotta quotidiana per indossare le scarpe da corsa a causa di una paralisi cerebrale. Toby Hatfield, Senior Director of Athlete Innovation, ha lavorato con Walzer per sviluppare un prototipo che funzionasse per lui e, dopo tre anni, ha lanciato la scarpa Nike FlyEase, una sneaker che si può aprire sul retro senza lacci.
Monika Dugar, co-fondatrice di Reset con Usha Dugar Baid, brand progettato per persone con il Parkinson, è autodidatta. Emily Ladau, nata con la Sindrome di Larsen, un disordine muscolare che, tra le altre cose, impedisce agli avambracci di estendersi, nel 2017 ha partecipato come modella a Open Style Lab (OSL) di Parsons School. Ogni estate OSL ospita un programma di ricerca di dieci settimane che riunisce persone con disabilità. mparare, collaborare e creare abiti su misura per pochi clienti con disabilità. Quando si pensa alla “moda” si fantastica di settimane della couture, copertine glamour, influencer carine e ricchissime, piscine e bollicine. Il problema è che la stessa visione limitata dell’industria modella gran parte dell’educazione alla moda. E questo è un problema e un’opportunità. (harpersbazaar.com)
La scrittrice Madison Lawson, nata con una forma rara di distrofia muscolare e in sedia a rotelle sin dalla nascita, spiega come mai sia così importante che le persone con disabilità godano di una miglior rappresentazione sulle riviste di moda, nelle campagne pubblicitarie e in passerella
Moda e disabilità
Ho partecipato per la prima volta alla New York Fashion Week nel 2017. Non appena sono arrivata nella ‘città che non dorme mai’, mi sono resa immediatamente conto del perché la gente la chiami così: quando hai a che fare con barriere architettoniche ovunque, non puoi letteralmente appisolarti un attimo. Mi sono spostata da sfilata a sfilata per ritrovarmi, ogni volta, a incontrare persone all’ingresso che non avevano alcuna nozione di come far accedere all’edificio una persona in sedia a rotelle come me. A un certo punto, la mia assistente personale ha dovuto prendermi in spalla e trascinarsi dietro la mia sedia a rotelle. Che dire, non era di certo il tipo di ingresso che avevo sognato ma mi fece pensare: in un settore che celebra la diversità, come mai non c’erano altre persone come me ai vari eventi?
Sono nata con una forma rara di distrofia muscolare che causa una perdita progressiva della muscolatura in tutto il corpo e, in alcuni casi, persino il collasso di uno o entrambi i polmoni. La moda e il beauty sono da sempre una fonte di gioia e pace per me. Trovo la mia dimensione di normalità nelle stampe più vivaci o in un rossetto particolarmente accesso che mi permettono di distinguermi dagli altri e sentirmi davvero vista e non diventare un oggetto di studio sotto gli sguardi fissi delle gente. Questo perché, anche quando noto che inizialmente l’attenzione di qualcuno cade sulla mia sedia a rotelle, io non distolgo lo sguardo ma lo mantengo finché anche quello dell’altro si è spostato altrove – sul mio stile per esempio. Ma, come accade per tante altre persone con disabilità, in fatto di rappresentazione nel settore moda e beauty, mi sento spesso esclusa.
Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il 15% della popolazione mondiale convive con una qualche forma di disabilità, il che rappresenta la più grande minoranza al mondo. Non solo. Si tratta anche della sola minoranza a cui chiunque potrebbe potenzialmente far parte in un certo momento della propria vita. Eppure, quando si tratta di raccontare le nostre storie, diventiamo degli stereotipi oppure siamo completamente esclusi dal dibattito.
Judy Heumann – attivista dei diritti dei disabili nonché un vero idolo per me – lo attribuisce alla nozione distorta per cui le persone con disabilità non siano, in qualche modo, in grado di vivere una vita piena. “La gente non ci vede come membri alla pari all’interno delle loro comunità; questo nelle scuole, nelle moschee, nelle chiese, nelle sinagoghe, nei centri sociali e, in generale ovunque”, afferma Heumann. “Ci guardano e pensano ‘Come potrei vivere la mia vita in quelle condizioni? ’” E questo è esattamente il motivo per cui una rappresentazione autentica è così necessaria.
Ma la questione moda e disabilità è ben più ampia e complessa. Da bambini, l’immagine della bellezza che ci creiamo si basa su ciò che la società ritiene bello. Cosa succede quindi quando il bello e il desiderabile non ha mai il tuo aspetto? Tanto per cominciare, la cosa ha un effetto deleterio sulla tua autostima e, a volte, diventa incredibilmente difficile accettare il proprio corpo. Lo sa bene bene Bri Scalesse, di professione modella, diventata paraplegica all’età di sei anni in seguito ad un incidente stradale che le ha causato lesioni al midollo spinale. “Da bambina desideravo tantissimo vedermi riflessa in quelle immagini”, racconta a Vogue. “Ma non ritrovavo mai il mio corpo o la mia sedia a rotelle rappresentate in TV o nelle riviste. Non c’erano attrici o modelle disabili. E nemmeno nessuna principessa disabile”.
Social media & body positivity
Negli ultimi anni le cose hanno iniziato a cambiare. I social media sono uno strumento attraverso cui le persone con disabilità sono finalmente in grado di esercitare il controllo su come vengono viste. Inoltre, le richieste di una maggior diversità in tutti i settori e la crescita del movimento della body positivity hanno reso possibile celebrare la bellezza in tutte le sue forme. Di conseguenza, ora vediamo persone con disabilità in passerella, sulla copertina delle riviste e nelle campagne pubblicitarie di abbigliamento o beauty. La tanto attesa rappresentazione sta, lentamente ma inesorabilmente, abbattendo lo stigma storicamente legato alla disabilità. Ma il percorso non è stato né semplice né immediato.
Nel 2017, mentre osservavo i corpi sulle passerelle – ma anche lontano da queste – c’era solo un individuo che mi assomigliava: la modella Jillian Mercado. Mercado è la prima persona da cui mi sono sentita davvero rappresentata in quanto è affetta da una forma di distrofia muscolare e utilizza la sedia a rotelle per muoversi. Proprio come me.
Crescendo Mercado si è sentita emarginata da standard di bellezza all’insegna dell’abilismo. Ha deciso quindi di sfidarli dall’interno studiando marketing al Fashion Institute of Technology di New York per poi fare uno stage nella redazione di Allure. Dopo aver fatto la modella per diversi progetti di moda di amici, nel 2014 ottiene un contratto con Diesel per una campagna pubblicitaria. L’anno successivo viene scritturata dall’agenzia di modelle IMG e, da allora, è apparsa in campagne per il merchandise Formation di Beyoncé, per il grande magazzino di lusso americano Nordstrom e, di recente, era sulla copertina di Teen Vogue.
“Sono così tante le persone non rappresentate a sufficienza, che sentono di non esistere o di essere invisibili in quello che è un contesto fondato sulla visibilità”, dichiara Mercado a proposito di cosa l’abbia motivata. “Volevo che queste persone si sentissero incluse. Che sentissero di poter anche loro essere modelle/i”. La gente con disabilità viene spesso lodata per il suo coraggio. Un complimento che può turbare chi lo riceve in quanto molti di noi non si sentono coraggiosi per il semplice fatto di perseguire ciò che desideriamo come fa chiunque altro. Di sovente la nostra testardaggine viene spesso trascurata.
Laddove Mercado ha fatto da apripista, altri l’hanno seguita. Per esempio, Aaron Philip che, nel 2018, è diventata la prima modella disabile, nera e transgender ad essere scritturata da una delle maggiori agenzie per modelle dopo che uno dei suoi tweet è diventato virale. Allo stesso modo, Chella Man, modello transgender non udente, che è salito alla ribalta dopo aver condiviso foto di sé online.
Ma c’è anche la docente, scrittrice e sostenitrice dei diritti dei disabili, Sinéad Burke, una ‘little person’ (persona piccola, termine che preferisce per riferirsi all’acondroplasia da cui è affetta, ndt) originaria dell’Irlanda che è apparsa sulla copertina di Vogue UK a settembre 2019. Non solo. Quello stesso anno, Burke è stata anche la prima persona piccola a partecipare al Met Gala sfidando il tradizionale concetto di inclusione con un abito Gucci realizzato ad hoc. Un anno dopo, Gucci faceva notizia ingaggiando Ellie Goldstein, una giovane modella con la sindrome di Down come nuovo volto di Gucci Beauty.
Oltre la rappresentazione
L’inclusione delle persone con disabilità nell’industria della moda e del beauty ha rappresentato un importante passo avanti nella giusta direzione ma la strada da compiere è ancora lunga. “La rappresentazione della disabilità quale uno degli aspetti chiave della diversità è solo l’inizio”, dichiara Scalesse. Come darle torto. Sebbene il settore si sia attivato in fretta per rispondere alle richieste di alcune delle comunità minoritarie, la nostra sembra essere stata lasciata indietro.
È giunto il momento di andare oltre la rappresentazione di facciata e le concessioni minime e simboliche. Certo, vogliamo vedere più persone con disabilità di fronte alla macchina fotografica ma c’è bisogno di una maggior inclusione e rappresentazione anche dietro l’obbiettivo. Dobbiamo poter vedere persone che assomigliano a noi ricoprire ruoli di potere nelle riviste, all’interno dei brand di moda e dei marchi di bellezza internazionali, nelle squadre a capo delle Fashion Week, all’interno delle agenzie di casting. In tutti quei luoghi che si sono storicamente dimenticati di noi.
Dopotutto, che senso ha vedere qualcuno che ti assomiglia in una campagna pubblicitaria se poi il marchio pubblicizzato non è in grado di rispondere ai tuoi bisogni? Allo stesso modo, perché ingaggiare una modella per un servizio o una sfilata di moda se le è impossibile accedere in maniera adeguata al luogo dello show o nel backstage?
Il 2020 è stato, sotto molti punti di vista, l’anno del risveglio. L’anno in cui prendere atto di tutte quelle voci che erano state ignorate. Brand, a cui non era mai stato chiesto di rendere conto del proprio agire, sono stati pubblicamente criticati per le loro politiche di facciata e per la disparità di trattamento delle minoranze mentre il mondo intero era costretto a rallentare e ad ascoltare. Il 2021 deve essere l’anno dell’azione.
Quanto è importante per un disabile poter indossare un bell’abito
Molti pensano che essere disabili voglia dire necessariamente doversi trascurare.
Essere in sar, cioè su una sedia a rotelle, non significa invece perdere la stima di se stessi e quindi, anche la voglia di curare il proprio aspetto esteriore; in modo particolare quando si è donna.
Purtroppo nel mondo, e soprattutto qui in Italia si fa ancora fatica ad accettare modelle disabili, perché si affianca sempre una figura “perfetta”, all’abito. Oggi si stanno facendo battaglie per bloccare alle modelle troppo magre di sfilare in passerella. Immaginiamoci se si presenta una ragazza in carrozzina seppur bella, come verrà vista dagli stilisti?
Siamo lontani da aperture mentali tali da far entrare nell’alta moda la disabilità, per quanto qualcosina si è fatto e si sta facendo, ma ben poco se ne parla.
Per esempio, in Inghilterra nel 2008 la Bbc ha trasmesso Britain’s Missing Top Model, un reality show con protagoniste otto aspiranti modelle disabili sulla falsa riga dell’olandese Miss Ability, andato in onda due anni prima registrando il pieno di ascolti.
Oppure, in Belgio la designer Tanja Kiewitz, senza un avambraccio, è diventata notissima dopo aver posato per una campagna di sensibilizzazione ideata dalla onlus Cap48.
Nel nostro Paese com’è la situazione? Nel 2011 a Roma c’è stata la prima edizione del Concorso di moda riservato anche a modelle in carrozzina e si è ripetuto l’anno successivo.
"Space Without Borders" - Fashion Week - Mosca 2014
AFP PHOTO / ALEXANDER NEMENOV
L’iniziativa è stata fortemente voluta dalla Fondazione Italiana per la Cura della paralisi. Questo perché con progetti simili si vuole coinvolgere l’opinione pubblica su campagne di sensibilizzazione riguardo alle tematiche di prevenzione sulle lesioni midollari e ricerca scientifica. Ed ecco così che una nota Agenzia di Torino apre le porte a modelle/i disabili. Per quanto i cambiamenti siano nell’aria, qualcosina si intravede nelle pubblicità, eppure inserire i disabili in questo settore ancora è dura.
A dirla tutta nella società di oggi una persona disabile è sempre posta ad un gradino al di sotto degli altri; vediamo che fa fatica a trovare lavoro, a trovare l’amore, a vivere una vita piena, così come invece dev’essere. Con campagne pubblicitarie, con sfilate di moda o con qualsiasi altro mezzo, si deve far vedere e capire alla gente, che un disabile in modo particolare una donna disabile, non perde la sua femminilità perché resta sempre e comunque una donna.
La vera e unica “mancanza” è quella del rispetto del prossimo, mentre al contrario abbonda l’ignoranza e la volontà di chi non dà la possibilità alle persone cosiddette “diverse” di esistere, coesistere nella società e di farne parte in maniera integrante.
(dailyslow.it)
La ragazza 28enne, nata senza l’avambraccio destro, da sempre sogna di fare la modella
La disabilità, spesso, sta tutta nel modo in cui la prendiamo: arrenderci, magari cedendo ai pregiudizi degli altri, o sfidarla. Prendiamo la storia di Rebekah Marine, ad esempio. E’ una bellissima ragazza di 28 anni, che aveva da sempre il sogno di fare la modella. Però era nata senza l’avambraccio destro, e quindi le persone intorno a lei l’avevano convinta a studiare e concentrarsi su qualche altro obiettivo più ragionevole.
Per un po’ lei ha convenuto che questo consiglio fosse saggio, e quindi aveva cercato un lavoro qualunque. Poi, quattro anni fa, ha deciso di farsi impiantare una protesi e fregarsene dei pregiudizi. Risultato: è diventata davvero una modella, e domani sfilerà alla New York Fashion Week durante il FTL Moda show.
Come ha spiegato al sito Mashable, però, il suo successo non è una fonte di orgoglio personale, ma piuttosto di ispirazione per gli altri: “Negli Stati Uniti una persona su cinque ha qualche genere di disabilità. Bisogna smettere di pensare alle differenze come un condizionamento negativo, e cominciare a vederle come la normalità. Anzi,come una opportunità”.
(lastampa.it)
Anche quest’anno il Coordinamento Nazionale Famiglie di Disabili Gravi e Gravissimi organizza il 5 Ottobre 2014 la sfilata “TUTTIINPASSERELLA2014” che vedrà protagonisti ragazzi disabili e non.
L’obiettivo che si vuole raggiungere con questo evento è quello di abbattere le barriere mentali esistenti nel mondo dei normodotati che spesso vede il disabile e chi è più debole come un soggetto improduttivo, da emarginare. Si vuole infatti divulgare il concetto di integrazione proprio laddove esistono ambienti ritenuti off-limits per chi ha un corpo che non corrisponde ai canoni richiesti da una società molto più sensibile all ’apparire che non all’ essere, consentendo peraltro alle famiglie “normodotate”, di conoscere realmente il mondo della disabilità, mondo a molti sconosciuto e che spesso provoca disagio e paura.
Nello stesso tempo si vuole far vivere ai nostri ragazzi una giornata speciale, senza limiti e senza quei brutti impedimenti e divieti che quotidianamente sono costretti ad affrontare a causa della loro disabilità.
L’ evento farà parte di” Estate Catania ” con la collaborazione dello stesso Comune di Catania, la data stabilita è il prossimo 5 Ottobre.
Per le adesioni per far partecipare i Vostri ragazzi, siete pregati di inviare email a rendoangela@tiscali.it oppure a sicilia@famigliedisabili.org
Dalle gonne agli abiti sportivi. In passerella sfilano collezioni pensate per persone disabili
Gli stilisti russi dedicano una sempre maggiore attenzione all’abbigliamento per persone disabili. Vengono elaborate intere collezioni comprendenti outfit per tutti i giorni, completi per bambini e abiti da sera per disabili costretti sulla sedia a rotelle, che soffrono di paralisi cerebrale infantile o che hanno subito un’amputazione: persone forti che non rinunciano alla bellezza.
La storia fino ad oggi
Negli ultimi cento anni, nella società russa si è sviluppata la “paura della disabilità”. La maggior parte degli adulti per delicatezza si sforza di non fare caso agli invalidi e i bambini si mettono paura l’un l’altro dicendo: “non lo guardare o ti succederà la stessa cosa!”
Tutto questo è anche comprensibile. In Unione Sovietica, come del resto in tutte le altre parti del mondo, le persone subivano infortuni, si ferivano, nascevano con malformazioni, e la loro esistenza non era conciliabile con uno stato ideale, che marciava spedito nella radiosa società comunista. Nelle città non esistevano rampe, né corrimano, né ascensori.
“In realtà al momento non esiste un vero e proprio mercato dell’abbigliamento per persone affette da disabilità in Russia. O meglio, in caso di crescita della domanda, il settore è ancora aperto per il business. È importante tuttavia mantenere un equilibrio tra la necessità di organizzare condizioni speciali di vendita e prezzi di produzione accessibili”, dice la stilista Oksana Livencova che ha creato una collezione per persone affette da paralisi cerebrale infantile.
Una nuova corrente
Nonostante ciò negli ultimi anni sembra che qualcosa abbia cominciato a muoversi.L’ambiente cittadino ha cominciato ad assumere fattezze amichevoli: hanno fatto la loro comparsa scivoli speciali nei passaggi sotterranei e ascensori per salire sui ponti pedonali. Hanno cominciato ad apparire e a lavorare attivamente organizzazioni di diverso genere che consentono alle persone invalide di sentirsi belle.
Una di queste è il progetto Bezgraniz Couture(Couture senza confini). Realizzato nel 2010 dall’imprenditrice sociale Yanina Urusova e dal direttore del fondo sociale Dialog v Temnote(Dialogo nell’oscurità), Tobias Raysner, il progetto ha la missione di stimolare gli stilisti professionisti a creare collezioni per persone con ridotte capacità motorie o problemi di sviluppo.
La popolarità del progetto cresce di anno in anno. Al primo concorso internazionaleBezgraniz Couture 2011 hanno partecipato circa 60 stilisti provenienti da diversi paesi, un paio di anni fa il numero di stilisti è cresciuto fino a 80. Nel 2014 invece le sfilate di queste collezioni si sono svolte nell’ambito della Mercedes-Benz Fashion Week Russia. In uno degli spazi espositivi dell’evento, il Maneggio di Mosca, hanno mostrato le proprie creazioni gli stilisti Darya Razumkhina, Masha Sharoeva, Sabina Gorelik, Oksana Livencova, Dima Neu, Svetlana Sarycheva, Albina Bikbulatova, Christine Wolf e Miguel Carvallo.
“Le persone con ridotte capacità fisiche vogliono vestire bene”, sostiene Darya Razumkhina, designer, ideatrice della collezione i cui elementi principali sono maglie alla marinara, cardigan colorati, gonne decorate di grande effetto realizzate con un tessuto fitto che si posa in maniera leggiadra e non si incastra nelle ruote delle sedie a rotelle.
La moda russa in passerella
La coppia composta da Dima Neu e Svetlana Saracheva quest’anno ha realizzato una linea di abiti sportivi per persone con protesi agli arti superiori o inferiori, la cui principale “trovata” è stata la borsa voluminosa che, oltre al suo classico uso, permette di compensare il disequilibrio e il sovraccarico della colonna vertebrale in seguito alla perdita di un braccio.
Oksana Livencova ha ideato la collezione Odissea per le persone con disabilità per le quali è difficile coordinare i movimenti. I suoi modellitransformers, in cui alcuni elementi avvolgono ed evidenziano la figura, mentre altri creano volume, sono dotati di cerniere comode e leggere e di colletti-cappuccio.
“Per la creazione di collezioni industriali, pronte per la produzione, sono necessari laboratori professionali che si occupino della ricerca di tecniche specializzate di taglio, nonché della ricerca di diversi rinforzi per il sostegno della colonna vertebrale o di altre parti del corpo. È necessario tutt’altro approccio rispetto alla realizzazione degli abiti comuni”, racconta Oksana Livencova.
Una moda fuori dagli standard
In Russia esiste anche un’altra organizzazione che si occupa dei problemi delle persone con disabilità e delle questioni riguardanti l’adattamento della moda, si tratta della comunità Ortmoda. A Ortmoda non soltanto si crea moda per persone con disabilità, ma viene anche offerto loro un lavoro. Ad esempio, responsabile del lavoro del sito è il disabile uditivo Maxim Katush, il quale da poco tempo è anche diventato un modello che sfila in passerella per le collezioni di moda maschile giovanile.
La svolta Hipster
Da poco tempo in Russia esiste anche una scuola di modelli per disabili “Osobaya Moda” (Moda fuori dagli standard), la cui prima sfilata è stata realizzata a Tyumen nel 2005. Oggi il progetto “Osobaya Moda” organizza concorsi per la realizzazione di collezioni di abbigliamento pensate per persone costrette sulla sedia a rotelle, per persone con particolarità nella figura, per persone dalla ridotta mobilità e per coloro che si spostano con deambulatori.
E così, è altamente probabile che molto presto il paese possa gioire non soltanto delle esibizioni dei propri atleti paralimpici, ma anche per il riconoscimento internazionale dei suoi giovani stilisti, creatori di una moda adattata alle esigenze dei disabili, e del successo delle modelle russe sulla sedia a rotelle: forti, belle e con un amore per la vita contagioso.
(russiaoggi.it)
Dal 1999, l’agenzia inglese “VisABLE” rappresenta esclusivamente modelle, modelli, attori e presentatori con differenti abilità. “Nel nostro catalogo 80 book fotografici. I guadagni? 700 sterline al giorno”. La modella Shannon Murray però avverte: “Siate realiste e preparate al rifiuto”
Se la Fashion Team si prepara a diventare la prima agenzia italiana a rappresentare disabili, ben diversa è la situazione all’estero. Oltreoceano, società come la Target o la Nordstrom impiegano persone con disabilità dai primi anni Novanta. In Canada la Ben Berry – celebre per la campagna pubblicitaria Dove – sin dal 1993 è passata alle cronache per aver lanciato modelle oversize, di diversa etnia e abilità. Nel Regno Unito più o meno in contemporanea l’agenzia Louise Dyson ha lanciato il primo casting per modelli disabili della storia, “Model in a Million”, per la campagna promozionale della “Sunset Medical”, azienda produttrice di sedie a rotelle in cerca di un testimonial con reali problemi motori. L’idea ebbe un successo tale che la vincitrice Shannon Murray, su sedia a rotelle dall’età di 14 anni, è entrata a pieno titolo nel mondo del fashion, tanto da diventare, nel 2010, testimonial della catena londinese Debenhams.
“Model in a Million è stato il lancio perfetto”, racconta la Dyson. “Abbiamo ricevuto pubblicità fenomenali in tutto il mondo. Per ottenere credibilità nel settore ho usato la reputazione conquistata negli anni, con l’obiettivo di creare un nuovo mercato e di cambiare totalmente la mentalità dell’opinione pubblica sulla disabilità, attraverso il potere delle campagne pubblicitarie. In seguito ho compreso l’importanza dell’inclusione anche nel mondo della televisione, del cinema, del teatro. Esistono interpreti straordinari e brillanti, con abilità incredibili”. Nel 1999, Louise Dyson dà vita alla “VisABLE”, la prima agenzia al mondo a rappresentare esclusivamente modelle, modelli, attori e presentatori con differenti abilità, convinta delle enormi potenzialità che il settore poteva offrire.
“Quando ho cominciato, cercando di incoraggiare gli inserzionisti a scegliere modelli e modelle disabili nelle campagne pubblicitarie, tutti pensavano che fossi pazza. Il tempo mi ha dato ragione”. Sono trascorsi 18 anni da allora e nel Regno Unito, non si tratta più di un fenomeno di nicchia. “Oggi nel nostro catalogo figurano oltre 80 book fotografici. Senza contare quelli di artisti ed artiste indirizzati al mondo del teatro e del cinema. Tra i nostri clienti c’è la Royal Bank of Scothland, British Airways, Visa, Bbc. I guadagni? 700 sterline al giorno, come un qualsiasi professionista”. Per entrare a far parte della VisaABLE, bisogna innanzitutto sottoposti ad un questionario attitudinale. E’ la stessa Dyson ad addestrare le nuove leve. Il tutto gratuitamente. “La nostra motivazione è molto diversa da quelle delle agenzie regolari. Ha sempre operato come impresa sociale, con solo obiettivi etici”.
“Rispetto al passato, in Gran Bretagna, credo sia migliorata la percezione delle persone con disabilità nel mondo della moda”, ribadisce Shannon Murray, storica modella dell’agenzia. “Le persone sono più interessate ad una maggiore uguaglianza e a varietà etnica e di abilità. Credo però che una rappresentazione della diversità più positiva possa aiutare le persone a sentirsi maggiormente a proprio agio con il proprio corpo e a rafforzare la propria autostima. Sono milioni i disabili nel mondo. E’ giusto riconoscere le nostre capacità”. Scrittrice, attrice, presentatrice, attualmente la Murray sta studiando per diventare avvocato. “A coloro che sognano di entrare nel fashion system consiglio di essere pronti a viaggiare molto, a ritmi di lavoro massacranti. Fondamentale il lavoro di squadra. Ci vuole un sacco di gente per fare una grande fotografia”. E conclude con un monito: “E’ fondamentale essere realisti e pronti al rifiuto. Non credo siano ancora maturi i tempi per costruire una carriera duratura. Non c’è purtroppo abbastanza lavoro per vivere di moda”. (Loredana Menghi)