ONU, Discriminate le famiglie con persone disabili.

Le famiglie con persone disabili in Italia sono discriminate. Ora lo ha certificato ufficialmente l’Onu.

I cosiddetti «caregiver», cioè chi si prende cura di ragazzi o anziani non autosufficienti, infatti, non può vivere una vita “normale”, esercitare a pieno i propri diritti perché «il mancato riconoscimento giuridico dello status sociale della loro figura ne pregiudica l’adeguato inserimento in un quadro normativo di tutela e assistenza». Tradotto: manca una legge che riconosca chi cura persone con disabilità, violando così «i loro diritti alla vita familiare, a vivere in modo indipendente e a uno standard di vita adeguato».

A stabilirlo è stato, il 3 ottobre scorso, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità*, sulla base di un ricorso avviato nel 2017 dall’allora presidente della Confad, Maria Simona Bellini. Le misure adottate sino a oggi dallo Stato italiano in favore dei caregiver familiari sono state giudicate insufficienti e ritenute largamente inadeguate a garantire una qualità di vita accettabile.

Il Comitato Onu, infatti, ha sottolineato la necessità di sostegni economici, migliore accesso alle abitazioni, attenzione al mantenimento dell’unità del nucleo familiare, servizi di assistenza economicamente accessibili, regime fiscale agevolato, orario di lavoro flessibile, fino al riconoscimento dello status specifico di caregiver familiare all’interno del sistema pensionistico. Tutele oggi del tutto insufficienti quando non inesistenti nel nostro Paese, in cui una proposta di legge che avrebbe introdotto agevolazioni specifiche per i caregiver nella legislatura appena conclusa si è arenata al Senato, senza essere approvata.

Comitato ONU

Lo stesso Comitato Onu esorta quindi l’Italia a fornire un adeguato compenso alla cittadina ricorrente (che si prende cura di una figlia e del marito con disabilità), ad adottare misure appropriate per garantire che la famiglia abbia accesso a servizi di supporto individualizzati adeguati e a prevenire simili violazioni in futuro.

«Questo caso rappresenta una svolta perché il Comitato ha riconosciuto la violazione del diritto al sostegno sociale di un caregiver familiare, oltre che ai diritti delle persone con disabilità», ha affermato Markus Schefer, relatore del Comitato in un comunicato. «Questo è anche il primo caso in cui il Comitato ha esaminato le denunce di “discriminazione per associazione”, dato che la ricorrente è stata trattata meno favorevolmente a causa del suo ruolo di caregiver familiare di persone con disabilità».

Ora l’Italia dovrà presentare al Comitato Onu, entro sei mesi, una risposta scritta su quali azioni intenda attuare per colmare queste gravi lacune. «Speriamo sia l’occasione perché l’Italia faccia davvero un passo avanti nel riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità – commenta Alessando Chiarini, presidente della Confad (Coordinamento nazionale delle famiglie con disabilità) –. E che diventi finalmente concreto l’impegno a dare adeguate tutele e diritti ai caregiver familiari». (avvenire.it)

*Il Comitato Onu per i diritti delle persone con disabilità è formato da esperti indipendenti che hanno il compito di sorvegliare l’attuazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CDPD).

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Leadership e partecipazione delle persone con disabilità verso un mondo inclusivo

La Giornata Onu: l’impegno a realizzare i diritti delle persone con disabilità – centrale nell’Agenda 2030 – non è solo questione di giustizia: è investimento in un futuro comune. Le persone disabili – un miliardo – sono uno dei gruppi più esclusi nella società e tra i più colpiti dalla crisi pandemica

L’inclusione della disabilità è una condizione essenziale per sostenere i diritti umani, lo sviluppo sostenibile, la pace e la sicurezza. È anche centrale nell’impegno dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile di non lasciare nessuno indietro. L’impegno a realizzare i diritti delle persone con disabilità non è solo una questione di giustizia: è un investimento in un futuro comune. Questa la visione dell’Onu alla base della Giornata internazionale delle persone con disabilità, che, come ogni anno, si celebra il 3 dicembre. 

La crisi globale della Covid-19 sta approfondendo le disuguaglianze preesistenti, espandendo la portata dell’esclusione ed evidenziando che il lavoro sull’inclusione della disabilità è imperativo. Le persone con disabilità – un miliardo di persone – sono uno dei gruppi più esclusi nella nostra società e sono tra i più colpiti da questa crisi in termini di vittime.

Anche in circostanze normali, le persone con disabilità hanno meno probabilità di accedere all’assistenza sanitaria, all’istruzione, all’occupazione e di partecipare alla comunità. È necessario un approccio integrato per assicurare che le persone con disabilità non siano lasciate indietro.

L’inclusione della disabilità si tradurrà in una risposta che sarà un bene per tutti, sopprimendo più pienamente il virus, oltre a ricostruire meglio. Fornirà sistemi più agili in grado di rispondere a situazioni complesse, raggiungendo prima le persone che fanno più fatica.

La strategia delle Nazioni Unite per l’inclusione della disabilità

Al momento del lancio della Strategia delle Nazioni Unite per l’Inclusione della Disabilità nel giugno 2019, il Segretario Generale ha dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero dare l’esempio e aumentare gli standard e le prestazioni dell’Organizzazione sull’inclusione della disabilità, in tutti i pilastri del lavoro, dalla sede centrale al campo. 

La Strategia delle Nazioni Unite per l’Inclusione della Disabilità fornisce le basi per un progresso sostenibile e trasformativo sull’inclusione della disabilità attraverso tutti i pilastri del lavoro delle Nazioni Unite. Attraverso la Strategia, il sistema delle Nazioni Unite riafferma che la piena e completa realizzazione dei diritti umani di tutte le persone con disabilità è una parte inalienabile, integrale e indivisibile di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali.

Nell’ottobre 2021, il segretario generale ha presentato il suo secondo rapporto sui passi compiuti dal sistema delle Nazioni Unite per attuare la strategia delle Nazioni Unite per l’inclusione della disabilità nel 2020.  Dato l’impatto della Covid-19 sulle persone con disabilità, il rapporto contiene anche una breve riflessione sulla risposta e sul recupero inclusivo riguardo le persone con disabilità.

Eventi organizzati il 3 dicembre 2021 segnalati dall’Onu

Shaping an Inclusive Future for All: Leading with Determination“, un evento organizzato al Dubai Expo 2020.
Ridurre le disuguaglianze attraverso le tecnologie: A Perspective on Disability Inclusive Development“, un evento virtuale co-organizzato da United Nations Department for Economic and Social Affairs (UN DESA), World Intellectual Property Organization (WIPO) e International Telecommunications Union (ITU), dalle 8:00 alle 9:30 am (NY time). 

Leadership delle nuove generazioni: bambini e adolescenti con disabilità e le loro voci post Covid-19“, un evento virtuale organizzato dall’Ufficio dell’inviato speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla disabilità e l’accessibilità, la professoressa Maria Soledad Cisternas Reyes, Città Unite e governi locali (UCLG) e co-sponsorizzato dalla Missione permanente del Cile alle Nazioni Unite. (redattoresociale.it)

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Disabilità, disegni di tutto il mondo: 1.500 opere arrivate all’Onu

Grande successo per la campagna #DrawDisability, lanciata dalle Nazioni Unite. I disegni sono stati esposti già in Corea e saranno in mostra a New York, dal 9 all’11 giugno, alla Conferenza degli stati della Convenzione Onu. C’è tempo fino al 15 luglio

Quasi 1.500 disegni per raccontare la disabilità, vista dai bambini e dai ragazzi: grande successo per la campagna “#DrawDisability”, lanciata nel dicembre scorso dalle Nazioni Unite (Prima iniziativa di Educazione globale del Segretariato generale, insieme a Osservatorio globale per l’inclusione). Un vero e proprio progetto artistico, oltre che un modo per incoraggiare il dialogo e incrementare la consapevolezza sulla disabilità e le tematiche a questa collegate, tra studenti e insegnanti. 

I bambini e i ragazzi di tutte le scuole del mondo, dalle elementari alle superiori (6-17 anni), sono stati invitati a rappresentare attraverso il disegno la disabilità, motoria, intellettiva o sensoriale. E in tanti hanno finora risposto all’invito, che è aperto fino al 15 luglio. Circa 750 disegni sono arrivati, fino ad oggi, dai bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni e pochi di meno dai ragazzi più grandi. I primi disegni sono stati esposti nei giorni scorsi, ad Incheon, in Corea del Sud, durante il World education forum, mentre la seconda esposizione avverrà a New York, dal 9 all’11 giugno, in occasione della Conferenza degli Stati parte della Convenzione. Dopo il 15 luglio, inizierà la selezione di tutti i disegni pervenuti: le 30 opere finaliste saranno esposte durante la 70a Assemblea generale delle Nazioni Unite. 

 “Il punto di vista dei bambini – spiegano i promotori – può mettere in evidenza le difficoltà e le sfide, così come i risultati e i successi che le persone con disabilità hanno incontrato e raggiunto nelle proprie comunità. Ci si aspetta che i disegni attivino ulteriori discussioni sull’inclusione delle persone con disabilità nelle diverse parti del mondo”. 

DRAWDISABILITY EXIBITION – VIDEO

Punto di riferimento e ispirazione della campagna è la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, rispetto alla quale, evidenziano i promotori, “molto resta ancora da fare. Tante persone con disabilità – spiegano – non hanno ancora la possibilità di far valere i propri diritti umani fondamentali, tra cui quello all’istruzione”. Ci sono infatti 58 milioni di bambini che non hanno accesso alla scuola: e la disabilità è una delle ragioni di questa esclusione. Le società devono creare un ambiente inclusivo e accogliente e sviluppare i valori della tolleranza, dell’empatia e del rispetto- spiegano gli organizzatori – Un modo per portare avanti questa prospettiva è quello di coinvolgere attivamente la comunità scolastica ricorrendo a una forma creativa di espressione, come l’arte del disegno. Se i bambini e i giovani sono informati e motivati rispetto al tema della disabilità, le loro percezioni e le azioni saranno in grado di cambiare la vita di milioni di persone, soprattutto di quelle con disabilità in tutto il mondo, sfidando stereotipi e atteggiamenti radicati . L’arte – concludono i promotori – è uno strumento narrativo per il cambiamento sociale”.Tutti i disegni sono pubblicati nel sito dedicato all’iniziativa.
(redattoresociale.it)

di Giovanni Cupidi

IBM, l’accessibilità al servizio delle disabilità (me ne occupai)

Nel 2012 venni incaricato, come consulente, della Facoltà di Economia dell’Università di Palermo di redigere un report e di predisporre un progetto per la implementazione e la verifica di servizi informatici del sito web della Facoltà rivolti agli studenti con disabilità. Nel lavoro svolto descrissi le leggi e normative relative al tema vigenti, lo stato attuale del sito della Facoltà e inoltre quali accorgimenti e tecnologie predisporre per allineare la piattaforma web alle leggi e ai protocolli obbligatori per garantire l’accessibilità, a seconda delle disabilità, agli studenti iscritti.
Potete trovare il mio lavoro qui: Implementazione e verifica dei servizi informatici dei siti web
A distanza di tre anni su wired.it viene pubblicato un articolo che tratta sia questi temi (che vi propongo in grassetto) che altri molto interessanti e innovativi.
Ve lo ripropongo per intero qui di seguito.
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La tecnologia può fare molto per le persone disabili. Come? Lo spiega Frances West, Chief Accessibility Officer di IBM

Ci sono oltre 1 miliardo di persone con diverse forme e gradi di disabilità nel mondo. Persone che ogni giorno si confrontano con ostacoli più o meno grandi, barriere architettoniche, ma anche culturali, che vanno abbattute. Barriere che la tecnologia può aiutare a smussare, appianare e livellare in molteplici modi.

Discorsi e problemi di questo tipo girano attorno a un concetto:accessibilità.
Parliamo della migliore articolazione di una tecnologia costruita col solo proposito di fare del bene, di avvicinare le differenze individuali, unire il talento sui luoghi di lavoro e migliorare la vita di tutti i membri di una società”, spiega Frances West,Chief Accessibility Officer di IBM.

Dopo aver passato oltre 10 anni alla direzione dello Human Ability and Accessibility Center, West e IBM sono costantemente alla ricerca di innovazioni capaci didemocratizzare sempre di più la tecnologia, dai processi che la animano alle esperienze che rende possibili, e di punti di contatto tra organizzazioni pubbliche e privateUnendo le forze possiamo aiutare ogni persona a realizzarsi, senza distinzioni ti età, abilità fisiche o capacità cognitive. Il risultato sarà un mondo più intelligente, connesso, inclusivo e accessibile. Per tutti”.

Come definirebbe la parola “accessibilità”

“Il termine riguarda la progettazione di soluzioni in grado di adattarsi senza soluzione di continuità alle capacità di qualsiasi persona e tramite qualunque device, allo scopo di rendere abitudini, interazioni e decisioni più facili e intuitive. Con più di un miliardo di persone con disabilità a livello globale, inclusa una fetta crescente di popolazione anziana, il bisogno di accessibilità cresce, e pone per le aziende la necessità di sviluppare diverse forme di customer experience, comunicazioni ottimizzate e interazioni personalizzate”.

Si tratta di concetti più legati alla costruzione fisica di un prodotto o all’interfaccia di utilizzo?

“Il design di un prodotto o la user interface (UI) possono essere più o meno pratici, ma possono non essere accessibili. Per questa ragione l’accessibilità deve essere integrata sin dal principio. Prodotti o applicazioni mal concepiti costituiscono una barriera per i disabili, mentre viceversa quelli ben congegnati sono più adatti anche per il mercato di massa. Per questo in IBM consideriamo l’accessibilità un funzione integrata alla costruzione dei prodotti: per aiutare i designer a sviluppare una conoscenza più profonda di come le disabilità fisiche, psichiche e cognitive influenzano le dinamiche di utilizzo”.

Può fare qualche esempio di prodotti o servizi accessibili

“L’accessibilità è un elemento fondante di soluzioni tecnologiche quali funzioni di riconoscimento vocale, text-to-voice (sistemi di lettura), sottotitoli o ingrandimento delle immagini, che permettono a uomini e macchine di interagire in modo efficiente e intuitivo. Abbiamo sviluppato, tra le altre cose, un sistema chiamato Easy Web Browsing, pensato per la navigazione semplificata e per consentire agli utenti di ingrandire testi e caratteri, cambiare i colori dello sfondo e ascoltare il computer leggere per loro ad alta voce”.

Ci sono tecnologie o piattaforme più funzionali di altre?

“Monitoriamo costantemente tutte le piattaforme, esistenti ed emergenti,dal cloud al social, dal mobile al computing cognitivo. Le app e i dispositivi mobili in particolare sono oggi più importanti che mai, anche in virtù della diffusione sempre più capillare e dell’uso sempre più pervasivo che se ne fa. IBM si rende per questo disponibile anche nei confronti di altre organizzazioni come guida in tema di accessibilità, fornendo liste di requisiti e specifiche per applicazioni web e mobile (sia iOS sia Android) in modo che gli sviluppatori possano contare su tutti gli strumenti necessari”.

Quali sono i compiti di un Chief Accessibility Office?

“Lavorare in questo campo significa non solo operare per una maggiore inclusione sui luoghi di lavoro ma anche nella direzione di una differenziazione strategica per quanto riguarda la user experience. Il mio team si impegna per ottenere nuovi e più alti standard di accessibilità, sensibilizzare e indirizzare in questo senso le politiche pubbliche, sviluppare tecnologie e soluzioni sempre più umano-centriche, aiutare il mercato a coltivare le capacità necessarie per affrontare le sfide che l’accessibilità pone”.

Quali Paesi e società sono più all’avanguardia in materia?

“Sono quelli i cui leader la considerano come una priorità. Apple è un ottimo esempio di compagnia che ha abbracciato appieno l’accessibilità, motivo per cui siamo felici della partnership che abbiamo in tema di sviluppo di soluzioni mobile per le imprese. Per quanto riguarda le nazioni invece, gli Stati Uniti possono contare sull’Americans with Disabilities Act (ADA), che compie 25 nel 2015 e che continua a mantenere alti standard e attenzione sul tema. Percorsi simili si ritrovano in Canada (con l’AODA), e nel Regno Unito (Equality Act 2010). La convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, che sancisce pieni diritti e libertà, incluso l’accesso alla tecnologia, allarga infine il discorso a livello globale e può aiutare molti Paesi a sviluppare ulteriori e più decise iniziative”.

Come fate a testare l’effettiva accessibilità dei prodotti?

“Abbiamo linee guida aziendali per ogni prodotto, servizio o app (mobile e interna). Siamo una compagnia globale, conforme a tutti gli standard riconosciuti, incluse le Linee guida per l’accessibilità dei contenuti Web (WCAG), con checklist e prove da parte degli utenti per testare i prodotti”.

Su quali soluzioni state lavorando al momento?

“Siamo concentrati sull’assistere i clienti nella gestione dei temi legati agli standard di accessibilità, sullo sviluppo di apprendimento e training a livello digitale, sulla semplificazione della user experience su più dispositivi e sulla creazione di un ambiente di lavoro orientato all’inclusione. Abbiamo inoltre appena rilasciato la Mobile Accessibility Checker, una lista per aiutare a capire se un’app ha delle falle in termini di accessibilità e per trovare le relative soluzioni. Infine, nuovi sistemi di sottotitolazione automatica sono inclusi nel pacchetto Media Captioner and Editor, come parte delle nostresoluzioni per la formazione”.

Qual è il prossimo passo? Come immagina il futuro dell’accessibilità?

“L’accessibilità diventerà sempre più diffusa e mainstream in futuro, con la creazione di sistemi context-driven, capaci dunque di intuire il contesto per comprendere gli schemi di fruizione delle notizie, le preferenze, le abitudini e le interazioni sociali, in modo da poter costruire esperienze personalizzate a seconda delle abilità di ognuno. L’accessibilità metterà al servizio delle persone un assistente personale, per supportarle durante le attività quotidiane, dallo shopping all’incontro coi medici, passando per l’orientamento e il movimento in una nuova città”.
(wired.it)

di Giovanni Cupidi

ONU: più tecnologia per battere la disabilità

La tecnologia come arma per favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità, per consentire loro più facilmente di avere un lavoro, per dar loro una migliore assistenza, per far sì che – in occasione di catastrofi, terremoti e più in generale gravi emergenze – non siano vittime predestinate ma possano avere la possibilità di mettersi in salvo e sopravvivere. È questo il tema che le Nazioni Unite hanno scelto per la prossima Giornata internazionale delle persone con disabilità, che come consuetudine si celebrerà il 3 dicembre.Per l’edizione 2014 la scelta è caduta sulla necessità di sottolineare l’importanza del ruolo della tecnologia, che “nel corso della storia umana ha sempre influenzato il modo in cui le persone vivono” e che oggi diventa cruciale per lo stesso futuro di oltre un miliardo di persone del mondo che vivono con una qualche forma di disabilità.
Nell’argomentare il tema 2014 – “Sviluppo sostenibile: la promessa della tecnologia” – l’Onu afferma che la tecnologia, fin dai tempi della rivoluzione industriale, “ha sollevato gli standard di vita delle persone in tutto il mondo e il loro accesso a beni e servizi”, che “è incorporata in ogni aspetto della vita quotidiana” e che “ha aumentato notevolmente la connettività tra le persone e il loro accesso alle informazioni”.

Se dunque la tecnologia ha cambiato “il modo di vivere, lavorare e giocare”, è anche vero che “non tutte le persone possono beneficiare dei progressi della tecnologia e dei più alti standard di vita”, dato che non tutti “hanno accesso alle nuove tecnologie” e non tutti “se le possono permettere”. La celebrazione della Giornata internazionale 2014 si pone dunque l’obiettivo di mettere in evidenza come la potenza della tecnologia possa promuovere l’inclusione e l’accessibilità “per contribuire a realizzare la piena ed equa partecipazione delle persone con disabilità nella società”. Una società in cui – viene ricordato – esse “devono affrontare non solo le barriere fisiche, ma anche le barriere sociali, economiche e comportamentali”. Se dunque finora “a dispetto del fatto di essere il più grande gruppo di minoranza del mondo”, il tema della disabilità “è rimasto in gran parte invisibile” nei processi di sviluppo tradizionale, ecco che la Giornata 2014 mira “ad aumentare la consapevolezza dei vantaggi che deriveranno dall’integrazione di persone con disabilità in ogni aspetto della vita politica, sociale, economica e culturale”.

In particolare, le Nazioni Unite scelgono di sottolineare tre diversi ambiti nei quali la tecnologia può far fare passi da gigante all’inclusione sociale delle persone disabili. Il primo ambito richiama gli obiettivi di sviluppo globali in campo ambientale, economico e sociale: “La giornata – viene spiegato – può essere utilizzata per promuovere l’impatto e i benefici della tecnologia assistiva, degli adeguamenti tecnologici e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione accessibili, che migliorano il benessere e l’inclusione delle persone con disabilità”.

Il secondo ambito riguarda la riduzione dei rischi in caso di disastri e le risposte in situazione di emergenza. “Le statistiche – viene spiegato – mostrano che il tasso di mortalità delle persone con disabilità in una popolazione che vive una situazione di disastro è maggiore da due a quattro volte rispetto a quello della popolazione non disabile”. Le persone con disabilità, quindi, “sono sproporzionatamente colpite” in caso di disastri, catastrofi, emergenze, conflitti, e nelle successive operazioni di recupero e di salvataggio, anche “a causa di un’evacuazione inaccessibile”. La Giornata dunque “sarà utilizzata per evidenziare le tecnologie disponibili” per ridurre le conseguenze di catastrofi ed emergenze e “per sottolineare l’importanza di rendere questa tecnologia accessibile a tutti”. Inoltre, viene specificato, verrà esplorato il potenziale delle tecnologie di comunicazione e informazione, ad esempio nei casi “di preallarme, di localizzazione e di gestione di applicazioni che potrebbero salvare la vita delle persone con disabilità in situazioni di calamità e di emergenza”.

Terzo e ultimo ambito è quello della creazione di ambienti di lavoro accessibili e inclusivi. L’Onu ricorda che le persone disabili “spesso non sono considerate nel mondo del lavoro” a causa di percezioni negative sulla loro capacità lavorativa o in ragione dell’alto costo necessario per rendere accessibili i luoghi di lavoro. “I datori di lavoro – viene spiegato – non sono a conoscenza del prezioso contributo che le persone con disabilità possono portare sul posto di lavoro attraverso l’utilizzo di tecnologie assistive e di altre misure di adattamento ragionevoli: “Con l’utilizzo delle tecnologie giuste, le persone con disabilità sono in grado di svolgere pienamente il loro lavoro”, viene spiegato, sottolineando il fatto che “quando i datori di lavoro si impegnano a individuare e eliminare gli ostacoli all’occupazione, promuovono una cultura del lavoro” che “consente alle persone con disabilità di essere trattate con dignità e rispetto e di godere di parità di termini e condizioni di occupazione”. La Giornata internazionale 2014, dunque – è il suggerimento – può essere utilizzata per richiamare l’attenzione sulle tecnologie disponibili e sulle misure che possono essere adottate per creare ambienti di lavoro che siano aperti, inclusivi e accessibili, in modo da consentire alle persone con disabilità di partecipare pienamente”(avvenire.it)

Autismo, la Giornata della consapevolezza per una cultura della “neuro-varietà”

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Domani si celebra in tutto il mondo un giorno per sensibilizzare e riflettere su una patologia verso la quale non bastano più soltanto provvedimenti di assistenza. Il Light it up blue: una luce blu che accende i più famosi monumenti del mondo: la Piramide di Cheope, l’Empire State Building, l’Arco di Costantino, il David di Donatello, la Mole Antonelliana, Montecitorio

Il 2 Aprile ricorre la settima Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, un momento di sensibilizzazione culturale e riflessione sulle peculiarità e i percorsi di vita delle persone autistiche. Per l’integrazione, contro l’isolamento  e i pregiudizi che circondano le intelligenze atipiche. Light it up blue: una luce blu che accende i più famosi monumenti del mondo: la Piramide di Cheope, l’Empire State Building, l’Arco di Costantino, il David di Donatello, la Mole Antonelliana, Montecitorio, per citarne solo alcuni; e che vuole alimentare in tutta l’umanità la consapevolezza sulle caratteristiche, le difficoltà, i bisogni di coloro che vivono la condizione dello spettro autistico, una neurodiversità sempre più diffusa. Voluta dalle Nazioni Unite , la settima edizione della giornata vedrà snodarsi numerosissime manifestazioni: convegni, campagne di sensibilizzazione, flash mob (a Roma quello su autismo e lavoro, in piazza del Campidoglio), rassegne cinematografiche e proiezioni,- da segnalare il film di Carlo Zoratti “The special need” che ruota attorno al delicato tema dei diritti sessualì dei disabili, con la storia dolce amara di un adulto autistico e del suo desiderio di avere-come tutti- una relazione affettiva completa.

Per una cultura della neuro varietà. L’autismo è una condizione permanente sempre più diffusa: secondo una recente ricerca negli Usa colpisce 1 bambino ogni 68; in Europa soffrono di questa sindrome più di cinque milioni di persone di cui circa 680 mila in Italia. Le diagnosi sono aumentate di oltre il 30% in due anni. -L’incremento è dovuto prevalentemente a un affinamento dei metodi diagnostici- afferma il neuropsichiatra Riccardo Alessandrelli, co-fondatore dell’associazione CulturAutismo. “L’individuazione delle forme più lievi-afferma Alessandrelli- in virtù di risorse intellettive integre e particolari talenti, ha portato a una lettura della sindrome in senso maggiormente funzionale e evolutivamente favorevole, con la definizione di “Condizione di Spettro”, contrapposta a quella di malattia. 

Le loro facoltà sono risorse. Questi individui – che pur avendo problemi nelle competenze relazionali riescono, se seguiti, ad assimilare le più importanti regole sociali – potrebbero tradurre le loro facoltà in potenziali risorse per loro stessi, ma anche molto utili alla collettività, se adeguatamente supportati da terapie congrue e compresi nella loro originalità; altrimenti vengono condannati alla dipendenza dalle famiglie di origine e alla deriva sociale. Un potenziale inutilmente sprecato”. 

L’integrazione non è a senso unico. Se l’autismo è una vera e propria emergenza, vuol dire che milioni di persone, con stili cognitivi e percettivi diversi, devono dialogare con la maggioranza neuro tipica; ma “l’integrazione non è un processo a senso unico, una concessione da parte delle comunità più forti alle più deboli, ma un gioco dialettico di modellamento reciproco, in cui entrambi le parti vengono chiamate a interagire per realizzare un guadagno: morale, culturale, ma anche finanziario”, sottolinea la dott. ssa Cinzia Raffin, presidente della Fondazione Bambini autismo di Pordenone. “Nell’attuale organizzazione sociale e lavorativa tutto è orientato ad agevolare o aiutare le persone “diverse” ad adattarsi al mondo “normale”, senza che quest’ultimo debba minimamente attuare dei cambiamenti su di sé”, aggiunge la dottoressa. Spesso neppure in direzione di una maggiore conoscenza del problema 

Un mondo per neuro-tipici. Terapie per raggiungere l’autonomia lavorativa familiare e affettiva. In un mondo fatto da e per neurotipici, vuol dire abbattere barriere che non sono solo ambientali o architettoniche. In Italia il modello prevalente rimane assistenzialistico e le responsabilità sono scaricate sulle famiglie. Inoltre, secondo Davide Moscone, presidente di Spazio Asperger, le stesse professioni sanitarie non hanno una adeguata conoscenza delle forme più lievi, come l’Asperger, spesso confuse con altre problematiche di tipo psichiatrico o proprie dell’età evolutiva, che possono tuttavia coesistere insieme alla diagnosi primaria. Spesso proprio perché la primaria non è stata precocemente riconosciuta e trattata. Altro dato sconfortante è la mancanza, nel pubblico, di interventi e i programmi indicati come specifici per l’autismo, di tipo cognitivo-comportamentale (ABA, TEACCH) e la CAA (comunicazione alternativa e aumentativa). Le famiglie, allora, se possono permetterselo, devono ricorrere a privati. 

Autismo e lavoro: il modello di Pordenone. Il tema di autismo e lavoro è diventato per laFederazione Autismo Europa, il motto della campagna 2014: se è difficile che un ragazzo ‘neurotipico’ trovi un’occupazione, per un ragazzo rientrante nello spettro è quasi impossibile: di questi solo il 10% lavora dopo i 20 anni, un altro 10% frequenta la scuola o un corso di formazione; mentre ben il 50% si limita a frequentare un centro diurno dove si svolgono laboratori ludico ricreativi o di interesse culturale e il 21,7% sta a casa. Le tipologie di “inserimento lavorativo” presenti in Italia, quali i laboratori protetti e il collocamento mirato, regolato in Italia dalla legge 68/99,  sono un quasi totale fallimento per le persone con autismo. Che nelle forme più lievi può non ricevere alcun riconoscimento di invalidità, visto che i soggetti hanno notevoli autonomie e un buon- a volte alto-livello cognitivo. 

L’Officina dell’Arte. “Questi dati rappresentano la sconfitta, nei casi di autismo, dei modelli tradizionali di inserimento lavorativo e insieme una sfida cui aderire come dovere civile”, afferma la dottoressa Raffin. Gli sforzi non possono andare solo nella direzione della “normalizzazione” della persona autistica. La Fondazione Bambini autismo di Pordenone ha quindi realizzato un progetto pilota in cui lavoro, vita sociale, residenzialità si integrino proponendo ambienti e organizzazioni coerenti. Il progetto prevede l’Officina dell’Arte e un percorso di residenzialità: Vivi la città. Nell’Officina dell’Arte maestri mosaicisti formano sulle tecniche di lavorazione del mosaico, il personale sanitario forma i maestri mosaicisti sulle modalità più congrue di interagire con i lavoratori e aiutano quest’ultimi nell’apprendimento di abilità di interazione sociale. Come si può notare visitando il sito web dell’organizzazione si creano manufatti eccellenti, in un ambiente costruito su misura per le persone con autismo e in presenza di “colleghi di lavoro” non di “assistenti”. Durante le pause i lavoratori raggiungono la villa in cui risiedono e si distribuiscono i compiti. Al termine della giornata inizia il programma “Vivi la città” con tutto ciò che questo comporta in termini di integrazione (poter uscire o poter rimanere a casa, andare al pub, fare shopping, fare la spesa, cenare al ristorante. 
(repubblica.it)

di Giovanni Cupidi

PER “UNO SVILUPPO INCLUSIVO DELLA DISABILITÀ”: APPROVATO A NEW YORK IL DOCUMENTO FINALE

Si chiude il “meeting di alto livello” sulla disabilità, si apre l’Assemblea generale della Nazioni Unite. A firmare il documento, presente anche il ministro Giovannini: “Il governo italiano sta facendo passi avanti, come il programma biennale”

Si è svolto ieri, a New York, il “meeting di alto livello” sulla disabilità, che ha aperto la 68° Assemblea delle Nazioni Unite. “a strada da seguire: un’agenda per lo sviluppo inclusivo della disabilità, verso il 2015 e oltre” è stato il tema introno al quale si sono confrontati, prima in plenaria poi divisi in due gruppi di lavoro, i delegati dei diversi Stati: rappresentanti delle istituzioni, ma anche delle associazioni e delle organizzazioni di disabili. E’ stato discusso e firmato dai partecipanti il documento finale proposto dal Presidente dell’Assemblea generale, che riafferma l’urgenza di rafforzare l’inclusione delle persone disabili nei processi di sviluppo e di cooperazione. “Era presente, tra gli altri, il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Enrico Giovanni, che ha definito le persone con disabilità “non un problema, ma un capitale umano”. Negli ultimi mesi, “il governo italiano ha compiuto passi avanti”, ha detto ancora il ministro, ricordano in particolare l’approvazione, nel giugno scorso, del Programma d’azione biennale per la disabilità. “Abbiamo rifinanziato il fondo per l’occupazione e l’assunzione dei disabili – ha aggiunto – che era stato azzerato dal governo precedente”. Tale fondo ammontava “in passato a 40 milioni di euro, poi è diventato di 2 milioni e ora è tornato a 22. Non possiamo investire di più per ora, vista la crisi, in tutto il settore del lavoro”, ha precisato il ministro, ribadendo però che non si deve correre “il rischio che i disabili vengano ghettizzati. Mi sono reso conto – ha concluso – che tanti Paesi guardano all’esperienza italiana come a un esempio”.
Tra i contributi portati all’Onu dalle diverse organizzazioni, c’è l’ultimo video della campagna “Say yes to inclusion”, realizzato promosso dall’organizzazione “End Exclusion”. Si tratta di una campagna mondiale per l’inclusione delle persone disabili nella lotta contro la povertà, nell’ambito della quale si stanno realizzando e pubblicando video provenienti da tutto il mondo. “Le persone hanno dato il loro supporto – si spiega nel video – scattando fotografie e girando video in cui danno il segno ‘sì’nella loro lingua dei segni locale”. Da febbraio – data di avvio della campagna, “abbiamo raccolto 15mila contributi, tra foto e video – riferiscono gli organizzatori – da 62 paesi diversi”.
(superabile.it)

di Giovanni Cupidi

Onu: Lunedì riparte la lotta a tutela dei disabili

Nel quadro dell’Assemblea generale, per abbattimento barriere

Lunedì 23 settembre l’Assemblea generale dell’Onu si concentrerà sui diritti delle persone con disabilità e fin da oggi i rappresentanti di Ong da quattro continenti sono a New York per chiedere lo smantellamento delle barriere architettoniche, quelle fisiche e quelle invisibili ma altrettanto drammatiche che limitano l’accesso alle opportunità.
“Niente su di noi senza di noi” è lo slogan delle ong – fra cui “Light of the world”, (http://www.light-for-the-world.org)che tutelano le persone disabili, la più grande ‘minoranza’ del mondo, un miliardo di persone che incontrano gravi difficoltà nella vita quotidiana; persone spesso emarginate e costrette a vivere in semiclandestinità; e anche nei ricchi paesi occidentali, spesso costrette a vedere minimizzate le loro esigenze. Come dice il maratoneta cieco kenyano Henry Wanyoike: “Nessuno credeva in me quando ho voluto battere il record del mondo anche se era diventato cieco. Anche io perdevo fede in me stesso. Ma non siamo disabili, siamo molto abili quando abbiamo l’opportunità”.
Lunedì prossimo, i leader del mondo al Palazzo di Vetro dovranno ribadire e rafforzare il loro impegno affinché tutti i bambini disabili possano frequentare la scuola e siano assistiti dai programmi anti-povertà. Ieri, parlando con i giornalisti, Daniela Bas, direttore della Divisione per le politiche sociali e lo sviluppo dell’Un-Desa, il dipartimento degli affari sociali dell’Onu, ha ricordato che le Nazioni Unite chiedono alla comunità internazionale di adoperarsi per la piena applicazione degli Obbiettivi del Millennio alle persone disabili e per la loro partecipazione alla società e allo sviluppo anche oltre il 2015. L’incontro di lunedì – preparato con la partecipazione di Unicef, Oms e altre agenzie Onu – dovrà produrre un documento per sostenere gli obbiettivi della Convenzione sui Diritti delle persone con Disabilità. La Convenzione è stata ratificata da 127 paesi nel mondo e dalla Unione Europea: i paesi ratificatori sono tenuti a promuovere la piena eguaglianza e la piena partecipazione alla società delle persone disabili.
Come ha scritto il più celebre dei ‘disabili’, il fisico inglese Stephen Hawking nella prefazione al primo Rapporto Mondiale sulla disabilità, “I governi del mondo non possono più ignorare le centinaia di migliaia di persone con disabilità che si vedono negare l’accesso alla salute, alla riabilitazione, all’istruzione e al lavoro”.
(tmnews.it)

di Giovanni Cupidi

Discriminazioni e lavoro: importante Sentenza dall’Europa

 

È certamente destinata a diventare una “pietra miliare” nell’ordinamento europeo riguardante le discriminazioni fondate sulla disabilità, ma potrà anche avere notevoli ricadute sulla legislazione del nostro Paese, una recente Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha affrontato temi fondamentali come quelli della “nozione di handicap” e delle “soluzioni ragionevoli”. Vediamone le caratteristiche

Con un’importante Sentenza dell’11 aprile scorso, che costituirà certamente una “pietra miliare” sul tema, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affrontato il tema della nozione di handicap e di “soluzioni ragionevoli”, nell’ambito delle discriminazioni per disabilità (Cause Riunite C-335/11 e C-337/11, HK Danmark). L’occasione è stata originata dalle questioni pregiudiziali poste dal Giudice del Rinvio danese, nell’àmbito di un’azione giudiziaria promossa dal Sindacato HK Danmark, in nome e per conto di due lavoratrici le quali, a causa di dolori cronici non trattabili, si erano assentate per periodi prolungati, con conseguente risoluzione del rapporto lavorativo da parte dei rispettivi datori di lavoro. Assenze determinate anche dal mancato accoglimento da parte datoriale della richiesta delle lavoratrici di poter svolgere la prestazione a tempo parziale, essendo questa l’unica modalità di espletamento della prestazione compatibile con la propria condizione soggettiva. Il problema interpretativo riguarda quindi la nozione di “soluzioni ragionevoli”, prevista dall’articolo 5 della Direttiva 2000/78 del Consiglio dell’Unione Europea [“che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”, N.d.R.], per verificare se questa sia comprensiva anche di modifiche all’organizzazione del lavoro e, nello specifico, all’orario di lavoro. Tesi, questa, contrastata dai datori di lavoro, sostenitori di un’interpretazione restrittiva della fattispecie, evidentemente limitata a profili di carattere logistico e di accessibilità degli ambienti e degli strumenti. Altro profilo affrontato nella Sentenza di cui si parla riguarda la non computabilità delle assenze per una malattia che sia conseguenza di un handicap, ai fini del superamento del periodo di astensione dal lavoro che determina il licenziamento, pena la discriminatorietà dello stesso. Interpretazione avversata anche in questo caso dai datori di lavoro, secondo i quali tale stato di malattia non rientrerebbe nella nozione di handicap, ai sensi della citata Direttiva 2000/78. Le due questioni pregiudiziali poste dal Giudice del Rinvio danese hanno rappresentato pertanto un’occasione importante, per la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, di fare il punto sulle tecniche di tutela che l’ordinamento europeo offre in materia di discriminazioni per disabilità.

Nozione di handicap

Non essendo la nozione di handicap definita nella Direttiva 2000/78, il Giudice Nazionale chiede alla Corte Europea se essa debba essere interpretata nel senso di comprendere lo stato di salute di una persona che – a causa di menomazioni fisiche, mentali o psichiche – non possa svolgere la propria attività lavorativa, o se possa farlo solo in modo limitato, per un periodo di tempo probabilmente lungo o in modo permanente. E si chiede anche se la natura delle misure che il datore di lavoro deve adottare sia determinante al fine di ritenere che lo stato di salute di una persona sia riconducibile alla nozione di handicap. Non è per altro questa la prima volta in cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si pronuncia sulla nozione di handicap. Infatti, sullo stato di malattia che determina lunghi stati di assenza e sulla riconducibilità di esso alla nozione di handicap, vi era già stato un pronunciamento nel Caso Chacón Navas/Eurest Colectividades SA del 2006 (Causa C-13/05). In quella situazione, la Corte aveva adottato un atteggiamento prudenziale, affermando che il legislatore europeo, nell’adottare il termine handicap e non malattia, ha compiuto una scelta consapevole, da cui va esclusa un’assimilazione pura e semplice delle due nozioni. Ne deriva che la malattia non rientra nel quadro generale stabilito dalla Direttiva 2000/78 per la lotta contro la discriminazione fondata sull’handicap e, quindi, non può essere considerata un motivo da aggiungere a quelli elencati dalla direttiva stessa. Al tempo stesso, però, la Corte aveva espresso un principio importante, affermando che la Direttiva adotta il termine handicap, ma non ne fornisce una definizione, e nemmeno ne fa rinvio al diritto degli Stati Membri. In base quindi al principio dell’applicazione uniforme del diritto comunitario e a quello di uguaglianza, la nozione di handicap dev’essere oggetto di un’interpretazione autonoma e uniforme nell’intera Comunità, tenendo conto del contesto della disposizione e delle finalità della normativa di cui trattasi. Nel 2006, perciò, la Corte aveva interpretato l’articolo 1 della Direttiva, qualificando l’handicap come «le limitazioni che risultano da lesioni fisiche, mentali o psichiche e che ostacolano la partecipazione della persona alla vita professionale», ponendo in rilievo, in un altro punto della decisione, «la lunga durata dello stato limitante da cui è affetta la persona con handicap». Nella recente Sentenza dell’11 aprile scorso, invece, la Corte sembra abbracciare un’interpretazione più orientata sulle conseguenze dello stato di salute, affermando che la nozione di handicap ai sensi della Direttiva 2000/78 «include una condizione patologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile, qualora tale malattia comporti una limitazione di lunga durata, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che – interagendo con barriere di diversa natura – possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori».

Soluzioni ragionevoli

La seconda questione concerne l’interpretazione delle cosiddette “soluzioni ragionevoli”, che trovano la loro definizione nell’articolo 5 della più volte citata Direttiva 2000/78, ove si dispone che «il datore di lavoro» prenda «i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili». Alla luce di ciò, il giudice del rinvio chiede se la riduzione dell’orario di lavoro possa annoverarsi tra le “soluzioni ragionevoli”, qualora sia l’unica possibilità che consentirebbe alla persona di lavorare. Si tratta di una questione di assoluta importanza per l’Italia, perché proprio sulla (mancata) trasposizione della norma sulle soluzioni ragionevoli, il nostro Paese è stato deferito alla Corte di Giustizia Europea. In pratica, nella causa – allo stato attuale pendente innanzi i Giudici Europei (Causa C-312/11) – la Commissione Europea ha chiesto di dichiarare che «la Repubblica italiana, non imponendo a tutti i datori di lavoro l’obbligo di prevedere soluzioni ragionevoli applicabili a tutti i disabili, è venuta meno all’obbligo di recepire correttamente e completamente l’articolo 5 della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro».

Tornando alla Sentenza dell’11 aprile scorso, di cui si sta parlando, va rilevato che la Corte di Giustizia Europea ha interpretato la Direttiva 2000/78 in base ai princìpi contenuti nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, approvata con la Decisione 2010/48/CE del Consiglio del 26 novembre 2009. Ed è anche sulla base del richiamo ai princìpi espressi nella Convenzione ONU che i Giudici di Lussemburgo forniscono un’interpretazione ampia del concetto di “soluzione ragionevole”, affermando che esso «deve essere inteso come riferito all’eliminazione delle barriere di diversa natura che ostacolano la piena ed effettiva partecipazione delle persone disabili alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori». Ebbene, i princìpi espressi nella Direttiva 2000/78 e nella Convenzione ONU fanno riferimento a soluzioni non solo materiali, ma anche organizzative, con la conseguenza che anche la riduzione dell’orario di lavoro può costituire uno dei provvedimenti di adattamento. Spetta comunque al Giudice Nazionale di valutare se la misura in discorso rappresenti un onere sproporzionato per il datore di lavoro.

In conclusione, questa decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea potrà avere senz’altro ricadute notevoli anche nel nostro ordinamento, soprattutto nelle more del citato giudizio in corso nell’àmbito della procedura di infrazione contro l’Italia. Infatti, i criteri interpretativi indicati dai Giudici Europei in materia di soluzioni ragionevoli, unitamente alle tecniche di tutela che il diritto antidiscriminatorio prevede, imporranno un adeguamento nelle modalità di avviamento al lavoro delle persone con disabilità, anche quando ciò avvenga mediante le procedure del collocamento mirato. Tali procedure, infatti, nel dare piena attuazione all’articolo 2 della Legge 68/99, che impone la ricerca del “posto adatto” per ogni singola persona con disabilità, dovranno consentire l’adozione di misure non solo materiale, ma anche organizzativo, fermo restando il rispetto della loro “ragionevolezza”

(http://www.superando.it)

Governo e Parlamento, la disabilità sta aspettando

Questo articolo è stato pubblicato sul corriere.it qualche  giorno fa all’insediamento del nuovo Governo Letta. Da leggere attentamente!

di Franco Bomprezzi

Finalmente ci siamo. Quasi. Un Governo politico sta per iniziare a guidare il Paese. Non ricordo neppure più quale sia l’ultimo tema affrontato e poi mollato per strada, a proposito di politiche per la disabilità. Il paradosso è che in molti hanno preferito, in questi mesi, l’assoluta mancanza di decisioni politiche, così sono stati evitati, o almeno rinviati, ulteriori danni, oltre a quelli già inferti con i drastici tagli a qualsiasi finanziamento destinato a sostenere gli interventi in favore delle persone con disabilità e delle famiglie. Provo dunque, modestamente e senza alcuna pretesa di esaurire l’agenda del nuovo Parlamento, a elencare alcuni punti che sono in sospeso da tempo immemorabile. Non so quanto durerà questa legislatura, ma mi sono accorto – qualcuno mi smentisca – che la parola “disabilità” è risuonata assai raramente nel concitato dibattito politico di questi mesi. Una rinfrescatina della memoria dunque non guasta.

Il fondo per la non autosufficienza: vi dice niente? Mi pare che siamo rimasti al palo. Anche perché non sono mai stati definiti i criteri per la ripartizione dei pochi fondi, e per l’implementazione di un finanziamento fondamentale per venire incontro alla situazione drammatica di migliaia di famiglie nelle quali vivono, fra mille sacrifici, persone con disabilità grave e gravissima.

Anche la parola “caregiver” probabilmente dice poco. Eppure c’è una battaglia che si è arenata sulle secche dello scioglimento anticipato del Parlamento, per vedere riconosciuto almeno il ruolo di chi è di fatto l’unico autentico baluardo umano a difesa della dignità e dell’esistenza in vita delle persone con grave disabilità. Si possono discutere i dettagli, ma sarebbe un delitto ricominciare da capo.

La “vita indipendente”? Proverei a fare un test ai nuovi parlamentari, e temo che in pochi sappiano che stiamo parlando di una legge dello Stato, che prevede la promozione di progetti, finanziati in modo adeguato, che consentano alle persone con disabilità di vivere la propria esistenza in modo autonomo, non dovendo ricorrere per forza a forme di residenzialità assistita, ma costruendosi un presente e un futuro dignitoso e libero. Non mi soffermo sui dettagli. E’ tutto sulla carta, ormai, anche laddove si era riusciti a partire con esperimenti positivi. Non c’è di peggio, lo sappiamo, delle docce scozzesi: come il dover rinunciare alla libertà dopo averla sperimentata.

Se poi dico “Liveas” temo che in molti, fra Camera e Senato, sgraneranno gli occhi e cercheranno di prendere tempo, per consultare almeno google o wikipedia. Sono i “livelli essenziali di assistenza sociale”, fondamentali per definire una volta per tutte quali prestazioni sociali sono vincolanti sul territorio nazionale, e dunque in ogni Regione. Peccato che tuttora non esistano, nonostante siano previsti per legge da anni. Senza di loro ognuno può fare come crede, e infatti la scelta più diffusa è quella di fare il minimo possibile, se non addirittura un bel nulla.

“Nomenclatore tariffario” non è un insulto, ma si tratta dello strumento, fermo da oltre un decennio, che consente di autorizzare gli ausili e le protesi, ossia gli strumenti più idonei, moderni e appropriati per ridurre il deficit delle persone con disabilità. Basti pensare che tuttora mancano in questo elenco le novità tecnologiche digitali degli ultimi anni. Un rapido ripensamento di questo strumento servirebbe, fra l’altro, a ridare ossigeno a un buon numero di aziende che lavorano ormai in stato di asfissia.

“Inclusione scolastica”: già. Ovvero le nozze con i fichi secchi. La capacità mostruosa degli ultimi governi di barare con i numeri, aumentando gli alunni per classe e spalmando le ore di lavoro di insegnanti di sostegno, spesso demotivati, non adeguatamente formati, alle prese con situazioni complesse e senza alcuna reale collaborazione dall’intero mondo della scuola. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è che gli alunni con disabilità vivono in condizioni evidenti – molto spesso – di emarginazione e di esclusione, senza alcun progetto reale costruito sulla persona, come una delle più avanzate legislazioni europee in materia – ossia la nostra – prevederebbe. Perché non pensare ad esempio, da subito, a una formazione intensiva degli insegnanti curriculari e non solo degli insegnanti di sostegno?

Il lavoro poi: ormai è quasi una chimera persino per giovani con disabilità che si laureano a pieni voti. E’ incredibile il livello di pregiudizio che sta “pregiudicando” la possibilità di inserimenti lavorativi anche laddove la legge, venendo incontro in termini di agevolazioni contributive e fiscali, potrebbe essere uno strumento prezioso per le aziende e un’occasione importante per far uscire molte famiglie dalla assoluta necessità di ricevere interventi assistenziali e pensionistici. Diecimila nuovi lavoratori con disabilità sono altrettante pensioni di invalidità risparmiate dallo Stato: assai più della lotta ai “falsi invalidi”.

Ma soprattutto spero che Governo e Parlamento affrontino questi temi senza l’ossessione del taglio di spesa a tutti i costi. Il risultato disastroso di questo atteggiamento, negli ultimi anni, ha comportato solo macerie sociali e nuova povertà, creando angoscia, se non disperazione, in famiglie dignitose che cercano comunque di cavarsela, o si rivolgono a Comuni, Province e Regioni che spesso si rimpallano la responsabilità di non avere fondi sufficienti per la gestione dei servizi.

C’è solo un modo, serio e corretto, di affrontare i temi della disabilità: rivolgersi a chi ne sa di più. Le competenze esistono e sono consolidate, persino nei ministeri. Ma soprattutto nelle associazioni, piccole e grandi, che hanno maturato finalmente una visione globale dei diritti, grazie anche alla lettura attenta della Convenzione Onu.

Niente su di noi senza di noi: questo monito, ripetutamente espresso dai rappresentanti più illuminati dell’associazionismo italiano ed europeo, va tenuto presente soprattutto adesso, quando si comincia, in Parlamento e nel Governo, a lavorare sul complesso delle politiche sociali ed economiche. Sarebbe grave, dopo tanto silenzio, scoprire che si ricomincia da capo, come fossimo eternamente all’anno zero.