Disability Card, l’elenco delle categorie a cui spetta

La Carta della Disabilità è una tessera che permette l’accesso alle persone disabili a tutta una serie di servizi gratuiti o scontati. Ecco a chi spetta

La Carta europea della disabilità si colloca tra le misure adottate su base volontaria dagli Stati membri per il raggiungimento di obiettivi strategici dell’Unione Europea 2010-2020 in materia di disabilità. E’ una tessera che permette l’accesso alle persone con disabilità a tutta una serie di servizi gratuiti o scontati, in coerenza e reciprocità con gli altri Paesi dell’UE, per contribuire alla piena inclusione delle persone con disabilità nella vita sociale delle comunità.

Il Decreto del 6 novembre 2020 del Presidente del Consiglio dei ministri Draghi di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Orlando, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Giovannini, e il Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Franceschini definisce i criteri per il rilascio della Disability Card in Italia determinando le modalità per l’individuazione degli aventi diritto e per la sua realizzazione e distribuzione.

Video da quifinanza.it
Come ottenere servizi gratis o sconti

La presentazione della Disability Card esonera dall’esibizione di altre certificazioni che attestino l’appartenenza alle categorie disabili ammesse e consente direttamente l’accesso agevolato a beni o servizi. I titolari della Carta possono ottenere le agevolazioni previste esibendola, senza ulteriori formalità o richieste da parte di Amministrazioni dello Stato o dei soggetti pubblici e privati che hanno sottoscritto le convenzioni, salvo la verifica della titolarità.

Le agevolazioni sono attivate mediante protocolli d’intesa o convenzioni tra l’Ufficio per le politiche a favore delle persone con disabilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e i soggetti pubblici o privati, coerenti con i requisiti e le finalità dell’iniziativa.

Come avere la Disability Card e chi la rilascia

La Carta viene rilasciata dall’INPS e attesta i soggetti in condizione di disabilità o non autosufficienti. Il decreto attribuisce il ruolo chiave all’INPS di verifica della corrispondenza delle informazioni rese nella domanda del cittadino ai requisiti richiesti sulla base dei dati disponibili presso i propri archivi.

Una volta accertato il possesso dei requisiti richiesti, l’Istituto affida la produzione della Disability Card, secondo la normativa che disciplina la produzione delle carte valori e dei documenti di sicurezza, all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e, attraverso un gestore esterno del servizio di consegna, provvede, nei 60 giorni successivi alla richiesta, alla distribuzione della Carta ai richiedenti presso l’indirizzo di recapito.

L’elenco delle categorie che possono richiedere la Disability Card

La Disability Card verrà rilasciata dall’Inps a tutti i soggetti in condizione di disabilità, media, grave e di non autosufficienza.
Si attendono tutti i dettagli che verranno specificati nei prossimi mesi, ma intanto è possibile ipotizzare uno schema elaborato dal Centro Studi Giuridici Handylex, suggerito anche sul sito ufficiale della Disability Card e quindi da considerarsi attendibile, salvo ulteriori modifiche:

Invalidi civili di età compresa tra 18 e 65 anni:
– disabili medi: Invalidi 67=>99%
– disabili gravi: Inabili totali
– non autosufficienti: Cittadini di età compresa tra 18 e 65 anni con diritto all’indennità di accompagnamento

Invalidi civili minori di età:
– disabili medi: Minori di età con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni propri della loro età (diritto all’indennità di frequenza)
– disabili gravi: Minori di età con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età e in cui ricorrano le condizioni di cui alla L. 449/1997, art. 8 o della L. 388/2000, art. 30
– non autosufficienti: Minori di età con diritto all’indennità di accompagnamento

Invalidi civili ultra 65enni:
– disabili medi: Ultra 65enni con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni propri della loro età, invalidi 67=>99%
– disabili gravi: Ultra 65enni con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni propri della loro età, inabili 100%
– non autosufficienti: Cittadini ultra 65eni con diritto all’indennità di accompagnamento

ciechi civili:
– disabili medi: Art 4 L. 138/2001
– disabili gravi: Ciechi civili parziali
– non autosufficienti: Ciechi civili assoluti

sordi civili:
– disabili medi: Invalidi Civili con cofosi esclusi dalla fornitura protesica
– disabili gravi: Sordi pre-linguali

INPS:
– disabili medi: Invalidi (L. 222/84, artt. 1 e 6 – D.Lgs. 503/92, art. 1, comma 8)
– disabili gravi: Inabili (L. 222/84, artt. 2, 6 e 8)
– non autosufficienti: Inabili con diritto all’assegno per l’assistenza personale e continuativa

INAIL:
– disabili medi: Invalidi sul lavoro 50=>79% e 35=>59 %
– disabili gravi: Invalidi sul lavoro 80=>100% e  >59%
– non autosufficienti: Invalidi sul lavoro con diritto all’assegno per l’assistenza personale e continuativa e Invalidi sul lavoro con menomazioni dell’integrità psicofisica

INPS gestione ex INPDAP:
– disabili medi: Inabili alle mansioni
– disabili gravi: Inabili (L. 274/1991, art. 13 – L. 335/95, art. 2)

Trattamenti di privilegio ordinari e di guerra:
– disabili medi: Invalidi con minorazioni globalmente ascritte alla terza ed alla seconda categoria Tab. A DPR 834/81 (71=>80%)
– disabili gravi: Invalidi con minorazioni globalmente ascritte alla prima categoria Tab. A DPR 834/81 (81=>100%)
– non autosufficienti: Invalidi con diritto all’assegno di superinvalidità (Tabella E allegata al DPR 834/81)

Handicap:
– disabilità grave: Art 3 comma 3 L.104/92.

(quifinanza.it)

Recovery plan e disabilità: nuove risorse e lacune antiche

Sulla disabilità che cosa esprime il PNRR? Chi ha redatto il Piano dimostra di conoscere gli elementi portanti della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 che spazia dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. Tuttavia, il “tema” disabilità è sostanzialmente confinato nella missione sull’inclusione sociale. Anzi, in una parte di quella missione

Inquadriamo lo scenario usando la stessa sintassi governativa. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, lo strumento predisposto a Bruxelles per rispondere alla crisi provocata dalla pandemia da Covid-19. È strettamente necessario che il Piano sia elaborato in modo congruente alle richieste UE per poter contare su un contributo mai visto e che sfiora i 200 miliardi. Il Governo Conte ne aveva elaborato una prima deficitaria versione.

Il Governo Draghi ci ha rimesso le mani ne ha inviato testo e schede tecniche al Parlamento. Sarà al centro del Consiglio dei Ministri di domani e poi della discussione parlamentare lunedì e martedì prossimi. Infine sarà approvato in una nuova riunione del CdM e inviato a Bruxelles.
Il Piano (chiamato anche Recovery Plan) è articolato in sei missioni: digitalizzazione; innovazione; competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità sostenibile; istruzione; cultura e ricerca; inclusione e sociale; salute.

Attorno alle oltre 318 pagine del PNRR, non solo per la vastità del documento, è difficile esprimere sia una stroncatura, che certo non merita, che un acritico apprezzamento. Molti invece gli interrogativi, talora pessimistici ma più spesso sinceramente ispirati dalla curiosità di conoscerne la effettiva applicazione e ricaduta sulle persone, sulle famiglie, sulla collettività.

Sulla disabilità che cosa esprime il PNRR? Chi ha redatto il Piano dimostra di conoscere gli elementi portanti della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 che spazia dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. Lo dimostra e la cita assieme ai preoccupati report (2017) del Parlamento europeo.

Tuttavia, il “tema” disabilità è sostanzialmente confinato nella missione sull’inclusione sociale. Anzi, in una parte di quella missione. Se alcuni elementi sono certamente apprezzabili (al netto di come verranno effettivamente realizzati), non emerge una visione d’insieme articolata e che colga, almeno in nuce, le complessità irrisolte su disabilità e non autosufficienza, su inclusione e pari opportunità, su segregazione e isolamento.

Nella missione riservata all’inclusione sono previste per la disabilità due specifiche linee di intervento. La prima è quella delle infrastrutture sociali che dovrebbero “rafforzare il ruolo dei servizi sociali locali come strumento di resilienza mirare alla definizione di modelli personalizzati per la cura e il miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità, anche attraverso il potenziamento delle infrastrutture sociali che coinvolgono il terzo settore.” Non è ancora chiaro di cosa si intenda nel dettaglio, ma verosimilmente vi saranno inclusi servizi residenziali, semiresidenziali e di accompagnamento.

Ci si attendeva in queste parti un più articolato dettaglio, solo ad esempio, sul tema della non autosufficienza. Aspetto invece che rimane molto debole in tutto l’impianto del Piano con quello che ne deriva per una parte significativa della popolazione.

Più stringente la seconda linea che contempla invece i percorsi di autonomia per le persone con disabilità cogliendo in parte , almeno in termini programmatici, molte istanze avanzate in questi anni. Gli intenti espressi – su cui si possono elaborare differenti letture – sono quelli di evitare la istituzionalizzazione o di favorire la destituzionalizzazione soprattutto attraverso l’assistenza domiciliare ma anche di accompagnamento all’autonomia personale. Si delineano anche sostegni all’abitare, agli interventi per la ristrutturazione delle abitazioni anche con il ricorso a strumenti di domotica o tecnologicamente avanzati. Un passaggio è dedicato al ricorso a strumentazione e allo sviluppo di competenze digitali in funzione del telelavoro. Il tutto dovrebbe essere inquadrato nella definizione di progetti personalizzati.

In altri passaggi non si rileva invece alcuna particolare attenzione alla disabilità; in particolare l’assenza brilla nelle politiche per l’occupazione (grave!) e nell’housing sociale. Come pure in altre linee dedicate alla disparità di genere e, ancora, all’istruzione o, infine, alla reale accessibilità alla salute, alla prevenzione, alla cura.
Si tace sulla disabilità anche nella parte riservata all’innovazione nella Pubblica amministrazione. Qui di apprezzabile vi è il richiamo all’accessibilità degli atti e delle risorse pubbliche (peraltro già previsto da un corpus regolamentare nazionale ed UE).

Rimane quindi la spiacevole sensazione che la visione della disabilità sia costretta nell’ambito dell’assistenza e della protezione sociale (nel senso minimale dell’espressione) e non piuttosto in quella di una condizione umana trasversale cui riservare inclusione e opportunità.
Non è una sensazione ma una certezza invece, la lacuna rispetto alle riforme strutturali strettamente necessarie al successo stesso del Recovery Plan. È una lacuna che sappiamo essere ben chiara nella sua ampiezza sia a Draghi che al suo entourage: è quello della governance. E governance non significa solo e tanto vigilare che gli obiettivi siano raggiunti per distribuire i quattrini. Significa conservare la regia e i poteri sufficienti per far sì che quegli obiettivi siano realmente perseguiti.

Nel sociale – a noi qui quello interessa – ciò è particolarmente infido. Tentiamo di spiegarla facile e in poche righe. La legge quadro sull’assistenza (recte: sistema integrato di interventi e servizi sociali) risale al 2000. Norma risultante di una stagione di forti idealità, di condivisione, di confronti, la 328/2000 è verosimilmente la legge meno applicata alle nostre latitudini. Anche per una banale coincidenza storica: quasi contestualmente è stato riformato il Titolo V della Costituzione restituendo alle Regioni pressoché tutte le competenze in ambito sociale. Anziché generare mirabolanti effetti la pretesa sussidiarietà ha partorito 21 sistemi sociali regionali ed una profonda disparità territoriale, fortissime disequità allevate nell’assenza di livelli essenziali di assistenza sociale. E niente: con una punta di provocazione possiamo di che che forse l’unico “livello essenziale” reale è oggi l’indennità di accompagnamento, quella che eroga INPS per conto dello Stato.

Negli ultimi anni si è malamente tentato di metterci una toppa, usando i decreti di riparto di alcuni Fondi nazionali come leva a lungo braccio per imprimere un minimo di uniformità di trattamento almeno su alcuni aspetti (non autosufficienza, dopo di noi …). Ma le risorse sono troppo limitate per forzare cambiamenti radicali e strutturali nei territori. Per usare una immagine bucolica: se si gettano semi un terreno che oramai è ghiaioso, difficilmente germoglieranno. Lo stesso fenomeno che accade quando risorse arrivano in un territorio in cui i servizi sociali sono largamente assenti.
Nel sociale lo Stato non ha poteri sufficienti per governare, rendere omogenei servizi e politiche, eliminare odiose disparità territoriali (che la UE mal sopporta); deve quindi contrattare al ribasso le regole con le Regioni, tornare ai consueti decreti di riparto e incidere assai poco nei casi di latitanza.

E che c’entra il Recovery Plan? Ci si ritrova nella stessa situazione di governance monca e che le più mirabolanti intuizioni rimangano impaludate in antichi meccanismi.
A meno che… A meno che Mister Draghi, forte del consenso che per ora conserva, non tiri fuori un coniglio dal cilindro, modificando regole e norme che ci condizionano da parecchi lustri. Se ciò dovesse avvenire, ci auguriamo si inizi dal sociale.
(di Carlo Giacobini su vita.it)

Tessera europea di disabilità, più facile rivendicare i propri diritti in tutta l’Ue

Per Bruxelles è giunto il momento di potenziare l’azione comunitaria per tutelare le persone con disabilità sia in abito sociale che lavorativo. Necessaria la collaborazione tra Commissione e Stati membri e un dialogo continuo con i Paesi extra europei

Le persone con disabilità hanno il diritto di partecipare a tutti gli ambiti della vita, esattamente come tutti gli altri. Per questo la Commissione europea ha presentato la strategia strategia per il periodo 2021-2030 che punta a tutelare dei loro diritti al fine di garantirgli la piena partecipazione alla società su un piano di parità con gli altri. Sebbene negli ultimi decenni siano stati compiuti progressi nell’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione, all’occupazione, alle attività ricreative e alla partecipazione alla vita politica, permangono molti ostacoli. La nuova strategia guiderà l’azione degli Stati membri e delle istituzioni dell’Ue, basandosi sui risultati conseguiti nei dieci anni precedenti e provando a offrire soluzioni alle sfide future.

La strategia sostiene anche l’attuazione da parte dell’Ue e dei suoi Stati membri della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità a livello sia comunitario che nazionale. “La protezione dei diritti delle persone con disabilità deve essere al centro dei nostri sforzi, anche nella risposta al coronavirus, che le ha colpite duramente” ha dichiarato la vicepresidente per i Valori e la trasparenza Vera Jourová.

Una tessera europea di disabilità e il diritto alle pari opportunità

Nonostante le persone con disabilità abbiano lo stesso diritto di tutti gli altri di trasferirsi in un altro Paese dell’Ue o di partecipare alla vita politica, quando decidono di trasferirsi in un altro Stato membro, non è sempre riconosciuto il loro status e quindi hanno difficoltà nell’accedere a prestazioni o servizi. Per questo la Commissione proporrà la creazione di una tessera europea di disabilità al fine di facilitare il riconoscimento reciproco dello status di disabilità in tutti i 27 Stati membri.

Tra le altre cose, Bruxelles vuole impegnarsi per garantire a queste persone il diritto alle pari opportunità e per tutelarle da discriminazioni e violenze. Secondo i dati della Commissione non solo il 52 % delle persone con disabilità si sente discriminato, ma bisogna considerare che corrono un rischio maggiore di diventare vittime di violenze e abusi nel proprio ambiente domestico e nelle istituzioni. Inoltre, ben il 20 % dei giovani con disabilità abbandona precocemente la scuola. Per questo la l’esecutivo comunitario invita gli Stati membri a creare scuole inclusive e innovative per tutti.

Inserimento nella società e nel mercato del lavoro

Entro il 2023 la Commissione europea pubblicherà una guida per gli Stati membri in materia di vita indipendente e inclusione nella comunità. Solo il 50 % delle persone con disabilità ha un lavoro, rispetto al 75 % delle persone senza disabilità, per questo Bruxelles invita gli Stati membri a sfruttare il loro potenziale e a migliorare la loro posizione sul mercato del lavoro. Inoltre, intende elaborare un pacchetto per migliori risultati sul mercato del lavoro per le persone con disabilità. La strategia proporrà anche azioni volte a migliorare la protezione sociale.

La strategia rafforzerà i diritti delle persone con disabilità in tutto il mondo

Secondo la relazione mondiale sulla disabilità, circa il 15 % della popolazione mondiale è affetto da qualche forma di disabilità. Per questo nel 2021 la Commissione aggiornerà il suo pacchetto di strumenti per un “approccio basato sui diritti, che comprende tutti i diritti umani per la cooperazione allo sviluppo dell’Ue“, al fine di affrontare tutte le disuguaglianze nelle azioni esterne, compresa la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità. Inoltre, l’Unione svilupperà un dialogo strategico con gli altri Stati che sono parti e firmatari della convenzione delle Nazioni Unite, nonché con altre organizzazioni regionali. Nell’ambito di tale strategia saranno organizzati dialoghi strutturati e sarà rafforzata la cooperazione in materia di accessibilità e occupazione.

M5S: “Serve più impegno degli Stati membri”

Nonostante un solido quadro giuridico che ha permesso di migliorare l’accessibilità, molti ambiti non sono ancora contemplati dalle norme dell’Ue e vi sono differenze tra i diversi Stati membri“. Così ha dichiarato l’europarlamentare del Movimento 5 Stelle, Chiara Gemma. Ha inoltre aggiunto “per realizzare le ambizioni della strategia sarà necessario un forte impegno da parte di tutti gli Stati membri, in quanto attori chiave nell’attuazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità“. Per l’eurodeputata per consentire a tutti i cittadini con disabilità di prosperare e vivere al meglio “dobbiamo garantire loro le condizioni che permettano effettivamente di vivere in modo indipendente, imparare in un ambiente inclusivo e lavorare secondo norme adeguate”.
(europatoday.it)

Unione Europea: a rischio povertà il 28,4% dei disabili

In Italia dati al di sopra della media UE con il 29,4% dei disabili a rischio povertà. Gli Stati membri che hanno registrato la più alta percentuale di persone con disabilità a rischio di povertà o esclusione sociale sono stati: Bulgaria (50,7%), Lettonia (42,1%), Estonia (40,0%), Lituania (39,9%) e Irlanda (37,8%). Le percentuali più basse in Slovacchia (19,2%), Danimarca (20,3%), Austria (22,2%), Finlandia (22,5%) e Francia (22,9%). 

Nel 2019, il 28,4% della popolazione dell’UE con disabilità (di età pari o superiore a 16 anni) era a rischio di povertà o esclusione sociale, rispetto al 18,4% dei cittadini senza limitazioni di attività.

Un dato che, seppur con forti differenze tra un Paese e l’altro dell’Unione Europea, si conferma come tendenza in tutti i Paesi.

Gli Stati membri che hanno registrato la più alta percentuale di persone con disabilità a rischio di povertà o esclusione sociale sono stati: Bulgaria (50,7%), Lettonia (42,1%), Estonia (40,0%), Lituania (39,9%) e Irlanda (37,8%).

Al contrario, gli Stati membri con la percentuale più bassa di persone con disabilità a rischio di povertà o esclusione sociale erano: Slovacchia (19,2%), Danimarca (20,3%), Austria (22,2%), Finlandia (22,5%) e Francia (22,9%).

In questo contesto l’Italia si colloca sopra la media UE sia per la percentuale di riscio povertà per persone senza limiti di attività (24,1% a fronte della media UE del 18,4%) sia per il rischio povertà per le personone con limitazioni con il 29,4% a fronte della media UE del 28,4%.

(quotidianosanità.it)

Disability Lives Matter*

di Pietro Vittorio Barbieri**

Si potrebbe chiudere il ragionamento su Unione Europea e disabilità con un concetto chiaro: le competenze in materia di salute, politiche sociali, occupazione e scuola sono di totale competenza degli Stati membri. L’unica competenza effettiva è però sui diritti umani. Il Testo Fondamentale dell’Unione Europea (TFUE, a partire dalle modifiche di Nizza del 2001 e di Lisbona 2007) infatti delega le istituzioni comunitarie ad essere garanti e della discriminazione che subiscono tutti cittadini dell’unione ivi incluse le persone con disabilità. Da qui nasce il terreno su cui si sviluppano molte attività dell’unione in materia di disabilità. È un pertugio stretto ma interessante. L’UE per la prima volta nella storia è stata nelle condizioni di poter ratificare un trattato sui diritti umani: la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

È chiaro che esistono due binari paralleli: le competenze effettive e i diritti umani che attraversano costantemente i limiti delle competenze sancite dall’accordo di Lisbona. Ci sono paesi dell’unione che hanno frenato l’attraversamento. In particolare occorre ricordare il ruolo della Gran Bretagna: qualunque governo abbia avuto di destra o di sinistra, pro Brexit o anti Brexit, ha ostacolato in tutti modi una maggiore convergenza verso maggiori poteri dell’Unione Europea, divenendo il principale sostenitore della cosiddetta Europa interstatale.

In tutta onestà, su temi specifici, di volta in volta, larga parte dei paesi membri si sono esercitati nella tutela delle proprie prerogative. Al contrario di quanto si pensa, la versione neoliberista dell’unione di marca anglosassone. L’Europa dei mercati è infatti ciò che interessava il core business inglese, ovvero la finanza. Il modello di sviluppo di altri paesi è molto più orientato al manufatturiero e soprattutto ad un modello sociale d’impresa in cui gli stessi lavoratori partecipano agli orientamenti se non anche alla gestione stessa dell’azienda.

Non a caso non a caso la Brexit ha lasciato spazio necessario per immaginare prima, ed approvare poi, il cosiddetto pilastro sociale dell’Unione Europea. Non ci si doveva preoccupare più del vero della Gran Bretagna. Si potrebbe dire che si tratta di una prima traccia di livelli essenziali in materia di politiche sociali valide in tutta l’UE. Tra questi c’è proprio la Convenzione ONU, assieme al reddito minimo, al diritto al contratto nazionale, al salario minimo e da tanto altro. È anche vero che l’altra spinta essenziale è stata l’avvento dei populismi in molti paesi europei.

Al netto dei Recovery Fund, uno degli spazi centrali a livello europeo è proprio occupato dal come tradurre i 17 principi del pilastro sociale in pratiche e obblighi dei paesi membri. Lo scontro ovviamente oggi è tra i paesi membri e la loro paura di cedere potere. Ora ad esempio è in discussione il salario minimo: è complesso stabilire a quale livello minimo si può definire una remunerazione effettivamente rispettosa della prestazione svolta, in ogni Stato membro che ha standard di costo di vita così diversificati. Esistono calcoli matematici difficilmente traducibili in principi. Questa difficoltà non sembra scoraggiare la volontà di arrivare a definire quello che in Italia chiamiamo un livello essenziale.

Questo è il nodo da affrontare anche sulla disabilità, tra spinte che vanno verso la convergenza e quelle che bloccano l’autonomia di ogni Stato, tra definizione di standard sui diritti umani che sconfinano verso quelli civili e sociali oppure enunciazioni di principio che si traducono in indirizzi scarsamente vincolanti. A tutto ciò si aggiunge ciò che l’emergenza Covid ci ha fatto riscoprire: la tendenza in tutta Europa a orientarsi verso la segregazione specie delle persone con disabilità più gravi. Con la motivazione della protezione, portata all’eccesso estremo in questa fase, le persone vengono istituzionalizzate in luoghi chiusi e lontane della società. Per la stessa ragione si interrompono i percorsi virtuosi di inclusione nella scuola e nel lavoro delle persone con disabilità.

Il presidente dello European Disability Forum Ioannis Vardakastanis sostiene che in questa epoca non dobbiamo più combattere per l’inclusione, ma per non essere esclusi. Invita anche a mutuare in chiave europea la campagna americana Black Lives Matter sulle persone con disabilit: anche nostra vita ha un valore. Troppe persone hanno perso la vita per potersene dimenticare. Questo ha messo a nudo il fenomeno della segregazione mai effettivamente abbandonato in larga parte dei Paesi dell’Unione. Come pure la fragilità dei percorsi di inclusione, dato che i primi ad essere espulsi da sistemi scolastici e dei luoghi di lavoro risultano essere proprio le persone con disabilità e le donne con carichi familiari ancor più se con figli o parenti con disabilità.

È un compito complicato oggi porsi nell’ottica di garantire i diritti umani per le persone con disabilit. Ancora più di prima. Va ha detto che alla Commissione Europea non manca il coraggio. Su pressione delle organizzazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari la commissione, sta per mettere in campo una strategia decennale, la seconda. Una sorta di piano d’azione che intende muovere i suoi passi proprio dall’allargamento delle competenze. Oggi infatti siamo in una stagione decisamente nuova per l’Unione Europea, rappresentata anzitutto dai meccanismi del Recovery Fund. Si tratta di debito condiviso da tutti i paesi dell’Unione Europea. Questo passaggio implica un vincolo sempre più stretto tra i paesi dell’Unione, che non condividono più solo una moneta ed un mercato unico, ma anche l’indebitamento per scopi comuni che si sviluppano sull’asse del Green New Deal.

La sostenibilità secondo l’Unione Europea riguarda sia l’ambiente che l’inclusione sociale. Non viene per primo l’uno e poi l’altro, sono contestuali. Il piano di riforme richiesto per ottenere qualunque fondo europeo (PNR), incluse le nuove misure, non è ancorato più solo alla sostenibilità economica, come ad es. il fatidico rapporto deficit Pil, ma anche a quella ambientale e sociale. Contemporaneamente. Non è più la stagione per avere prima i conti in ordine e poi, sempre che avanzino risorse, fare politiche sociali e ambientali. La stessa battaglia sui vincoli del Recovery Fund è emblematica. l rispetto dello Stato di diritto è il principale vincolo per avere accesso al prestito europeo ed alle risorse a fondo perduto. Questo ci riguarda da vicino poiché la misura dello stato di diritto è anche nel come si trattano le minoranze, e tra queste ci sono le persone con disabilità.

C’è quindi un cambio di passo significativo. Lo potremmo misurare sin dalla presentazione della nuova strategia europea per le persone con disabilità che avverrà a marzo. Ma anche sulla sua discussione che si avrà nelle istituzioni europee a partire dal Parlamento. Misureremo quindi se le richieste del Cese (Comitato Economico Sociale Europeo) e delle associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari troveranno accoglienza. Tra queste si segnala la necessità di avere un focal point specifico sulla disabilità in ogni direzione generale della Commissione. Quindi in ogni ambito in cui si esprime il governo dell’Unione Europea. Fare in modo che le persone con disabilità non perdano la possibilità dell’inclusione attraverso l’eliminazione di tutti gli ostacoli presenti la nostra società. Soprattutto con l’implementazione di tutti i sostegni necessari affinché le persone siano messe condizione di essere protagonisti del proprio destino.

*(articolo redatto in gentile e esclusiva concessione da Pietro Vittorio Barbieri)

**Vice presidente Gruppo 3 Diversity Europe e presidente Gruppo Studi Disabilità Cese (comitato economico e sociale europeo)

Tutti i cittadini con disabilità dell’Unione Europea devono poter votare

«Questo Parere ribadisce un problema in modo più forte e preciso: ostacoli di tipo normativo escludono dal voto tanti cittadini con disabilità intellettiva, mentre problemi di accessibilità escludono quelli con disabilità motoria. L’obiettivo è dunque che nessuno sia privato della possibilità di votare, perché il suffragio universale è il fondamento di ogni democrazia. Per questo, una volta che il Parere sarà approvato dalla nostra plenaria e trasmesso alle Istituzioni Europee, ci auguriamo che queste intervengano per riconoscere le infrazioni come tali, laddove questo diritto non sia rispettato»: lo ha dichiarato alla testata «SuperAbile.it» Pietro Barbieri, presidente del Gruppo di Studio sui Diritti delle Persone con Disabilità nel CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo), fondamentale organo consultivo della Commissione Europea, a proposito del Parere approvato in questi giorni dalla Sezione Occupazione, Affari Sociali, Cittadinanza dello stesso CESE, denominato The need to guarantee real rights for persons with disabilities
to vote in European Parliament elections (“La necessità di garantire il reale diritto delle persone con disabilità a votare nelle elezioni europee”), documento disponibile integralmente (in inglese) a questo link.

Una persona con disabilità solleva una sciarpa, all’interno del Parlamento Europeo, con la scritta “Right to Vote for All” (“Diritto di voto per tutti”)

«Purtroppo – ha sottolineato ancora Barbieri – dall’ultimo rapporto del CESE, risalente al mese di marzo dello scorso anno, sul diritto di volto delle persone con disabilità [“La realtà del diritto di voto delle persone con disabilità alle Elezioni del Parlamento Europeo”], poco è cambiato fino ad oggi e troppi restano i Paesi in cui questo diritto non è riconosciuto. Come si legge infatti nel Parere che abbiamo approvato in questi giorni, tuttora le Leggi Nazionali di 14 Stati Membri escludono ancora circa 400.000 cittadini europei con disabilità dal diritto di voto alle Elezioni Europee. In otto Paesi, ad esempio, le persone che non possono recarsi un in seggio elettorale per via di una disabilità o una malattia, incluse quelle che vivono in strutture residenziali, non hanno alcun modo per votare, mentre sono ben diciotto i Paesi in cui le persone cieche sono escluse dal voto».
«L’Italia – ha concluso Barbieri – non è messa male. Il problema maggiore riguarda infatti gli elettori ciechi, per la difficoltà di fare accedere accompagnatori in cabina, mentre non risulta che sia stato mai impedito a una persona con disabilità intellettiva di esprimere il proprio voto». 

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa CESE (Daniela Marangoni), daniela.marangoni@eesc.europa.eu.
(superando.it)