“O anche no”. Il format RAI andrà in onda anche in estate

La disabilità non va in vacanza”. È questo lo slogan scelto per accompagnare nei prossimi mesi il programma di Rai 2 O anche no, format in onda ogni venerdì a mezzanotte e mezza (ed in replica la domenica alle 9,15) che quest’anno avrà anche una versione estiva, in partenza il 4 giugno. I temi trattati resteranno quelli legati all’inclusione, alla solidarietà e ai diritti dei disabili. Ci saranno comunque diverse modifiche nella strutturazione delle puntate e nel tipo di contenuti presentati.

Alla conduzione ci sarà ancora Paola Severini Melograni, che aprirà ogni puntata con un intervento introduttivo per fornire notizie ed informazioni sul mondo della disabilità e sui temi legati all’inclusione. Presenteranno i reportage realizzati in giro per l’Italia due giovani conduttori, Mario Acampa e Riccardo Cresci. Volti già noti di Rai Pubblica Utilità e Rai Ragazzi. I due inviati si alterneranno nel corso delle settimane visitando vari luoghi del nostro Paese, nei quali le opportunità per le persone disabili vengono implementate e tutelate quotidianamente attraverso azioni concrete ed efficaci.

“O anche no”. Il format Rai dedicato ad inclusione e disabilità andrà in onda anche in estate

In particolare saranno girati servizi in alcune di quelle scuole che, rispondendo all’appello del  Ministro dell’Istruzione, hanno deciso di restare aperte anche nei mesi estivi per poter seguire i ragazzi disabili che resteranno a casa. Saranno intervistati i docenti, i ragazzi stessi e le famiglie, per raccontare le loro esperienze a riguardo. Oltre alle scuole saranno visitate strutture abitative, oratori, luoghi attrezzati per il turismo accessibile ed altro ancora. Grande attenzione poi anche per il mondo dello sport, documentando l’attività di alcune squadre di calcio paralimpico ed occupandosi delle prossime paralimpiadi.

La prima puntata si aprirà con una riflessione introduttiva della conduttrice, che presenterà un videomessaggio inviato dal celebre disegnatore satirico Staino. A seguire verrà mostrato il reportage realizzato da Riccardo Cresci nelle Marche. Punto di partenza da Macerata dove si trova la Cooperativa Sociale Il Faro – Centro Orizzonte, che si occupa di ragazzi autistici. Saranno intervistati i responsabili della struttura e si conosceranno alcuni dei ragazzi insieme alle loro famiglie. Poi, restando a Macerata, ci si sposterà allo Sferisterio, monumento storico sede del “Macerata Opera Festival” e teatro di un importante progetto di inclusione per ragazzi diversamente abili.

Qui saranno raccontate le storie di Brando, 15enne affetto da una malattia degenerativa che sta compromettendo la sua vista, e Nitui, 13enne indiana cieca dalla nascita che è stata adottata da una famiglia marchigiana. I due giovani, appassionatisi fortemente al suddetto progetto, sono entrati a far parte dello staff organizzativo.
(adginforma.it)

Disabili, in Italia la solidarietà sostituisce i servizi. Non possiamo accettarlo

di Fabiana Gianni

Ultimamente leggo molte notizie che rendono note le qualità solidali della nostra società. Effettivamente l’Italia pullula di gruppi più o meno organizzati che a vario titolo dedicano il loro tempo, le loro competenze e le loro risorse alle necessità del prossimo. Indubbiamente è un valore importante. Certamente motivo di orgoglio.

La solidarietà sostituisce la carenza dei servizi. Questo è il dato di fatto. La mia domanda è un’altra: è accettabile? E quanto questo principio di solidarietà così pregnante penalizza l’inclusione e l’integrazione? È possibile che nel 2018 si debba ancora ricorrere al volontariato per poter fruire di servizi essenziali al perseguimento dei una vita dignitosa, decorosa, inclusiva e autonoma?

Esiste poi un aspetto economico che non si può ignorare: molte di queste realtà vivono di contributi pubblici che sono erogati sulla base di progetti presentati e ritenuti validi all’interno di prerequisiti che di volta in volta sono la cornice entro la quale disegnare un’idea di servizio o di assistenza. Mi sorge sempre più spesso un dubbio: se il singolo disabile avesse a disposizione più risorse economiche, assegnate in base a un progetto realmente ritagliato sulle sue esigenze, non sarebbe più inclusivo, più motivante? Sarebbe anche più realistico e più concreto che la persona scegliesse direttamente dove spendere queste risorse e a quale servizio rivolgersi, così da lasciare spazio a quel libero arbitrio dell’autodeterminazione che – per quanto assistito da amministratori o tutori – deve rimanere rispettoso della persona.

Continuare a finanziare centri ad hoc e servizi per la disabilità a mio avviso non fa altro che favorire il ghetto. Si continua a mettere insieme gente con problematiche differenti, età diverse, ambizioni, possibilità, sogni e situazioni totalmente diverse con l’unico requisito che torna a essere la disabilità. Non ci trovo nulla di inclusivo in tutto questo. Il pacchetto/prodotto servizio viene così stigmatizzato per un’altra ipocrisia di fondo: situazioni dove la persona disabile vive una condizione tanto grave da poter recare danno a sé stessa o agli altri. In questi casi è fuori tema e fuori indirizzo dirlo apertamente. Si procede verso il deteriore. Si toglie tutto a tutti purché siano disabili.

Gli anni passano, la mia consapevolezza cresce e mi appare all’orizzonte una condizione di aberrazione. Dopo tre anni di nido, altri tre di scuola materna e poi cinque di primaria e otto di secondaria – con le varie “ripetenze”, ancora triste strategia del percorso didattico che deve durare tanto a lungo perché rappresenta l’anticamera del nulla – ecco che si arriva alla maturità. Si lotta per ogni genere di causa: dal pasto, al pannolone; dal diario all’utilizzo del pc ; dalla gita mancata alla festa organizzata di nascosto; genitori che vengono cresciuti nel loro ruolo come fossero annientati e solo da assecondare. Genitori che assorbono così tante bugie sulla versione inclusiva offerta dalle parti che alla fine ci credono a tal punto da perdere l’obiettività. Coloro che la mantengono sono così delusi da rischiare di cadere nella versione fatalista e di resa.

Un mondo che fa finta di andare avanti mentre di fatto rema contro. Una società che sostiene idee e pratiche ma toglie la possibilità di fare una doccia fuori orario perché la cooperativa è chiusa. Progetti finanziati in luoghi inaccessibili o in orari improbabili. O strutture. Quelle non mancano mai, anche se hanno cambiato nome grazie alla farsa di una legge sul dopo di noi che aiuta i ricchi a fare quello che già facevano prima e danneggia i poveri coperti di altri improprie incombenze. Un pianeta assistenziale di 15 giorni di vacanza per far riposare genitori fantasmi che spesso non hanno più la forza neanche di verificare e di capire ma ambiscono solo a poter dormire otto ore di seguito. E la faccenda veramente triste è che nessuno parla. Siamo tutti in special edition, mamme alfa, beta e gamma, padri esemplari e fratelli e sorelle meravigliosi. Rivendico la mia totale imperfezione. Rivendico il diritto all’errore, alla rassegnazione, al fallimento, all’arrabbiatura, alla rabbia e poi anche alla gioia, alla pace e alla vita ricostruita con grande sacrificio nel rispetto del dono supremo che ella stessa rappresenta.

Dobbiamo avere il coraggio di dire la verità. Dobbiamo imparare a mostrarci nella realtà dei fatti perché finché la disabilità sarà costellata di geni cresciuti da Ufo, gli altri ci vedranno così e l’inclusione sarà solo un sogno in più, uno dei tanti. Partiamo dal raccontarci cosa faranno i ragazzi in tutta Italia che a giugno usciranno dalle scuole superiori. Partiamo da qui e poi andiamo a ritroso fino al nido e iniziamo a correggere il percorso perverso del buonismo ipocrita. L’inclusione parte da qui.

(ilfattoquotidiano.it)