«Mille orti per la città», la Romagna coltiva il turismo grazie alla disabilità

Ventidue hotel tra Rimini e Riccione hanno adottato altrettanti orti in cui lavorano ragazzi con sindrome di down e disabilità cognitive. E i prodotti a km0 poi finiscono in tavola

In Romagna, quella Riviera in cui gli alberghi caratterizzano la skyline della costa e l’entroterra che ospita le periferie rurali dei grandi centri urbani che si affacciano sul mare a molti appaiono lontani. Mondi diversi per stagioni diverse ma chi abita a Rimini o Riccione sa che quei luoghi sono più vicini di quel che si creda. E l’iniziativa “Mille Orti per il Turismo” dedicata ai ragazzi con disabilità cognitive, intrapreso da 22 hotel con il contributo della web agency www.infoalberghi.com e in collaborazione con una cooperativa e associazione culturale e solidale locali lo testimonia.

Ciascun hotel ha adottato un orto in un grande area verde appena fuori dal centro di Rimini, contribuendo alla formazione e all’inserimento lavorativo di questi giovani che partecipano a un progetto già avviato da due anni dalla cooperativa locale “Il Millpiedi” e l’associazione “Crescere Insieme”. Il progetto si chiama “Mille Orti per la città”. Impegna da due anni dieci ragazzi con sindrome di down e disabilità cognitive tutte le mattine e spesso anche al pomeriggio. Da poco, affiancati da due agronomi e due educatori, lavorano anche ai 22 orti affittati dagli hotel, i cui nomi campeggiano sulle targhe che gli stessi ragazzi hanno posizionato al campo.

La cultura del lavoro

A spiegare il senso del progetto è Eugenio Quartulli della Cooperativa il Millepiedi. “Questi ragazzi non devono imparare a fare i contadini. i sta a cuore, piuttosto che imparino ad arrivare puntuali sul posto di lavoro, che capiscano quando è il momento di fare una pausa e quando e il momento di rimboccarsi le mani. E funziona, perché i ragazzi imparano velocemente che cosa sia lo spirito di collaborazione e in un certo senso anche il rispetto per i ruoli che ricoprono e il rispetto quelli che ricoprono i loro compagni e i loro educatori“. Nell’area verde Macanno, alla periferia rurale di Rimini, questi ragazzi imparano anche a differenziare i rifiuti, apprendono l’arte del riciclo e il significato di queste pratiche. “E poi naturalmente anche le peculiarità del mestiere: sanno che quando arriva la pioggia non sarà necessario innaffiare le piante quando invece batte il sole è vitale farlo“.

Agricoltura e turismo

A Casa Macanno ci sono 60 orti. Si coltivano bietole, piselli, insalata, peperoni, finocchi, addirittura il cavolo nero. «Da una parte – continua – ci sono gli orti affittati dalle famiglie che li vengono a coltivare e lavorare e che noi ci limitiamo a curare, dall’altra invece ci sono orti di cui noi ci occupiamo a tutto tondo. E poi ci sono gli ultimi 22 allestiti presi in affido dagli albergatori». Sono gli unici dove ancora la semina non ha dato i suoi frutti, ma è questione di tempo. Le piante cresceranno in tempo per l’inizio dell’estate e quando gli hotel potranno riaprire il raccolto contribuirà a riempire le loro cucine di verdure e ortaggi a chilometro zero. A osservare gli orti coltivati sorprendono la cura e l’ordine, la linearità dei terreni arati e delle piantine che iniziano a farsi strada alla fine dell’inverno.

Si potrebbe dire – racconta ancora Quartulli – che accompagniamo per mano questi ragazzi in ogni momento. Abbiamo messo alcuni cartelli con sopra scritto il nome di una via. C’è Via Eugenio, che sono io, Via Millepiedi e alcune vie con i nomi dei ragazzi. Sembra un gioco e forse lo è, ma è così che hanno imparato ad orientarsi. Con loro non bisogna lasciare nulla al caso».
(Corriere.it)

Sting canta “The Hiring Chain” per la giornata mondiale sulla sindrome di Down

L’ex frontman dei Police abbraccia la campagna di sensibilizzazione ‘The Hiring Chain’

Il prossimo 21 marzo sarà, come ogni anno, la giornata mondiale sulla sindrome di Down. Per celebrarla al meglio l’ex frontman dei Police Sting ha interpretato “The Hiring Chain” abbracciando la campagna per invitare i datori di lavoro a essere più inclusivi nei confronti delle persone con la sindrome.

CoorDown – Coordinamento Nazionale Associazioni delle persone con sindrome di Down – lancia in Italia la campagna di sensibilizzazione internazionale. ‘The hiring chain‘: per affermare che assumere una persona con sindrome di Down cambia la vita non solo al diretto interessato, ma può innescare un circolo virtuoso di nuove opportunità per tutti

Sting interpreta la canzone originale su cui è incentrato il video della campagna. Il testo incalzante e gioioso prende vita sullo schermo e testimonia la catena “virtuosa” dell’inclusione lavorativa. Nella prima scena, una ragazza è al lavoro dal fornaio e mostra ai clienti le sue capacità. Uno di questi clienti è un’avvocatessa che rimane colpita e decide a sua volta di assumere un ragazzo e di dargli un’occasione. Da qui si crea una reazione a catena. Le ragazze e i ragazzi protagonisti del video e della canzone mostrano che quanto più le persone con sindrome di Down vengono viste al lavoro, tanto più sono riconosciute come dipendenti di valore. La sfida alle basse aspettative e ai pregiudizi permette così di creare opportunità di nuove assunzioni..

Nella Giornata mondiale sulla sindrome di Down 2021, CoorDown raccoglie la sfida della pandemia e della crisi sociale per affermare che l’inclusione lavorativa non è solo un diritto da garantire oggi più che mai per ogni persona, ma porta benefici nel contesto lavorativo e nella società tutta. Aziende e datori di lavoro sono invitati a visitare il sito http://www.hiringchain.org, dove è possibile mettersi in contatto con associazioni in Italia e in diversi paesi del mondo; garantiscono informazioni e il supporto necessario per sostenere gli inserimenti lavorativi delle persone con sindrome di Down nelle loro aziende o attività.

Perché il lavoro è importante.

Essere indipendenti, contribuire alla società, avere un proprio reddito, apprendere nuove competenze, conoscere nuove persone e sentirsi apprezzati. Le persone con sindrome di Down vogliono lavorare per le stesse ragioni di chiunque altro. Ma la maggior parte delle persone con sindrome di Down deve affrontare barriere e pregiudizi, mancanza di opportunità, basse aspettative e stereotipi. A sfatare i pregiudizi sulle loro potenzialità e i benefici dell’inclusione lavorativa sono le storie e le esperienze di aziende, datori di lavoro e giovani e adulti impiegati.

gni persona con la sindrome di Down ha la capacità di lavorare secondo le sue possibilità. L’obiettivo è trovare un ruolo che si adatti ad ogni individuo, in modo da poter svolgere il proprio lavoro con successo. Quando viene data la giusta opportunità, le persone con sindrome di Down possono raggiungere grandi risultati e avere un impatto positivo sui colleghi, sulla soddisfazione del cliente, sulla cultura e sulla motivazione di tutta l’azienda. La diversità rafforza tutti i luoghi di lavoro. Un circuito virtuoso che fa crescere l’intera società.

Antonella Falugiani, Presidente di CoorDown Onlus dichiara: “Con la campagna “The Hiring Chain” vogliamo invitare tutti – aziende, cittadini, istituzioni – a dare maggiori opportunità di lavoro e a conoscere da vicino i benefici dell’inclusione. Il lavoro, per le persone con sindrome di Down, è importante come lo è per ognuno di noi. Si tratta di assicurare un diritto fondamentale che è anche un bisogno umano, identico per ogni individuo. Il lavoro è una base importante per la crescita, del diventare adulti, per la realizzazione della propria vita, per vivere in autonomia e avere le opportunità che tutte le persone che lavorano hanno.

Così come è importante studiare così lo è il passaggio nel mondo del lavoro. ermette di riconoscere il valore delle persone e di avere nuove relazioni sociali, la base economica che dà il lavoro aiuta la costruzione dell’indipendenza e delle relazioni affettive. Assicurare pari diritti e dignità nel lavoro a tutte le persone con sindrome di Down vuol dire dare la possibilità di costruire il futuro“.

Luca Lorenzini e Luca Pannese, Executive Creative Directors, SMALL New York: “Collaboriamo con CoorDown dal 2012 e ogni volta gli insight che l’associazione ci offre sono così profondi e fertili che le campagne praticamente si scrivono da sole.

Quest’anno, grazie ad Indiana, siamo riusciti a collaborare con un regista di fama internazionale come Rich Lee. E, come se non bastasse, Sting ha interpretato la canzone che accompagna il film. Siamo cresciuti ascoltando Sting e i Police e vi lasciamo immaginare l’emozione che abbiamo provato quando, per la prima volta, abbiamo sentito la sua voce eseguire il pezzo che abbiamo scritto per CoorDown. Speriamo davvero che il suo contributo possa rendere la campagna più visibile e possa aiutare a dare sempre maggiori opportunità lavorative alle persone con sindrome di Down.”.

(rockol.it)

Chris, il “ragazzo di ferro” che spezza la disabilità

È il primo con la sindrome di Down a finire un Ironman: “È l’unico sport che non mi annoia…”

«Ed ora come festeggerai?» gli hanno chiesto. E Chris ha spiazzato tutti a cominciare da chi, tra dubbi e pregiudizi, mai avrebbe pensato che un giovanotto con la sindrome di Down sarebbe stato capace di arrivare alla fine di un Ironman, la sfida più dura che, per chi non è del mestiere, sono 3,8 chilometri di nuoto, 180 chilometri in bici e una 42 chilometri di corsa tutti insieme, tutti di un fiato, senza fermarsi.
Non c’era mai riuscito nessuno, lui sì: «E per festeggiare ho già scelto una discoteca e ci andrò appena mi sarà passato il dolore al sedere per e tante ore passate in bici – ha risposto al giornalista di Runners World che lo intervistava – Inviterò un po’ di ragazze bionde che fumano…». Un’altra storia a cui sicuramente ne seguirà un’altra e un’altra ancora, perché Chris Nikic non si fermerà qui. Ventun anni, nato e cresciuto in Florida, ad appena 5 mesi di vita subisce un intervento a cuore aperto e fino ai 3 anni è costretto a camminare con un deambulatore. Ma, con l’aiuto dei suoi genitori ce la fa, fa progressi ed è lo sport a sostenerlo nella sua crescita. A 9 anni entra nella squadra paralimpica americana come golfista e nel 2016, dopo essersi cimentato nel nuoto, nel basket e sulle piste di atletica, comincia a gareggiare nel triathlon «perché – racconta – è l’unico sport che non mi annoia». Ma ha un problema alle orecchie che complica non poco i suoi allenamenti in acqua e quindi finisce nuovamente in sala operatoria.
Tre interventi che lo tengono fermo per due anni e lo debilitano a tal punto che quando torna a fare sport, nel 2019, riesce a malapena a nuotare in una piscina e a correre i 100 metri. Di pedalare in bici neppure a parlarne: non riesce a salire in sella. Ma non si arrende. È abituato a lottare contro le difficoltà e contro le barriere che la vita pone da sempre sul suo cammino: «La cosa che mi ferisce di più è essere considerato uno stupido – racconta in una intervista su Usa TodayNon mi va quando mi considerano meno dei miei coetanei. E lo sport per me è fondamentale non come rivalsa ma perché mi ha permette di far qualcosa insieme agli altri, di far parte di una squadra, di uscire dall’isolamento…».

E allora il triathlon torna in cima ai suoi pensieri e alla sua vita. Quattro ore di allenamento al giorno per sei, sette giorni la settimana: fatica, sacrifici ma soprattutto tanta gioia. E tornano le gare. Sei triathlon sprint, uno su distanza olimpica e un mezzo Ironman ad agosto dell’anno scorso a Panama con il chiodo fisso in testa di diventare il primo ragazzo con sindrome di Down a concludere un Ironman completo. Sempre seguito dal suo fido allenatore Daniel Grieb: «Non gli importa di vincere – racconta -, si dà degli obiettivi cercando di ispirare persone che come lui sono nati con la sindrome di Down. Grazie al triathlon sta inconsciamente imparando a vivere in modo indipendente ed è incredibile se uno pensa che fino a qualche anno fa dipendeva completamente dalle persone che si occupano di lui. Sta imparando non solo a diventare un atleta migliore, ma anche un uomo migliore».
Sfide enormi entrambe. E pochi giorni fa, nel Golfo del Messico, in 16 ore, 46 minuti e 9 secondi questo ragazzo americano che sta diventando un simbolo per tanti suoi coetanei, ha portato a termine l’Ironman della Florida. Nessuno «sconto»; se fosse arrivato al traguardo solo 13 minuti dopo il risultato non sarebbe stato omologato. Ma sinceramente non sarebbe cambiato molto. Ora il sogno è partecipare alla finale del mondiale Ironman che ogni anno si svolge a Kona, e che è un Santo Graal per tutti i triatleti, figurarsi per lui. Ma in realtà il sogno è un altro, quello di suo padre, che racconta: «Mia figlia, Jacky, è un’atleta dotata e l’ho sempre trattata come dotata, mentre trattavo Chris come speciale. A volte speciale significa che non può fare qualcosa. Perciò non ho dato a lui le stesse possibilità che ho dato a sua sorella, ed era per proteggerlo. Ma due anni fa ho cominciato a trattarlo come dotato e pochi giorni fa ha finito un Ironman…».

Che per un genitore come Nick non è solo la soddisfazione di vedere un figlio che termina un’impresa straordinaria ma molto, molto, di più: «Quando hai un figlio con bisogni speciali – confessa – una delle cose a cui pensi spesso è se ce la farà quando non sarai più con lui come genitore. Ti chiedi se sarà in grado di prendersi cura di se stesso, di vivere senza di te. L’aver completato un Ironman è più del raggiungimento del traguardo, mi dice che andrà sempre bene anche quando io me ne sarò andato…».
(ilgiornale.it)

Ellie Goldstein, la modella con la sindrome di Down nella campagna di Gucci: la disabilità non è un limite

Britannica, 18 anni, è già una modella affermata e comparirà sulle pagine di «Vogue Italia». Tanti i complimenti sui social

Il sogno è diventato realtà per Ellie Goldstein, 18 anni: ha sempre desiderato diventare una modella, si è impegnata e nel fashion system è già un volto noto. Adesso, la ragazza con la sindrome di Down è stata scelta da Gucci per la campagna beauty di un mascara e apparirà sulle pagine di Vogue Italia. Un grande successo per Ellie diventare il volto del brand. Originaria di Ilford nella contea dell’Essex (Regno Unito), studia arti dello spettacolo al college di Redbridge (Essex) e da tre anni lavora con l’agenzia di modelli Zebedee Management che rappresenta persone con disabilità. Alle spalle ha diverse campagne pubblicitarie importanti, da Nike e Vodafone, ma diventare testimonial di Gucci la rende piena di orgoglio: dimostra che i preconcetti sulla disabilità sono caduti. La disabilità non è un limite, come ha anche spiegato lo stilista Alessandro Michele che l’ha scelta: «Ho progettato il mascara L’Obscur per una persona autentica che usa il trucco per raccontare la sua storia di libertà, a modo suo», ha spiegato il designer che ha affidato il progetto al fotografo David PD Hyde.

I commenti positivi

Le immagini di Ellie postate sugli account Instagram della maison hanno raccolto tantissimi like (quasi 800 mila) e commenti affettuosi pieni di complimenti, mentre l’account Instagram della Goldstein @elliejg16_zebedeemodel continua a crescere, anche grazie al Daily Mail che le ha dedicato un articolo. «Mi è piaciuto molto posare — ha detto Ellie — e mi è piaciuto molto indossare abiti di Gucci. Sono davvero orgogliosa del servizio fotografico». Mentre la madre è rimasta piacevolmente stupita dei tanti complimenti social arrivati alla figlia.

https://www.instagram.com/p/B9hWo6Lho-P/?utm_source=ig_web_copy_link

Le colleghe

Ellie non è la prima modella con la sindrome di Down a posare o a sfilare: l’australiana Madeline Stuart nel 2018 ha sfilato per Victoria’s Secret, mentre la spagnola Marian Avila è stata protagonista della passerella alla New York fashion week durante lo show di Talisha White.

Il sindaco di Firenze

Il sindaco di Firenze Dario Nardella, commentando la notizia di Ellie, ha scritto su Twitter: «Sono felice e orgoglioso che Gucci, la maison che ha radici e cuore produttivo a Firenze, scelga Ellie Goldstein per la sua campagna. Un messaggio intelligente e forte: la disabilità non è e non sarà mai un limite. Chapeau!».
(corriere.it)

Disabilità: nasce l’Erasmus per lavoratori con sindrome di Down

Presentata oggi a Roma la seconda fase del progetto internazionale OMO-On my own…at work per l’inclusione lavorativa, nel settore alberghiero, di giovani con sindrome di Down. Nasce anche una rete di “alberghi amici”, riconoscibili grazie a un logo speciale. Per cui si cercano creativi

Cuochi, camerieri, addetti alla reception: gli alberghi di tutta Europa stanno per aprire le porte a decine di nuovi impiegati, tutti con una caratteristica particolare: un cromosoma in più. È uscito infatti con successo dalla fase sperimentale il progetto internazionale OMO- On my own…at work per l’inclusione lavorativa, nel settore alberghiero, di giovani con sindrome di Down: avviato nel settembre del 2014, ha come obiettivo promuovere una società accessibile e inclusiva nei confronti delle persone con sindrome di Down, e, nello specifico, di migliorare il processo di apprendimento di queste persone nello svolgimento di mansioni lavorative nell’ambito del settore alberghiero.
In un incontro oggi a Roma sono stati presentati i due strumenti elaborati dal consorzio gestore: un’applicazione per smartphone e tablet rivolta ai tirocinanti, con la funzione di ricordare compiti, strumenti e modalità di azione relativi alla mansione da svolgere, e alcuni video tutorial, che illustrano esempi di una corretta relazione tra i tirocinanti con disabilità intellettiva e i loro colleghi di lavoro, rivolgendosi a questi ultimi. Inoltre è stata presentata la rete europea di “hotel amici” che, in accordo con gli enti di formazione ed educazione professionale, potranno ospitare stage ed esperienze lavorative di persone con sindrome di Down, organizzati secondo regole di un processo di qualità che prevede, tra l’altro, l’adozione degli strumenti elaborati nell’ambito del progetto. Gli alberghi che aderiranno alla rete e che si impegneranno formalmente ad offrire con periodicità occasioni lavorative a persone con sindrome di Down, grazie all’applicazione di un apposito codice di condotta, riceveranno un marchio che hotel e ristoranti potranno utilizzare e che qualificherà la loro responsabilità e impegno etico; un concorso apre la possibilità a chi ne fosse interessato di realizzare il logo ufficiale di questa rete. Il 25 ottobre 2016 è il termine ultimo per partecipare al concorso.
Attraverso queste azioni, il progetto OMO promuoverà l’accesso dei cittadini europei con sindrome di Down alla formazione nel settore alberghiero, attraverso la creazione di partnership tra le agenzie di formazione, come ad esempio le scuole professionali e le associazioni di persone con disabilità e il settore alberghiero. In Italia il progetto ha visto già un gruppo di ragazzi, tra i 21 e i 23 anni, lavorare presso l’Hotel Melià Aurelia Antica di Roma.
Il progetto Omo è finanziato dalla Commissione Europea, nell’ambito del programma Erasmus + Key Action 2 (Cooperation for innovation and the exchange of good practices – Strategic Partnerships). Capofila di Omo è Aipd-Associazione Italiana Persone Down.

(VITA)

21 GRAMMI, IL BAR TRA SOGNO E AUTONOMIA

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È stato inaugurato in viale Italia 13, in città, «21 Grammi», locale aperto dal Centro Bresciano Down insieme alla cooperativa Big Bang e con il sostegno di numerosi attori istituzionali e privati.

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Colazioni, merende, aperitivi e molto altro, preparati e serviti da otto ragazzi con sindrome di Down, affiancati da professionisti, per intraprendere un percorso di formazione volto all’inserimento lavorativo anche in altre realtà e conquistare spazi di autonomia.

Foto Gabriele Strada /Neg © (giornaledibrescia.i

di Giovanni Cupidi

In barca a vela contro la disabilità, è il progetto “Gatto gatto”

Lo skipper Vittorio Santoro, insieme ad una terapista, organizza piccoli equipaggi di ragazzi autistici e con sindrome di Down

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“Il passo più importante è quando riescono a percorrere senza paura la passerella per salire a bordo”. Nelle parole dello skipper Vittorio Santoro, la velaterapia con disabili mentali è un percorso fatto di emancipazione e piccole conquiste. Da due anni e mezzo, a bordo della barca a vela “Gatto gatto” dal porto di Riva di Traiano (Civitavecchia), Vittorio insegna le principali tecniche di navigazione a piccoli equipaggi di persone con sindrome di Down, autistiche o caratteriali, invitandole a lavorare in squadra, creando team dove tutti sono indispensabili, in un’attività all’aria aperta a contatto con la natura.

La velaterapia.”Insieme a una terapista, facciamo uscite di 2 o 3 ore, ogni volta che il tempo è bello – spiega lo skipper  –  insegnando a tirare su il fiocco, issare una vela, ma anche a timonare, e per ognuno di loro è una grande responsabilità avere il controllo di un’imbarcazione di 10 metri”. È la velaterapia, molto diffusa in Francia e in Inghilterra, meno in Italia. Così la navigazione da attività sportiva diventa anche terapia, che stimola le capacità cognitive e relazionali, invita alla risoluzione veloce di problemi, e quindi ad affrontare la vita quotidiana sulla terra ferma, attraverso la responsabilizzazione e rendendo i partecipanti consapevoli delle proprie risorse e dei propri limiti. “Ai nostri equipaggi prendono parte uomini e donne di ogni età, dai venti fino ai cinquant’anni  –  continua Vittorio  –  ed è bellissimo vederli lavorare tutti insieme. In una decina di uscite in barca ognuno di loro impara quasi tutto il necessario”.
(repubblica.it)

di Giovanni Cupidi

“Hotel 6 stelle” premiato a Parigi

Si sono svolti anche quest’anno a Parigi i Worldwide Hospitality Awards a cui partecipano le migliori realtà e progetti del settore turistico di tutto il mondo. Nell’edizione di quest’anno il gruppo editoriale MKG, leader europeo nel settore turistico, ha riconosciuto al Meliá Roma Aurelia Antica l’impegno per l’integrazione di persone con disabilità nell’ambiente lavorativo assegnando all’hotel il Worldwide Hospitality Award come “Miglior iniziativa di Responsabilità Sociale”, per aver dimostrato che la disabilità non è mai un ostacolo ma un valore aggiunto. Meliá Roma Aurelia Antica ha infatti offerto con il progetto “Hotel 6 stelle” un’esperienza lavorativa a tre ragazzi e tre ragazze affetti dalla sindrome di Down, impegnandoli in un tirocinio formativo in Hotel per tre mesi. I 6 ragazzi hanno collaborato con il personale dell’albergo nello svolgimento delle mansioni quotidiane, in un vero e proprio percorso formativo atto a dare loro una reale integrazione lavorativa.
Palmiro Noschese, managing director Italia di Meliá Hotels International, che ha ritirato a Parigi il premio ha dichiarato: “Sono orgoglioso di ricevere questo premio, la riconferma dell’impegno del Gruppo Meliá Hotels International anche nel campo sociale. Siamo stati i precursori di un progetto grandioso che mi auguro si possa ripetere presto nel nostro Paese”.
Il progetto “Hotel 6 Stelle” è stato realizzato in collaborazione con Aipd (Associazione Italiana Persone Down), con l’obiettivo di integrare le persone con disabilità nell’ambiente lavorativo generando un impatto positivo nella società. 
“Hotel 6 Stelle” è stato realizzato,inoltre, in collaborazione con Magnolia e Rai 3, che ha messo in onda il programma nel febbraio di quest’anno con l’obiettivo di raggiungere una vasta audience e risvegliare la coscienza delle imprese e dell’opinione pubblica.  
Da Venerdì 14 novembre, sempre su Rai3, la nuova edizione del programma: una docu-fiction in sei puntate di seconda serata nelle quali altri 6 ragazzi speciali sono questa volta alle prese con un tirocinio formativo in un resort a cinque stelle di Villasimius, una delle più suggestive località turistiche della Sardegna.

La prima serie di  Hotel 6 stelle ha inoltre fatto si che l’Associazione Italiana Persone Down sia stata contattata da oltre 50 aziende e associazioni disposte ad offrire tirocini formativi, assunzioni e lavori stagionali.
Sono 25 le persone con sindrome Down e altre disabilità intellettive che hanno già iniziato un percorso lavorativo, mentre molti altri tirocini sono in partenza o in fase di valutazione.

di Giovanni Cupidi