Recovery plan e disabilità: nuove risorse e lacune antiche

Sulla disabilità che cosa esprime il PNRR? Chi ha redatto il Piano dimostra di conoscere gli elementi portanti della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 che spazia dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. Tuttavia, il “tema” disabilità è sostanzialmente confinato nella missione sull’inclusione sociale. Anzi, in una parte di quella missione

Inquadriamo lo scenario usando la stessa sintassi governativa. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, lo strumento predisposto a Bruxelles per rispondere alla crisi provocata dalla pandemia da Covid-19. È strettamente necessario che il Piano sia elaborato in modo congruente alle richieste UE per poter contare su un contributo mai visto e che sfiora i 200 miliardi. Il Governo Conte ne aveva elaborato una prima deficitaria versione.

Il Governo Draghi ci ha rimesso le mani ne ha inviato testo e schede tecniche al Parlamento. Sarà al centro del Consiglio dei Ministri di domani e poi della discussione parlamentare lunedì e martedì prossimi. Infine sarà approvato in una nuova riunione del CdM e inviato a Bruxelles.
Il Piano (chiamato anche Recovery Plan) è articolato in sei missioni: digitalizzazione; innovazione; competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità sostenibile; istruzione; cultura e ricerca; inclusione e sociale; salute.

Attorno alle oltre 318 pagine del PNRR, non solo per la vastità del documento, è difficile esprimere sia una stroncatura, che certo non merita, che un acritico apprezzamento. Molti invece gli interrogativi, talora pessimistici ma più spesso sinceramente ispirati dalla curiosità di conoscerne la effettiva applicazione e ricaduta sulle persone, sulle famiglie, sulla collettività.

Sulla disabilità che cosa esprime il PNRR? Chi ha redatto il Piano dimostra di conoscere gli elementi portanti della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 che spazia dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. Lo dimostra e la cita assieme ai preoccupati report (2017) del Parlamento europeo.

Tuttavia, il “tema” disabilità è sostanzialmente confinato nella missione sull’inclusione sociale. Anzi, in una parte di quella missione. Se alcuni elementi sono certamente apprezzabili (al netto di come verranno effettivamente realizzati), non emerge una visione d’insieme articolata e che colga, almeno in nuce, le complessità irrisolte su disabilità e non autosufficienza, su inclusione e pari opportunità, su segregazione e isolamento.

Nella missione riservata all’inclusione sono previste per la disabilità due specifiche linee di intervento. La prima è quella delle infrastrutture sociali che dovrebbero “rafforzare il ruolo dei servizi sociali locali come strumento di resilienza mirare alla definizione di modelli personalizzati per la cura e il miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità, anche attraverso il potenziamento delle infrastrutture sociali che coinvolgono il terzo settore.” Non è ancora chiaro di cosa si intenda nel dettaglio, ma verosimilmente vi saranno inclusi servizi residenziali, semiresidenziali e di accompagnamento.

Ci si attendeva in queste parti un più articolato dettaglio, solo ad esempio, sul tema della non autosufficienza. Aspetto invece che rimane molto debole in tutto l’impianto del Piano con quello che ne deriva per una parte significativa della popolazione.

Più stringente la seconda linea che contempla invece i percorsi di autonomia per le persone con disabilità cogliendo in parte , almeno in termini programmatici, molte istanze avanzate in questi anni. Gli intenti espressi – su cui si possono elaborare differenti letture – sono quelli di evitare la istituzionalizzazione o di favorire la destituzionalizzazione soprattutto attraverso l’assistenza domiciliare ma anche di accompagnamento all’autonomia personale. Si delineano anche sostegni all’abitare, agli interventi per la ristrutturazione delle abitazioni anche con il ricorso a strumenti di domotica o tecnologicamente avanzati. Un passaggio è dedicato al ricorso a strumentazione e allo sviluppo di competenze digitali in funzione del telelavoro. Il tutto dovrebbe essere inquadrato nella definizione di progetti personalizzati.

In altri passaggi non si rileva invece alcuna particolare attenzione alla disabilità; in particolare l’assenza brilla nelle politiche per l’occupazione (grave!) e nell’housing sociale. Come pure in altre linee dedicate alla disparità di genere e, ancora, all’istruzione o, infine, alla reale accessibilità alla salute, alla prevenzione, alla cura.
Si tace sulla disabilità anche nella parte riservata all’innovazione nella Pubblica amministrazione. Qui di apprezzabile vi è il richiamo all’accessibilità degli atti e delle risorse pubbliche (peraltro già previsto da un corpus regolamentare nazionale ed UE).

Rimane quindi la spiacevole sensazione che la visione della disabilità sia costretta nell’ambito dell’assistenza e della protezione sociale (nel senso minimale dell’espressione) e non piuttosto in quella di una condizione umana trasversale cui riservare inclusione e opportunità.
Non è una sensazione ma una certezza invece, la lacuna rispetto alle riforme strutturali strettamente necessarie al successo stesso del Recovery Plan. È una lacuna che sappiamo essere ben chiara nella sua ampiezza sia a Draghi che al suo entourage: è quello della governance. E governance non significa solo e tanto vigilare che gli obiettivi siano raggiunti per distribuire i quattrini. Significa conservare la regia e i poteri sufficienti per far sì che quegli obiettivi siano realmente perseguiti.

Nel sociale – a noi qui quello interessa – ciò è particolarmente infido. Tentiamo di spiegarla facile e in poche righe. La legge quadro sull’assistenza (recte: sistema integrato di interventi e servizi sociali) risale al 2000. Norma risultante di una stagione di forti idealità, di condivisione, di confronti, la 328/2000 è verosimilmente la legge meno applicata alle nostre latitudini. Anche per una banale coincidenza storica: quasi contestualmente è stato riformato il Titolo V della Costituzione restituendo alle Regioni pressoché tutte le competenze in ambito sociale. Anziché generare mirabolanti effetti la pretesa sussidiarietà ha partorito 21 sistemi sociali regionali ed una profonda disparità territoriale, fortissime disequità allevate nell’assenza di livelli essenziali di assistenza sociale. E niente: con una punta di provocazione possiamo di che che forse l’unico “livello essenziale” reale è oggi l’indennità di accompagnamento, quella che eroga INPS per conto dello Stato.

Negli ultimi anni si è malamente tentato di metterci una toppa, usando i decreti di riparto di alcuni Fondi nazionali come leva a lungo braccio per imprimere un minimo di uniformità di trattamento almeno su alcuni aspetti (non autosufficienza, dopo di noi …). Ma le risorse sono troppo limitate per forzare cambiamenti radicali e strutturali nei territori. Per usare una immagine bucolica: se si gettano semi un terreno che oramai è ghiaioso, difficilmente germoglieranno. Lo stesso fenomeno che accade quando risorse arrivano in un territorio in cui i servizi sociali sono largamente assenti.
Nel sociale lo Stato non ha poteri sufficienti per governare, rendere omogenei servizi e politiche, eliminare odiose disparità territoriali (che la UE mal sopporta); deve quindi contrattare al ribasso le regole con le Regioni, tornare ai consueti decreti di riparto e incidere assai poco nei casi di latitanza.

E che c’entra il Recovery Plan? Ci si ritrova nella stessa situazione di governance monca e che le più mirabolanti intuizioni rimangano impaludate in antichi meccanismi.
A meno che… A meno che Mister Draghi, forte del consenso che per ora conserva, non tiri fuori un coniglio dal cilindro, modificando regole e norme che ci condizionano da parecchi lustri. Se ciò dovesse avvenire, ci auguriamo si inizi dal sociale.
(di Carlo Giacobini su vita.it)

Fondo Nazionale Politiche Sociali: pubblicato il Decreto di riparto

Il magro bottino delle Regioni. Le Politiche Sociali sempre più meno finanziate, altro che equità! 

da condicio.it

Nella Gazzetta Ufficiale del 10 settembre 2013 è stato finalmente pubblicato il Decreto di riparto del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali per il 2013. Come di consueto il Ministero delle politiche sociali provvede a suddividere gli stanziamenti approvati dal Parlamento nella precedente Legge di stabilità.
Per il 2013 la somma totale disponibile ammonta a 343 milioni e 704 mila euro.Di questi, 43 milioni e 704 mila euro li trattiene il Ministero, 4 milioni e 980 mila euro vengono destinati solo formalmente alle Provincie Autonome di Trento e Bolzano, mentre i rimanenti 295 milioni e 20 mila euro vengono trasferiti alle Regioni.
Le Regioni si impegnano a programmare gli impieghi delle risorse loro destinate per le aree di utenza e secondo i macro-livelli e gli obiettivi di servizio indicati in un allegato al Decreto. Si tratta di servizi per l’accesso e la presa in carico da parte della rete assistenziale; servizi e misure per favorire la permanenza a domicilio; servizi per la prima infanzia e servizi territoriali comunitari; servizi territoriali a carattere residenziale per le fragilità; misure di inclusione sociale – sostegno al reddito.
Con successivo accordo in sede di Conferenza Unificata Stato-Regioni saranno definite linee di intervento e indicatori volti a specificare in dettaglio gli obiettivi di servizio e a determinare eventuali target quantitativi di riferimento.
Nel Decreto di riparto per il 2013 va segnalata una significativa novità non favorevole alle Regioni e, a caduta, agli Enti locali e ai cittadini. Il Decreto infatti provvede all’erogazione immediata alle Regioni solo del 20% loro spettante, mentre il rimanente 80% è rimandato a successivi adempimenti da parte delle stesse Regioni.
Vediamo di ricostruire l’origine di tale provvedimento.Il Decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Legge 7 dicembre 2012, n. 213) all’articolo 2 è intervenuto con decisione per contenere i cosiddetti costi della politica, imponendo alle Regioni di adeguare i propri Statuti regolamentando e restringendo, ad esempio, i compensi, le provvidenze e le indennità ai consiglieri, oltre ai rimborsi ai partiti.
Le Regioni che non si adeguano modificando i propri Statuti a decorrere dal 2013 si vedono ridurre una quota pari all’80% dei trasferimenti, diversi da quelli destinati al finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale e del trasporto pubblico locale. Le Regioni virtuose, una volta dimostrate le modificazioni statutarie, possono ricevere l’intero importo.
La stessa norma prevede che, in caso di mancato adeguamento degli Statuti entro il 31 dicembre 2012, i trasferimenti erariali a favore delle Regioni inadempienti siano ulteriormente ridotti per un importo corrispondente alla metà delle somme da essa destinate al trattamento economico complessivo spettante ai membri del Consiglio regionale e ai membri della Giunta regionale.
Da quel provvedimento trae origine la distinzione nel Decreto di riparto del FNPS fra il 20% da erogare subito e l’80% da erogare dopo che le Regioni avranno inviato alla Presidenza del Consiglio e al Ministero dell’economia e delle finanze dati e conferme sull’avvenuta modificazione dei propri Statuti.Tuttavia, nel frattempo, la Legge 7 dicembre 2012, n. 213 è stata modificata dalla più recente Legge 9 agosto 2013, n. 99. Essa ha disposto (all’articolo 2, comma 1) che il vincolo dell’80% di cui sopra non si applichi sui trasferimenti che riguardano le politiche sociali e le non autosufficienze, ampliando quindi l’eccezione precedente che interessava solo la sanità e il trasporto locale. Il senso della modifica è evidente: non paghino i cittadini più esposti e i servizi essenziali a causa dei comportamenti poco virtuosi della propria Regione.
Di fatto il Decreto di riparto, emanato prima dell’approvazione della Legge 99/2013, non tiene in considerazione le più recenti disposizioni, cosa che aprirà possibili contenziosi con le Regioni e probabili interventi correttivi.
Al momento le singole Regioni hanno sicurezza solo del 20% degli stanziamenti loro spettanti, indicati con chiarezza nella Tabella 2A del Decreto di riparto.

di Giovanni Cupidi

Goodbye Tabella H che “non voleva nessuno”

Sicilia – Finanziaria 2013

Il Commissario dello Stato ha impugnato ben 21 articoli dei 77 approvati nella recente Finanziaria del Governo Crocetta. In particolare il Commissario ha cassato l’articolo 74 ossia quello relativo ai contributi erogati “a pioggia”, circa 21 mln di Euro, destinati a Enti o Associazioni varie.
Questa la dichiarazione del Commissario:

 “Né dal testo della norma, che contiene con il rinvio all’allegato 2 un mero elenco di destinatari e di importi ripartiti, né dai lavori preparatori della legge, come prima prospettato, emerge la ratio giustificatrice di ogni caso concreto non risultando pertanto che l’Assemblea regionale abbia osservato criteri obiettivi e trasparenti nella scelta dei beneficiari dei contributi. La norma, secondo quanto affermato da codesta Corte su un caso similare deciso con sentenza n. 137 del 2009, si risolve ‘in un percorso privilegiato per la distribuzione di contributi in denaro, con prevalenza degli interessi di taluni soggetti collettivi rispetto a quelli, parimenti meritevoli di tutela, di altri enti esclusi, ed a scapito quindi dell’interesse generale'”.

Adesso speriamo che nella rivalutazione e rimodulazione, che ovviamente nessuno vuole ma che alla fine verrà riproposta, si possano valorizzare solo quegli Enti e associazioni meritevoli ed invece utilizzare le risorse, che non sono modeste, per progetti mirati e servizi assolutamente indispensabili.
Meno strutture e più servizi alle persone!

di Giovanni Cupidi

Riporto di seguito l’articolo che ne da notizia su livesicilia.it

di Accursio Sabella

PALERMO – Il Commissario dello Stato getta nel cestino la Tabella H. E fa felici i deputati regionali, che pochi giorni fa l’avevano approvata. Già, perché la storia recente dell’elenco dei contributi a enti e associazioni è la storia di un paradosso. La storia di una schizofrenia tutta sicula. La Tabella, infatti, stando alla sfilza di interventi che si sono susseguiti nella lunga notte della Finanziaria (che a quel punto, a dire il vero, era già diventata mattina), era, giusto per fare qualche esempio, “uno scandalo”, “uno schifo”, “un retaggio della vecchia politica”, “un’ingiustizia”. Qualcosa da eliminare, da abbattere. Persino per quel gruppo parlamentare che aveva chiesto di rimpinguarne gli stanziamenti: il Movimento cinque stelle. Insomma, il Commissario accontenta tanti onorevoli. Persino quelli che dal pulpito hanno detto di “no”, e dai banchi hanno premuto il “sì”.Resta il fatto che l’impugnativa di Aronica rappresenta un momento a suo modo storico. Una svolta “culturale”. Ancor più decisiva perché in netta controtendenza con gli anni passati. Anni in cui i criteri per la distribuzione dei fondi erano stati più o meno gli stessi, così come gli sponsor politici degli enti, e così come il Commissario, sempre Aronica.Tant’è. Meglio tardi che mai, direbbe qualcuno. E in effetti, il fatto che nulla di nuovo si trovasse quest’anno sotto il sole, è messo nero su bianco dallo stesso Carmelo Aronica: “A fronte di una legislazione ordinaria e di principio che prevede l’ammissione a contributi pubblici di tutti i soggetti pubblici e privati su un piano di parità per il mantenimento e l’esercizio di attività di rilevante interesse culturale e sociale fruibili dalla collettività, – scrive il Commissario – l’Assemblea regionale interviene nuovamente con un provvedimento ad hoc destinato esclusivamente a determinate istituzioni, da anni fruitrici di provvidenze pubbliche senza ancorare la scelta operata a precisi e confacenti parametri di comparazione e valutazione”.In quel “nuovamente”, insomma, c’è il riconoscimento di un malcostume cronico. Di abitudini antiche, oltre che cattive. Nonostante buone, anzi ottime fossero le finalità dell’azione di molte di queste associazioni. Ma in molti casi, secondo il Commissario, a essere stato violato è il principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione. Un principio che “esige – scrive Aronica – che le leggi singolari, come la norma in esame, corrispondano ad obiettive diversità delle condizioni considerate rispetto a quelle di enti similari, che giustifichino razionalmente ed obiettivamente la disciplina di privilegio adottata. Ove sussistono situazioni omogenee rispetto a quelle singolarmente considerate – prosegue Aronica – si incorre nella violazione del principio di eguaglianza perché si determinano ingiustificate posizioni di vantaggio per le istituzioni beneficiarie della norma rispetto a quelle escluse”. Insomma, sono comprensibili gli interventi pubblici che consentano a enti in qualche modo “svantaggiati” di colmare il gap con altri che svolgono le stesse funzioni. Non, invece, quei contributi che consentano ad alcuni soggetti di “avvantaggiarsi” rispetto ad altri.“Se non sono contestabili la valenza ed il rilievo, anche a livello ultra regionale, di talune associazioni e fondazioni destinatarie dei contributi, – precisa infatti Aronica – ciò che costituisce motivo di censura è l’omessa valutazione e comparazione delle loro situazioni con quelle delle altre istituzioni operanti in medesimi settori in Sicilia. Detto esame comparativo avrebbe potuto (e dovuto) essere effettuato mediante una esaustiva istruttoria amministrativa operata dalla competente Commissione legislativa prima dell’adozione della legge dalla cui conclusione potesse emergere una obiettiva diversità di condizioni che giustificasse la scelta operata dal legislatore in favore dei 135 enti in questione con esclusione degli altri casi cui lo stesso trattamento avrebbe potuto estendersi”.E il richiamo al lavoro in Commissione legislativa, in effetti, punta i riflettori su un’altra delle peculiarità insite nella “Tabella H”.L’unico provvedimento che non abbia avuto un passaggio dalle Commissioni di merito. Ma che si è “incarnato” nei colloqui più o meno ufficiali avvenuti in questa o questa sala di Palazzo dei Normanni. “Fino alla mezzanotte – racconta Girolamo Fazio, uno dei deputati che ha apertamente contestato la Tabella H anche uscendo dall’Aula per protesta – la Finanziaria, tranne che in rarissimi casi, non era stata contaminata da forme antiche di clientelismo e di favori. Poi, è cambiato tutto”. Alla mezzanotte, insomma, la “carrozza” della Finanziaria regionale è diventata zucca. Tra le urla presto smorzate, dei due presidenti: quello dell’Ars e quello della Regione. Il primo pronto a denunciare la presenza del governatore a strane riunioni notturne sulla Tabella H. Il secondo a rispondere indispettito, lavandosi le mani di fronte a quella che sarebbe comunque rimasto “un problema dei deputati”.E l’Assemblea, tra l’altro, secondo il Commissario, “non ha tenuto nella debita considerazione la circostanza che le istituzioni in argomento potrebbero essere già destinatarie di provvidenze erogate da altri soggetti pubblici e ciò al fine di garantire non solo la ‘par condicio’ tra i vari enti ed associazioni ma anche l’ottimale utilizzazione delle risorse, peraltro esigue, destinate a garantire il soddisfacimento dei bisogni della collettività in ambito socio culturale”.Manca, insomma, quella benedetta istruttoria. “La disposizione impugnata, – scrive inoltre Aronica – che si connota come legge-provvedimento, in quanto incide su un numero determinato benché elevato di destinatari ed ha contenuto particolare e concreto attribuendo a ben precisi soggetti collettivi sovvenzioni in denaro, deve essere soggetta ad un scrutinio stretto di costituzionalità sotto il profilo della non arbitrarietà e non irragionevolezza della scelta del legislatore. Lo stesso legislatore, quando emette leggi a contenuto provvedimentale, – aggiunge Aronica – deve applicare con particolare rigore il canone della ragionevolezza (sentenza n. 137/2009) affinché il ricorso a detto tipo di provvedimento non si risolva in una modalità per aggirare i principi di eguaglianza ed imparzialità”.Principi, quelli dell’uguaglianza e della legalità, di cui non si troverebbe traccia nella norma approvata dall’Assemblea: “Né dal testo della norma, che contiene con il rinvio all’allegato 2 un mero elenco di destinatari e di importi ripartiti, – scrive Aronica – né dai lavori preparatori della legge, come prima prospettato, emerge la ratio giustificatrice di ogni caso concreto non risultando pertanto che l’Assemblea regionale abbia osservato criteri obiettivi e trasparenti nella scelta dei beneficiari dei contributi. La norma, secondo quanto affermato da codesta Corte su un caso similare deciso con sentenza n. 137 del 2009, si risolve ‘in un percorso privilegiato per la distribuzione di contributi in denaro, con prevalenza degli interessi di taluni soggetti collettivi rispetto a quelli, parimenti meritevoli di tutela, di altri enti esclusi, ed a scapito quindi dell’interesse generale’”. E il riferimento alla sentenza del 2009, in effetti, aggiunge un elemento di paradosso, alla paradossale storia della “Tabella H”. Quella sentenza era nota ai tanti addetti ai lavori. Ed è stata non a caso rilanciata da Legambiente, pochi giorni dopo. Ma ai deputati regionali, in quella lunga notte della Finanziaria, deve essere sfuggito.