Covid. Sui vaccini per i disabili (e chi li assiste) tanti annunci e pochi fatti

Vaccinazioni per i disabili ancora ferme o a rilento. Ancora peggio per i loro caregiver, familiari e operatori.

Scontano i ritardi generali nelle vaccinazioni, tutti slittano e i disabili ancora di più, ma anche indicazioni incomprensibili, incongruenze, con patologie previste come prioritarie e altre, simili, fuori dagli elenchi.

Questo a livello nazionale, mentre solo tre Regioni, Emilia Romagna, Lazio e Abruzzo, hanno messo in campo proprie iniziative, ma con metodologie diverse, a conferma di una grande confusione. E ancora una volta a rimetterci sono le famiglie dei disabili che per tutelarli li tengono a casa da mesi senza le preziose attività riabilitative e socializzanti. In particolare autistici e altri disabili mentali, completamente dimenticati tra i prioritari.

Le “Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti-Sars CoV2/Covid-19” del ministero della Salute dello scorso 8 febbraio, inserisce nella “fase 2” le “persone estremamente vulnerabili” e tra loro alcune forme di disabilità come Sla, paralisi cerebrali infantili, fibrosi cistica, sindrome di Down. Molto poche e con alcune incongruenze.
Ricordiamo, innanzitutto, che nella prima fase di vaccinazione, ancora in corso, si è intervenuti nelle Rsa che, oltre agli anziani, ospitano anche disabili con varie patologie. Per loro e per gli operatori la vaccinazione è stata fatta o lo sarà nei prossimi giorni. Per tutti. Chi, invece, vive in famiglia dovrà attendere la “fase 2” o chissà quando se non rientra nell’elenco delle “Raccomandazioni” dell’8 febbraio.

Un’evidente disparità di trattamento. E in alcune Regioni va anche peggio perché alcune strutture come i centri di riabilitazione, pur ospitando disabili anche gravi e in regime residenziale, non sono inserite nella prima fase.
Niente vaccino per i disabili e neanche per gli operatori. Il motivo sarebbero i ritardi nell’approvvigionamento dei vaccini, ma sta di fatto che a parità di condizioni non si capisce perché siano finiti in fondo alla lista. Ma le incongruenze maggiori riguardano le patologie previste come prioritarie nella “fase 2”, ai limiti della discriminazione. Ad esempio è stata, molto giustamente, inserita la Sla ma non si capisce perché non lo siano la Distrofia muscolare e la Sma (Atrofia muscolare spinale) che appartengono alla stessa “famiglia” e, pur meno gravi, sono molto simili, in particolare da un punto di vista respiratorio.

Mentre in altri Paesi tutti quelli che hanno problemi respiratori di questo tipo sono trattati allo stesso modo per le vaccinazioni. Altra incongruenza è aver inserito i caregiver degli emofiliaci. Giustissimo. Ma non ci sono gli altri, anche quelli delle patologie previste come prioritarie in quanto gravi. Dimenticanza? Contraddizione? Mentre totalmente trascurati sono gli affetti da sindrome dello spettro autistico, e quasi tutte le disabilità mentali. Con grossi problemi perché a queste persone è molto difficile far rispettare le norme sul distanziamento fisico e l’uso della mascherina. La priorità per loro non è, dunque, motivata da rischi clinici ma comportamentali. Ma questo sembra che non sia stato preso in esame. Una confusione confermata a livello regionale.

Emilia Romagna e Lazio hanno scelto di operare attraverso i servizi: trovate voi le persone che corrispondono all’identikit previsto a livello nazionale. In questo caso, ovviamente, dipende molto da come operano i vari servizi pubblici che si occupano delle più diverse disabilità, dalla loro efficienza e capacità organizzativa. Ad esempio ieri si è proceduto alla somministrazione del vaccino per tutte le persone ricoverate presso il reparto di Unità Spinale del CTO “Andrea Alesini” di Roma, in cui vengono curate e riabilitate persone che hanno subito una lesione al midollo spinale, quindi esposte a maggior rischio in caso di contagio da Covid-19. E lo stesso si è poi fatto al Centro Paraplegici di Ostia.

Ma siamo ancora all’inizio e i numeri sono bassi. Basti pensare che, secondo le indicazioni del ministero, nella “fase 2” nel Lazio rientrerebbero circa 50mila disabili gravi, ma in realtà dovrebbero essere almeno 80mila. E non è detto che attraverso i servizi si riesca a raggiungerli tutti.

L’Abruzzo, invece, ha scelto un’altra strada. Il singolo disabile, e il caregiver, autonomamente si prenotano al centro vaccinale, ovviamente con priorità. Altre regioni come le Marche e la Sicilia avevano annunciato proprie iniziative ma ancora non si è visto nulla. Mentre nelle altre (non tutte) si sta procedendo solo alla vaccinazione dei disabili nelle Rsa. Con molta lentezza, non solo per i ritardi nell’approvvigionamento dei vaccini, ma anche per la carenza di operatori per andare nelle diverse strutture.
(avvenire.it)

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Ripartizione del Fondo per la Non Autosufficienza

Confermato il riparto delle risorse, sulla base dell’intesa siglata il 20 febbraio. Destinati 340 milioni di euro alle Regioni. Chiamparino (Regioni): “La quota da destinare alle disabilità gravissime, inclusa la Sla, passa dal 30 al 40%”

“Buone notizie per il sostegno alle politiche sociali delle Regioni e degli enti locali. In Conferenza unificata abbiamo infatti espresso l’intesa sul Fondo per le politiche della famiglia per l’anno 2014 e abbiamo confermato il riparto del Fondo nazionale per le non autosufficienze 2014, sulla base dell’intesa siglata il 20 febbraio, con un accordo integrativo con cui abbiano definito meglio la disabilità gravissima e abbiamo stabilito che la quota del fondo complessivo da destinare alle disabilità gravissime, inclusa la Sla passa dal 30 al 40%”. Lo dice in una nota il presidente della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino. “Si tratta di risorse ancora del tutto insufficienti rispetto alle esigenze a cui sono chiamate a rispondere le Istituzioni locali, ma rappresentano una ‘boccata d’ossigeno’ per far fronte a situazioni difficili, talvolta drammatiche, delle fasce più deboli della popolazione. Sono 5 milioni di euro relativi al Fondo per le politiche della famiglia e di 340 milioni di euro per quanto riguarda invece le risorse destinate alle Regioni e relative al Fondo per la non autosufficienza”.
(superable.it)

ISEE, IL PRESSING DELL’ANFFAS: “FACCIAMO PRESTO E MEGLIO”

In Parlamento il testo che riforma l’indicatore: il presidente Speziale spinge per una rapida approvazione del testo chiedendo maggiore attenzione ai minori disabili e al lavoro di cura. E specifica: “Tutelare omogenità sul territorio”

Il testo di riforma dell’Isee, all’esame del Parlamento, sia rapidamente approvato, se possibile con qualche miglioramento per tenere nel giusto conto la presenza di minori con disabilità e il lavoro di cura dei familiari: a chiederlo è l’Anffas, che precisa anche la necessità di evitare che regioni e comuni possano modificare a proprio piacimento i criteri di una misura che deve essere omogenea sull’intero territorio nazionale.
“La nostra associazione – spiega il presidente Roberto Speziale – segue con sentita attenzione la rideterminazione dell’Isee perché a questa sono realmente collegate le condizioni di vita di migliaia di cittadini con disabilità e loro famiglie in tutta Italia. L’accesso ai servizi, specie quelli inclusivi, al momento, è colmo di discriminazioni, disomogeneità territoriali e vessazioni, che spesso trovano il loro epilogo nelle aule dei Tribunali”. “Occorre che il nuovo testo venga approvato in termini rapidi e che i criteri dell’Isee diventino univoci in tutta Italia – prosegue Speziale – visto che lo stesso, finora, è stato indicato come livello essenziale di assistenza. Il testo attuale non deve essere stravolto o peggiorato, né tradursi in un ennesimo tentativo di limitare l’accesso alle prestazioni o di scaricarne gran parte del costo sui cittadini con disabilità e sulle loro famiglie”.
“Il rischio concreto è infatti – precisa – che persone con disabilità e famiglie, già discriminate, escluse ed impoverite, siano costrette a rinunciare, per l’alto costo, all’accesso a servizi e prestazioni essenziali per il rispetto dei loro diritti umani e che esistono proprio per tentare di garantire loro parità di opportunità e non discriminazione, in condizioni di eguaglianza con gli altri cittadini”. “Auspichiamo quindi – conclude il presidente – che le commissioni parlamentari si adoperino per una rapida approvazione del decreto, non tralasciando possibili interventi di miglioramento. Il primo: una maggiore attenzione ai minori con disabilità, poiché nel testo attuale la rilevanza di questa condizione è limitata ai maggiorenni. Il secondo: riconoscere il peso, anche economico, che riveste il lavoro di cura da parte dei familiari. Ed ovviamente va eliminata la possibilità per le Regioni e i Comuni di modificare a proprio piacimento l’Isee, pena l’inutilità stessa di questo sforzo regolamentare”. “Anffas continuerà quindi a vigilare e stimolare i lavori delle Commissioni Parlamentari perché il testo finale del nuovo Isee divenga lo strumento principe per una maggiore equità sostanziale nel nostro Paese e non una ennesima vessazione”.

di Giovanni Cupidi

Il nuovo Isee contiene insidie

Come spesso accade quando una qualsiasi riforma viene proposta e poi entra in fase di attuazione non si sta attenti ai bisogni o necessità dei soggetti più deboli ma anzi li si mette ancora più in difficoltà, in situazioni di disagio.
Sembra che ciò stia puntualmente avvenendo con la riforma dell’ISEE che chi chiede l’accesso alle prestazioni sociali conosce bene.
Infatti, la bozza di decreto di riforma dell’Isee (indicatore della situazione economico equivalente) “e’ un vero e proprio cavallo di Troia e va modificata”: e’ quanto chiede l’Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilita’ intellettiva e/o relazionale). L’associazione, “dopo aver preso atto delle modifiche intervenute all’art. 2 della bozza di decreto a seguito del confronto tra il Governo e la Conferenza dei presidenti delle Regioni e aver rilevato l’inserimento di due clausole che portano l’Isee, ritenuto gia’ livello essenziale, a tener conto delle prerogative regionali”, chiedono al Governo e in particolare al ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’eliminazione di tali riferimenti regionali “al fine di evitare che un intervento regionale possa svuotare la portata della riforma”. “Non e’ accettabile – dice il presidente di Anffas Roberto Speziale – che l’Isee sia derogato dalla legislazione regionale, che si possa escludere o limitare a priori, solo per condizioni economiche, l’accesso alle prestazioni sociali e socio-sanitarie e che si faccia utilizzare agli enti erogatori dei criteri diversi ed ulteriori rispetto a quello dell’Isee per regolamentare l’accesso alle prestazioni”. “C’e’ il rischio concreto che questa riforma si traduca in una disparita’ di trattamento sul territorio nazionale concernente, tra le altre cose, i costi di compartecipazione e l’accesso a prestazioni e servizi, e in una seria minaccia alla vita delle persone con disabilita’, in particolare quelle con disabilita’ intellettiva o relazionale, e delle loro famiglie, soggetti che gia’ si trovano in una situazione critica poiche’ gia’ pesantemente colpiti dall’attuale crisi finanziaria e da costanti e continui tagli alle risorse per le politiche sociali” conclude Speziale.
Speriamo che questo Governo dimostri di avere maggiore sensibilità dei precedenti governi di Monti e ancor peggio Tremonti!

di Giovanni Cupidi

Petizione popolare per le cure domiciliari: LEA e NON AUTOSUFFICIENZE

Vi segnalo questo articolo pubblicato su superabile.it e delle innumerevoli iniziative in atto per tenere alta l’attenzione sulle enormi difficoltà che vivono le persone con disabilità grave.
Questa è una di esse:

da http://www.superrabile.it

Sono 41.946 le firme raccolte dalla “Petizione popolare per le cure domiciliari”, finalizzata a sollecitare il finanziamento dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) per le persone non autosufficienti. La petizione è stata chiusa nei giorni scorsi, con 86 adesioni pervenute da istituzioni, enti e loro rappresentati, che si aggiungono alle numerose sottoscrizioni di singoli cittadini. Garantire il prioritario diritto delle persone non autosufficienti alle prestazioni socio-sanitarie domiciliari e, parallelamente, riconosce la figura del “volontario intra-familiare”: sono queste le principali richieste contenute nella petizione, promossa da una lunga lista di associazioni e organizzazioni, riunite nel “Comitato per la promozione della petizione popolare nazionale sui Lea”.
La petizione popolare – si legge nel testo – “ha lo scopodi sollecitare il Parlamento ad assumere i provvedimenti occorrenti per mettere a disposizione delle Regioni, delle Asl e dei Comuni le risorse economiche indispensabili per l’attuazione dei Lea”. In base a questi, “oltre un milione di nostri concittadini (anziani colpiti da patologie croniche e da non autosufficienza, persone affette dal morbo di Alzheimer o da altre forme di demenza senile, malati psichiatrici gravi, soggetti con handicap intellettivo gravemente invalidante e con limitata o nulla autonomia, ecc.) hanno il diritto pienamente esigibile alle prestazioni socio-sanitarie semiresidenziali (centri diurni per dementi senili o per i succitati soggetti con handicap intellettivo o per i malati psichiatrici molto gravi) e residenziali”.
Un diritto che, tuttavia, viene puntualmente disatteso: “molto spesso alle persone di cui sopra non sono fornite le prestazioni dovute obbligatoriamente dal Servizio sanitario nazionale e dai Comuni singoli o associati con il pretesto, costituzionalmente illegittimo, della carenza delle risorse economiche pubbliche”. Lunghissime sono quindi, nei principali comuni italiani, le liste d’attesa per le prestazioni domiciliari e residenziali. La petizione ha anche lo scopo di “sollecitare le Regioni, affinché definiscano le modalità di accesso ed i criteri gestionali degli interventi domiciliari, in modo che anche queste prestazioni siano pienamente esigibili come lo sono già, in base alle norme nazionali, quelle residenziali e semiresidenziali”. C’è poi l’obiettivo di condividere e sostenere le buone prassi, in particolare diffondendo le iniziative “intraprese dai gruppi di base, che hanno consentito a numerose persone con grave handicap intellettivo di frequentare centri diurni o di essere accolti presso strutture residenziali, nonostante gli iniziali rifiuti delle istituzioni tenute a provvedere”. Infine, è necessario informare e sensibilizzare sugli strumenti resistenti per esigere il rispetto di questi diritti, facendo conoscere “le concrete possibilità di opporsi con successo alle dimissioni di anziani cronici non autosufficienti, di dementi senili e di malati psichiatrici gravi da ospedali e da case di cura private convenzionate”.
Si chiede poi un riconoscimento formale della figura dell'”infermiere intrafamiliare”, attraverso la stipula di veri e propri protocolli d’intesa fra le Asl, i Comuni e gli accuditori in modo che, nell’interesse superiore delle persone non autosufficienti, siano precisati i compiti spettanti a tutte le parti in causa.

di Giovanni Cupidi