MODA E DISABILITÀ. QUANDO LA PASSERELLA È ACCESSIBILE

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Quanto è importante per un disabile poter indossare un bell’abito

Molti pensano che essere disabili voglia dire necessariamente doversi trascurare.
Essere in sar, cioè su una sedia a rotelle, non significa invece perdere la stima di se stessi e quindi, anche la voglia di curare il proprio aspetto esteriore; in modo particolare quando si è donna.

Purtroppo nel mondo, e soprattutto qui in Italia si fa ancora fatica ad accettare modelle disabili, perché si affianca sempre una figura “perfetta”, all’abito. Oggi si stanno facendo battaglie per bloccare alle modelle troppo magre di sfilare in passerella. Immaginiamoci se si presenta una ragazza in carrozzina seppur bella, come verrà vista dagli stilisti?

Siamo lontani da aperture mentali tali da far entrare nell’alta moda la disabilità, per quanto qualcosina si è fatto e si sta facendo, ma ben poco se ne parla.

Per esempio, in Inghilterra nel 2008 la Bbc ha trasmesso Britain’s Missing Top Model, un reality show con protagoniste otto aspiranti modelle disabili sulla falsa riga dell’olandese Miss Ability, andato in onda due anni prima registrando il pieno di ascolti.

Oppure, in Belgio la designer Tanja Kiewitz, senza un avambraccio, è diventata notissima dopo aver posato per una campagna di sensibilizzazione ideata dalla onlus Cap48.
Nel nostro Paese com’è la situazione? Nel 2011 a Roma c’è stata la prima edizione del Concorso di moda riservato anche a modelle in carrozzina e si è ripetuto l’anno successivo.

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"Space Without Borders" - Fashion Week - Mosca 2014
AFP PHOTO / ALEXANDER NEMENOV

L’iniziativa è stata fortemente voluta dalla Fondazione Italiana per la Cura della paralisi. Questo perché con progetti simili si vuole coinvolgere l’opinione pubblica su campagne di sensibilizzazione riguardo alle tematiche di prevenzione sulle lesioni midollari e ricerca scientifica. Ed ecco così che una nota Agenzia di Torino apre le porte a modelle/i disabili. Per quanto i cambiamenti siano nell’aria, qualcosina si intravede nelle pubblicità, eppure inserire i disabili in questo settore ancora è dura.

A dirla tutta nella società di oggi una persona disabile è sempre posta ad un gradino al di sotto degli altri; vediamo che fa fatica a trovare lavoro, a trovare l’amore, a vivere una vita piena, così come invece dev’essere. Con campagne pubblicitarie, con sfilate di moda o con qualsiasi altro mezzo, si deve far vedere e capire alla gente, che un disabile in modo particolare una donna disabile, non perde la sua femminilità perché resta sempre e comunque una donna.

La vera e unica “mancanza” è quella del rispetto del prossimo, mentre al contrario abbonda l’ignoranza e la volontà di chi non dà la possibilità alle persone cosiddette “diverse” di esistere, coesistere nella società e di farne parte in maniera integrante.
(dailyslow.it)

Disabili in tivù, come cambiano pubblicità e film

Da Forrest Gump allo spot di Sky. Storia dei portatori di handicap in televisione.

Esperimento virtuale: con l’espressione «disabilità in tivù e al cinema» cosa viene in mente?
Probabilmente Simona Atzori senza braccia e Giusy Versace con due protesi al posto delle gambe.
Oppure Simone Salvagnin, atleta plurimedagliato di paraclimbing, non vedente; e Urko Carmona, campione del mondo nella stessa specialità e scalatore su roccia.

TRASMISSIONI DENUNCIA. Nella categoria rientrano anche servizi e inchieste di trasmissioni come Le Iene e Striscia la notizia, in cui spesso vengono denunciate violazioni di diritti in differenti ambiti della vita di una persona con disabilità: la presenza di barriere architettoniche che impediscono l’accesso a luoghi pubblici, la carenza di insegnanti di sostegno a scuola, il mancato diritto all’assistenza sessuale.

SKY CI PROVA CON GLI SPOT. È storia recente, poi, l’irruzione del “disability world” nell’universo della pubblicità.
L’ultimo caso è quello dello spot di Sky on demand 2015.
 
Prima di questa però la tipologia usata è sempre stata quella delle campagne pubblicitarie ‘progresso’ che promuovono il sostegno alla ricerca contro la distrofia muscolare.
O che sensibilizzano sull’integrazione sociale di persone con sindrome di Down.

2012, PUBBLICITÀ ALTERNATIVA. Un esempio originale? È andato in onda nel 2012 in occasione della Giornata mondiale sulla sindrome di Down: il 21 marzo in televisione, sulla stampa e sul sito http://www.coordown.it sono state trasmesse versioni alternative di pubblicità dei principali marchi italiani, sostituendo gli attori originali con persone Down.
Più recente è invece l’utilizzo di testimonial famosi con disabilità.

L’EMPOWERMENT FEMMINILE. Proprio a Giusy Versace il 3 giugno 2015 è stato consegnato il premio “Special award pubblicità progresso” come esempio di determinazione e coraggio per tutte le donne.
Da anni la pubblicità progresso dedica i suoi spot all’empowerment femminile, sia per combattere i pregiudizi di genere sia per incoraggiare le donne a una maggior autostima.

NON SOLO MESSAGGI SOCIALI. Ora però i pubblicitari si spingono oltre: modelle con protesi o bambini con sindrome di Down non veicolano più soltanto “messaggi sociali”, ma diventano protagonisti di spot che pubblicizzano calendari, come Maya Nakanishi in Giappone, giochi per bambini, come la piccola Izzy negli Stati Uniti, capi di abbigliamento, come Seb, baby modello nel catalogo di Marks & Spencer, o uniformi e prodotti per la scuola come Natty, la cui immagine è stata scelta dalla Sainsbury, nota catena di supermercati britannica.

I bambini Down che sono stati selezionati per comparire negli spot sopra menzionati hanno i tratti morfologici tipici di che è affetto da trisomia 21, ma hanno volti bellissimi e sorrisi Durban’s.
Le donne con disabilità in tivù sembrano tutte modelle, anche quelle che non lo sono di professione.

DIVERSI CANONI DI BELLEZZA. Ci sono però disabilità con caratteristiche somatiche particolari che non corrispondono agli standard tradizionali di bellezza.
Una donna affetta da tetraparesi spastico-distonica può essere una ‘gnocca da paura’ (e ogni riferimento a persone particolari, ovvero la sottoscritta, è puramente casuale), ma non sempre le espressioni facciali o le posizioni assunte dal corpo rientrano nei modelli di bellezza culturalmente stabiliti.

LA TIVÙ AIUTA L’INCLUSIONE. La televisione e i mass media in generale possono essere considerati degli strumenti per raggiungere l’obiettivo di una reale inclusione sociale di tutte le persone con disabilità?
Serve tenere gli occhi aperti e la mente critica.
Senza dimenticare il vasto mondo delle produzioni cinematografiche: lì la disabilità è presente da molto più tempo di quanto non lo sia in tivù.
FREAKS FU IL PIONIERE. Freaks (1932) del regista Tod Browing è forse il film che apre la strada a quella che sarà la tematica oggetto di molte produzioni successive.
Ambientato nel mondo del circo, ha utilizzato attori con handicap reali.

 
RAIN MAN E FORREST IL TOP. Ci sono poi esempi di “superdisabili”, interpretati da star come il protagonista di Rain Man (1988, Dustin Hoffman) o di Forrest Gump (1994, Tom Hanks): il primo affetto da autismo e genio matematico, il secondo capace di diventare un talento della corsa nonostante i suoi deficit fisici e cognitivi.

ANCHE STORIE ”ORDINARIE”. Ci sono pure storie vere di donne e uomini “ordinari”: tra tutte Gaby – Una storia vera (1987) racconta la vita di Gabriela Brimmer, che non cammina e non parla ma muove solo un piede.
E Il mio piede sinistro (1989), basato sulla vita di Christy Brown, pittore e scrittore affermato con un handicap fisico quasi totale tranne, appunto, nel suo piede sinitro.
In queste produzioni, sebbene i protagonisti non spicchino per l’ironia, la quotidianità viene mostrata senza commiserazioni e falsi pietismi.

Altri film raccontano persone disabili alle prese con un mondo non “disable friendly” come Arianna, interpretata da Asia Argento nel filmPerdiamoci di vista (1994) alla disperata ricerca di un autogrill dotato di bagno accessibile.
SESSO, MA CON IRONIA. The session (2012), tratto da una storia vera, affronta con ironia e lucidità il tema dell’assistenza sessuale.
Mark, 38enne paralizzato dalla poliomelite, sapendo di non aver molto tempo prima di morire decide di rivolgersi a un’assistente sessuale, Cheryl, per perdere la verginità.
 

NÉ VITTIME NÉ EROI. Mark non possiede caratteristiche del supereroe, ma, d’altro canto, non accetta il ruolo di vittima della sua condizione.
I ruoli di terapista e cliente vengono scardinati: durante le sedute lo scambio umano e intellettuale tra i due è alla pari.
Mark non è dipinto come soggetto passivo o esclusivamente bisognoso di cure: piuttosto come un uomo con tutte le carte in regola per poter affascinare una donna.
E infatti le “sessioni” si concludono prima del previsto perché Cheryl, rendendosi conto del reciproco coinvolgimento sentimentale e sessuale, decide di non proseguire.

QUASI AMICI Impossibile non citare Quasi amici (2011), gioiellino di umorismo dissacrante nei confronti dei luoghi comuni sulla disabilità, con spunti di riflessione ed emozioni.
Racconta la relazione tra Philippe, miliardario paraplegico, e Driss, un giovane uomo di origine africana che entra ed esce di galera e diventa suo badante.

La famiglia del miliardario, vittima dei cliché sui “poveri disabili indifesi” e sugli “africani delinquenti”, effettua delle ricerche sulla vita di Driss e scopre i suoi precedenti penali.
«NESSUNA PIETÀ». I parenti lo mettono in guardia: «Stai attento, Philippe, questa gente non ha nessuna pietà!».
Il protagonista non si scompone e risponde: «È esattamente quello che voglio: nessuna pietà».
La stessa mission delle nuove pubblicità sui disabili.
(lettera43.it)

di Giovanni Cupidi

Diesel celebra la diversità, ecco la modella in sedia a rotelle

Una campagna pubblicitaria per valorizzare la diversità. Intitolata «We are connected» e scattata da Inez van Lamsweerde e Vinoodh Matadin, la campagna Diesel Primavera/Estate 2014 uscirà a marzo, ma suscita già un incredibile buzz sul Web. I protagonisti sono artisti, giovani e ribelli tatuati scovati in giro per il mondo dal direttore creativo di Diesel Nicola Formichetti che ne ha ideato la campagna. Tra tutti spicca Jillian Mercado, fashion blogger newyorchese di 26 anni che è diventata in pochissimo una star. Capelli platino, rossetto vermiglio, è fotografata su una sedia a rotelle accanto al visual artist James Astronaut. Jillian è affetta dalla distrofia muscolare dall’età di 12 anni, ma appassionata di moda non si è mai fermata davanti alle difficoltà. Ha studiato presso il Fashion Institute of Technology e lavora come giornalista di moda freelance per il magazine «We The Urban». «Personalmente, non ho mai visto qualcuno su una sedia a rotelle che facesse niente nella moda. Ma proprio niente, niente. Quando sono entrata in questo ambiente, in qualche modo l’ho fatto pensando che mi sarebbe piaciuto essere la prima a farlo.», racconta l’insolita modella. «Sento che la società è spaventata e che in qualche misura non vuole che questo avvenga, di conseguenza un sacco di persone disabili hanno paura delle critiche. Mi piacerebbe che le campagne pubblicitarie di moda osassero di più», prosegue. Mostrando l’handicap di Jullian, Nicola Formichetti ha rotto un tabù mettendo al centro nuovi valori. Scegliendo un’immagine autentica rispetto ai classici canoni di bellezza ha anche messo a segno un bel colpo in termine di comunicazione.
(ilmessaggero.it)

di Giovanni Cupidi