Il Pnrr misurato con il metro dell’inclusività per le persone con disabilità

Tutti gli interventi del Pnrr dovranno rispettare quattro criteri di inclusività delle persone con disabilità, dall’accessibilità alla promozione della vita indipendente. Ecco la Direttiva per il monitoraggio. È la prima volta che l’Italia “misura” una politica generale con i parametri del rispetto dei diritti delle persone con disabilità. Siamo anche il primo paese in Europa a mettere sotto la lente in questo modo le azioni del proprio Recovery Fund

È la prima volta che accade in Italia: la prima volta che si valuta una politica generale con il metro dell’inclusività e dei diritti delle persone con disabilità sanciti dalla Convenzione Onu. La politica generale peraltro è di particolare rilievo: il Pnrr. Siamo l’unico Paese ad averlo fatto, diventando in questo modo una best practice.

A dare gambe a questa “prima volta” è la Direttiva alle amministrazioni titolari di progetti, riforme e misure in materia di disabilità del Ministro per la disabilità, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 marzo.

Si tratta di una Direttiva emanata dal ministro per le Disabilità Erika Stefani e rivolta a tutte le Amministrazioni dello Stato titolari di riforme e misure correlate al Pnrr, chiamate all’adozione di un metodo di lavoro attento ai diritti delle persone con disabilità e che le coinvolga, senza “confinare” le azioni che interessano la disabilità alle sole missioni 5 e 6.

«Il Pnrr è lo strumento principe con cui stiamo investendo sul nostro futuro. Questa opportunità deve essere per tutti, nessuno escluso. Il Piano deve necessariamente considerare le persone con disabilità, che sono tra coloro che maggiormente hanno pagato gli effetti della pandemia. Da qui, la necessità che tutte le Amministrazioni si attivino per pensare ed agire in modo inclusivo, rispettando principi fondamentali quali l’accessibilità, la progettazione universale, la vita indipendente e la non discriminazione.

Senza dimenticare, poi, l’importanza di coinvolgere le associazioni, perché la partecipazione è un altro aspetto fondamentale per dare impulso a politiche effettivamente inclusive», commenta il ministro Stefani. Con questa Direttiva e il lavoro a cui essa dà origine, l’Italia compie «un salto culturale verso una società più coesa e resiliente, capace di guardare innanzitutto alla persona, riconoscendone il valore ed il potenziale».

Pnrr
Erika Stefani – Mario Draghi

L’obiettivo è quello di assicurare che la realizzazione del Pnrr avvenga nel rispetto dei diritti delle persone con disabilità e per farlo la Direttiva individua alcuni principi chiave a cui le Amministrazioni titolari delle riforme e degli investimenti contenuti nel Piano dovranno attenersi, sia in fase di progettazione che in quella di attuazione.

È stato il presidente del Consiglio Mario Draghi, nel presentare alle Camere il Pnrr, a dichiarare che l’Italia vi avrebbe inserito un monitoraggio per valutarne l’inclusività e la coerenza con i dettami della Convenzione. L’Osservatorio nazionale sulla condizione delle Persone con Disabilità è stato incaricato di predisporre il monitoraggio: «Abbiamo elaborato una prima proposta già a giugno 2021, ma devo confessare che non è stato semplice far capire il senso di questo lavoro: è pur sempre qualcosa che non è mai stato fatto prima», dice Giampiero Griffo, coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio.

Il messaggio però alla fine è stato compreso, tant’è che l’Osservatorio è già stato incaricato di fare la stesa cosa per gli 80 miliardi dei fondi strutturali europei. Questa quindi ora diventerà una esperienza standard.

Cosa fa la direttiva? «Invita tutti i soggetti che riceveranno fondi del Pnrr, su tutte le missioni, a presentare due report: uno previsionale, che all’inizio delle attività, descriva la riforma/l’investimento di cui l’Amministrazione è responsabile, prefigurandone l’impatto sulle persone con disabilità e fornendo elementi utili a comprendere le azioni e le modalità previste per assicurare il rispetto dei principi individuati; uno conclusivo che, al termine delle attività, fornisca una descrizione dei risultati effettivamente conseguiti in materia di inclusione delle persone con disabilità, rendendo conto anche delle eventuali difformità registrate rispetto alle previsioni», spiega Griffo.

Quattro i principi individuati: accessibilità, design for all, promozione della vita indipendente e sostegno alla autodeterminazione, principio di non discriminazione. Per facilitare il processo di progettazione inclusiva legata alle persone con disabilità, l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità ha realizzato un MOOC universitario (Massive Open Online Courses).

«Il mainstreaming delle politiche per le persone con disabilità segna un incremento di consapevolezza. È un passaggio culturale. Ma certo, è un processo che si attiva: essendo la prima volta sappiamo che nei territori da troverà poca dimestichezza… Contiamo molto anche sulla mobilitazione delle organizzazioni territoriali, che possano segnalare all’Osservatorio particolari disattenzioni o problemi che possono sorgere», dice Griffo.

E i tempi? «I primi bandi sono stati già pubblicati, ma ancora su idee progettuali non su progetti. Il che significa che c’è il tempo per includere questa direttiva nei progetti veri e propri. Noi ci stiamo attrezzando come Ufficio, perché speriamo di riceva molte informazioni, faremo un software dedicato. L’obiettivo è arrivare a fare un primo rapporto nel 2024 e poi quello conclusivo nel 2026/2027». (vita.it)

Delega disabilità, venti mesi per cambiare l’inclusione

Pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 dicembre, la delega raccordata con il Pnrr prevede ora 20 mesi di tempo per i decreti attuativi. Il finanziamento annuo su cui può contare è di 350 milioni di euro

Venti mesi per sette decreti: è questo l’arco di tempo che la legge 22 dicembre 2021, n. 227 prevede per completare il quadro disegnato dalla delega al Governo in materia di disabilità, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 dicembre. Arriviamo così a fine agosto 2023, data entro cui dovranno essere stabilite le nuove regole e modalità per:

  • definizione della condizione di disabilità, nonché revisione, riordino e semplificazione della normativa di settore;
  • accertamento della condizione di disabilità e revisione dei suoi processi valutativi di base;
  • valutazione multidimensionale della disabilità, realizzazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato;informatizzazione dei processi valutativi e di archiviazione;
  • riqualificazione dei servizi pubblici in materia di inclusione e accessibilità;
  • istituzione di un Garante nazionale delle disabilità;
  • potenziamento dell’Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

«La legge delega sulla disabilità, come sappiamo, ha ottenuto il via libera definitivo pochi giorni fa e potrà disporre di uno stanziamento di 350 milioni di euro all’anno. Non sarà quindi solo un meccanismo procedurale e normativo, che dovrà essere attuato attraverso diversi decreti legislativi previsti per la sua attuazione ma disporrà anche di una dote economica importante», commenta la Fish.

«Il Fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità, che è stato rimodulato con il cambio di denominazione (si chiamerà infatti “Fondo per l’inclusione delle persone con disabilità), sarà finalizzato a fornite piena attuazione agli interventi legislativi in materia di disabilità secondo quanto previsto dalla Legge delega, inoltre sarà trasferito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali al Ministero dell’Economia e delle Finanze».

La disabilità nel Pnrr

All’interno del Piano sono previste infatti anche altre significative misure. Nella Missione 1, si rimuovono le barriere architettoniche e sensoriali in musei, biblioteche e archivi, per promuovere una cultura dell’accessibilità del patrimonio culturale italiano. Nella Missione 2 e nella Missione 3, gli interventi per la mobilità, il trasporto pubblico locale e le linee ferroviarie favoriscono il miglioramento e l’accessibilità di infrastrutture e servizi per tutti i cittadini.

La Missione 4 prevede una specifica attenzione per le persone con disabilità, nell’ambito degli interventi per ridurre i divari territoriali nella scuola secondaria di secondo grado. La Missione 5 include un investimento straordinario sulle infrastrutture sociali, nonché sui servizi sociali e sanitari di comunità e domiciliari, per migliorare l’autonomia delle persone con disabilità. Nella Missione 6, il miglioramento di servizi sanitari adeguati sul territorio permette di rispondere ai bisogni delle persone con disabilità, favorendo un accesso realmente universale alla sanità pubblica.

Buon 1 Maggio!

Oggi si celebra la Festa dei Lavoratori e se già negli anni passati si poteva sentire lo stridere tra la situazione in cui versava l’occupazione in Italia e il giorno di festa, ancora di più, inevitabilmente, in questi anni di pandemia quel rumore è diventato tragicamente insopportabile. Ne è un plastico esempio la situazione lavorativa delle persone con disabilità.

Già negli scorsi anni le percentuali di occupazione delle persone con disabilità, più o meno gravi, erano molto basse e diventavano da singola cifra in caso di occupazione di donne con disabilità. Il covid ha praticamente reso impossibile l’accesso al mondo del lavoro alle persone con disabilità se non per qualche fortunata tipologia.

Eppure abbiamo visto come il mondo del lavoro, già in mutamento a causa ad esempio delle nuove tecnologie, ha subito una accelerazione nella sua trasformazione, dovendosi adattare alla pandemia, assumendo forme fino a quel momento rare eccezioni, come ad esempio l’uso diffuso dello smart working. Ma ancora una volta le persone con disabilità non hanno accesso al lavoro nonostante, nel caso, una tecnologia che di certo le favorisce.

È evidente che serve un cambiamento molteplice, sia culturale che legislativo ma anche della formazione, che possa permettere a tutti i soggetti interessati (PA, imprese, università) di fare un netto balzo in avanti per quanto riguarda l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Un ruolo importante lo hanno sicuramente anche le associazioni di tutela dei disabili, ma è necessario che anch’esse facciano quello step in avanti nel promuovere soluzioni e buone pratiche che non siano più novecentesche. Lo dico perché so che possono essere decisive, ne abbiamo avuto esempio.

Adesso sembra profilarsi una grande opportunità per raggiungere questo e altri scopi. Il PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza), nella forma appena inviata alla Commissione Europea, destina parecchie risorse e anche alcune riforme destinate alla disabilità. È di certo un momento su cui riflettere molto e fare altrettante proposte. Sì perché al momento questo “piano Marshall” sulla disabilità sembra concentrarsi più sugli aspetti assistenziali, che pur sono assolutamente necessari, che su quelli di tipo sociale e lavorativo.

Ancora una volta le persone con disabilità vengono rappresentate, se non come un costo per la società, come soggetti bisognosi solo di cure e di assistenza, che se pur mirino a concetti fondamentali espressi nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (vita indipendente, deistituzionalizzazione, etc), non considera queste come una vera e grande risorsa della società e che il lavoro rappresenta oltre alla dignità della persona la sua trasformazione in un “contribuente” a se stesso, innanzitutto, e alla società in generale.

Questa trasformazione, oltre a mettere tutti sullo stesso piano, elimina le disuguaglianze e gli ostacoli che l’art. 3 della nostra Costituzione affida come compito allo Stato e mantiene la promessa fatta a tutti i cittadini italiani di una Repubblica fondata sul lavoro (per tutti)!

Terzo settore, disabilità e non autosufficienza nel PNRR

Il Presidente del Consiglio ha presentato ieri al Parlamento il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ecco alcuni punti. In arrivo una riforma della disabilità e una per la non autosufficienza

«Sbaglieremmo tutti a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze. Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio. L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà.

La consapevolezza di ogni comunità che l’ambiente va tutelato e rispettato»: ha esordito così il Presidente del Consiglio Mario Draghi nel presentare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza #NextGenerationItalia davanti alla Camera. «Non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere, ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare. Dico questo perché sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio».

Il Piano è articolato in progetti di investimento e riforme, organizzate in sei Missioni, con obiettivi quantitativi e traguardi intermedi. Le sei Missioni sono:

•Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura;

•Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica;

•Infrastrutture per una mobilità sostenibile;

•Istruzione e Ricerca;

•Politiche attive del lavoro e della formazione, all’inclusione sociale e alla coesione territoriale;

•Salute.

Le sei Missioni puntano ad affrontare tre nodi strutturali del nostro Paese, che costituiscono obiettivi trasversali dell’intero Piano. Le disparità regionali tra il Mezzogiorno e il Centro Nord, le diseguaglianze di genere e i divari generazionali.

Aspettando che le decisioni sul governo del PNRR chiariscano che ruolo avrà il Terzo settore – ma più propriamente quale parte avrà la sussidiarietà nel governo del più grande piano di investimenti dal dopoguerra ad oggi (vedi dossier Caritas) e nel governo delle scelte che guideranno anche i governi prossimi e venturi – vediamo cosa intanto dicono le 273 pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza #NextGenerationItalia che entro il 30 aprile verrà inviato a Bruxelles.

Terzo settore

Il posto del Terzo settore è esplicitato nella Missione 5, quella riguardante “Inclusione e coesione”. I fondi destinati a questi obiettivi superano nel complesso i 22 miliardi, più ulteriori 7,3 miliardi di interventi beneficeranno delle risorse di REACT-EU.
Vi si legge che: «L’azione pubblica potrà avvalersi del contributo del Terzo settore. La pianificazione in coprogettazione di servizi sfruttando sinergie tra impresa sociale, volontariato e amministrazione, consente di operare una lettura più penetrante dei disagi e dei bisogni al fine di venire incontro alle nuove marginalità e fornire servizi più innovativi, in un reciproco scambio di competenze ed esperienze che arricchiranno sia la PA sia il Terzo settore».
E più avanti: «In coerenza con gli interventi del Piano, si prevede l’accelerazione dell’attuazione della riforma del Terzo settore, al cui completamento mancano ancora importanti decreti attuativi. Si intende inoltre valutare gli effetti della riforma su tutto il territorio nazionale».

Nel capitolo sui Piani urbani integrati viene richiamato anche l’articolo 55 del Codice del Terzo settore. Il 31 marzo scorso il Ministero del lavoro ha emanato le linee guida sul rapporto tra Pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore.

Vi si legge: «Gli interventi potranno anche avvalersi della co-progettazione con il Terzo settore ai sensi dell’art. 55 decreto legislativo 3 luglio 2017 n.117 (Codice del Terzo settore, a norma dell’art.1, comma2, lettera b) legge 6 giugno 2016, n.106) e la partecipazione di investimenti privati nella misura fino al 30% con possibilità di far ricorso allo strumento finanziario del “Fondo dei fondi” BEI. Obiettivo primario è recuperare spazi urbani e aree già esistenti allo scopo di migliorare la qualità della vita promuovendo processi di partecipazione sociale e imprenditoriale. I progetti dovranno restituire alle comunità una identità attraverso la promozione di attività sociali, culturali e economiche con particolare attenzione agli aspetti ambientali».

La Missione 5 prevede un investimento di oltre 11 miliardi di euro su tre riforme: la legge quadro della disabilità (con finanziamento nazionale); una riforma riguardante un sistema di interventi in favore degli anziani non autosufficienti; una riforma per il superamento degli insediamenti abusivi per il contrasto al caporalato e allo sfruttamento dei lavoratori.

Disabilità e non autosufficienza

Tre linee di Investimento: Sostegno alle persone vulnerabili e prevenzione dell’’istituzionalizzazione degli anziani non autosufficienti 0,50 miliardi di euro; Percorsi di autonomia per persone con disabilità 0,50 miliardi di euro; Housing temporaneo e stazioni di posta 0,45 miliardi di euro.

Due Riforme strutturali: Legge quadro per le disabilità; Sistema degli interventi in favore degli anziani non autosufficienti.

«Specifiche linee d’intervento sono dedicate alle persone con disabilità e agli anziani, a partire dai non autosufficienti. Esse prevedono un rilevante investimento infrastrutturale, finalizzato alla prevenzione dell’istituzionalizzazione attraverso soluzioni alloggiative e dotazioni strumentali innovative che permettano di conseguire e mantenere la massima autonomia, con la garanzia di servizi accessori, in particolare legati alla domiciliarità, che assicurino la continuità dell’assistenza secondo un modello di presa in carico socio-sanitaria coordinato con il parallelo progetto di rafforzamento dell’assistenza sanitaria e della rete sanitaria territoriale previsto nella componente 6 Salute (in particolare il progetto Riforma dei servizi sanitari di prossimità e il progetto Investimento Casa come primo luogo di cura)», si legge nel PNRR.

«La linea di attività più corposa del progetto (oltre 300 milioni) è finalizzata a finanziare la riconversione delle RSA e delle case di riposo per gli anziani in gruppi di appartamenti autonomi, dotati delle attrezzature necessarie e dei servizi attualmente presenti nel contesto istituzionalizzato. Gli ambiti territoriali potranno anche proporre progetti ancora più diffusi, con la creazione di reti che servano gruppi di appartamenti, assicurando loro i servizi necessari alla permanenza in sicurezza della persona anziana sul proprio territorio, a partire dai servizi domiciliari. In un caso e nell’altro, l’obiettivo è di assicurare la massima autonomia e indipendenza della persona in un contesto nel quale avviene una esplicita presa in carico da parte dei servizi sociali e vengono assicurati i relativi sostegni.

Elementi di domotica, telemedicina e monitoraggio a distanza permetteranno di aumentare l’efficacia dell’intervento, affiancato da servizi di presa in carico e rafforzamento della domiciliarità, nell’ottica multidisciplinare, in particolare con riferimento all’integrazione sociosanitaria e di attenzione alle esigenze della singola persona».

Il secondo investimento riguarda i percorsi di autonomia per le persone con disabilità, con il fine di accelerare la deistituzionalizzazione.

Gli interventi saranno centrati sull’aumento dei servizi di assistenza domiciliare e sul supporto delle persone con disabilità per consentire loro di raggiungere una maggiore qualità della vita rinnovando gli spazi domestici in base alle loro esigenze specifiche, sviluppando soluzioni domestiche e trovando nuove aree anche tramite l’assegnazione di proprietà immobiliari confiscate alle organizzazioni criminali. Inoltre, l’investimento fornirà alle persone disabili e vulnerabili dispositivi ICT e supporto per sviluppare competenze digitali, al fine di garantire loro l’indipendenza economica e la riduzione delle barriere di accesso al mercato del lavoro attraverso soluzioni di smart working.

Previste invece due vere e proprie riforme: quella del sistema degli interventi in favore degli anziani non autosufficienti e quella della disabilità, con una legge quadro.

Come per infanzia, anche le “pari opportunità per le persone con disabilità” e il “sostegno agli anziani non autosufficienti” hanno due box specifici dedicati. Sono 18 le occorrenze per “non autosufficienti”, 8 quelle per “non autosufficienza”, 48 quelle per “disabilità”, 6 quelle per “disabili”.

Recovery plan e disabilità: nuove risorse e lacune antiche

Sulla disabilità che cosa esprime il PNRR? Chi ha redatto il Piano dimostra di conoscere gli elementi portanti della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 che spazia dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. Tuttavia, il “tema” disabilità è sostanzialmente confinato nella missione sull’inclusione sociale. Anzi, in una parte di quella missione

Inquadriamo lo scenario usando la stessa sintassi governativa. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, lo strumento predisposto a Bruxelles per rispondere alla crisi provocata dalla pandemia da Covid-19. È strettamente necessario che il Piano sia elaborato in modo congruente alle richieste UE per poter contare su un contributo mai visto e che sfiora i 200 miliardi. Il Governo Conte ne aveva elaborato una prima deficitaria versione.

Il Governo Draghi ci ha rimesso le mani ne ha inviato testo e schede tecniche al Parlamento. Sarà al centro del Consiglio dei Ministri di domani e poi della discussione parlamentare lunedì e martedì prossimi. Infine sarà approvato in una nuova riunione del CdM e inviato a Bruxelles.
Il Piano (chiamato anche Recovery Plan) è articolato in sei missioni: digitalizzazione; innovazione; competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità sostenibile; istruzione; cultura e ricerca; inclusione e sociale; salute.

Attorno alle oltre 318 pagine del PNRR, non solo per la vastità del documento, è difficile esprimere sia una stroncatura, che certo non merita, che un acritico apprezzamento. Molti invece gli interrogativi, talora pessimistici ma più spesso sinceramente ispirati dalla curiosità di conoscerne la effettiva applicazione e ricaduta sulle persone, sulle famiglie, sulla collettività.

Sulla disabilità che cosa esprime il PNRR? Chi ha redatto il Piano dimostra di conoscere gli elementi portanti della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 che spazia dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. Lo dimostra e la cita assieme ai preoccupati report (2017) del Parlamento europeo.

Tuttavia, il “tema” disabilità è sostanzialmente confinato nella missione sull’inclusione sociale. Anzi, in una parte di quella missione. Se alcuni elementi sono certamente apprezzabili (al netto di come verranno effettivamente realizzati), non emerge una visione d’insieme articolata e che colga, almeno in nuce, le complessità irrisolte su disabilità e non autosufficienza, su inclusione e pari opportunità, su segregazione e isolamento.

Nella missione riservata all’inclusione sono previste per la disabilità due specifiche linee di intervento. La prima è quella delle infrastrutture sociali che dovrebbero “rafforzare il ruolo dei servizi sociali locali come strumento di resilienza mirare alla definizione di modelli personalizzati per la cura e il miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità, anche attraverso il potenziamento delle infrastrutture sociali che coinvolgono il terzo settore.” Non è ancora chiaro di cosa si intenda nel dettaglio, ma verosimilmente vi saranno inclusi servizi residenziali, semiresidenziali e di accompagnamento.

Ci si attendeva in queste parti un più articolato dettaglio, solo ad esempio, sul tema della non autosufficienza. Aspetto invece che rimane molto debole in tutto l’impianto del Piano con quello che ne deriva per una parte significativa della popolazione.

Più stringente la seconda linea che contempla invece i percorsi di autonomia per le persone con disabilità cogliendo in parte , almeno in termini programmatici, molte istanze avanzate in questi anni. Gli intenti espressi – su cui si possono elaborare differenti letture – sono quelli di evitare la istituzionalizzazione o di favorire la destituzionalizzazione soprattutto attraverso l’assistenza domiciliare ma anche di accompagnamento all’autonomia personale. Si delineano anche sostegni all’abitare, agli interventi per la ristrutturazione delle abitazioni anche con il ricorso a strumenti di domotica o tecnologicamente avanzati. Un passaggio è dedicato al ricorso a strumentazione e allo sviluppo di competenze digitali in funzione del telelavoro. Il tutto dovrebbe essere inquadrato nella definizione di progetti personalizzati.

In altri passaggi non si rileva invece alcuna particolare attenzione alla disabilità; in particolare l’assenza brilla nelle politiche per l’occupazione (grave!) e nell’housing sociale. Come pure in altre linee dedicate alla disparità di genere e, ancora, all’istruzione o, infine, alla reale accessibilità alla salute, alla prevenzione, alla cura.
Si tace sulla disabilità anche nella parte riservata all’innovazione nella Pubblica amministrazione. Qui di apprezzabile vi è il richiamo all’accessibilità degli atti e delle risorse pubbliche (peraltro già previsto da un corpus regolamentare nazionale ed UE).

Rimane quindi la spiacevole sensazione che la visione della disabilità sia costretta nell’ambito dell’assistenza e della protezione sociale (nel senso minimale dell’espressione) e non piuttosto in quella di una condizione umana trasversale cui riservare inclusione e opportunità.
Non è una sensazione ma una certezza invece, la lacuna rispetto alle riforme strutturali strettamente necessarie al successo stesso del Recovery Plan. È una lacuna che sappiamo essere ben chiara nella sua ampiezza sia a Draghi che al suo entourage: è quello della governance. E governance non significa solo e tanto vigilare che gli obiettivi siano raggiunti per distribuire i quattrini. Significa conservare la regia e i poteri sufficienti per far sì che quegli obiettivi siano realmente perseguiti.

Nel sociale – a noi qui quello interessa – ciò è particolarmente infido. Tentiamo di spiegarla facile e in poche righe. La legge quadro sull’assistenza (recte: sistema integrato di interventi e servizi sociali) risale al 2000. Norma risultante di una stagione di forti idealità, di condivisione, di confronti, la 328/2000 è verosimilmente la legge meno applicata alle nostre latitudini. Anche per una banale coincidenza storica: quasi contestualmente è stato riformato il Titolo V della Costituzione restituendo alle Regioni pressoché tutte le competenze in ambito sociale. Anziché generare mirabolanti effetti la pretesa sussidiarietà ha partorito 21 sistemi sociali regionali ed una profonda disparità territoriale, fortissime disequità allevate nell’assenza di livelli essenziali di assistenza sociale. E niente: con una punta di provocazione possiamo di che che forse l’unico “livello essenziale” reale è oggi l’indennità di accompagnamento, quella che eroga INPS per conto dello Stato.

Negli ultimi anni si è malamente tentato di metterci una toppa, usando i decreti di riparto di alcuni Fondi nazionali come leva a lungo braccio per imprimere un minimo di uniformità di trattamento almeno su alcuni aspetti (non autosufficienza, dopo di noi …). Ma le risorse sono troppo limitate per forzare cambiamenti radicali e strutturali nei territori. Per usare una immagine bucolica: se si gettano semi un terreno che oramai è ghiaioso, difficilmente germoglieranno. Lo stesso fenomeno che accade quando risorse arrivano in un territorio in cui i servizi sociali sono largamente assenti.
Nel sociale lo Stato non ha poteri sufficienti per governare, rendere omogenei servizi e politiche, eliminare odiose disparità territoriali (che la UE mal sopporta); deve quindi contrattare al ribasso le regole con le Regioni, tornare ai consueti decreti di riparto e incidere assai poco nei casi di latitanza.

E che c’entra il Recovery Plan? Ci si ritrova nella stessa situazione di governance monca e che le più mirabolanti intuizioni rimangano impaludate in antichi meccanismi.
A meno che… A meno che Mister Draghi, forte del consenso che per ora conserva, non tiri fuori un coniglio dal cilindro, modificando regole e norme che ci condizionano da parecchi lustri. Se ciò dovesse avvenire, ci auguriamo si inizi dal sociale.
(di Carlo Giacobini su vita.it)

Orlando: “Riconvertiremo le case dei disabili in abitazioni assistite”

Il piano illustrato dal ministro del Lavoro nella sua audizione sulle linee programmatiche del ministero anche in vista del Recovery Plan. “La dimensione dell’“abitazione assistita”, è fondamentale soprattutto per cambiare le prospettive dell’intervento in favore delle persone in condizione di disabilità e marginalità estrema, senza dimora, oggetto di politiche fortemente disomogenee a livello territoriale, spesso limitate solo a interventi emergenziali”.

Riconvertire le case di riposo per gli anziani in “Abitazioni assistite” dotate delle attrezzature necessarie e dei servizi utili per la permanenza in sicurezza della persona anziana nel proprio territorio, è l’obiettivo cui mira il Governo con finanziamenti dedicati.
Lo ha sottolineato il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, in una audizione di una settimana fa alla Commissione Lavoro del Senato sulle linee programmatiche del ministero e il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), svoltasi in sue sessioni l’11 (vedi) e il 15 marzo (vedi) scorsi, evidenziando che “elementi di domotica, telemedicina e monitoraggio a distanza permetteranno di aumentare l’efficacia dell’intervento”.

La dimensione dell’“abitazione assistita” – ha precisato – è fondamentale soprattutto per cambiare le prospettive dell’intervento in favore delle persone in condizione di disabilità e marginalità estrema, senza dimora, oggetto di politiche fortemente disomogenee a livello territoriale, spesso limitate solo a interventi emergenziali”.

Con le risorse del Pnrr, ha aggiunto il ministro Orlando, “sarà possibile superare tale situazione con investimenti mirati a livello territoriale, da realizzare attraverso i comuni titolari dei servizi sociali territoriali, in particolare quelli di dimensioni maggiori o facenti parte di un’area metropolitana, nell’ottica cosiddetta dell’housing first, ossia assistenza alloggiativa temporanea ma di ampio respiro, fino a 24 mesi, per coloro che non possono immediatamente accedere all’edilizia residenziale pubblica, affiancata da un progetto individualizzato volto all’attivazione delle risorse del singolo o del nucleo familiare, con l’obiettivo di favorire percorsi di autonomia”.

Tali soluzioni sono in grado di operare come piattaforma per i servizi domiciliari e di prossimità di nuova generazione, ben integrate nei modelli di gestione del problema, le cui applicazioni possibili sono molto varie.

Si va dai modelli più aggiornati di housing sociale, ai servizi per la vita indipendente o per la vita assistita – sottolinea Giuseppe Trieste, presidente FIABA, Fondo Italiano per l’Abbattimento delle Barriere Architettonich – dai centri polifunzionali ai sistemi abitativi intergenerazionali e multiservizi: è un mondo fluido, in divenire, funzionale all’azione imprenditoriale sociale e all’applicazione di modelli organizzativi leggeri, vicini ai desideri delle persone e coerenti con il naturale svolgersi della vecchiaia.

A nostro parere il momento attuale sembra favorevole al dibattito, in quanto i più recenti atti normativi hanno valorizzato il ruolo delle abitazioni protette, anche se hanno introdotto alcune incertezze nel confine fra queste e il tema ancora poco definito della “residenzialità leggera” di cui si parla nella riforma delle RSA.Le abitazioni assistite possono essere una valida risposta al problema dell’autonomia abitativa delle persone diversamente abili che hanno l’esigenza di staccarsi dal nucleo familiare di origine, ma che non possono o non vogliono vivere da soli, dal momento che le stesse abitazioni assistite, rispettano pienamente non solo i requisiti strutturali, ma anche di igiene e sicurezza indispensabili per tutelare chi è fragile.

Dal punto di vista di Igiene Edilizia ed organizzativo si possono individuare tre gruppi di persone per descrivere sommariamente il target al quale proporre tale soluzione abitativa a persone con disabilità che:

sono capaci di autodeterminarsi, che, supportate dai servizi socioeducativi-assistenziali e sanitari territoriali, possono vivere a domicilio con progetti personalizzati dopo un percorso in comunità;
 
in età giovane/adulta possono affrontare percorsi di autonomia abitativa e uscire dal nucleo familiare di origine, ma che hanno bisogno di un tempo per “sperimentarsi”;

sono note ai servizi socio-sanitari, il cui livello di autonomia è parzialmente compromesso, che vivono a domicilio con genitori anziani o malati, che rischiano di rimanere senza supporti.

 
Per eventuali ristrutturazioni di manufatti edilizi già esistenti – ha aggiunto poi il Presidente FIABA – da adibire ad assistite è possibile usufruire del Superbonus 110% purchè sia precvisto almeno un intervento cosiddetto “trainante” sullo stesso fabbricato, quale il cappotto termico, se l’edificio migliora di due classi energetiche; la sostituzione degli impianti di riscaldamento, se l’edificio migliora di due classi energetiche; il consolidamento antisismico, se l’edificio si trova in zona sismica 1, 2 o 3. Una volta eseguito almeno uno degli interventi trainanti, è possibile effettuare anche gli interventi cosiddetti “trainati”, che servono, tra l’altro, ad abbattere le barriere architettoniche ed alla installazione di impianti di domotica.

(quotidianosanità.it)