Paralimpiadi, per l’Italia un trionfo senza precedenti

Con 69 medaglie conquistate, la spedizione azzurra entra nella storia e lascia ricordi indelebili. Dalla tripletta dei 100 metri dell’atletica a Bebe Vio e Carlotta Gilli. E adesso occhi puntati su Parigi e Milano-Cortina

Il tempo si è fermato a Tokyo, dove con la conclusione delle Paralimpiadi si è chiuso un cerchio a tinte verdi, bianche e rosse. Sono i colori di un tricolore che nella capitale giapponese è sventolato 69 volte, toccando vette mai raggiunte grazie a una spedizione che finisce dritta nella storia. Mai l’Italia era salita così in alto nel medagliere paralimpico. Mai i campioni e le campionesse azzurre si sono presi con così tanta forza la ribalta e le attenzioni dei media.

Nell’edizione più complicata della storia olimpica, la rassegna nipponica ha dato nuovo slancio allo sport italiano e aperto la porta a volti nuovi e giovani semisconosciuti ai più, che non dovranno attendere altri quattro anni per avere di nuovo i riflettori puntati.

Siamo contagiosi, e questo contagio positivo mi auguro non si spenga con lo spegnimento della fiaccola”, ha sintetizzato Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano Paralimpico, nella conferenza stampa finale dei XVI Giochi Paralimpici.

Il filo diretto Olimpiadi-Paralimpiadi 

Il bottino finale dell’Italia è senza precedenti: 14 ori, 29 argenti e 26 bronzi, nono posto finale nel medagliere, proprio come i colleghi olimpionici. E le somiglianze dei due percorsi non si esauriscono nei numeri, perché se le immagini simbolo dei Giochi sono state l’abbraccio tra Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi per i due trionfi distanti pochi minuti e il quartetto azzurro della 4×100 con la rimonta finale di Filippo Tortu, l’istantanea delle Paralimpiadi azzurra è nello storico podio tutto azzurro nella finale dei 100 metri femminili categoria T63 (atleti che competono con protesi a un arto). Il tris composto da Ambra Sabatini, medaglia d’oro in 14”11, Martina Caironi, argento in 14”46, e Graziana Contraffatto, bronzo con il tempo di 14”73 e il loro abbracci con la bandiera italiana a dominare la scena hanno fatto il giro del mondo.

Paralimpiadi Italia, l’impresa di Bebe Vio 
Vio, Trigilia e Mogos (Photo credit: Augusto Bizzi Fotografo / CIP )

Era data quasi per scontata, ma poi una delle imprese l’ha firmata la solita Bebe Vio, il volto più popolare delle Paralimpiadi azzurre, capace di confermarsi campionessa olimpica nel fioretto individuale, ancora una volta superando in finale la cinese Jingjing Zhou, proprio come cinque anni prima in Brasile. Un punto d’arrivo prestigioso diventato leggendario dopo la confessione della schermitrice. ermata da un’infezione da stafilococco e da una diagnosi che indicava l’amputazione del braccio sinistro a quattro mesi dalle gare. Sessanta giorni di tempo sono rimasti a sua disposizione per preparare gli assalti a cinque cerchi, culminati nell’affermazione personale e nell’argento a squadre (insieme a Loredana Trigilia e Andreea Mogos) con il ko in finale contro la Cina.

Il nuoto traina l’Italia
Carlotta Gilli (Photo credit: Augusto Bizzi / CIP)

Una grandissima Italia l’abbiamo vista a Tokyo anche e soprattutto in vasca, con una valanga di medaglie e l’exploit di Carlotta Gilli, nuotatrice 20enne in forza alla Rari Nantes Torino che al debutto olimpico ha trionfato nei 100 metri delfino e nei 200 metri misti nella categoria S13, cioè di atleti ipovedenti. Nel palmares personale ci sono: due secondi posti (100 metri dorso e 400 metri stile libero); il bronzo nei 50 stile libero, sempre per la categoria S13.

Grandi prestazioni sono arrivate anche da Francesco Bocciardo che, dopo l’oro nei 400 metri a Rio De Janeiro, si è ripetuto vincendo in 24 ore le gare dei 100 e 200 metri stile libero. E poi c’è stata la doppietta di Arjola Trimi, che ha primeggiato nei 50 metri dorso e nei 100 metri stile libero nella categoria S3 (oltre al secondo posto conquistato con la staffetta mista 4×50 composta da Giulia Terzi, Luigi Beggiato e Antonio Fantin).

Carica di significati la medaglia d’oro nel Team Relay di handbike vinta da Luca Mazzone, Paolo Cecchetto e Diego Colombari, che sotto la pioggia battente hanno centrato un risultato atteso cinque anni, con la dedica speciale per Alex Zanardi, perno della squadra fino all’incidente del 19 giugno 2020. Impossibile dimenticare le prove e le emozioni regalate dai 50enni terribili, Luca Mazzone e Francesca Porcellato, a bersaglio con un argento a cronometro sui pedali.

“Non fermiamoci, continuiamo a lavorare duro”
Sabatini, Caironi e Contraffatto (Photo credit: Augusto Bizzi Fotografo / CIP )

Il risultato in termini di medaglie ci inorgoglisce, ma al di là di ciò voglio far risaltare che questo è il frutto di un lavoro molto duro, di sacrifici e di umiltà ed è ancora più importante perché oltre i numeri proviene da 11 discipline differenti, fermo restando che il nuoto azzurro ha rappresentato uno straordinario risultato ma ci sono state anche tante altre medaglie da altre discipline”, ha dichiarato Pancalli, prima di sottolineare la capacità di migliorarsi degli azzurri. “Come nelle Olimpiadi siamo arrivati al nono posto e ci confermiamo nella top ten: molti rispetto a Rio hanno perso medaglie o magari sono rimasti stabili, chi è andato veramente avanti è solo l’Italia”.

“Tokyo è stato uno spot straordinario per Milano-Cortina 2026 – prosegue Pancalli – la cosa più importante è attirare l’attenzione del mondo degli sponsor che magari oggi avrà più attenzione rispetto a ieri a sposare l’immagine vincente e straordinaria degli atleti paralimpici, consapevole che faranno ancora più breccia perché sono tanti e ognuno ha una storia incredibile da raccontare che può essere fonte di ispirazione per tanti”.

(startupitalia.eu)

Sono finite le Paralimpiadi: non dimentichiamoci delle persone con disabilità

Durante le settimane delle Paralimpiadi le luci erano puntate sulle storie di atleti e atlete che ci hanno spesso emozionato. Ma ora, mentre calano i riflettori, non possiamo dimenticarci che il nostro Paese è ancora indietro quando si parla di inclusione e accessibilità per le persone con disabilità. Sono ancora pochi i fondi che investiamo per permettere alle persone con disabilità la miglior qualità della vita possibile, per non far diventare quelle che per la maggior parte dei cittadini sono semplici azioni quotidiane in vere e proprie imprese. Ed è così che la disabilità spesso diventa motivo di marginalità sociale ed economica.

Calano i riflettori sulle Paralimpiadi. Ma adesso, dopo aver festeggiato ben 69 medaglie, l’Italia non può dimenticarsi delle persone con disabilità. Non basta raccontare le storie di atleti e atlete per qualche settimana, emozionandosi per i risultati raggiunti, per potersi considerare un Paese inclusivo. Soprattutto se durante il resto dell’anno non si presta la minima attenzione a barriere architettoniche o equa accessibilità ai servizi per tutti i cittadini. Che è un problema concreto e attualissimo.

Nel nostro Paese, secondo gli ultimi dati messi a disposizione dall’Istat, le persone con disabilità sono circa 3 milioni e 150 mila, cioè il 5,2% della popolazione totale. E se pensiamo che l’Italia nel 2021 sia un Paese su misura per tutti, ci sbagliamo. Sono ancora pochi i fondi che investiamo per permettere alle persone con disabilità la miglior qualità della vita possibile, per non far diventare quelle che per la maggior parte dei cittadini sono semplici azioni quotidiane in vere e proprie imprese. Ed è così che la disabilità spesso diventa motivo di marginalità sociale ed economica.

L’Italia non è un Paese su misura per tutti

L’Italia, nel 2009 ha sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Nel sito del ministero delle Politiche sociali si legge:

Scopo della Convenzione, che si compone di un preambolo e di 50 articoli, è quello di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà da parte delle persone con disabilità. A tal fine, la condizione di disabilità viene ricondotta all’esistenza di barriere di varia natura che possono essere di ostacolo a quanti, portatori di minorazioni fisiche, mentali o sensoriali a lungo termine, hanno il diritto di partecipare in modo pieno ed effettivo alla società.

Ma è davvero così? Alle persone con disabilità viene davvero garantito il “pieno ed uguale godimento di tutti i diritti”? In realtà, basta esaminare pochi dati, presentati dal presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, in un’audizione lo scorso marzo, per rendersi conto di una serie di ostacoli che le persone con disabilità si devono quotidianamente confrontare per rendersi conto di quanto spesso l’inclusione sia solo sulla carta.

Gli ostacoli quotidiani che troppo spesso dimentichiamo

Ad esempio, “la capacità di spostarsi liberamente è molto limitata tra le persone con disabilità” e “i dati sulla mobilità, relativi al 2019, mostrano che solo il 14,4% delle persone con disabilità si sposta con mezzi pubblici urbani, contro il 25,5% del resto della popolazione“. Parte di questa differenza è dovuta al fatto che nel nostro Paese manchi l’attenzione necessaria, e conseguentemente gli appropriati stanziamenti, agli accorgimenti per rendere i mezzi di trasporto più accessibili e usufruibili anche dalle persone con disabilità.

Carenze di questo tipo hanno radici profonde, che si esplicano anche nelle politiche di inclusione di bambini e ragazzi nelle attività scolastiche. Se è vero che negli anni la partecipazione di alunni e alunne con disabilità che frequentano le scuole italiane è aumentata (tra il 2019 e il 2020 quasi 13 mila in più rispetto all’anno scolastico precedente), è altrettanto vero che il 37% di questi studenti non ha accesso a una formazione specifica. Specialmente nel Mezzogiorno.

Non solo: secondo i dati aggiornati del sistema di indicatori del Benessere equo e sostenibile dei territori dell’Istat, meno di una scuola su tre dispone di ascensori, bagni, porte e scale a norma per considerarsi accessibile per gli alunni con disabilità motoria.

Quando disabilità diventa marginalità

E anche fuori dalla scuola, l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone con disabilità non è automatico. Sebbene esistono delle norme per favorire la partecipazione al mercato del lavoro, permane comunque uno svantaggio di fondo: nel 2019 risultava occupato solo il 32,2% della popolazione con disabilità tra i 15 e i 64 anni.

Una conseguenza, sottolineata sempre dall’Istat, è che le persone con disabilità si trovano in genere in condizioni economiche più svantaggiate: “Le famiglie delle persone con disabilità godono in media di un livello più basso di benessere economico: secondo le ultime stime disponibili, il loro reddito annuo equivalente medio (comprensivo dei trasferimenti da parte dello Stato) è di 17.476 euro, inferiore del 7,8% a quello nazionale“, si legge tra i dati dell’Istituto.

Insomma, non ci si può ricordare dei diritti delle persone con disabilità solo quando le luci sono puntate sull’evento sportivo del momento e poi dimenticarsi delle barriere architettoniche nelle città o dell’insufficienza delle politiche di inclusione non appena cala il sipario sulle Paralimpiadi.

(fanpage.it)

Categorie paralimpiche: la classificazione degli sport per disabili

Scopriamo i criteri in base ai quali avviene la classificazione degli sport per disabili e vengono determinate le categorie paralimpiche

In questi giorni in cui gli occhi sono puntati sulle Paralimpiadi di Tokyo 2020 non tutti hanno ancora preso confidenza con le categorie paralimpiche, ossia il modo in cui sono classificati gli sport per disabili. Ogni disciplina è contraddistinta da un codice, composto da lettere e numeri, che indicano il tipo di prova sostenuta dall’atleta paralimpico e il tipo di disabilità.

A determinare le categorie paralimpiche ci pensa il Comitato Paralimpico Internazionale, che garantisce a ogni atleta di gareggiare con rivali che si trovano nelle stesse condizioni. Lo scopo della divisione in categorie, infatti, è quello di avere gare tra atleti di pari livello e dunque competizioni quanto più eque possibili. In particolare sono le organizzazioni internazionali di sport per disabili che fanno parte dell’Assemblea generale del Comitato Paralimpico Internazionale a definire i codici di classificazione.

I CRITERI DEL SISTEMA DI CLASSIFICAZIONE DEGLI SPORT PARALIMPICI

I criteri fondamentali in base ai quali vengono classificati gli sport per disabili sono tre:

  • la valutazione della patologia o la disabilità dell’atleta;
  • la valutazione del grado di disabilità dell’atleta;
  • la valutazione delle funzionalità fisiche residue dell’atleta, ossia che cosa riesce a fare.

In una categoria, dunque, ci possono essere diversi livelli di disabilità. Quello che la divisione in categorie paralimpiche cerca di garantire è che le persone che si sfidano tra di loro abbiamo uno stesso profilo funzionale, che dipende dalle capacità tecnico-tattiche dell’atleta paralimpico.
Per quanto riguarda il tipo di disabilità, sia per le Paralimpiadi estive sia per quelle invernali, si fa una distinzione in sette categorie principali:

  • atleti amputati: che hanno perso parzialmente o totalmente almeno un arto;
  • atleti con paralisi cerebrali: che presentano danni cerebrali non progressivi che limitano il controllo muscolare, l’equilibrio e il coordinamento;
  • atleti con disabilità intellettive: che hanno limitazioni nel comportamento (ma questa categoria risulta in sospeso);
  • atleti in sedia a rotelle: che presentano danni alla spina dorsale o altri tipi di danni che li costringono a stare in carrozzina;
  • atleti cechi: che presentano gravi problemi alla vista che vanno dalla cecità parziale a quella totale;
  • atleti sordi: che presentano gravi problemi all’udito che vanno dalla sordità parziale a quella totale;
  • gli altri: è la categoria che comprende tutti quegli atleti che non rientrano nelle precedenti categorie, per esempio coloro che sono affetti da nanismo; deformità congenite agli arti; sclerosi multipla.

Nell’ambito poi di ogni tipo di disabilità, ci sono delle associazioni internazionali che definiscono le classi di disabilità. Per esempio l’Associazione Internazionale dello Sport per Ciechi individua tre classi di atleti ciechi o ipovedenti, a seconda della loro capacità visiva che viene espressa con la formula x/60 dove x è un numero che indica a quanti metri l’atleta paralimpico vede un oggetto che un normodotato vede a 60 metri di distanza.

Quindi ci sono atleti di categoria B1 che non percepiscono la luce con nessuno dei due occhi o la percepiscono, ma non riescono a riconoscere la forma di una mano da nessuna distanza; atleti di categoria B2, che riescono a riconoscere la forma di una mano con un parametro di 2/60 o inferiore e ha un campo visuale minore di 5°; atleti di categoria B3 che riconoscono la forma di una mano e vedono con un parametro che va dai 2/60 ai 6/60 e hanno un campo visuale tra i 5° e i 20°. Nel corso della sua carriera un atleta può cambiare categoria se per esempio la sua condizione peggiora.

Per ogni sport, dunque, ci sono diverse specialità e per ognuna di esse c’è una divisione degli atleti in base al loro tipo di disabilità e al livello di disabilità, quest’ultimo indicato da un numero. Per capire meglio vediamo come funziona la divisione in categorie paralimpiche in due degli sport più importanti delle Paralimpiadi, quelli che a loro volta racchiudono più discipline: l’atletica leggera e il nuoto.

CATEGORIE PARALIMPICHE NELL’ATLETICA LEGGERA

Nell’atletica leggera ogni disciplina è indicata da una lettera e un numero. Le lettere sono: la F se è una disciplina che si svolge sul campo (F sta per “field”); la T se si tratta di una disciplina le cui prove si effettuano in pista (T sta per “track”); la P per il pentathlon. Il numero, invece, indica: dall’11 al 13 atleti ipovedenti e non vedenti (le categoria 11 e 12 gareggiano con una guida); il 20 indica atleti con disabilità intellettiva;

31-34 atleti su sedia a rotelle con paralisi cerebrali o altre patologie che limitano la coordinazione degli arti o l’uso dei muscoli; 51-58 atleti con lesioni alla spina dorsale, amputazioni, malformazioni congenite, lesioni nervose, handicap muscolo-scheletrici che li costringono sulla sedia a rotelle; i numeri 35-38 indicano atleti che hanno problemi come quelli delle categorie 31-34, ma che riescono a deambulare e a gareggiare in posizione eretta; i numero 40-46 atleti che hanno problemi come quelli delle categorie 51-58, ma che riescono a deambulare e gareggiare in posizione eretta.

CLASSIFICAZIONI NEL NUOTO PER DISABILI

Anche nel nuoto ogni classe è indicata da una o due lettere e un numero. Le lettere possono essere:

  • S per lo stile libero, farfalla e dorso
  • SB per la rana
  • SM per i misti

I numeri vanno da 1-10 per gli atleti con disabilità fisiche, da 11 a 13 per atleti con disabilità visive e il 14 per atleti con disabilità intellettive. Un singolo atleta può gareggiare anche in classi diverse. Per esempio il nostro Federico Morlacchi, che ha una ipoplasia congenita al femore sinistro, nel corso della sua carriera ha vinto medaglie nelle classi S9 (stile libero e farfalla), nella classe SM9 (nei misti) e nella classe SB8 (per la rana).

CLASSIFICAZIONI PARALIMPICHE IN ALTRI SPORT

Alcuni sport paralimpici si praticano in carrozzina, come avviene per esempio per il tennis, il rugby o la pallacanestro; per quanto riguarda la pallavolo paralimpica è il sitting volley, che è praticata da persone con disabilità motorie che giocano a volley restando a contatto con il campo (quindi da seduti).

La scherma alle Paralimpiadi si pratica in carrozzina e si distingue tra: classe A (atleti che muovono il tronco e hanno un buon equilibrio) e classe B (atleti che non muovono le gambe, hanno una ridotta funzionalità del tronco e scarso equilibrio). C’è poi la classe C che include atleti con disabilità in tutti e quattro gli arti, che non è però inclusa nei Giochi Paralimpici estivi. La nostra Bebe Vio, per esempio, fa parte della categoria B.

Nel ciclismo, invece, gli atleti paralimpici sono divisi a seconda del mezzo che usano e cioè handbike, tricicli o biciclette, che dipendono dal tipo di disabilità. per esempio la classe da H1 a H3 indica gli atleti in handbike che gareggiano reclinati, mentre quelli della H4 gareggiano seduti. Nelle classi T1 e T2 ci sono gli atleti che usano tricicli e hanno problemi di coordinazione motoria. Nelle classi dalla C1 alla C5 ci sono atleti che usano bici normali anche se sono amputati o hanno problemi di coordinazione motoria o debolezza muscolare. La classe TB è quella degli atleti non vedenti o ipovedenti che gareggiano in tandem con una guida vedente.

Nel tiro con l’arco ci sono diversi tipi di classi a seconda che gli atleti possano muovere gli arti superiori (Open), non possano muovere né quelli superiori né quelli inferiori (W1) o abbiano problemi alla vista (Visual Impaired a sua volta divisi in altre sottocategorie).
Nel tennistavolo la classificazione è in base a dei numeri che indicano da 1 a 5 atleti in carrozzina; da 6 a 10 atleti che hanno capacità deambulatorie ma altri problemi di movimento o di equilibrio; 11 per atleti con problemi psichici o cognitivi.

In altri sport ancora la distinzione, oltre che per il tipo e livello di disabilità, può dipendere, come avviene alle Olimpiadi, anche per categorie di peso, come nel caso del judo, in cui ovviamente, essendoci un combattimento, la parità tra i due contendenti dipende anche dal tipo di fisico, proprio come avviene tra i normodotati.
(gazzetta.it)

Quando le Paralimpiadi si facevano in Vaticano

Come al tempo delle gare “inclusive” volute da san Pio X, tra il 1905 e il 1908, anche oggi le Paralimpiadi sono un passo in avanti nella promozione di una diversa percezione della disabilità. A pochi giorni dall’apertura dell’evento in Giappone, ne parla l’articolo di Giampaolo Mattei su L’Osservatore Romano

“La notizia” non è che in Vaticano si svolgessero tra il 1905 e il 1908 campionati “mondiali” di atletica e che, la domenica, le parrocchie romane organizzassero gare sportive alla presenza di san Pio x.

La notizia è che, all’inizio del ’900, in Vaticano gareggiavano atleti con disabilità. Quarant’anni prima dell’avvio del movimento paralimpico, che ha preso le mosse dalle macerie della seconda guerra mondiale. Un progetto che si potrebbe rilanciare oggi attraverso Athletica Vaticana: un secolo dopo, seguendo la testimonianza di Francesco, il primo passo di  Athletica Vaticana — la squadra del Papa —  è stato proprio aprire la sezione paralimpica.

Nel settembre 1908 c’erano atleti amputati come Baldoni che gareggiava nella velocità (vittoria irlandese, per la cronaca). C’erano atleti sordi e, nel salto in alto, 9 giovani non vedenti dell’Istituto Sant’Alessio. Con il vincitore, Cittadini (1 metro e 10 centimetri), intervistato dal cronista de «L’Osservatore Romano». Forse le Paralimpiadi — che si aprono a Tokyo martedì 24 — sono nate proprio nel Cortile del Belvedere, trasformato in pista di atletica, davanti a Papa Sarto e al cardinale segretario di Stato Merry del Val. E a chi gli diceva: «dove andremo a finire?» — vedendo atleti correre nei Giardini vaticani — Pio x ebbe a rispondere in veneziano: «Caro elo, in paradiso!».

«L’Osservatore Romano» nel 1908 seguì quelle gare internazionali di atletica (già lo aveva fatto nella prima edizione nell’ottobre 1905, che si svolse anche nel Cortile di San Damaso) come fosse… «La Gazzetta dello sport»: classifiche, commenti, interviste e persino schede tecniche sull’équipe medica del Fatebenefratelli (con tanto di diagnosi degli infortunati), le note di servizio per i 2.000 atleti e per Guardia svizzera e Gendarmeria che si alternavano nell’accogliere gli sportivi, anche con le loro bande musicali, fino a fornire informazioni al Portone di Bronzo quando alcune gare vennero rimandate per pioggia. E le parole del Papa in prima pagina.

Come al tempo delle gare “inclusive” volute da san Pio x, anche oggi le Paralimpiadi sono un passo in avanti nella promozione di una diversa percezione della disabilità. La sempre più grande copertura mediatica delle Paralimpiadi favorisce una nuova consapevolezza. Stimola riflessioni preziosissime sia sul ruolo sociale dello sport sia sul concetto di abilità.

L’obiettivo del movimento paralimpico non è soltanto celebrare un grande evento, ma dimostrare quello che atleti – pur fortemente feriti nella vita riescono a raggiungere quando sono messi nelle condizioni di poterlo fare. E se vale per lo sport, tanto più deve valere per la vita.

Sì, non solo nello sport – che, però, aiuta per la sua capacità di comunicare e suscitare emozioni – le persone con disabilità vanno messe nelle condizioni di esprimere ciò che possono fare. Creando pari opportunità. Costatando consapevolmente i limiti della disabilità (che ci sono), ma guardando anche l’enorme potenzialità che ancora ciascuno può esprimere. Se ne ha la possibilità, appunto.

Lo sport può aiutare a far crescere la comprensione della disabilità fino ad abbracciarla come risorsa. Vedere le abilità di un atleta paralimpico di alto livello porta inevitabilmente alla curiosità, a interrogarsi: ma come fa, con quelle protesi? E se lo si può fare nello sport, perché non in un ufficio o in classe? Con lo sport si può (e si deve) coltivare la consapevolezza di cambiare la percezione della disabilità nella quotidianità. Famiglia, scuola, posto di lavoro.

Papa Francesco, nell’intervista a «La Gazzetta dello sport», lo scorso 2 gennaio, ha affermato — «sbalordito» — che gli atleti paralimpici hanno «storie che fanno nascere storie, quando tutti pensano che non ci sia più nessuna storia da raccontare». Storie di inclusione e «riscatto». Storie che ti sbattano in faccia la certezza che i limiti non sono nelle persone con disabilità ma nella mentalità di chi li guarda.

Purtroppo la pandemia non ha significato solo lo stop allo sport. Per molti ragazzi disabili ha voluto dire l’interruzione di un momento di inclusione fondamentale e, a volte, l’unico nelle loro vite. Con tante famiglie lasciate sole. Sì, siamo lontani dal prendere atto che lo sport dovrebbe occupare un posto nelle priorità delle agende della politica, per investire sulla persona.

Lo sport, più di qualsiasi altra esperienza umana, rappresenta una “medicina sociale” per aiutare tanti ragazzi con disabilità a ripartire. “Resilienza”, si chiama, e a un atleta paralimpico non devi spiegarla. Recuperando anche il concetto sportivo dell’assist… l’assist-enzialismo dovrebbe essere quell’esperienza di persone che si aiutano l’una con l’altra. Ecco che il concetto di assist-enzialismo può essere declinato in positivo.

È un po’ folle pensare di cambiare la cultura, mentalità radicate, con lo sport paralimpico? Forse, ma senza quella sana follia Alex Zanardi non sarebbe diventato un contagioso “incoraggiatore” di disperati e Bebe Vio sarebbe rimasta a piangersi addosso in un letto, senza braccia e senza gambe.

E, allora, da martedì prepariamoci a fare il tifo per… tutti, senza guardare le bandiere: sono donne e uomini legati dal file-rouge dalla sofferenza. E un tifo particolare per i sei atleti del Team rifugiati. Nell’edizione di lunedì «L’Osservatore Romano» racconterà le loro storie, insieme a quelli di altri atleti.

Ma non è retorica affermare che, conti (della vita) alla mano, non esiste differenza tra l’atleta di alto livello e “la base”. i fa uno sport per non stare chiuso in casa. I campioni che vincono medaglie e stabiliscono record sono testimoni che attraggono coloro che devono ancora trovare il coraggio di mettere in atto la loro resilienza.

Può sembrare persino scontato far presente cosa significa per tanti ragazzi vedere atleti con una disabilità realizzare prestazioni sportive. E arrivare, magari, a dire a se stessi: forse lo posso fare anche io, forse ce la posso fare!

Per questo le Paralimpiadi sono persino “più” delle Olimpiadi, al di là del suffisso greco “para” scelto per sancire che sono la stessa cosa e allo stesso livello. Ma sostenendo atleti disabili di alto livello si mette in moto un “circolo” virtuoso che abbraccia il ragazzino escluso perché diverso. Insomma, «un’immagine splendida di come dovrebbe essere il  mondo» ha fatto notare Papa Francesco.

La vera vittoria della “famiglia paralimpica” resta la capacità di fare comunità per creare, appunto, questo movimento che coinvolge i campioni e quei ragazzini che oggi faticano a fare un passo o ad alzare un braccio. E si vergognano di farsi vedere fragili. Per non parlare di coloro che hanno un ritardo cognitivo…

(vaticannews.va)

Simone Perona, dagli Special Olympics alla ultramaratona

Argento ai Giochi Mondiali Special Olympics di Los Angeles, nel 2015, sarà il primo atleta italiano con disabilità intellettiva a partecipare ad una ultramaratona di 24 ore, il prossimo 27 marzo

Nessun limite ai sogni di Simone Perona: è lui il primo atleta italiano con disabilità intellettiva a correre l’ultramaratona di 24 ore. Quando Simone, 35 anni di Vandorno, frazione del Comune di Biella, ha iniziato a correre nessuno si sarebbe aspettato che sarebbe arrivato così lontano. Le sue conquiste abbattono stereotipi e pregiudizi nei confronti delle persone con disabilità intellettive, favorendo una trasformazione culturale necessaria affinché a tutti venga data la giusta opportunità di mettersi in gioco per crescere e migliorarsi, con fiducia, nello sport così come nella vita.

Dai 5.000 e 10.000 metri Simone è passato ben presto alla mezza maratona, stabilendo all’arrivo, in quella di Brescia, il personale record di 1h e 53’. Un crescere di emozioni e traguardi che lo hanno portato, oltreoceano, a conquistare una medaglia d’Argento ai Giochi Mondiali Special Olympics di Los Angeles, nel 2015. Ancora in lui vivo il ricordo di un’esperienza umana indescrivibile; in quell’occasione, Simone ha pianto due volte: «Alla partenza, perché credevo di non farcela e all’arrivo, ma quelle erano lacrime di gioia perché mi sono sentito fiero ed orgoglioso di me stesso».

Gli allenamenti

La corsa è diventata per Simone non tanto una sfida con gli altri, quando piuttosto una sfida con se stesso, un mettersi alla prova, ogni giorno, per superare le proprie paure. Ha così intensificato i suoi allenamenti specializzandosi, negli anni, nella maratona: quella di Verona, nel 2016, l’ha chiusa in 4h e 33’ ma al di là dei tempi c’è la conquista di una maggiore fiducia ed autonomia che gli ha permesso di spingersi sempre oltre, ponendosi nuovi obiettivi. E adesso il prossimo traguardo da raggiungere, anche soltanto partecipandovi: il prossimo 27 marzo, a Biella, Simone sarà il primo atleta italiano con disabilità intellettiva a partecipare ad una ultramaratona di 24 ore, «BiUltra 6.24».

L’ultramaratona con il pettorale 2025

Simone, che nel 2019 aveva già preso parte al medesimo evento nella 6 ore, si sta preparando a questa nuova impresa da due anni: ogni mattina percorre 4 km con la sua bicicletta per andare ad allenarsi al Parco della Burcina di Biella; si allena 6 giorni alla settimana per circa 5 ore al giorno. L’ultramaratona di 24 ore Simone la correrà con il pettorale 2025: anno in cui l’Italia, dopo aver ufficialmente presentato la candidatura a livello internazionale, auspica di ospitare a Torino i Giochi Mondiali Invernali di Special Olympics.

«Ho capito che avrei potuto provarci qualche anno fa, quando corro provo grandi emozioni, serenità e gioia: per me correre significa stare bene con me stesso. Se dovessi riuscire a completare l’Ultramaratona, dedicherei questo mio traguardo a tutti gli atleti Special Olympics che ogni giorno dimostrano di poter essere protagonisti di grandi imprese, ma lo dedico anche ai miei genitori ed a Charlie, il mio tecnico, perché hanno sempre creduto in me».
(corriere.it)

– 276 giorni alle Paralimpiadi: il progetto africano Para Sport Against Stigma

Un progetto da 1,89 milioni di sterline (2,1 milioni di euro) che vede come protagonisti il Comitato paralimpico internazionale (IPC), l’Università di Loughborough e l’Università del Malawi, il Chancellor College che mirerà a superare lo stigma e la discriminazione contro le persone con disabilità in Africa.
Il progetto – Para Sport Against Stigma – studierà l’uso dello sport paralimpico come catalizzatore per il cambiamento degli atteggiamenti nei confronti della disabilità e della tecnologia assistiva (AT) in Ghana, Malawi e Zambia. La prima attività che si svolgerà come parte del programma è un corso I’mPOSSIBLE per educatori.
Questo corso di una settimana, che si svolge online a causa delle attuali restrizioni COVID-19, vedrà i partecipanti provenienti da Ghana, Malawi e Zambia diventare educatori certificati I’mPOSSIBLE consentendo una vera e propria formazione.
Questo progetto fa parte di AT2030, un programma finanziato da UK Aid e guidato dal Global Disability Innovation Hub. AT2030 metterà alla prova “ciò che funziona” per migliorare l’accesso all’AT e investirà 20 milioni di sterline per supportare soluzioni su larga scala. Concentrandosi su prodotti innovativi, nuovi modelli di servizio e supporto di capacità globale, il programma raggiungerà direttamente nove milioni di persone e altri sei milioni indirettamente per consentire una vita di potenziale attraverso l’AT.
Utilizzando un approccio a quattro pilastri – istruzione, sviluppo degli atleti, trasmissione e attività di ricerca trasversale – si spera che il progetto si basi sulle lezioni dei Giochi Paralimpici di Londra 2012, ispirando una maggiore comprensione della disabilità e dell’inclusione nei paesi interessati.
Si ritiene che una mancanza di comprensione della disabilità e dei bisogni delle persone con disabilità possa creare esclusione all’interno delle comunità. Si ritiene che lo stigma intorno alla disabilità sia anche uno degli ostacoli all’uso, allo sviluppo e all’erogazione di una migliore adozione dell’AT, comprese carrozzine, apparecchi acustici, protesi e occhiali nei paesi a basso e medio reddito che possano portare a standard di vita migliori le persone con disabilità.

(gazzetta.it)

Medaglie, vittorie e successi. La storia del tiro con l’arco, il primo sport paralimpico

Gli atleti paralimpici e quelli olimpici, inoltre, gareggiano insieme. Sulla linea di tiro la disabilità non si vede

Bonacina, Cancelli e Simonelli, campioni del mondo Compound a Pechino

Il primo fra gli sport paralimpici. Il tiro con l’arco vanta il primato di essere stato lo sport che ha aperto gli eventi di quello che sarebbe diventato il più grande movimento sportivo per atleti con disabilità del mondo. Avvenne nel 1948. Il merito fu di un medico visionario di origini ebree, Ludwig Guttmann, che dall’Austria era andato in Inghilterra per scampare alla furia nazista. Al centro di riabilitazione di Stoke Mandeville, non lontano da Londra, ebbe la grande intuizione di cominciare a fare sport e non solo riabilitazione ai tanti soldati che arrivavano con disabilità dalla seconda guerra mondiale. In quell’anno si tenevano le Olimpiadi a Londra e Guttmann si inventò un evento con atleti in carrozzina: 16 fra uomini e donne gareggiarono proprio nel tiro con l’arco in quello che sarebbe stato il prodromo della Paralimpiade, oggi il secondo evento sportivo per numero di atleti, nazioni e discipline. Ecco perché l’importanza del tiro con l’arco nella crescita del movimento paralimpico è fondamentale.

DIFFERENZE

Non ce ne sono: gli atleti paralimpici e quelli olimpici gareggiano insieme e sulla linea di tiro la disabilità non si vede. È la grande bellezza del tiro con l’arco, precursore di quella integrazione che anche altri sport hanno. È presente ai Giochi da Roma 1960, in quelle che sono considerate le prime vere Paralimpiadi della storia. Ma atleti con disabilità hanno partecipato alle Olimpiadi senza problemi. In questo l’Italia ha un primato: la prima atleta al mondo a partecipare a Olimpiade e Paralimpiade nella stessa edizione dei Giochi è stata l’azzurra Paola Fantato, che fece la doppietta ad Atlanta ‘96. Veronese, poliomielitica, è un vanto italiano nel mondo. In campo internazionale, pochi sanno che uno degli atleti più grandi di tutti i tempi, il grandissimo maratoneta Abebe Bikila, che scalzo vinse l’oro a Roma, fu un campione del tiro con l’arco in carrozzina dopo l’incidente d’auto che lo rese paraplegico.
  
Questa importanza vale anche per l’Italia. Il tiro con l’arco azzurro ha avuto e continua ad avere stagioni felicissime, grazie a una attenzione che la Fitarco mostra da sempre. Grazie all’impegno della Federazione, hanno seguito la scia di Paola Fantato i grandi campioni azzurri che hanno dato lustro all’Italia su pedane senza differenze. Come Oscar De Pellegrin, alfiere azzurro per eccellenza, sempre presente ai Giochi, dividendosi fra carabina e arco, da Barcellona ‘92 a Londra 2012, dove ha sublimato le sue partecipazioni con un oro fantastico dopo essere stato il portabandiera di quella edizione. Ora è uno dei dirigenti sportivi più apprezzati, oltre a essere un simbolo dello sport azzurro.

PROTAGONISTI
La tradizione dei grandi campioni paralimpici del tiro con l’arco non si ferma. Fra gli altri, ci sono Elisabetta Mijno, piemontese, paraplegica da quando era bimba per un incidente stradale, la cui stella internazionale brilla da un decennio: argento individuale arco olimpico a Londra 2012, bronzo mixed team con Roberto Airoldi, campionessa del mondo mixed team con Stefano Travisani nel 2017, con il quale ha vinto l’argento al mondiale dello scorso anno in Olanda, dove ha ottenuto il pass per Tokyo. Laureata in medicina, lavora al Cto di Torino. Una grandissima campionessa che sa distinguersi ed esaltarsi anche nel suo campo professionale. Lo sport gli ha portato anche l’amore: è fidanzata con il campione europeo Compound Matteo Bonacina, uno dei tre azzurri del compound che vivono a Bergamo. Con lui, gli altri grandi atleti bergamaschi sono Alberto Simonelli e Paolo Cancelli (entrambi impegnati a Bergamo come volontari durante il lockdown), campioni del mondo 2017 e campioni europei 2018. Asia Pellizzari è una giovane atleta veneta della categoria W1. Ha sfiorato la qualificazione per Tokyo agli scorsi mondiali e con il posticipo dei Giochi può tentare di nuovo il grande balzo. La palermitana Maria Andrea Virgilio, divisione compound open, è un’altra giovane che sta crescendo a suon di risultati, autrice di stagioni eccellenti, sapendo sempre migliorarsi. Aveva il record del mondo Indoor sulle 60 frecce, poi superato lo scorso dicembre da una brasiliana al Roma Archery Trophy, e ha vinto il bronzo mixed team con Alberto Simonelli ai Mondiali in Olanda, ottenendo il pass per Tokyo. Ai campionati italiani 2019 ha vinto l’oro Indoor Para-Archery, realizzando il record mondiale con 578 punti sulle 60 frecce. Ha vinto l’oro ai Tricolori Paralimpici outdoor di Firenze e l’oro ai Campionati Italiani assoluti di Lignano Sabbiadoro, gareggiando con atleti senza disabilità.

TOKYO
L’Italia ha già 7 pass su 10 per la prossima Paralimpiade giapponese e l’obiettivo è di qualificare 2 W1 per gareggiare nell’individuale e nel mixed team in Giappone. Il posticipo dei Giochi per la pandemia non cambia le aspettative azzurre, con l’Italia che resta una delle nazioni più attese agli appuntamenti paralimpici con l’obiettivo di raggiungere per la decima volta consecutiva almeno un podio.

(gazzetta.it)

Vela paralimpica, a Palermo potenziato il progetto “Oltre le barriere”

Dopo lo stop delle attività per l’emergenza sanitaria, riprendono le attività della Lega Navale Italiana. A settembre ci sarà un nuovo pontile ed entro dicembre un House boat


Dopo lo stop delle attività per l’emergenza sanitaria, la ripresa della Lega Navale Italiana – Sezione Palermo Centro ha puntato direttamente sull’inizio della fase 1 del progetto “Oltre le barriere” che mira a promuovere diritti, autonomia, integrazione socio-sportiva e qualità della vita delle persone con disabilità fisica e psichica, consolidando in questo modo il percorso, intrapreso ormai da alcuni anni, verso le pari opportunità nel campo sportivo della vela. Dopo gli allenamenti degli atleti, si è dato già corso anche alla fase 2, lo scorso 25 luglio, con la prima tappa del Campionato Siciliano Hansa 303 che si è svolta presso la Sezione LNI di Siracusa su delega della Federazione Italiana Vela di concerto con la Classe Italiana Hansa 303.
A Palermo, parallelamente, il progetto prevede l’installazione di un nuovo pontile (allo stato già autorizzato dalla locale Autorità Portuale di Palermo) attiguo al già esistente Polo Nautico LNI Oltre le Barriere. Tale ampliamento, reso possibile dal supporto della Fondazione Terzo Pilastro, consentirà ulteriori e sempre più significative attività. Il pontile sarà completo di colonnine per energia elettrica ed illuminazione, cancello di ingresso e passerella a norma per l’attraversamento delle carrozzine. Le attività di ampliamento del Polo LNI “Oltre le Barriere” saranno integrate con la realizzazione, entro la fine dell’anno, pure  di una House boat completamente accessibile che ospiterà i servizi e uno spogliatoio, realizzata con il supporto del Panathlon Club Palermo.

L’importante sostegno all’attività paralimpica siciliana da parte della Fondazione Terzo Pilastro e Panathlon Club Palermo ha consentito, infatti, il raggiungimento di buoni risultati sportivi anche in termini di integrazione ed avvicinamento allo sport da parte delle persone con disabilità. Previsto, intanto un giro in una barca di altura per un gruppo di tre giovani ipovedenti alla loro prima esperienza insieme a due accompagnatori dell’Unione Itala Ciechi di Palermo.
Siamo molto contenti – ha sottolineato il vicepresidente della Lega Navale Italiana – Sezione Palermo Centro, Peppe Tisci – perché la struttura così creata sarà unica nel suo genere e, come fiore all’occhiello della Città di Palermo e punto di riferimento del movimento paralimpico nazionale, permetterà l’organizzazione dei campionati più importanti già previsti nel 2021“. “Quest’anno saremo in grado proprio di raddoppiare l’offerta di vela paralimpica – continua Peppe Tisci – perché avremo un nuovo pontile con nuove barche che inaugureremo a settembre, articolato in quattro moduli da 12 metri, accessibile al transito delle carrozzine. La realizzazione del pontile che ha un costo di oltre 100 mila euro è avvenuta grazie ad un sostegno economico corposo della fondazione Terzo Pilastro che ci supporta in vario modo dal 2017, guidata dal suo presidente, il prof. Emanuele Emanuele. Inoltre, entro la fine dell’anno, per i giovani con disabilità, attiveremo un House boat con servizi igienici e spogliatoi dedicati. Naturalmente ricordiamo che  per tutte le attività delle nostre barche occorre essere muniti delle mascherine come dispositivi di sicurezza personale
La lega Navale di Palermo ha 35 posti barca e oltre 450 soci che, in vario modo, si adoperano per portare avanti tutte le sue iniziative. Proprio nell’ambito dei diversi progetti di integrazione sociale gli obiettivi raggiunti dalla Lega navale palermitana sono diventati, nel tempo, un modello di riferimento per altre realtà italiane.
La nostra attività mira sia alla promozione dello sport velico per le persone con disabilità con barche più grandi che ad attività di livello invece agonistico con le nostre 7 barche Azzurra 600 con 5 posti per i giri locali e con le quattro Hansa 303 a due posti per la partecipazione ai campionati nazionali ed internazionali. Dopo Siracusa, le altre tappe saranno quelle di Marsala, Cefalù e poi anche Palermo. I benefici notevoli della barca a vela e del rapporto con il mare sappiamo ormai che sono molti per questo invitiamo le famiglie a portare i loro bambini e giovani. Da anni, ormai ci dedichiamo non soltanto, infatti, alle persone con disabilità ma anche alle persone con disagio sociale di vario tipo come ragazze e ragazzi ospiti di comunità alloggio e giovani del circuito penale esterno. Sfatiamo quindi il pregiudizio che la vela sia uno sport per ricchi perché abbiamo una sezione con un gruppo di barche proprio dedicato ai soci. Per il primo anno di prova le persone con disabilità le tesseriamo gratuitamente. Per chi è in difficoltà ci sono, inoltre, delle possibilità di sostegno e supporto della stessa sezione“.
(redattoresociale.it)

La lezione di Alex Zanardi

di Lucio Luca

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Io quell’incidente me lo ricordo bene. Anche perché l’ho rivisto un sacco di volte su YouTube e continuo ancora a chiedermi come caspita sei uscito vivo da quell’ammasso di lamiere. Davvero, come hai fatto?
Eri morto, irrimediabilmente morto. Penso che nemmeno tua moglie Daniela e tuo figlio Niccolò, che ti strapparono letteralmente alla Signora Nera per riportarti a casa sulle colline bolognesi, credessero in quei terribili momenti che dalle macerie sarebbe nato per la seconda volta un campione più forte di prima, incredibilmente più forte, anche senza gambe, con il corpo martoriato dalle ferite e i segni indelebili di quello schianto.
Io non so dove caspita hai trovato la forza di ricominciare tutto daccapo, allenandoti come un pazzo per dimostrare al mondo, ma soprattutto a te stesso, che l’anima è più forte di una macchina da corsa che ti centra a 200 all’ora e che ti riduce in poltiglia.
Vabbè, uno dice, alla fine ti è andata bene. Sei vivo, sei comunque una persona conosciuta, hai fatto la Formula 1, basta che vai in tv dalle Barbare D’Urso e affini a raccattare un gettone di presenza e puoi serenamente (?) continuare a tirare avanti senza l’affanno di arrivare alla fine del mese. E invece no, tu sei uno corna dure e le comparsate non ti possono bastare. Tu vuoi fare le olimpiadi, ok le paraolimpiadi, va bene lo stesso.
E ti metti a correre in bici, l’hand bike mi pare che si chiami, non usi le gambe che hai regalato al cielo, ma le braccia che improvvisamente sono diventate forti, fortissime, e quel trabiccolo vola, vola che sembra quasi una macchina da corsa, quelle che hai comunque nel cuore. Che poi, io mi chiedo, ma come cazzo si può ancora avere nel cuore una cosa che ti stava spedendo al Campo Santo? Vabbè, tu sei Alex Zanardi da Castel Maggiore… ogni tanto me lo scordo.
E corri, corri, corri… E vinci. Le vinci a Londra, quelle cazzo di Olimpiadi – ok, paraolimpiadi, è uguale – ma siccome sei Alex Zanardi da Castel Maggiore, non ti basta e continui ad allenarti come un pazzo. Anche se non sei più un ragazzino, hai 50 anni e una famiglia che ti vuole bene, potresti rilassarti ma figurati se lo farai mai. E l’altro giorno ti presenti a Rio, fai una rimontona che manco il Liverpool nella finale di Champions contro il Milan e vinci la medaglia d’oro un’altra volta. Che sarà, la seconda? La terza? Non lo so, penso solo che non sarà l’ultima. Perché tu sei Alex Zanardi da Castel Maggiore… senza chiacchiere.
Ai giornalisti dici due o tre cose che ancora mi vengono i brividi a sentirle. “Io vedo dei traguardi dove altri non vedono neppure dei percorsi” – è il tuo inno alla vita, a non mollare mai, a combattere fino alla fine. E vale più di migliaia di trattati sociologici e puttanate da social network. “Io penso che Nostro Signore abbia problemi ben più seri per occuparsi del mio destino, ma stavolta sono sicuro che mi ha spinto lui, altrimenti non ce l’avrei fatta…”. “Se ci impegnassimo di più a essere brave persone, questo paese andrebbe meglio. Molto meglio…”.
E mi viene in mente che due o tre anni fa, animato da sacro furore, scrissi persino una mail a tre o quattro parlamentari amici (oddio, amici… diciamo conoscenti) per suggerire loro di battersi e convincere così il presidente della Repubblica a nominare Zanardi senatore a vita. Qualcuno mi disse che era una cazzata e infatti aspetto ancora una risposta dai parlamentari amici (oddio amici… diciamo conoscenti). Secondo me, però, non è una cazzata, perché se penso che in quei palazzi c’è gente che confonde il Cile col Venezuela, che blatera di scie chimiche, che si dice di sinistra e poi asfalta i diritti dei lavoratori andando a cena con i padroni, o che di giorno incontra la Merkel e la sera si spartisce le aspiranti starlette perché “la patonza deve girare”, e insomma… se in quei palazzi c’è gente del genere, perché non potrebbe starci anche uno che ogni giorno ci insegna cos’è la vita soltanto con il sorriso?
Forse, potrebbe essere la risposta, perché con quelli, effettivamente, ha ben poco da spartire. E comunque sia… in bocca al lupo Alex, ché di Olimpiadi – ok, paraolimpiadi ma è lo stesso – ne hai davanti ancora tante.
(https://abbraccioblog.wordpress.com/2016/09/16/la-lezione-di-alex-zanardi/)

​Paralimpiadi, è ora di cambiare!

di Antonio Giuseppe Malafarina 
Guardo la sfilata dei nostri atleti durante la cerimonia d’apertura delle Paralimpiadi e provo una sensazione di sconforto. Di smarrimento. Come se fossi invischiato di ragnatele dentro. Un senso di sgretolamento. Ci sono degli sportivi al centro, accomunati da un fattore diversificante, e attorno una maggioranza di altre persone accomunate dal non condividere quel fattore. Mi domando perché gli atleti comuni da una parte e noi dall’altra. Addirittura gli altri sfilati settimane prima, marcando una netta separazione. Siamo tutti diversi nella nostra comunanza di umanità e uguali nella nostra singolarità di persone. Le Olimpiadi dovrebbero essere Olimpiadi, punto e basta. Allora perché non le Nerolimpiadi, le Biondlimpiadi e, soprattutto, le Femminelimpiadi divise dalle Maschilimpiadi?

Alcuni sostengono che la separazione sia necessaria per questioni logistiche. Sembra che sia difficile, ossia costoso, accorpare le due manifestazioni, perché, a questo punto, di due manifestazioni distinte si tratta. Lo ha sancito anche la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi che ha rimandato a quelle successive e non alla loro spontanea prosecuzione, cioè le Paralimpiadi. Io immagino che unire le due manifestazioni sia complesso e lo penso a partire proprio dalle esigenze degli atleti con disabilità.

Alloggiare e muoversi in un ambito sovrappopolato di atleti, come è un villaggio olimpico, per una persona con disabilità penso sia più complicato che non all’interno di un ambiente dedicato. Immagino il viavai di persone che si muovono in carrozzina fra quelle cieche e quelle senza deficit che non sia quello della distrazione. Guai in vista. E gli allenamenti affollati come un ipermercato al sabato.
Ma è questa una condizione sufficiente per separare atleti da atleti? È come dire che Olimpiadi maschili e femminili dovrebbero essere distinte perché servono spogliatoi e toilette differenziate. Servono? Si fanno. Si sono fatti. Bisogna creare soluzioni affinché si possa stare insieme, perché se gli atleti sono diversi l’atleta è uno.
Io sostengo che sportivi disabili e non dovrebbero correre nelle stesse categorie, là dove è possibile. Altrimenti dovrebbero correre contemporaneamente. Vuoi mettere i 100 metri per la disabilità corsi nelle stesse giornate in cui corre Bolt con quelli corsi un mese dopo? L’impatto mediatico è differente e la diseguaglianza grava tutta sugli atleti disabili, cioè su tutte le persone con disabilità, che restano vittime dell’esempio. Passa il concetto, in parole povere, che gli atleti con disabilità siano una cosa a parte. Se gli atleti gareggiassero insieme, invece, sarebbe evidente a tutti che si tratta unicamente di sport. E là dove ci sono specialità dedicate agli uni piuttosto che agli altri l’importante è stare nella stessa cornice. Categorie diverse per un solo obiettivo: vincere l’Olimpiade.
Si dirà che le Paralimpiadi tanto bene hanno fatto nel migliorare la cultura della disabilità e che l’interesse mediatico è stato crescente, specialmente a partire dall’edizione di Londra. Vero. Sono d’accordo. Ma non basta. Non sono contro lo sport olimpico per le persone con disabilità, sono contro la selezione a priori. Contro la discriminazione progettuale. Contro regolamenti che potrebbero essere concepiti meglio.
Non escludo, ed anzi ritengo, che la divisione fra Olimpiadi e Paralimpiadi sia un compromesso politicamente corretto per invitare la maggior parte possibile dei Paesi a partecipare. Ovvero che sia un espediente per indurre l’adesione di quelle nazioni che non accetterebbero facilmente di mescolare i loro connazionali con disabilità a quelli privi. Ma dobbiamo fermarci al politicamente corretto?
In attesa di una nuova era olimpica io esigo una cerimonia unica che si chiami cerimonia d’apertura delle Olimpiadi ed una conclusiva che sia cerimonia conclusiva di tutto l’impianto. Via le Paralimpiadi. Se ci sono si deve capire che si tratta di un sottoinsieme alla pari. Anzi, invece che metterle in fondo io le metterei in apertura. Partono le Olimpiadi e dai con gli atleti con disabilità. Poi gli altri. E il medagliere? Perché diviso, suggerisce Luca Mattiucci, responsabile di Corriere sociale?

C’è il rischio che così facendo non si capisca che le persone con disabilità hanno esigenze particolari e che, in molte parti del mondo, sono ben lontane dall’eguaglianza sociale. Alle Olimpiadi però, proprio perché siamo lì per esprimere il meglio della competitività, bisogna trasmettere che quelle in vetrina sono tutte persone alla pari e non che ci sono lì alcuni poveretti a ricevere il loro contentino quadriennale.
Questo, ahimè, è il pensiero che ancora molti percepiscono, si vede da molti commenti sui post a riguardo. Ed è quello che ho percepito io guardando dignitosi atleti sfilare in quello che Martina Gerosa, disability e case manager, definisce un circolo dove ballano animali anziché bestie. Lei, persona con disabilità uditiva, aggiunge che rendere ciò che è diverso normalità è la sfida di cui preferisce occuparsi. Io sto con lei.

Viva lo sport. Viva gli atleti con disabilità e senza. Viva le Paralimpiadi come viva la Formula Uno: così com’è adesso finisce per piacere quasi solo agli appassionati. È ora di cambiare.

(Invisibili, corriere.it)