Clara Woods: la vita oltre la disabilità

La straordinaria storia di una ragazza che non parla e non legge ma capisce tre lingue

Piacere, sono Clara!

Clara Woods è una ragazza di quattordici anni a cui un ictus ha provocato una disabilità importante, sia in termini di movimento, sia di articolazione del linguaggio. Clara è la prima, coraggiosa abitante di questo territorio dell’oltre. Non parla e non sa leggere, ma comprende tre lingue. Ha una paralisi che le impedisce di muovere metà del suo corpo, ma dipinge. La sua pittura è la via di accesso alle sue parole, alla sua storia densa e intrisa di un dolore profondo, ma animata dall’amore vivo di una famiglia straordinaria che le ha offerto un motivo per non spegnersi e, invece, brillare di luce nuova.

La famiglia

Betina, Carlo e Davi sono gli altri tre eroi di questa storia straordinaria. La grande casa dell’amore, del resto, si costruisce su fondamenta solide e tutte legate insieme. Passando attraverso un grande dolore, la famiglia Woods ha indirizzato le risorse di Clara verso la potentissima esperienza della pittura, arte catartica e preziosa per gli stimoli che può offrire all’indagine della propria persona. 

Oggi Clara vive negli Usa con la sua famiglia. Sta scoprendo nuovi orizzonti, sta entrando in contatto con una nuova cultura, una nuova lingua, un nuovo clima. Tante, tante tele attendono di essere dipinte e di raccontare le nuove storie della sua vita. Mentre Clara cresce come persona e come artista, non immagina quanto grande è il contributo che lascia ogni giorno a questo mondo bizzarro. Dai luoghi dell’oltre il suo sorriso arriva raggiante e spazza via la paura che non sia possibile aprirsi alla vita con una disabilità. Lei ci guarda tutti da quella riva e agita la sua mano per salutarci e ricordarci che le cose possono andare in un modo diverso. Dovremmo farci un salto in questo posto!

Betina, la madre di Clara, è stata così gentile da concederci il tempo per una intervista su questa storia e noi vorremmo condividerla con voi.

Quando siete venuti a conoscenza del problema di Clara? Cosa è accaduto in quel momento?

Diciamo che alla sua nascita ci siamo accorti che c’erano delle cose che non andavano. Clara non si girava nel letto e la sua mano destra non si apriva. Fu, però, durante il suo settimo mese che realizzai che c’era qualcosa di molto serio: un giorno eravamo all’Ikea e vedemmo una bambina della sua età che gattonava. Scoppiai in un pianto dirotto: la nostra Clara non lo faceva. Quel giorno il mondo mi crollò addosso. Condivisi con Carlo, il babbo di Clara, i miei pensieri. Lui ha già una figlia con l’atrofia muscolare da un primo matrimonio, e pensammo che potesse trattarsi di questo. Infine, però, siamo riusciti ad ottenere i risultati degli esami che confermavano che Clara non avesse la SMA. Io, per immaturità, non avevo in effetti fatto durante la gravidanza gli esami che avrei dovuto fare. Mi ero detta che sarebbe venuto quello che doveva venire. In seguito i dottori hanno scoperto che Clara aveva avuto un ictus e le hanno prospettato un’esistenza da vegetale, ma noi genitori le abbiamo fatto intraprendere un percorso di riabilitazione e Clara ci sorprende ogni giorno con continui progressi.

Come e quando nasce l’idea di decidere di raccontare la storia di Clara?

Nasce nel 2016. A quel punto non avevamo più speranze che Clara imparasse a scrivere a leggere o che potesse parlare. Mi sono detta, allora, che l’avrei trasformata in una influencer. Lei è bella, solare, mi son detta, e può trasmettere dei grandi messaggi! Così, avendo io sempre lavorato nel marketing, ho deciso di creare il suo profilo di Instagram e ho cominciato a pubblicare contenuti su di lei.

Cosa è accaduto nelle vostre vite dopo la nascita di Clara?

Clara è sempre stata un dono per noi. Non l’abbiamo mai considerata una disgrazia. Abbiamo sempre accettato la sua condizione. Ho pianto spesso, ho litigato con Dio tante volte, ho sperato che guarisse e che accadesse un miracolo, ma intanto ci siamo subito rimboccati le maniche e subito abbiamo cercato di capire  cosa fosse meglio per lei.

Come vive Clara oggi la sua disabilità? Come l’ha vissuta finora?

Alti e bassi, dipende dai momenti. Ha sofferto, certo, perché ci sono diverse cose che non può fare. Ci sono stati dei momenti difficili: non riusciva a vestirsi, per esempio. Poi, non ha mai avuto amici o amiche della sua età. Tanti rapporti d’amicizia sono stati spinti da noi, ma sono finiti. Clara è molto conscia della sua disabilità. Noi siamo stati sempre molto chiari: le abbiamo spiegato che per essere accettati c’è del lavoro da fare, dunque lei sa che il suo non sarà un futuro normale e che c’è da lavorare tantissimo.

Come comunica a scuola o fuori da casa?

Lei a scuola ha una maestra di sostegno che sta imparando a conoscerla. Qui nella scuola americana, Clara ha un tablet con il quale riesce a comunicare abbastanza bene, ma si avvale anche dei gesti. Io do una mano nel senso che la mattina scrivo per la scuola tutto ciò che Clara ha fatto il giorno prima e fornisco una base per i suoi racconti. Fuori da casa con chi non conosce è ovviamente più complicato. Clara non sa usare la lingua dei segni. Ci abbiamo anche provato, ma imparare quella lingua significa usarla solo con i sordi. Lei ha persino sempre rifiutato di usare i tablet prima di convincersene adesso. Vedremo come andrà a finire. Dovremo trovare un sistema di comunicazione che possa utilizzare fuori.

Come e quando nasce la sua passione per la pittura?

Clara ha cominciato a dipingere da piccolina. Poi ha smesso e ha ricominciato nel 2016, con la stessa maestra che la seguiva da bambina. A quel tempo, però, dipingeva le sue tele per lo più di nero e distruggeva tutti i quadri. Poi, piano piano, ha cominciato a disegnare delle forme. Abbiamo notato che era man mano più tranquilla mentre dipingeva, più a suo agio. Sembrava che avesse trovato una certa pace interiore. Poi, nel 2017, le regalai un libro per bambini su Frida Kahlo e quella lettura ha cambiato tutto. Clara si è perdutamente innamorata di Frida. Anche Frida è riuscita ad arrivare lontano nonostante la sua disabilità e i suoi problemi. Da quel momento è nato tutto questo percorso di innamoramento per la pittura. Non solo, Clara ha scoperto che la sua pittura poteva piacere alle persone e che attraverso quella poteva costruire dei rapporti e la sua vita.

Dove sono esposte le opere di Clara?

Nelle case dei collezionisti, di chi ha comprato le sue opere. Clara non è ancora arrivata ad un museo. Ha esposto in passato, ma oggi non ci sono sue opere esposte. Con la pandemia, poi, si è fermato tutto.

Perché avete deciso di trasferirvi negli Usa?

Perché era un vecchio mio sogno nel cassetto. Io sono brasiliana, sono stata a Firenze per sedici anni e penso che qui a livello di business ci siano molte più opportunità, che ce ne siano specialmente per Clara. Pensavo anche che qui la scuola fosse migliore ed in effetti è per loro un’esperienza straordinaria. Il tempo qui dove siamo è sempre caldo e anche quello aiuta la deambulazione di Clara, che soffre molto il freddo. Qui poi la mentalità è differente, a me quella europea stava molto stretta. Insomma, mi sono detta che dovevamo provare questa cosa!

Che cos’è Clara Woods LLC?

Clara Woods LLC è l’azienda che abbiamo creato qui, negli Usa. Prima c’era Clara Woods, che era l’azienda italiana e che abbiamo chiuso per poter continuare il lavoro qui. Clara Woods LLC nasce con due scopi: uno è creare un brand internazionale per Clara, che abbia un team che opera con lei e per lei e che parli al mondo di disabilità e inclusione. In questo modo, se mai a me e Carlo accadesse qualcosa, lei avrebbe qualcosa di suo su cui lavorare. Le permetterebbe di vivere e di sentirsi realizzata. Non solo, in Clara Woods LLC vorremmo anche lanciare un’agenzia che a sua volta promuova il talento di persone disabili che per qualche motivo – economico e non – hanno difficoltà ad affermarsi nel mercato.

(cblive.it)

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Danza e disabilità, “servono spazi di professionalizzazione e autonomia”

Stefania Di Paolo, dottoranda presso l’Università di Leeds, racconta come i danzatori disabili si stiano inserendo nel contesto culturale italiano, spingendo sempre più verso il riconoscimento della propria professionalità. “L’artista con disabilità può diventare una spinta per ripensare all’intero sistema di produzione e fruizione dell’opera d’arte in un senso più inclusivo”

La danza è un linguaggio corporeo. La presenza di un corpo o di una mente con disabilità sul palco rompe molti stereotipi rispetto a chi è un danzatore e chi può legittimamente fare danza. In Italia, la questione del riconoscimento della professionalità del danzatore disabile è sicuramente più recente che in altri paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Quando si pensa alla danza e disabilità, spesso si considera l’aspetto terapeutico, dove la persona disabile è vista come un paziente, mentre molti artisti e artiste con disabilità stanno acquisendo visibilità e riconoscimenti come professionisti dello spettacolo dal vivo”. A parlare è Stefania Di Paolo, ricercatrice presso l’Università di Leeds, dove sta svolgendo un dottorato proprio sul tema della danza e la disabilità. Un tema ancora poco conosciuto in Italia, che però al di là del Canale della Manica è ampiamente indagato da studiosi e esperti.

In Gran Bretagna, il movimento per i diritti della disabilità è una realtà solida sin dagli anni Settanta. Sia il mondo dell’attivismo che quello accademico hanno un’attenzione molto alta sul rapporto tra le arti performative e i processi disabilizzanti della nostra società”. Così spiega Di Paolo, che anche lei ha una disabilità fisica dovuta a un incidente stradale –. Anche in televisione, o nei teatri, la rappresentanza degli artisti disabili è molto più diffusa che in Italia.

Il British Council ha messo in piedi diverse iniziative per promuovere l’inserimento degli artisti con disabilità nel mercato del lavoro. Diversi istituti come il Northern Ballet stanno avviando corsi di formazione per danzatori disabili. Sono tante le associazioni che si occupano di professionalizzazione delle arti performative per le persone con disabilità. In Italia, la situazione si sta evolvendo. Ci sono esempi notevoli di inclusione in questo senso, soprattutto per quanto riguarda il mondo dei festival. Ancora servono spazi e processi diffusi di professionalizzazione delle persone con disabilità nel settore e una riflessione condivisa che consideri i lavoratori dello spettacolo con disabilità degli interlocutori essenziali in tutti i settori della cultura”.

Per parlare di nuove sfide e sperimentazioni, durante il primo lockdown Stefania Di Paolo si è inventata la piattaforma Talkwithdance. Su Facebook e Instagram offre ad artisti, operatori e istituzioni dello spettacolo uno spazio di dialogo e autoriflessione, in particolare centrato sulla danza contemporanea e l’inclusività. Nel nostro paese, tra le iniziative più all’avanguardia c’è il Festival di danza contemporanea Oriente Occidente di Rovereto ha avviato un tavolo di lavoro proprio sull’inclusione di danzatori e danzatrici con disabilità. Dal festival è nato il gruppo Al Di Qua Artists composto da artisti e lavoratori con disabilità del mondo dello spettacolo, nato spontaneamente su Zoom durante il lockdown.

Esiste poi la Compagnia Fuori Contesto di Roma. Una compagnia mista di persone con e senza disabilità, che ha messo in piedi in festival Fuori Posto, per indagare la questione dell’inclusione sociale delle persone con disabilità. Dance Well, iniziativa del Comune di Bassano del Grappa, ha messo insieme una comunità di performer tutti affetti da Parkinson, in un’ottica non di danza terapia ma di pratica artistica. Per quanto riguarda la comunità Sorda, il Festival del Silenzio di Milano porta all’attenzione di un pubblico misto le potenzialità dell’arte Sorda nel teatro e nelle arti performative, utilizzando la lingua dei segni come strumento espressivo.

Artisti disabili stanno conquistando visibilità in molti festival italiani, non solo dedicati alla disabilità – racconta Di Paolo –. Non bisogna però commettere l’errore di pensare all’artista con disabilità come ad un ospite da invitare come se fosse un ‘estraneo’, da inserire in un contesto altro da lui o lei. Al contrario, questa presenza legittima può diventare una spinta per modificare il contesto stesso e ripensare l’intero sistema di produzione e fruizione dell’opera d’arte in una direzione più inclusiva.

Bisogna sensibilizzare e formare gli operatori culturali in questo senso. La disabilità, tra i vari tipi di discriminazione, è particolare perché è una condizione potenziale di ogni individuo. Tutti noi, a un certo punto della vita, potremmo sperimentarla. La disabilità mette in crisi il modo in cui organizziamo la società. Ci mostra la direzione in cui dovremmo andare: il rispetto fondamentale della persona, nella sua identità di essere umano e di professionista”.

(ladifesadelpopolo.it)

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Re Minore: Persona

Rubrica a cura di Elena Beninati – Giornalista/Fotografa

L’organizzazione nella mente, che consiste nella rappresentazione della sua struttura, dei confini, delle relazioni, dei suoi apparati valoriali e delle attività che l’individuo costruisce, equivale ad una parte del mondo interiore di ciascuno. Ogni patologia che riguarda la mente può considerarsi come un’affezione caratterizzata dal precoce affievolirsi delle sorgenti istintive della vita psichica, in cui le operazioni puramente intellettive entrano in gioco solo secondariamente, e l’indebolimento dell’élan vital costituisce l’elemento necessario e sufficiente della malattia. Nell’autismo in particolare, lo sfaldamento autistico dell’Io e del mondo è così radicale da far emergere la lacerazione dell’Io stesso e anche la sua riaggregazione, che vengono a caratterizzarsi come due momenti di sdoppiamento.

Dalla scissione di questo Io appaiono, allora, due configurazioni egoiche, che sovrapponendosi si accompagnano all’Io frantumato e creano quegli stati patologici classificati come sindrome da frattura dell’intersoggettività, trasformazione spazio-temporale, solitudine artistica, dissolvenza dell’identità e dell’unità dell’Io, allucinazione e delirio, che possono presentarsi sia nei soggetti affetti dalla malattia che in persone cosiddette normali. Sottoposti a traumi assai simili, alcuni uomini reagiscono secondo modalità patologiche vere e proprie sfumando il confine fra sani e malati.

La loro patologia sta nella disposizione di base che permette e determina un tipo di reazione schizofrenica, in cui la schizofrenia è intesa come disturbo primitivo dell’affettività e della vita istintiva dell’individuo. La maggior parte dei disturbi, infatti, sembrano originarsi e strutturarsi a partire da una primaria scissione affettiva e in particolare dalla perdita del contatto cognitivo e relazionale con la realtà soggettiva e intersoggettiva.

Lo scacco dipende dalla mancata differenziazione, intesa come analisi e sintesi della coscienza oggettiva, in cui confluiscono sia la disposizione individuale che l’ambiente culturale in cui l’individuo cresce e si struttura. Se ogni fenomeno psichico è possibile solo ad un determinato livello di differenziazione, ogni malattia mentale deve corrispondere, nel suo modo di manifestarsi, al livello psichico dell’individuo che ne è colpito. Infatti, quanto più la vita psichica risulta indifferenziata, tanto meno si può esserne consapevoli.
Il confine tra sanità e malattia che distingue il patologico dalla normalità è il diverso livello di coerenza del comportamento, che nel caso degli schizofrenici e degli psicotici raggiunge estremi tali che, nei contesti sociali della maggior parte delle comunità, la nostra compresa, risulterebbero difficilmente sostenibili.

Nella schizofrenia, per esempio, non si assiste alla perdita delle funzioni cognitive di base quanto, piuttosto, ad una sottoutilizzazione di esse che, pur restando integre, vengono operativamente coinvolte in modo inadeguato. In questa situazione morbosa la personalità perde unità, in ragione del fatto che la persona è rappresentata ora da uno, ora dall’altro complesso psichico. Le azioni e percezioni che assicurano il nostro continuo ricambio col mondo, nello schizofrenico diventano azioni e percezioni dell’altro, l’io vero interiorizzato ma esposto alla minaccia del reale.

“Lo schizofrenico non erige difese contro il pericolo di perdere una parte del proprio corpo, ma dirige, invece, tutti i suoi sforzi nella difesa del suo vuoto Io. Quella fortezza vuota dove si arretrano le linee difensive quando non si può più difendere l’intero essere”

Bruno Bettelheim, The Empty Fortress

Il contesto socio-culturale e i fattori antropologici, influenzano la percezione dell’esperienza soggettiva degli esseri umani nella sua completezza. Isolando il corpo dall’esistenza, astraendola dal vissuto quotidiano, infatti, non s’incontra più la corporeità che l’esistenza vive, ma l’organismo che la biologia descrive. Salute e malattia correlate insieme, si intendono, quindi, non come oggetti naturali da studiare e classificare, bensì come prodotti storici da comprendere a partire dai concetti di corpo, mente e linguaggio e ovviamente…persona!

(Vietata la riproduzione – Tutti i diritti riservati)

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La musica aiuta le persone con disabilità

Sentire le vibrazioni di uno strumento con le mani è una straordinaria terapia per i bimbi che soffrono di sordità o disabilità psichiche e motorie. Li aiuta a comunicare e diventare più autonomi, come testimonia la Lega del Filo d’Oro


La musica nasce e termina nel silenzio, ma quando buca quel silenzio, con le sue vibrazioni invade in modo potente e pervasivo il nostro corpo, al di là di ogni intenzione. E questa irruzione è capace di mettere in sintonia con il mondo anche chi non sente. «La sordità ha molte sfaccettature e vari livelli di gravità, ma anche chi è colpito in modo profondo può percepire le vibrazioni di uno strumento, toccandolo» spiega Fiammetta Santoni, musicoterapista alla Lega del Filo d’Oro, associazione che da 55 anni si prende cura dei bambini sordociechi. E che include nei programmi di riabilitazione delle persone con disabilità anche l’ascolto della musica. «È un linguaggio non verbale innato, che va oltre la fisicità. Un linguaggio facilitante che mette in grado anche chi ha una disabilità di partecipare come gli altri: fa sparire le diverse capacità ed emergere le persone. È stato provato che già nella sua vita prenatale il bambino è sensibile agli stimoli uditivi e, dopo, può riconoscere i ritmi e le vibrazioni di melodie che la mamma cantava durante la gravidanza».

Toccare la musica con le mani

Questo legame unico che lega la vita prenatale al nostro essere nel mondo, è un filo di comunicazione prezioso che, anche quando il bimbo non sente, o sente parzialmente, può essere in parte riannodato. E così il pianoforte e il canto incontrano bambini e ragazzi con sordità e disabilità motorie o psichiche. E si crea una magia. Com’è accaduto durante gli incontri del progetto Oltre l’ascolto, promosso dall’Accademia d’Arte Lirica di Osimo (An), dove l’associazione ha la sua sede principale: arie, duetti e canzoni condivise con i bambini, per aiutarli a uscire dal loro isolamento. «Ho visto bambini sordociechi che riescono a percepire la musica attraverso le vibrazioni, i più piccoli stesi sul pianoforte, o con i piedini sulle corde della chitarra, altri stesi sulla pedana di legno che vibra al ritmo della musica» racconta Beppe Vessicchio, uno dei maestri che da alcuni anni è accanto alla Lega del Filo d’Oro con i colleghi Leonardo De Amicis e Pinuccio Pirazzoli.

Piccoli passi per crescere

Chi non sente non può recuperare la capacità uditiva con la musica, può però essere aiutato a usare al meglio il residuo o a sviluppare altre potenzialità. Spiega l’esperta: «Far tenere in mano piccoli sonagli, percuotere un tamburello, far toccare i tasti del pianoforte o sentire con la mano una bocca che canta, sono piccoli passi per instaurare un rapporto, far tornare a sorridere un bambino, catturare la sua attenzione. Il traguardo successivo è trasformare queste piccole conquiste in gesti di autonomia, come stringere una posata o stare in piedi da soli davanti alla tastiera del pianoforte».

Un SMS per aiutare la Lega del Filo d’Oro

La Lega del Filo d’Oro accoglie bambini e adulti sordociechi e con altre gravi disabilità. In Italia sono 189mila le persone con problematiche alla vista e all’udito. L’obiettivo dell’associazione è portare le persone a conquistare un’autonomia proporzionata alle capacità individuali, attraverso le mani Per questo, oltre alla musicoterapia, sono fondamentali altre terapie, come quelle in acqua e in palestra. Con la campagna Una storia di mani l’associazione chiede l’aiuto di tutti noi per ultimare la costruzione di due piscine e quattro palestre nel centro di Osimo. Basta mandare un SMS o chiamare da rete fissa il numero 45514.
(donnamoderna.com)

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Forme di comunicazione alternative nella disabilità

In ritardo ma pur sempre interessante:

Bambini con varie disabilità intellettive, neuromotorie o sensoriali manifestano spesso significative difficoltà nella comunicazione, nella capacità di comprendere ed elaborare i messaggi ricevuti, e talora in modo drammatico, nell’esprimere, mediante sistemi di comunicazione trasparente e coerente, i propri bisogni, desideri, orientamenti. Una abilità di comunicazione deficitaria o inadeguata è all’origine di alcuni problemi di comportamento che rappresentano un ostacolo non solo per l’apprendimento, ma anche sul piano relazionale e sociale. In questi casi, puntare sul potenziamento delle abilità comunicative diventa una delle priorità nell’intervento educativo-riabilitativo.  

Su tale filo conduttore si svilupperà il 1° Convegno Erickson Sviluppare le abilità di comunicazione nella disabilità (16 e 17 maggio, a Trento) dedicato a psicologi, medici, logopedisti, terapisti, educatori e insegnanti di ogni ordine e grado scolastico. Il convegno si propone di offrire ai partecipanti una visione d’insieme delle strategie, strumenti e metodi per lavorare attraverso forme di comunicazione alternative. Deficit di linguaggio non significa fortunatamente assenza totale di comunicazione, infatti lo scambio di pensieri, emozioni, sensazioni, informazioni avviene non solo attraverso la parola, la scrittura, ma anche attraverso i gesti, le immagini e i suoni.  
I tre workshop di approfondimento prenderanno in esame alcune metodologie di intervento. Carlo Ricci E Alberta Romeo (Istituto Walden, Roma) presenteranno il Picture Exchange Communication System (PECS), ideato da Lori A. Frost e Andrew S. Bondy nel 1994 negli Stati Uniti all’interno del Delaware Autistic Program, che letteralmente significa “Sistema di Comunicazione mediante Scambio per Immagini”. Il PECS combina conoscenze approfondite di terapia del linguaggio e tecniche cognitive comportamentali di apprendimento. Basato sull’utilizzo di rinforzi, è rivolto ad una grande varietà di disturbi della comunicazione, in particolare al Disturbo dello Spettro Autistico.  

Maria Antonella Costantino (Centro Sovrazonale di Comunicazione Aumentativa, Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Fondazione IRCCS “Ca’Granda” Ospedale Maggiore Policlinico, Milano) introdurrà l’area della pratica clinica definita Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA). Vengono considerate come forme di CAA tutte le modalità di comunicazione che possono facilitare e migliorare la comunicazione delle persone che hanno difficoltà a utilizzare i più comuni canali comunicativi, soprattutto il linguaggio orale e la scrittura. Gli interventi di CAA sono progetti costruiti attorno alla persona con intenzionalità comunicativa e costituiti da un insieme di conoscenze, tecniche e strategie, allo scopo di integrare (funzione aumentativa) le modalità comunicative già esistenti o sostituire (funzione alternativa) l’eloquio qualora completamente assente. Le indicazioni all’intervento attualmente includono non solo le patologie motorie ma anche autismo, ritardo mentale, sindromi genetiche, disfasia grave, malattie progressive e altre patologie. 

Il workshop condotto da Mauro Mario Coppa (Lega del Filo d’Oro, Osimo, Ancona) illustrerà i programmi di sviluppo della comunicazione realizzati in circa 50 anni di riabilitazione della Lega del Filo d’Oro, onlus che opera a favore delle persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali. Nello specifico, verrà offerta una presentazione pratica delle modalità di insegnamento e apprendimento dei vari sistemi non verbali di comunicazione, quali la comunicazione oggettuale, gestuale, grafico-pittorica, i sistemi tecnologici basati su microswitch (gli switches permettono ai bambini con pluriminorazione grave non solo di comunicare, ma anche di fare scelte e di partecipare attivamente alle attività quotidiane) e VOCAs (comunicatori con output vocale) che stimolano risposte comunicative mediante l’attivazione di risposte minime in persone con disabilità intellettive gravi e multiple. La possibilità di apprendere un codice comunicativo piuttosto che un altro dipende in ogni caso dai sensi residui della persona sordocieca, dalle caratteristiche motorie, dal livello cognitivo ed emozionale.  
(lastampa.it)

Dispositivi di output vocale e Autismo

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Dispositivi che possono aiutare a costruire forme di linguaggio in scolari con ASD 

Gli scolari con ASD (disturbo dello spettro autistico) che hanno capacità verbali limitate acquisiscono velocemente forme di linguaggio quando la loro terapia include dispositivi di output vocale (SGD) .Nonostante la terapia intensiva e precoce, molti bambini (quasi un terzo) con disturbo dello spettro autistico parlano poche parole quando entrano a scuola. Una volta gli esperti credevano che se i bambini non acquistavano forme di linguaggio  prima dei 5 o 6 anni essi non potevano più farlo, per fortuna questo è stato smentito e grazie ai ricercatori, genitori e altri operatori incoraggiati a cercare modi migliori per aiutare questi bambini ad acquistare forme di linguaggio (soprattutto il linguaggio parlato) si sono trovati modi per velocizzare ed incrementare l’acquisizione del linguaggio.
La dottoressa Connie Kasari ha descritto i risultati promettenti del suo studio che incorporava dispositivi di output vocali (Speech-generating devices)  nelle terapie basate sul gioco per i bambini con ASD. In questo studio hanno partecipato 60 bambini con ASD  tra i 5 e 8 anni che all’inizio della terapia usavano meno di 20 parole, i ricercatori hanno misurato il loro uso delle parole prima, durante e sei mesi dopo l’inizio dello studio.Tutti i bambini hanno partecipato ad un intervento basato sul gioco che incoraggia ad avere un legame col terapista e ad usare il linguaggio parlato. Le terapie si svolgevano per due ore a settimana. Per misurare il beneficio addizionale dei dispositivi di output vocale (tablet con applicazioni speciali) i ricercatori gli hanno introdotto con la metà dei bambini dall’inizio della terapia.  Dopo tre mesi dall’inizio della terapia i ricercatori hanno misurato il progresso dei bambini, coloro che stavano acquistando competenze linguistiche hanno continuato ad acquistarne sempre di più, i ricercatori hanno aggiunto il dispositivo a coloro che stavano rispondendo lentamente alla terapia senza di esso (Parte del gruppo che non ha usato i dispositivi fin dall’inizio della terapia)  e hanno aggiunto un’ora a settimana a quei bambini che stavano progredendo lentamente nonostante l’uso del dispositivo.
Alla fine dei sei mesi d’intervento tutti i partecipanti hanno acquistato più parole, le usano più spesso e sono stati impegnati a comunicare di più con il partner sociale, bisogna evidenziare che i bambini che avevano usato i dispositivi hanno acquistato più velocemente queste capacità.
Questo studio ha dimostrato che anche i bambini dopo i cinque anni sono in grado di acquisire e/o sviluppare forme di linguaggio e come essi vengono beneficiati dall’uso di dispositivi di output vocale. Inoltre, questo studio dà ai terapisti una nuova tecnica di intervento per aiutare ai bambini con capacità limitate di linguaggio a sviluppare e acquisire forme di linguaggio che possono migliorare la loro vita. Dispositivi che possono aiutare a costruire forme di linguaggio in scolari con ASD Gli scolari con ASD (disturbo dello spettro autistico) che hanno capacità verbali limitate acquisiscono velocemente forme di linguaggio quando la loro terapia include dispositivi di output vocale (SGD) .
Nonostante la terapia intensiva e precoce, molti bambini (quasi un terzo) con disturbo dello spettro autistico parlano poche parole quando entrano a scuola. Una volta gli esperti credevano che se i bambini non acquistavano forme di linguaggio  prima dei 5 o 6 anni essi non potevano più farlo, per fortuna questo è stato smentito e grazie ai ricercatori, genitori e altri operatori incoraggiati a cercare modi migliori per aiutare questi bambini ad acquistare forme di linguaggio (soprattutto il linguaggio parlato) si sono trovati modi per velocizzare ed incrementare l’acquisizione del linguaggio.
La dottoressa Connie Kasari ha descritto i risultati promettenti del suo studio che incorporava dispositivi di output vocali (Speech-generating devices)  nelle terapie basate sul gioco per i bambini con ASD. In questo studio hanno partecipato 60 bambini con ASD  tra i 5 e 8 anni che all’inizio della terapia usavano meno di 20 parole, i ricercatori hanno misurato il loro uso delle parole prima, durante e sei mesi dopo l’inizio dello studio.
Tutti i bambini hanno partecipato ad un intervento basato sul gioco che incoraggia ad avere un legame col terapista e ad usare il linguaggio parlato. Le terapie si svolgevano per due ore a settimana. Per misurare il beneficio addizionale dei dispositivi di output vocale (tablet con applicazioni speciali) i ricercatori gli hanno introdotto con la metà dei bambini dall’inizio della terapia.  Dopo tre mesi dall’inizio della terapia i ricercatori hanno misurato il progresso dei bambini, coloro che stavano acquistando competenze linguistiche hanno continuato ad acquistarne sempre di più, i ricercatori hanno aggiunto il dispositivo a coloro che stavano rispondendo lentamente alla terapia senza di esso (Parte del gruppo che non ha usato i dispositivi fin dall’inizio della terapia)  e hanno aggiunto un’ora a settimana a quei bambini che stavano progredendo lentamente nonostante l’uso del dispositivo.
Alla fine dei sei mesi d’intervento tutti i partecipanti hanno acquistato più parole, le usano più spesso e sono stati impegnati a comunicare di più con il partner sociale, bisogna evidenziare che i bambini che avevano usato i dispositivi hanno acquistato più velocemente queste capacità.
Questo studio ha dimostrato che anche i bambini dopo i cinque anni sono in grado di acquisire e/o sviluppare forme di linguaggio e come essi vengono beneficiati dall’uso di dispositivi di output vocale. Inoltre, questo studio dà ai terapisti una nuova tecnica di intervento per aiutare ai bambini con capacità limitate di linguaggio a sviluppare e acquisire forme di linguaggio che possono migliorare la loro vita.
(portale-autismo.it)

di Giovanni Cupidi

App per disabili: “Virginia aiuta disabili”

Ideazione:
Che l’informatica potesse venire incontro alla disabilità è sempre stato un pensiero ricorrente nella mente di Carmelo Cisano. Ultimamente è stato possibile rendere concreto questo pensiero ideando l’app “Virginia aiuta disabili”.
Programmata in collaborazione con Luciano Quercia e con il supporto per il contenuto tabelle di Laura Mongiò “Virginia aiuta disabili” facilita la comunicazione di chi ha difficoltà ad usare il linguaggio quale canale comunicativo. Utile in caso di disabilità congenite, acquisite e/o temporanee, permette tramite la sintesi vocale del dispositivo sul quale è installata, di comunicare in maniera efficace problemi, necessità e richieste.

Obiettivi:
Attualmente disponibile per tablet e smartphone Android, l’app si prefigge l’obiettivo di agevolare la comunicazione tra il disabile e chi lo accudisce consentendo una maggior qualità di vita comunicativa per entrambi. Grazie al costo contenuto di questi dispositivi e al prezzo irrisorio dell’app potrà essere facilmente accessibile a tutti nel mondo, anche per quelle famiglie che si trovano in situazioni difficili economicamente parlando. Per ora le lingue supportate sono italiano, inglese e spagnolo ma Virginia sarà presto disponibile anche in tedesco e francese.

Vantaggi:
Il tablet diventa un ponte comunicativo di grande efficacia e versatilità per entrambe le parti, eliminando una situazione paradossale che vede da un lato chi non può parlare e dall’altro chi può ascoltare, consentendo 216 richieste che vanno dal cibo desiderato, segnalazione di dolori e fastidi, igiene, stati d’animo, svaghi, ecc.. In sostanza il tablet parlerà per il disabile.
– 216 richieste distinte di senso compiuto: cibo, dolore, prurito, svago, igiene.
– Sezione passaporto dove poter inserire i propri dati e foto
– Invio SMS verso 2 distinti numeri in caso di emergenza
– Creazione di 2 liste utili per esternare in maniera immediata cosa piace e cosa non piace al disabile.
– Sezione semplificata (per disabilità più gravi) con la presenza di 6 tasti, più grandi, sempre pronunciabili dal sintetizzatore vocale e che comprendono esigenze fondamentali quali:
“Ho fame – Ho sete – Ho bisogno del bagno – Ho bisogno d’aiuto – SÌ – NO”

È possibile scaricare una versione demo gratuita presso ilPlay Store di Google e successivamente acquistarla se interessati al costo di 3,50 €.

Sito ufficiale: www.appvirginia.com


di Giovanni Cupidi

Autismo: quando la tecnologia è una risorsa

Come tutti coloro che hanno una disabilità e come tutti coloro che nei più svariati modi sono vicini a questo ambiente sanno bene, la tecnologia e le applicazioni tecniche non rappresentano una moda da seguire ( anche se non vi è nulla di sbagliato in ciò) ma bensì rappresentano una risorsa che può ripristinare parzialmente o del tutto alcune funzionalità che altrimenti resterebbero inespresse.
A tal proposito una nuova APP recentemente disponibile per smartphone e tablet può essere d’aiuto alle persone affette da autismo e alle loro famiglie.
Nota dolente, come spesso accade per diversi ausili tecnologici, è il fatto di non essere riconosciuti dal nostro SSN e di conseguenza non prescrivibili o rimborsati.

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L’applicazione “Immaginario”, realizzata da Finger Talks, è la nuova applicazione (app) di comunicazione per immagini verso bambini con autismo. Nata lo scorso anno con la volontà di offrire una risposta alternativa ed efficace alle necessità dell’infanzia con bisogni educativi speciali, sfruttando le caratteristiche di accessibilità, motivazione e interattività di smartphone e tablet, Finger Talks ha scelto in particolare di progettare e sviluppare una serie di applicazioni pensate per rispondere alle difficoltà di condivisione e comprensione dei concetti che riguardano in particolare i bambini che soffrono di autismo (o non verbali con ritardo cognitivo) e chi interagisce con loro.
Nello specifico, Immaginario è un’applicazione per iPhone e iPod touch, che permette di portare sempre con sé le card che associano immagine e concetto (le “parole” della comunicazione visiva), di ricercarle velocemente e di costruire frasi in modo efficace e pratico. 
Rappresenta un vero ausilio pratico dedicato non solo ai terapeuti e agli operatori, ma finalmente anche ai genitori e agli insegnati.
È una risposta efficace alla necessità di apprendimento e integrazione dell’infanzia con bisogni speciali considerato che il play training per bambini autistici rappresenta una fase determinante dato che il gioco è l’ambito in cui risultano meno resistenze da parte dei bambini in generale e tanto più in quelli deficitarii a livello interattivo-comunicativo.
La App comunica e quindi interagisce giocando con le immagini, permette di scrivere per immagini e di pianificare visivamente il tempo, aiutando così il bambino nelle attività giornaliere o della settimana. Come la nostra lingua parlata fatta di parole artificiali e convenzionali null’affatto naturali, qui la comunicazione è semplicemente visiva, le parole si tramutano in immagini utilizzando cioè “carte” che associano immagini a concetti compensando i deficit del linguaggio.

( alcune parti del testo sono rielaborate dal testo originale su http://www.infooggi.it )

di Giovanni Cupidi

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di Giovanni Cupidi