Serve una nuova cultura della disabilità

Per Fulvio De Nigris, direttore del Centro studi per la ricerca sul coma dell’associazione Gli amici di Luca, la trasmissione “riparatrice” della Rai con scuse e riflessioni su quello che è successo nei giorni scorsi rispetto alla storia di Max Tresoldi non può riparare. Serve di più. Perché nel nostro Paese «manca una cultura delle disabilità» ed è tempo che si cominci a costruirla, a partire dalla televisione pubblica.Le parole di Alda D’Eusanio, per uno che ha vissuto sulla propria pelle il coma e poi la morte di un figlio e che ogni giorno combatte accanto alle famiglie di chi al coma sopravvive, fanno male. Ma a fare più male è l’indifferenza: «Almeno l’ex conduttrice ha avuto il coraggio di dire qualcosa che, purtroppo, altri pensano senza dire – spiega De Nigris, riprendendo i passaggi di una lettera durissima che ha inviato proprio ieri al presidente del Cda Rai Anna Maria Tarantola –. Dietro quell’intervento c’è l’indirizzo di un’azienda pubblica che ha cercato di spalmare la disabilità nei suoi palinsesti, con il risultato di diluirla fino quasi a farla scomparire». De Nigris cita trasmissioni come “Racconti di vita” di Giovanni Anversa, rubriche come “Abilhandicap” di Nelson Bova: «Sono solo un ricordo. Come la puntata di “Porta a Porta”, interamente dedicata alle storie di famiglie che accudiscono persone in stato vegetativo. È aumentata la sensibilità, ma non c’è cultura su questi temi, e in particolare sulle persone con esiti di coma o stato vegetativo. Se ne parla poco. Se non per la componente emozionale o aspettando il caso eclatante di turno per cavalcare la notizia».
Ma anche quando ciò accade, non è automatico che il tema venga affrontato con obiettività. «È il caso di Fabio Fazio – continua De Nigris – che, nonostante il grande clamore sulla stampa suscitato da una puntata di “Che tempo che fa” sbilanciata sulle posizioni di Beppino Englaro e Mina Welby, ostinatamente rifiutò di raccontare anche le vite differenti di chi giorno per giorno combatte contro una società ostile». Vite e storie che proprio Avvenire decise di portare sotto i riflettori della cronaca, con una lunga serie di puntate intitolata “Fateli parlare”.
Ecco allora la denuncia di De Nigris: «Dobbiamo combattere l’ostilità, ma c’è un pericolo ancora più grande: l’indifferenza. Dietro e a fianco di Max Tresoldi c’è una famiglia tenace e determinata che ha avuto la forza di lottare e ci sono professionisti della sanità e associazioni che combattono per far valere i diritti di queste persone. Che sono gli stessi diritti sanciti dalla Costituzione». De Nigris fa parte del “Tavolo sugli stati vegetativi e di minima coscienza” istituito al ministero della Salute: «Stiamo per completare un documento che verrà sottoposto al ministro e alle Regioni perché l’azione che tutti insieme bisogna compiere risponda veramente ai bisogni e alle necessità di migliaia di famiglie in condizione di estrema fragilità». Ma quando le luci della trasmissione “riparatrice” si saranno spente, il timore è che tutto tornerà come prima. Si spegnerà la luce: «È la stessa luce che si spegne quando le famiglie dall’ospedale tornano a casa – spiega ancora De Nigris –. Lì si apre un percorso riabilitativo di ritorno alla vita che rimane nell’abbandono e non interessa a nessuno, se non ai diretti interessati. A meno che non ci sia un altro risveglio miracoloso o qualcuno urli, si incateni o parli di malasanità».
Di qui l’appello alla Rai perché si impegni affinché non sia più così: «Accanto al segretariato sociale bisognerebbe ritornare a produrre trasmissioni, magari dedicando anche un canale satellitare al tema – chiede De Nigris alla Tarantola –. Noi per le nostre competenze potremo aiutarvi. È un tema che non fa audience? Siete un servizio pubblico. Potete fare quello che altri non fanno: dare valore al canone che paghiamo, per approfondire e rappresentare questa realtà, e non raccontarla solo quando fa notizia o scandalo».
(avvenire.it)

di Giovanni Cupidi

Televisione, chi ha il coraggio di guardare la disabilità?

Lo stato dell’arte sulla disabilità in televisione e la sua inesorabile deriva ha trovato piena espressione due giorni fa nelle dichiarazioni della signora Alba D’Eusanio nel corso della trasmissione La vita in diretta. In collegamento con il “prestigioso” ospite in studio, come già riportato da ilfattoquotidiano.it si trovava infatti la famiglia di Max Tresoldi, risvegliatosi dopo 10 anni di coma.Questo sgradevole episodio per il quale nessuna puntata riparatrice potrà intervenire a alleviare la violenza delle frasi pronunciate dalla signora D’Eusanio ci permette di sottolineare un aspetto fondamentale.
Chi, come, quando e quanto si parla di disabilità nel servizio pubblico televisivo? Essere capaci di rispondere a questi capisaldi della buona informazione ci porterebbe subito ad osservare che esiste ormai un vuoto enorme nella conoscenza della disabilità.
La distanza da percorrere è enorme se di disabilità si parla solo e spesso a sproposito per raccontare le gesta eroiche di bulli che picchiano a scuola un loro compagno disabile o per descrivere il tragitto in auto del falso cieco di turno che nulla ha a che fare con la disabilità ma molto con il codice penale.
Come si vede questi episodi hanno in comune solol’attenzione morbosa alla notizia fine a se stessa e pochi ricordano che uno dei primi provvedimenti di grazia (argomento assai di attualità per la cronaca politica di questo periodo) del presidente Napolitano riguardarono l’anziano papà romano che uccise il figlio disabile. Anche allora l’informazione esorcizzò la notizia come oggi rischia di fare dopo le dichiarazioni a tutto video della conduttrice Rai.Non serve, non è servito in passato e non servirà in futuro.Guardare negli occhi la disabilità, coinvolgere le famiglie che sono sempre di gran lunga la più straordinaria sentinella di solidarietà dovrebbe essere la strada maestra per una informazione seria.Speriamo che i vertici Rai sappiano cogliere, da questa orrenda vicenda, lo spunto per riprendere a parlare della disabilità guardandola negli occhi attraverso gli occhi dei familiari come quelli della splendida mamma di Max, la signora Lucrezia. Ne avremmo bisogno tutti, anche la signora D’Eusanio. 
(ilfattoquotidiano.it)

di Giovanni Cupidi

Expo 2015, ovvero un mondo senza disabilità?

Vi propongo di leggere, come più volte ho già fatto, questo articolo di Franco Bomprezzi pubblicato sul blog Invisibili del Corriere.it.
Che spazio, diritto del lavoro è riservato ai lavoratori con disabilità nel nuovo accordo sui contratti per quanto riguarda l’Expo 2013?

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di Franco Bomprezzi

Ho letto e riletto il testo dell’importante e positivo accordo sulle possibili 800 assunzioni in vista di Expo 2015. Ne ho letto i resoconti sui giornali, ho anche scaricato il testo completo di allegati che è già presente nel sito della Società Expo. Ma non ho trovato traccia dell’espressione “lavoratori con disabilità”. Mi assicurano che questo tipo di attenzione c’è e ci sarà. Non ho motivo di dubitare degli intenti, ma mi fermo alle parole, e anche ai fatti, per quanto sinora ho potuto constatare, a proposito di attenzione ai temi riguardanti la presenza di persone con disabilità nei sei mesi più attesi della storia metropolitana di Milano e a questo punto dell’Italia (se è vero che la ripresa passera da qui).
L’impatto di una manifestazione mondiale sulla rete delle infrastrutture di servizio, dai trasporti alla ricettività alberghiera, dalla ristorazione agli eventi, è sicuramente complesso e di enorme rilevanza. Il tema ogni volta è lo stesso: che cosa resterà dopo l’effimero? In che modo potremo migliorare il sistema nel quale viviamo, sfruttando una contingenza fortunata e conquistata a suon di promesse? E per quanto riguarda gli InVisibili: esistiamo anche noi, con pari dignità e diritto di cittadinanza, nella predisposizione delle soluzioni, delle strategie, delle opportunità di ogni tipo, che, al di là dell’aspetto strettamente economico, possono rappresentare un’occasione irripetibile ed esemplare di buona prassi pubblica e privata?
L’accordo sul lavoro viene additato come possibile esempio per future nuove articolazioni contrattuali, all’insegna della flessibilità e della durata non lunga ma comunque seria dei contratti. Benissimo: appare evidente a chiunque che inserire in questo accordo una specifica attenzione al diritto al lavoro anche delle persone con disabilità esige un’attenzione e una competenza del tutto particolare. Mai come in questo caso si potrebbe mettere alla prova, ad esempio, la cultura tecnica di decine di neolaureati disabili, sfornati dalle nostre università, che hanno tutte le caratteristiche per competere con gli altri giovani in cerca di occupazione, ma che sicuramente rischiano di pagare lo scotto di un pregiudizio negativo, oltre alla certezza di non essere in grado di garantire mobilità e flessibilità come da copione appena illustrato. Chi garantirà questo percorso, visto che nel testo manca persino la parola “disabilità”?
Al momento l’unica luce viene dal terzo settore, che nel realizzare la fondazione Triulza, dal nome della cascina nella quale, sperabilmente, le organizzazioni non profit e il mondo della cooperazione sociale, faranno vedere al mondo un messaggio importante sul tema che è al centro dell’Expo, ovvero l’alimentazione quale fattore di sviluppo per tutti. In quel contesto anche il mondo della disabilità sarà presente e attivo, con Ledha, la rete delle associazioni lombarde, che ha aderito all’associazione “Exponiamoci”, uno dei soci della fondazione appena nata.
Ma Expo 2015 significa anche, se non prima di tutto, verificare che i visitatori con disabilità o comunque con necessità speciali (quindi anche anziani, per dire) siano in condizione di muoversi liberamente e in autonomia, di informarsi senza difficoltà, di essere ospitati in strutture pienamente accessibili e a prezzi altrettanto accessibili (non solo 4 o 5 stelle, per capirsi), di partecipare agli eventi in modo da comprenderli perfettamente, di essere inclusi in modo sistematico nei sei mesi di evento. Stiamo parlando di almeno duecentomila persone (stima personale bassissima, in pratica il due per cento di una previsione di 10 milioni di visitatori).
Al momento in cui scrivo non ho conoscenza di progetti seri, di partnership adeguate, di decisioni prese, di lavori in corso fra i soci fondatori di Expo, di iniziative pubbliche, trasparenti e politicamente rilevanti. Spero di essere smentito rapidamente, perché sono assolutamente convinto che questa battaglia non si può perdere, e comunque va combattuta con forza, prima che diventi ridicola, perché fuori tempo massimo.

(invisibili.corriere.it)

di Giovanni Cupidi