Ictus, ogni minuto è prezioso per salvare la vita ed evitare disabilità.

Nel nostro Paese è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e i tumori. Colpisce ogni anno circa 185mila persone. I pazienti sopravvissuti, con esiti invalidanti, sono circa un milione

Fare presto

«Ogni minuto è prezioso» quando colpisce l’ictus. Per ogni secondo che si ritarda sono bruciati 32mila neuroni e per ogni minuto ben 1,9 milioni. Ecco perché gli esperti ribadiscono una volta di più , in occasione della giornata mondiale contro l’ictus cerebrale che ricorre il 29 ottobre, quanto sia importante riconoscere tempestivamente i sintomi, in modo da chiamare subito il 118 o 112 e farsi accompagnare non in un qualsiasi ospedale ma in quello dotato di Centri specializzati (Stroke Unit) in grado di somministrare le terapie migliori.

L’ictus è la prima causa di disabilità e la terza causa di morte (dopo le malattie cardiovascolari e i tumori). Ogni anno solo nel nostro Paese l’ictus colpisce circa 185mila persone, secondo i dati della Società italiana di neurologia e dell’Italian Stroke Association. I connazionali che hanno avuto un ictus e sono sopravvissuti, con esiti più o meno invalidanti, sono oggi circa un milione.

Che cos’è l’ictus

«Questa temibile condizione – spiega il professor Mauro Silvestrini, presidente di Italian Stroke Association – si manifesta con la comparsa improvvisa di un deficit neurologico dovuto al fatto che l’afflusso del sangue diretto al cervello si interrompe improvvisamente per l’occlusione di un’arteria (in questo caso si parla di infarto cerebrale o ictus ischemico) o per la rottura di un’arteria (emorragia cerebrale o ictus emorragico)».

Riconoscere i sintomi

Quali sono i segnali “spia” di un ictus? Risponde il professor Alfredo Berardelli, presidente della Società Italiana di Neurologia: «La comparsa improvvisa di perdita di forza o sensibilità a un braccio o a una gamba, la bocca che si storce, l’oscuramento o la perdita della vista da un solo occhio o in una parte del campo visivo, l’incapacità di esprimersi o di comprendere ciò che ci viene detto, un mal di testa violento, sono tutte potenziali manifestazioni di un ictus. Di fronte a questi sintomi – sottolinea il neurologo – è importante chiamare subito il 118 o recarsi in ospedale, perché la possibilità di essere curati è legata alla precocità della somministrazione delle terapie».

Centri di cura specializzati

Quando colpisce l’ictus «è fondamentale che la persona venga portata il più rapidamente possibile negli ospedali, possibilmente dotati dei Centri organizzati per il trattamento, cioè le Unità Neurovascolari (Centri Ictus o Stroke Unit) – sottolinea il presidente di ALICe Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) Andrea Vianello, colpito da ictus nel 2019 –. Solo così si può pensare di ridurre il rischio di mortalità ed evitare ictus particolarmente gravi, cercando di limitare danni futuri e, in particolare, le conseguenze di disabilità, molto spesso invalidanti, causate da questa malattia».

Secondo i parametri indicati dal DM 70 del 2015 in Italia dovrebbero essere disponibili complessivamente 300 Unità Neurovascolari (o Stroke Unit). «Attualmente – riferisce il professor Danilo Toni, direttore dell’Unità “Trattamento Neurovascolare” al Policlinico Umberto I di Roma e presidente del Comitato tecnico-scientifico di ALICe Italia – le Unità Ictus sono 220, con un recupero del Sud, anche se siamo ancora a una copertura pari a circa il 60% del necessario».

Unità Ictus
Stroke Unit
Le terapie

Più precoce è l’intervento, più sono efficaci le terapie e minori sono le complicanze del trattamento, ribadiscono i neurologi.
Per l’emorragia cerebrale esistono diverse indicazioni per contenere l’estensione del sanguinamento, mentre sono in fase di sviluppo veri e propri approcci di terapia specifica.
Per l’ictus ischemico sono disponibili da tempo farmaci fibrinolitici che dissolvono il materiale ostruttivo a livello arterioso, permettendo quindi di ripristinare il flusso di sangue e limitare i danni al tessuto cerebrale.

In alcuni casi, la terapia farmacologica può essere associata o sostituita dai trattamenti endovascolari, tecniche che richiedono un’alta specializzazione e, per questo, non possono essere effettuate ovunque, ma solo ed esclusivamente negli ospedali dotati di Centri specializzati.
Non tutte le persone colpite da ictus, però, ricevono le cure giuste nei tempi giusti. «Alla trombolisi sono sottoposti circa l’80% dei pazienti che ne hanno bisogno e alla trombectomia meccanica circa il 75% di coloro che ne necessitano» dice il professor Danilo Toni.

È possibile prevenirlo (e come)?

Il messaggio dei neurologi è chiaro: molti ictus potrebbero essere prevenuti semplicemente curando in modo adeguato i fattori di rischio che si possono modificare, quali la pressione alta, l’aumento dei grassi e degli zuccheri nel sangue, alcune anomalie della funzione cardiaca, in particolare la fibrillazione atriale.

Anche gli stili di vita hanno un ruolo nell’insorgere dell’ictus, per cui vanno evitate alcune abitudini dannose come il fumo, il consumo eccessivo di alcol, l’uso di sostanze di abuso, la sedentarietà, un’alimentazione scorretta che comporta la tendenza al sovrappeso fino all’obesità. Gli esperti consigliano un’attività fisica regolare, anche mezz’ora di passeggiata cinque/sei volte a settimana, un’alimentazione sana e bilanciata, il controllo della pressione arteriosa e un consulto periodico col proprio medico curante per verificare l’eventuale presenza degli altri fattori di rischio. (corriere.it)

Emilia Clarke racconta gli aneurismi: «Parte del mio cervello non funziona»

L’attrice cult de Il trono di spade rivive i problemi di salute del 2011 e 2013 durante la promozione del suo spettacolo teatrale a Londra. E commuove il web

Emilia Clarke, diva riservata de Il trono di spade, ha rotto il silenzio sul suo stato di salute. La 35enne britannica ha avuto due aneurismi celebrali nel 2011 e nel 2013, in seguito ai quali ha subito un’operazione. Oggi ha la serenità e il coraggio di condividere la propria esperienza.

Secondo le previsioni mediche e le statistiche, dopo un intervento del genere avrebbe dovuto perdere l’uso della parola. È rarissimo – ha spiegato l’artista – che non ci sia alcuna conseguenza fisica.

Lo ha raccontato al programma Sunday Morning di BBC1 per promuovere il suo debutto teatrale nel West End con The seagull, di cui ha condiviso una foto dopo una lunga assenza da Instagram (l’account vanta 27 milioni di follower) e che ha debuttato a Londra il 6 luglio scorso.

Durante l’intervista Emilia Clarke ha rivelato: «(La malattia) ti permette di cambiare prospettiva. C’è una parte del mio cervello che non funziona più… ne manca un pezzo, il che mi fa sempre fare una risata quando ci penso. In pratica se non arriva il sangue al cervello per un secondo a quella zona dici addio. Certo, il sangue trova un altro percorso per aggirare la situazione ma quello che è perso è perso.

Ad un certo punto mi sono detta: “Questa sei tu adesso. E questo è il cervello che ti è rimasto”. Davvero non ha senso rimuginare in continuazione su cosa sarebbe potuto essere. Comunque riesco a reggere due ore e mezzo di spettacolo ogni notte senza dimenticarmi una singola battuta. Ho sempre avuto una buona memoria, che è l’unica vera qualità che un attore deve avere… quindi la tua memoria è incredibilmente importante e io la metto alla prova continuamente».

In seguito all’esperienza l’attrice ha fondato un’associazione benefica, SameYou, per aiutare i pazienti reduci da ictus o malattie legate al cervello.

Ripercorrendo però i momenti dell’ictus ha ricordato: «Ho provato il dolore più acuto che si possa immaginare ma per fortuna Il trono di spade mi ha tirato su e mi ha dato uno scopo».Ripercorrendo però i momenti dell’ictus ha ricordato: «Ho provato il dolore più acuto che si possa immaginare ma per fortuna Il trono di spade mi ha tirato su e mi ha dato uno scopo».

Dopo Last Christmas, Emilia Clarke ha in cantiere altri progetti: doppia il film d’animazione The amazing Maurice con Hugh “Dottor House” Laurie, per poi abbracciare l’universo Marvel nella miniserie Secret Invasion con Samuel L. Jackson. Si dedicherà alla commedia family sulle difficoltà della vita da genitori in The Pod Generation accanto a Chiwetel Ejiofor (Love actually). Cambia genere, poi, con il thriller politico McCarthy accanto a Michael Shannon.

Probabilmente però per tutto il mondo resterà per sempre la mamma dei draghi, Daenerys Targaryen, uno dei personaggi più iconici del piccolo schermo.

Clara Woods: la vita oltre la disabilità

La straordinaria storia di una ragazza che non parla e non legge ma capisce tre lingue

Piacere, sono Clara!

Clara Woods è una ragazza di quattordici anni a cui un ictus ha provocato una disabilità importante, sia in termini di movimento, sia di articolazione del linguaggio. Clara è la prima, coraggiosa abitante di questo territorio dell’oltre. Non parla e non sa leggere, ma comprende tre lingue. Ha una paralisi che le impedisce di muovere metà del suo corpo, ma dipinge. La sua pittura è la via di accesso alle sue parole, alla sua storia densa e intrisa di un dolore profondo, ma animata dall’amore vivo di una famiglia straordinaria che le ha offerto un motivo per non spegnersi e, invece, brillare di luce nuova.

La famiglia

Betina, Carlo e Davi sono gli altri tre eroi di questa storia straordinaria. La grande casa dell’amore, del resto, si costruisce su fondamenta solide e tutte legate insieme. Passando attraverso un grande dolore, la famiglia Woods ha indirizzato le risorse di Clara verso la potentissima esperienza della pittura, arte catartica e preziosa per gli stimoli che può offrire all’indagine della propria persona. 

Oggi Clara vive negli Usa con la sua famiglia. Sta scoprendo nuovi orizzonti, sta entrando in contatto con una nuova cultura, una nuova lingua, un nuovo clima. Tante, tante tele attendono di essere dipinte e di raccontare le nuove storie della sua vita. Mentre Clara cresce come persona e come artista, non immagina quanto grande è il contributo che lascia ogni giorno a questo mondo bizzarro. Dai luoghi dell’oltre il suo sorriso arriva raggiante e spazza via la paura che non sia possibile aprirsi alla vita con una disabilità. Lei ci guarda tutti da quella riva e agita la sua mano per salutarci e ricordarci che le cose possono andare in un modo diverso. Dovremmo farci un salto in questo posto!

Betina, la madre di Clara, è stata così gentile da concederci il tempo per una intervista su questa storia e noi vorremmo condividerla con voi.

Quando siete venuti a conoscenza del problema di Clara? Cosa è accaduto in quel momento?

Diciamo che alla sua nascita ci siamo accorti che c’erano delle cose che non andavano. Clara non si girava nel letto e la sua mano destra non si apriva. Fu, però, durante il suo settimo mese che realizzai che c’era qualcosa di molto serio: un giorno eravamo all’Ikea e vedemmo una bambina della sua età che gattonava. Scoppiai in un pianto dirotto: la nostra Clara non lo faceva. Quel giorno il mondo mi crollò addosso. Condivisi con Carlo, il babbo di Clara, i miei pensieri. Lui ha già una figlia con l’atrofia muscolare da un primo matrimonio, e pensammo che potesse trattarsi di questo. Infine, però, siamo riusciti ad ottenere i risultati degli esami che confermavano che Clara non avesse la SMA. Io, per immaturità, non avevo in effetti fatto durante la gravidanza gli esami che avrei dovuto fare. Mi ero detta che sarebbe venuto quello che doveva venire. In seguito i dottori hanno scoperto che Clara aveva avuto un ictus e le hanno prospettato un’esistenza da vegetale, ma noi genitori le abbiamo fatto intraprendere un percorso di riabilitazione e Clara ci sorprende ogni giorno con continui progressi.

Come e quando nasce l’idea di decidere di raccontare la storia di Clara?

Nasce nel 2016. A quel punto non avevamo più speranze che Clara imparasse a scrivere a leggere o che potesse parlare. Mi sono detta, allora, che l’avrei trasformata in una influencer. Lei è bella, solare, mi son detta, e può trasmettere dei grandi messaggi! Così, avendo io sempre lavorato nel marketing, ho deciso di creare il suo profilo di Instagram e ho cominciato a pubblicare contenuti su di lei.

Cosa è accaduto nelle vostre vite dopo la nascita di Clara?

Clara è sempre stata un dono per noi. Non l’abbiamo mai considerata una disgrazia. Abbiamo sempre accettato la sua condizione. Ho pianto spesso, ho litigato con Dio tante volte, ho sperato che guarisse e che accadesse un miracolo, ma intanto ci siamo subito rimboccati le maniche e subito abbiamo cercato di capire  cosa fosse meglio per lei.

Come vive Clara oggi la sua disabilità? Come l’ha vissuta finora?

Alti e bassi, dipende dai momenti. Ha sofferto, certo, perché ci sono diverse cose che non può fare. Ci sono stati dei momenti difficili: non riusciva a vestirsi, per esempio. Poi, non ha mai avuto amici o amiche della sua età. Tanti rapporti d’amicizia sono stati spinti da noi, ma sono finiti. Clara è molto conscia della sua disabilità. Noi siamo stati sempre molto chiari: le abbiamo spiegato che per essere accettati c’è del lavoro da fare, dunque lei sa che il suo non sarà un futuro normale e che c’è da lavorare tantissimo.

Come comunica a scuola o fuori da casa?

Lei a scuola ha una maestra di sostegno che sta imparando a conoscerla. Qui nella scuola americana, Clara ha un tablet con il quale riesce a comunicare abbastanza bene, ma si avvale anche dei gesti. Io do una mano nel senso che la mattina scrivo per la scuola tutto ciò che Clara ha fatto il giorno prima e fornisco una base per i suoi racconti. Fuori da casa con chi non conosce è ovviamente più complicato. Clara non sa usare la lingua dei segni. Ci abbiamo anche provato, ma imparare quella lingua significa usarla solo con i sordi. Lei ha persino sempre rifiutato di usare i tablet prima di convincersene adesso. Vedremo come andrà a finire. Dovremo trovare un sistema di comunicazione che possa utilizzare fuori.

Come e quando nasce la sua passione per la pittura?

Clara ha cominciato a dipingere da piccolina. Poi ha smesso e ha ricominciato nel 2016, con la stessa maestra che la seguiva da bambina. A quel tempo, però, dipingeva le sue tele per lo più di nero e distruggeva tutti i quadri. Poi, piano piano, ha cominciato a disegnare delle forme. Abbiamo notato che era man mano più tranquilla mentre dipingeva, più a suo agio. Sembrava che avesse trovato una certa pace interiore. Poi, nel 2017, le regalai un libro per bambini su Frida Kahlo e quella lettura ha cambiato tutto. Clara si è perdutamente innamorata di Frida. Anche Frida è riuscita ad arrivare lontano nonostante la sua disabilità e i suoi problemi. Da quel momento è nato tutto questo percorso di innamoramento per la pittura. Non solo, Clara ha scoperto che la sua pittura poteva piacere alle persone e che attraverso quella poteva costruire dei rapporti e la sua vita.

Dove sono esposte le opere di Clara?

Nelle case dei collezionisti, di chi ha comprato le sue opere. Clara non è ancora arrivata ad un museo. Ha esposto in passato, ma oggi non ci sono sue opere esposte. Con la pandemia, poi, si è fermato tutto.

Perché avete deciso di trasferirvi negli Usa?

Perché era un vecchio mio sogno nel cassetto. Io sono brasiliana, sono stata a Firenze per sedici anni e penso che qui a livello di business ci siano molte più opportunità, che ce ne siano specialmente per Clara. Pensavo anche che qui la scuola fosse migliore ed in effetti è per loro un’esperienza straordinaria. Il tempo qui dove siamo è sempre caldo e anche quello aiuta la deambulazione di Clara, che soffre molto il freddo. Qui poi la mentalità è differente, a me quella europea stava molto stretta. Insomma, mi sono detta che dovevamo provare questa cosa!

Che cos’è Clara Woods LLC?

Clara Woods LLC è l’azienda che abbiamo creato qui, negli Usa. Prima c’era Clara Woods, che era l’azienda italiana e che abbiamo chiuso per poter continuare il lavoro qui. Clara Woods LLC nasce con due scopi: uno è creare un brand internazionale per Clara, che abbia un team che opera con lei e per lei e che parli al mondo di disabilità e inclusione. In questo modo, se mai a me e Carlo accadesse qualcosa, lei avrebbe qualcosa di suo su cui lavorare. Le permetterebbe di vivere e di sentirsi realizzata. Non solo, in Clara Woods LLC vorremmo anche lanciare un’agenzia che a sua volta promuova il talento di persone disabili che per qualche motivo – economico e non – hanno difficoltà ad affermarsi nel mercato.

(cblive.it)

BrainControl: Intelligenza Artificiale al servizio della disabilità

BrainControl BCI è l’unico sofware brevettato che opera sulle onde cerebrali, traducendo i pensieri dei pazienti in comandi ed azioni sui dispositivi portatili.

Come stai?”, “Ti senti bene?”; semplici domande possono rappresentare per molte famiglie e caregiver una sfida difficilissima da vincere perché un loro famigliare è affetto da una malattia che impedisce qualsiasi tipo di movimento volontario. Parliamo di persone alle quali, nei casi più gravi, sono preclusi anche i movimenti residui di pupille, zigomo o dita. Sono i pazienti locked-in, imprigionati di fatto in un corpo completamente immobile ma dotati di capacità cognitive.

Con BrainControl BCI è da oggi possibile comunicare con l’esterno grazie al pensiero. Un Software e un caschetto EEG, unitamente a un training personalizzato, sono in grado di trasformare in comandi i pensieri del paziente, dando modo di rispondere a semplici domande e di comunicare. Una risposta di poche lettere che cambia la vita a tantissime persone.

BrainControl BCI è una soluzione avveniristica ideata da LiquidWeb, una PMI senese. Si prefigge di aiutare le persone con gravi disabilità, le loro famiglie e caregiver a migliorare la qualità di vita. Il tutto parte dalla convinzione che le persone sono più importanti della tecnologia e che, grazie a quest’ultima, è possibile aiutare chi è colpito da gravi patologie a riavere fiducia nella vita e una connessione con il mondo.

BrainControl BCI è un dispositivo medico CE di classe I brevettato in Italia. È in attesa di ottenere la stessa certificazione in altri Paesi EU, US, Canada, Giappone e Cina; ha vinto nel 2020 il Bando Horizon per la Ricerca e l’Innovazione dell’Unione Europea.
L’utilizzatore di BrainControl BCI è una persona con gravissime disabilità ma con abilità cognitive sufficientemente integre, persone quindi colpite da patologie quali tetraplegia, SLA, sclerosi multipla, distrofie muscolari e anche coloro che hanno subito danni cerebrali di origine ischemica o traumatica.

Il paziente impara ad usare il software e il caschetto EEG grazie a un training personalizzato perché ogni situazione è differente e le variabili talmente sensibili che richiedono necessariamente una personalizzazione 1to1.
Attualmente BrainControl BCI, oltre ad essere stato adottato da diversi pazienti privati, è in uso presso diverse strutture pubbliche, tra cui l’Ospedale San Jacopo di Pistoia, Asur Marche, Asl Lecce, ASST Melegnano.

BrainControl BCI fa parte di una gamma di dispositivi che comprende anche BrainControl Sensory e Avatar. Tre diverse soluzioni, compatibili con i differenti gradi di mobilità e interazione del paziente.
BrainControl Sensory è pensato per pazienti con movimenti residui volontari di qualsiasi parte del corpo (movimenti oculari, movimenti della mano, delle dita, dello zigomo, ecc.). Grazie a una serie di sensori, quali puntatori oculari, sensori di movimento, emulatori mouse, è possibile sfruttare i movimenti residui del paziente per creare un’interazione con il mondo esterno.

BrainControl Avatar è pensato per persone con difficoltà motorie, permette di visitare da remoto installazioni, musei, spazi espositivi ed eventi in genere. In maniera del tutto indipendente, è possibile comandare un alter ego robotico, regolando audio, video e altezza del campo visivo. L’esperienza sarà immersiva e reale, come se si stesse visitando di persona l’ambiente prescelto. Inoltre, il monitor e gli altoparlanti di cui è dotato l’avatar consentono di rendersi visibile a distanza, se lo si desidera, dando spazio a una personificazione dell’Avatar che permette alle persone intorno di interagire con esso, stabilendo una comunicazione nuova e vivace fra le persone in loco e la persona connessa.

Per info:
Ufficio Stampa
Alessia Borgonovo – Mob. 335.6492936
Roberta Riva – Mob. 346.8548236

Riabilitazione ictus e staminali per le disabilità motorie

Dopo un ictus cerebrale, circa il 50 per cento dei sopravvissuti presenta un grado di disabilità motoria più o meno grave, la riabilitazione è molto importante ma un aiuto ulteriore potrebbe arrivare dalle staminali. Poco più del 20 per cento delle persone colpite da ictus, in genere si tratta di una forma lieve, non presentano delle disabilità, nella maggior parte dei casi non si è però così fortunati, ora una tecnica messa a punto presso la Stanford University School of Medicine (California) riaccende le speranze in tutti quei pazienti non più autosufficienti a causa di un infarto cerebrale. Grazie a un’iniezione di cellule staminali nel cervello si è riusciti a “guarire” le disabilità motorie in 18 pazienti (7 uomini e 11 donne), i risultati della sperimentazione sono stati pubblicati sulla rivista Stroke (Clinical Outcomes of Transplanted Modified Bone Marrow-Derived Mesenchymal Stem Cells in Stroke: A Phase 1/2a Study – Doi: 10.1161/STROKEAHA.116.012995).

Come accennato, dopo un ictus cerebrale si possono presentare scenari differenti: una certa percentuale di persone non sopravvive (circa il 10 – 20 per cento muoiono entro un mese e un’altro 10 per cento entro un anno), una minoranza supera l’evento avverso senza problemi mentre la maggior parte presenta delle disabilità permanenti più o meno gravi. Anche se la riabilitazione ha fatto enormi passi avanti rispetto al passato, ancora oggi molte di queste persone non sono più autosufficienti. Gary K. Steinberg, primo autore dello studio, spiega che la tecnica messa a punto ha dell’incredibile, dopo appena un mese dal trattamento gran parte dei pazienti ha mostrato notevoli miglioramenti nelle funzioni motorie: alcuni pazienti che si muovevano esclusivamente in sedia a rotella hanno ripreso a camminare e altri che non potevano più muovere le dita della mano hanno ripreso a farlo.
La terapia post ictus prevede prima di tutto il prelievo di staminali dal midollo osseo di alcuni donatori, queste vengono successivamente modificate al fine di farle acquisire funzioni neurali. Nella fase successiva, attraverso una craniotomia (un piccolo forellino nella scatola cranica: burr-hole), vengono iniettate le staminali nell’area interessata dall’apoplessia (ictus).
Tutti i pazienti coinvolti nello studio sono stati seguito per un periodo di due anni e già dopo un mese dall’intervento sono stati rilevati i primi miglioramenti. Durante il follow-up i miglioramenti ottenuti sono apparsi stabili e non sono stati riscontrati effetti avversi a parte dei leggeri mal di testa transitori (del tutto normali nei casi di craniotomie). I 18 pazienti coinvolti nello studio non sono stati scelti a caso, tutti avevano subito un ictus in un periodo antecedente allo studio compreso tra sei mesi e tre anni, si è partiti dai sei mesi perché se con la riabilitazione non si recupera il “movimento” entro questo periodo difficilmente ci saranno dei miglioramenti in futuro, in questo modo i progressi fatti nelle abilità motorie erano riconducibili unicamente all’intervento.
Per valutare i miglioramenti nei pazienti i ricercatori si sono avvalsi della European Stroke Scale (ESS), una scala utilizzata nella pratica clinica per quantificare la gravità del deficit provocato da un ictus cerebrale. Considerando una scala che va da 1 a 100, dove 100 è la completa capacità di movimento, i pazienti coinvolti nella sperimentazione hanno ottenuto mediamente un miglioramento di 11,4 punti (un valore che potrebbe sembrare basso ma è molto rilevante in ambito clinico). Gary Steinberg spiega che in un caso, una donna di 71 anni, prima della cura la paziente poteva muovere solo il pollice sinistro e ora non solo riesce a camminare ma può anche sollevare il braccio sopra la sua testa.
Gli autori dello studio spiegano comunque che non si può ancora sapere con certezza se tali effetti saranno permanenti o meno, bisognerà quindi continuare a monitorare i pazienti e condurre ulteriori indagini su un campione più ampio di partecipanti. Bisogna inoltre precisare che non si parla di una vera e propria guarigione ma si tratta di un recupero parziale delle funzioni neurologiche perse in conseguenza dell’infarto cerebrale, un risultato comunque molto importante perché interessa pazienti con deficit da ictus ormai stabilizzati per i quali attualmente non esistono trattamenti efficaci.
(universonline.it)

Medicina, intervento ‘ripulisce’ arterie e riduce disabilità ictus

All’improvviso manca la forza, c’è un formicolio ad un braccio o ad una gamba. Si avverte una difficoltà a parlare e nel vedere da una lato. Sono i sintomi tipici della comparsa di un ictus: i campanelli d’allarme con cui si presenta questo ‘nemico’ che compare senza dolore e che, se non si interviene rapidamente, può essere letale.

L’ictus cerebrale rappresenta infatti la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, e la prima causa di disabilità nell’adulto. In Italia sono circa 185.000 le persone colpite da ictus cerebrale: 1 uomo su 6 ed 1 donna su 5 può andare incontro a ictus nel corso della propria vita. In tutto il mondo si celebra domani la Giornata mondiale dell’ictus.

E la buona notizia è che oggi un’intervento di trombectomia meccanica è in grado di ‘ripulire’ le arterie e ridurre la disabilità conseguenza dell’ictus. Le attuali linee guida per il trattamento prevedono che, nel paziente con ictus ischemico acuto, si debba praticare in prima istanza la trombolisi per via endovenosa, ossia la somministrazione di farmaco trombolitico in vena entro le prime 4 ore e mezza dall’evento e successivamente, possibilmente entro le 6 ore, la procedura di trombectomia meccanica, ossia la disostruzione dell’arteria con un sistema (sentriever) che rimuove il coagulo dall’arteria colpita e che salva tessuto cerebrale.

Una procedura che consente di limitare la disabilità nei pazienti nel 40-50% dei casi ma che oggi in Italia viene eseguita solo per il 7% del totale di pazienti stimati come candidabili. I dati del registro nazionale che raccoglie i casi riportati da 35 su 45 centri riporta infatti un numero di procedure pari a 400-500 l’anno contro le 7.000 potenziali.

La trombolisi farmacologica viene effettuata nelle ‘stroke unit’ di primo livello, mentre la trombectomia meccanica che può essere effettuata solo nelle stroke unit di secondo livello.

“Il primo intervento di trombectomia meccanica – afferma il Salvatore Mangiafico, neuroradiologo interventista Azienda Ospedaliera Careggi di Firenze – realizzato al mondo con lo ‘stent retriever Solitaire’ risale al 2008 ed oggi l’efficacia di questa procedura è incontrovertibilmente dimostrata da ben 5 ampi studi clinici randomizzati tanto da essere entrata nelle nuove linee guida nell’ictus moderato o grave”.

“Oggi – prosegue Mangiafico – non è più possibile basare la terapia dell’ictus ischemico solo sulla fibrinolisi endovenosa limitandosi alla somministrazione endovenosa di farmaci, ritardando il trasferimento rapido o addirittura, non inviare il paziente ad un centro di neuroradiologia interventistica di una ‘stroke unit’ di secondo livello. Questo infatti significa negare al paziente una possibilità di ridurre il deficit neurologico residuo e quindi il grado di invalidità”.

“La caratteristica principale dell’ictus è la sua comparsa improvvisa, solitamente senza dolore. Solo nell’emorragia cerebrale c’è spesso mal di testa fortissimo – afferma Valeria Caso, neurologa Ospedale S. Maria della Misericordia di Perugia – I sintomi tipici sono un’improvvisa mancanza di forza, o formicolio e mancanza di sensibilità ad un braccio o ad una gamba, la difficoltà nel parlare, problemi a vedere da un occhio. Quando tali sintomi compaiono solo per alcuni minuti, si parla di attacchi ischemici transitori (Tia), anch’essi molto importanti, in quanto possono essere campanelli di allarme per un Ictus vero e proprio. In caso di comparsa di uno o più sintomi di questo tipo è indispensabile rivolgersi sempre e con urgenza ad un medico, perché il fattore tempo è fondamentale”, raccomanda.

Indispensabile – per gli esperti – avere un sistema ospedaliero organizzato in rete e trasporti veloci per consentire un passaggio rapido dalle ‘stroke unit’ di primo livello a quelle di secondo livello, nonché la formazione di personale operativo 24 ore su 24, 7 giorni su 7 con l’obiettivo di trattare tutti i pazienti candidabili a questo tipo di intervento.

“A questo va affiancata una maggiore opera di sensibilizzazione del pubblico sul riconoscimento dei segni e sintomi dell’ictus, per far sì che i pazienti arrivino presto in ospedale: la precocità del trattamento garantisce, infatti, un migliore ‘outcome’ clinico del paziente”, concludono gli specialisti.
(adnkronos.com)