A muso duro, guardare oltre la disabilità

Una storia di grande umanità quella raccontata da Marco Pontecorvo e Flavio Insinna nel film tv ispirato alla figura di Antonio Maglio, medico dell’Inail ed inventore dei Giochi Paraolimpici

Affrontare la vita a muso duro con lo sguardo dritto e aperto nel futuro, così come cantava Pierangelo Bertoli. Questo il messaggio che il film tv A muso duro, andato in onda qualche sera fa su RaiUno, ha voluto mandare agli spettatori, disabili e non, nella speranza di riuscire ad arrivare alla sensibilità delle persone.

Roma, 1957. I disabili sono destinati a rimanere relegati ai margini della società, ad essere abbandonati a se stessi nei cronicari e con alte probabilità di morire. A riportarli alla vita sono il dottor Antonio Maglio, professionista stimato, e la sua idea rivoluzionaria: organizzare, in contemporanea con le Olimpiadi, una manifestazione sportiva in cui i disabili possano dimostrare al mondo le loro straordinarie capacità.

Antonio Maglio ha rinunciato a fare il medico praticante dopo l’improvvisa morte di suo figlio dovuta ad una meningite fulminante. Non ha però abbandonato del tutto la professione: ogni giorno si dedica alle pratiche burocratiche per garantire ai giovani infortunati la pensione di invalidità.

A muso duro

A scuoterlo è l’incidente di Michele, un ragazzo di appena diciotto anni che dopo essere caduto da un’impalcatura ha riportato una grave lesione al midollo spinale e non potrà più camminare. All’epoca non esistevano strutture riabilitative adeguate ma Antonio Maglio era dell’opinione che le cose dovessero cambiare. Il suo intento era dimostrare che tornare a vivere dopo aver perso l’uso delle gambe fosse possibile.

Intraprese così un percorso non facile in cui si fece molti nemici e si trovò davanti a tante porte chiuse, ma con il sostegno dei suoi colleghi e della sua futura moglie inaugurò Villa Marina, la prima struttura in cui i giovani disabili venivano accolti da un sorriso e non da una siringa di morfina.

Inizialmente la loro condizione invalidante era motivo di resa ma allo sconforto e al pessimismo subentrarono la speranza e la fiducia nel dottor Maglio. Ai ragazzi la forza di volontà e la tenacia non mancavano e queste qualità gli permisero di partecipare alle prime Paralimpiadi della storia.

Per Antonio Maglio lo sport non era un fine, ma il mezzo per arrivare alla piena integrazione delle persone con disabilità nella famiglia, nella società, nel lavoro. In Italia le persone con disabilità che soffrono di gravi limitazioni che impediscono di svolgere attività abituali sono oltre 3 milioni e ancora oggi vengono guardati con compassione o peggio ancora con pietà e disgusto. Per di più le barriere architettoniche sono tutt’altro che sparite. Ma come direbbe Cesare Cremonini per quanta strada ancora c’è da fare, amerai il finale. (Rielaborato da colibrimagazine.it)

Due film che portano la disabilità al cinema senza stereotipi

In quel ramo di cinema che cerca di normalizzare la disabilità sul grande schermo senza forzati paragoni con l’abilismo, un cortometraggio e un lungometraggio in particolare sembrano spalancare le porte a un futuro di inclusività più naturale.

Parliamo di Feeling Through, nominato agli Oscar 2021 e primo corto con protagonista un attore sordocieco, e di Best Summer Ever, un musical originale con un cast e una troupe composte di persone con e senza disabilità, che non pone mai l’accento sui corpi. In quest’ultimo figurano anche Benjamin Bratt (Doctor Strange, Law & Order), e la coppia hollywoodiana – appassionata di cinema indipendente – Maggie Gyllenhaal e Peter Sarsgaard.

Si tratta di due prime (una europea, una italiana) che siamo riusciti a vedere alla quarta edizione del Nòt Film Fest 2021, il festival del cinema indipendente a Santarcangelo di Romagna. Ideato da Noemi Bruschi, art director, Giovanni Labadessa, produttore e sceneggiatore, e Alizé Latini, attrice e produttrice, quest’anno la rassegna ha come filo conduttore l’inclusività. Feeling Through e Best Summer Ever sono un ottimo esempio di come fare cinema di questo tipo.

Vogliamo promuovere l’inclusività”, ha detto il produttore Labadessa. “Per la prima volta al Nòt Film Fest abbiamo un punto di vista autentico sull’inclusione, che si trova nel mezzo di un percorso ancora in divenire. Stiamo cercando umilmente di promuoverlo, proprio attraverso le storie che abbiamo al festival”.

Feeling Through di Doug Roland, oltre a essere candidato all’Oscar, ha la produzione esecutiva della vincitrice del premio per Figli di un Dio minore, Marlee Matlin, attrice e autrice ma anche attivista per i diritti dei non udenti.
La storia è l’incontro di notte a New York tra il giovane Tereek (Steven Prescod) e Artie (Robert Tarango), un sordocieco che ha bisogno di aiuto per tornare a casa. Tereek accompagna Artie fino al suo bus, in un breve viaggio che cambierà la sua vita e la sua concezione della cura dell’altro, per sempre.

Il regista Doug Roland, presente al festival, ci ha raccontato che per il cortometraggio (dura 19 minuti) si è ispirato proprio a un incontro che lui stesso ha avuto dieci anni fa a New York con un uomo che aveva bisogno d’aiuto. Roland l’aveva accompagnato conversando con lui scrivendo a mano sul suo palmo. Poco dopo aveva trasformato l’episodio in una sceneggiatura, che però è rimasta ferma sul suo computer a lungo: solo molti anni dopo ha sentito che era arrivato il momento giusto per farla diventare un film.

Non bisogna creare una bolla di artisti disabili”, continua Labadessa, “ma riuscire ad arrivare a un’inclusione totale. Creare uno storytelling inclusivo è infatti il primo passo per avere una società libera dalle discriminazioni”.

Best Summer Ever, di Michael Parks Randa e Lauren Smitelli, è invece “la storia di chiunque“, quella di un amore al liceo.
In un’atmosfera a metà tra Grease e High School Musical, sempre in bilico tra ironia e realtà, seguiamo le vicende di un gruppo di adolescenti. Il cast è composto, come dicevamo, sia da attori disabili che da abili, ma non viene dato risalto nella trama alle diversità specifiche: niente distinzioni stereotipate tra ragazzi abili o disabili. Vince un senso di normale quotidianità.

Questo perché in Best Summer Ever le persone con disabilità sono “solo” persone.
Sviluppare uno storytelling innovativo su questa linea è stato possibile anche grazie all’esperienza radicata nel cinema inclusivo di Parks Randa e Smitelli. Il duo ha lavorato con la troupe Zeno Mountain Farm, che assume persone con disabilità in qualsiasi ruolo della produzione cinematografica.

Nella foto principale: Rickey Alexander Wilson (Tony) e Shannon DeVido (Sage), protagonisti di Best Summer Ever.
I film si possono vedere anche in streaming su www.notstream.com.

(it.mashable.com)

Paramount Pictures: l’impegno ad assumere attori con disabilità

La casa cinematografica statunitense ha scelto di attenersi alle linee guida della Ruderman Family Foundation per quanto riguarda le audizioni a interpreti con disabilità. Un ulteriore passo nell’ottica di una maggiore attenzione all’inclusione e alla diversità

La Paramount Pictures ha deciso di dare maggiore attenzione e spazio all’inclusività, scegliendo di attenersi alle linee guida della Ruderman Family Foundation per quanto riguarda le audizioni di attori che presentano disabilità.

Si tratta della fondazione filantropica privata fondata a Boston nel 2002 e gestita dalla famiglia Ruderman che si impegna a lavorare per una maggiore inclusione sociale delle persone con disabilità.

L’inclusione di persone con disabilità è fondamentale per un autentico impegno per la diversità nel nostro settore e nella nostra comunità”, ha dichiarato Jim Gianopulos, presidente e CEO di Paramount Pictures.

PARAMOUNT PICTURES DA ANNI INTERESSATA ALL’INCLUSIONE

Non si tratta di una novità in assoluto. Paramount Pictures dimostra già da anni una notevole sensibilità per quanto riguarda i temi importantissimi di diversità e inclusività.

Questo è quindi un nuovo passo verso “il consolidamento di una cultura di inclusione” che la società ha già messo in pratica in passato.Ad affermarlo è lo stesso Jay Ruderman, presidente della Ruderman Family Foundation: “Impegnandosi formalmente ad ascoltare attori con disabilità per le produzioni in studio, Paramount Pictures ha compiuto un passo importante verso il consolidamento di una cultura di inclusione che la società ha già messo in pratica per anni, anche lavorando con attori con disabilità e prendendo decisioni di casting che riflettono la rappresentazione autentica in ruoli di alto profilo“, ha dichiarato durante un intervista in esclusiva concessa a Variety.

PROMUOVERE LA DIVERSITÀ E L’INCLUSIONE

La promozione della diversità e dell’inclusione da parte del mondo dello spettacolo incomincia a diventare un capitolo principale e molto virtuoso dell’entertainment di oggi.

Siamo orgogliosi di adottare queste linee guida come un passo cruciale nel lavoro in corso per dare priorità e promuovere la diversità e l’inclusione sia nella creazione che nel racconto delle storie che condividiamo con il pubblico di tutto il mondo“, ha aggiunto il presidente e CEO di Paramount Pictures.

Tra le prime grandi case di produzione che hanno risposto all’appello di aumentare la rappresentanza di persone che presentano disabilità, spicca la CBS Entertainment. Già nel 2019 lo studio cinematografico e televisivo della CBS si è impegnato a sostenere direttamente la causa.

LE PERSONE CON DISABILITÀ HANNO AVUTO POCO SPAZIO A HOLLYWOOD IN PASSATO

Si parla di inclusione e di diversità ormai da anni nello showbiz. Tuttavia le persone con disabilità sono sempre state poco considerate dall’industria cinematografica e televisiva. In passato hanno avuto poco, anzi pochissimo spazio sui set del piccolo e del grande schermo.

Riconosciamo che la disabilità è fondamentale per la diversità, che la comunità dei disabili comprende la più grande minoranza nella nostra nazione e che le persone con disabilità affrontano l’isolamento dall’industria dell’intrattenimento. Comprendiamo che aumentare le audizioni, indipendentemente dalle dimensioni del ruolo, è un passo fondamentale verso il raggiungimento dell’inclusione nel settore. Questo studio si impegna ad aumentare il numero di attori e attrici con disabilità che fanno provini per parti in televisione e nei film“, ha dichiarato la Paramount Pictures.
(tg24.sky.it)

Disabilità: Intrattenimento in evoluzione?

In tutto il mondo e su tutte le piattaforme i professionisti dell’intrattenimento si stanno impegnando per diventare sempre più inclusivi nella rappresentazione delle minoranze sui media. Il successo di film come Black Panther, Wonder Woman e Coco ci dimostra che la diversità può vincere anche al botteghino. Ma a punto siamo con la rappresentazione delle persone con disabilità, una delle minoranze più numerose al mondo? Ancora oggi ci si dimentica della disabilità nelle conversazioni su Diversity & Inclusion. Si ritiene forse che non sia un tema così accattivante o si continuano a toccare solo le corde emotive, troppo sbilanciati verso l’abilismo o l’inspiration porn. La mancanza di rappresentanza delle persone con disabilità nei film – si stima che solo nel 3% delle serie TV e ancor meno nei programmi per bambini (meno dell’1%) ci sia un protagonista con un qualche tipo di disabilità – significa che milioni di persone oggi non sono in grado di vedersi rappresentate nei media; milioni di ragazzi non sono in grado di sognare una storia d’amore guardando quel personaggio nello schermo televisivo.

C’è poi il tema degli attori senza disabilità che vengono ingaggiati per rappresentare il 95% di tutti i personaggi con disabilità in televisione. E quando la rappresentazione c’è spesso è fuorviante. Un esempio? Quasi tutti i ritratti delle persone con disabilità nei media sono con la pelle bianca, mentre sappiamo che la disabilità ha un impatto su tutti, senza distinzioni di razza. Secondo un rapporto di “The Media, Diversity, & Social Change (MDSC) Initiative” solo il 2,7% di tutti i personaggi nominati nel cinema ha dimostrato di convivere con una disabilità. Nessuno dei personaggi principali proviene da un gruppo razziale/etnico sottorappresentato o dalla comunità LGBTQ. Le storie che riflettono la vita dei personaggi con disabilità e la diversità demografica di questa comunità rimangono ancora troppo sfuggenti nel cinema.

Ma cosa possiamo fare noi come attivisti dei diritti delle persone con disabilità o come semplici spettatori delle varie serie televisive? Innanzitutto, possiamo educare giornalisti, registi e produttori ad un linguaggio e ad una rappresentazione equa nei media. Questa ad esempio è la guida ‘Hollywood Disability Toolkit’ a cura di Respectability, un’organizzazione americana che da anni porta avanti una battaglia per combattere gli stigma e offrire nuove opportunità alle persone con disabilità.
E poi abbiamo il telecomando in mano. Possiamo selezionare le serie e i programmi TV che rispondono a criteri di inclusione contemporanei, escludendo invece quelle trasmissioni ancora tutte italiane che alimentano lo spirito voyeuristico nei confronti del ‘fuori norma’, che ridicolizzano alcune caratteristiche somatiche o rappresentano la vita quotidiana dei bambini con disabilità con i balletti, facendoci riflettere sul ‘come siamo stati fortunati, noi normali’.

Abbiamo cercato di raccogliere e commentare i principali film e le serie TV che parlano a diverso titolo di disabilità, sulle piattaforme disponibili in Italia. E inevitabilmente abbiamo toccato anche le emozioni di fronte alla diagnosi di una malattia, alla consapevolezza di una diversità e all’impegno dell’essere caregiver.

I film cult

Cominciamo dai film storici. La rappresentazione della disabilità qui può essere stonata rispetto ai canoni attuali ma sono un buon punto di partenza per farsi una cultura sul tema e confrontarne poi i messaggi e i toni con i film più attuali.

Freaks: un film degli anni ’30, un film di culto, un po’ horror e un po’ dramma, ma molto onesto nel far vedere come i veri mostri possano avere le sembianze di umani con tutti gli arti al loro posto.

Anna dei miracoli (‘The miracle worker’, in inglese): un film in bianco e nero del 1962 che racconta la storia di Hellen Keller, una delle prime attiviste americane per i diritti delle persone con disabilità.

The elephant man: tra David Lynch e Mel Brooks questo film degli anni ’80 è ispirato ad una storia vera di malattia, di quelle che portano ad una diversità visibile a tutti. Dice il protagonista con la Sindrome di Proteo ‘Vede, la gente ha paura di quello che non riesce a capire… E… Ed è difficile anche per me capire, perché… vede… Mia madre era… bellissima.’

Forrest Gump: Forrest e la mamma, Forrest e i tutori per camminare meglio, Forrest e i test sul QI a scuola, ma anche Forrest che corre, si sposa e diventa padre. Da vedere anche in famiglia, un’iniezione di ottimismo per tutti.

Rainman: la critica lo ha elogiato, gli attivisti un po’ meno, per un’interpretazione recitata e per uno spaccato della sindrome autistica non così comune. Se non è infatti abilità da tutti quella di contare gli stuzzicadenti, il film ha contribuito a far conoscere lo stereotipo dell’autismo.

Figli di un Dio minore: finalmente una protagonista realmente sorda, Marlee Matlin, può valere la pena rivederlo in questi giorni in cui si parla tanto delle comunità terapeutiche e dei limiti dei metodi.

Profumo di donna: nella versione italiana del 1974 o in quella più celebre con Al Pacino del 1992, un po’ troppo costruito a tavolino e un po’ troppa retorica americana.

Mi chiamo Sam: ancora un passo in avanti nella rappresentazione delle persone con una neurodiversità, ma ancora molto romanzato nel lieto fine.

Il mio piede sinistro: anche qua si è gridato al capolavoro per l’interpretazione magistrale di un attore che poteva essere invece interpretato da una persona con Paralisi Cerebrale Infantile. E anche qua un po’ di retorica nella figura della madre-coraggio e dell’infermiera innamorata.

Buon compleanno Mr. Grape: storia di autismo tra i paesaggi dell’Iowa, utile per capire perché da soli si fa molta più fatica e perché è così strategico il ruolo dei ‘siblings’ in famiglia, i fratelli e le sorelle delle persone con disabilità.

L’olio di Lorenzo: la storia di una famiglia italiana negli Stati Uniti, che lotta di fronte ad una diagnosi di malattia rara del proprio figlio, tanti scenari sono cambiati da allora ma è sempre utile rivederlo per capire come di fronte ad un disagio la risposta può essere ancora nello studio, nell’alleanza terapeutica e nella ricerca scientifica.

Quasi amici: qua trovate la ricetta perfetta dei film che mettono d’accordo tutti, la persona di colore con una storia di adozione alle spalle che diventa badante e quasi amico della persona ricca e in carrozzina. Lo trovate ovunque, anche nelle produzioni argentina, indiana e americana.

Il discorso del re: la balbuzie di un principe che oggi si sarebbe preso un bollino di DSA a scuola, da vedere se siete logopediste o se ne frequentate.

La teoria del tutto: film da premio Oscar all’attore protagonista, che interpreta il ruolo dello scienziato Stephen Hawking nell’avanzare della malattia, l’atrofia muscolare progressiva. Interessante la figura della giovane moglie e caregiver, e l’utilizzo delle prime tecnologie assistive per la comunicazione.

Film italiani free

Su RAI play troviamo principalmente film italiani, o film che riportano la narrazione di personaggi che sono diventati famosi per le loro battaglie:

Il figlio della luna: è la storia vera di Fulvio Frisone nato con tetraplegia spastica distonica a causa di un parto difficile e divenuto da grande un esperto nel campo della fisica; ma è soprattutto la storia di questa mamma determinata ad andare oltre la diagnosi, in una Sicilia degli anni ‘70 in cui pesano sia il confronto con i pari che l’esigere dei diritti per la prima volta.

La classe degli asini: da vedere perché è una storia vera di orgoglio italiano nel mondo, la storia della professoressa Mirella Casale che riuscirà a far chiudere le classi differenziali a favore dell’inclusione degli studenti con disabilità a scuola e con il riconoscimento della figura dell’insegnante di sostegno con la legge 517 del 4 agosto 1977.

La guerra è dichiarata: ancora una storia vera di una malattia non così rara nelle famiglie, un tumore al cervello del figlio di Juliette e Romeo. Un film francese, interpretato dalla stessa regista, che si mette dalla parte dei caregiver e ne racconta le risorse apparentemente infinite.

Volevo nascondermi: è la storia del pittore Ligabue, tra disturbi mentali e un talento artistico che tarderà ad affermarsi proprio a causa delle sue difficoltà relazionali.

Ognuno è perfetto: una miniserie italiana che racconta le vicende di due giovani innamorati tra problemi di lavoro e permessi di soggiorno. E un cast di bravi attori con sindrome di Down.

The greatest showman: è un musical ambientato nei primi dell’800, la storia del fondatore del Circo Barnum, noto ai più anche per la canzone ‘This is me’.

Sulle piattaforme a pagamento

Netflix ha un catalogo ampio e aggiornato, sia nei film dedicati alla consapevolezza sulla disabilità e alle minoranze in generale, sia per le pratiche di inclusione adottate nelle serie autoprodotte:

Crip Camp: documentario molto interessante per capire le origini dell’attivismo americano da parte delle persone con disabilità; racconta la storia di Camp Jened negli anni ‘70, una sorta di Woodstock in cui si segue la vita dei partecipanti dal campeggio al ritorno nel mondo reale.

Frida: la storia affascinante della pittrice messicana, diventata disabile a seguito di un incidente e della poliomelite, una storia di diversità e libertà, esemplare per gli anni in cui è ambientata.

Rising Phoenix: se non l’avete visto, correte subito ai ripari, è la storia delle Paralimpiadi raccontata dagli stessi protagonisti, perché ‘alle Olimpiadi creano gli eroi, alle Paralimpiadi vanno gli eroi’.

The fundamental of caring (o ‘Altruisti si diventa’, nella traduzione italiana): giovane con distrofia muscolare, madre iperprotettiva, padre non pervenuto e caregiver professionista che si deve redimere, in un road movie che fa anche ridere. Americano, ovviamente.

Rosso come il cielo: ambientato negli anni ’70 in Italia, questo film racconta bene la storia di un bambino diventato cieco a causa di un infortunio e costretto in un istituto per imparare il braille. In realtà affinerà una sensibilità particolare per i suoni, facendola poi diventare la sua professione.

Margarita with a straw: è un film indiano e già per questo sarebbe da guardare; racconta la storia di una ragazza con Paralisi Cerebrale Infantile che decide di andare a vivere da sola per studiare in America, e affronta così i temi dell’indipendenza dalla famiglia, dell’accettazione, dell’inclusione, della sessualità. Dal titolo e dalla scena finale, capirete perché bandire le cannucce flessibili di plastica può non essere una soluzione per tutti.

37 seconds: da vedere, una regia molto bella in una storia per niente scontata; ambientato in Giappone, tra manga, sesso e autodeterminazione; anche se al solito i personaggi delle madri delle persone con disabilità non escono molto bene da questi film.

Special: è una mini-serie che trae ispirazione dal divertente libro di Ryan O’Connell ‘I’m Special: And Other Lies We Tell Ourselves’, fa ridere ma mica tanto, trattando problemi veri come le prime esperienze di lavoro, la scoperta dell’omosessualità in una persona con disabilità e una madre ancora ingombrante.

Atypical: è una serie giunta ormai alla terza stagione; affronta un pò tutti gli stereotipi della disabilità, attraverso la lente del protagonista con sindrome autistica. Il senso di responsabilità della sorella, i gruppi di mutuo aiuto per le mamme e la loro sensibilità per il linguaggio appropriato (‘autistico o persona con autismo?’), le coppie che scoppiano, il cartellone degli impegni della famiglia redatto dalle mamme premurose, il padre che scappa, il legame con la terapista, la gita scolastica e una scuola che ci prova a fare dei tentativi di inclusione.

Il mio grande amico Dude: miniserie da guardare in famiglia; racconta la storia di un giovane adolescente con fobia sociale e i suoi approcci al reintegro in società grazie a Dude, un cane di supporto emotivo.

Deaf U: è un documentario sulla vita universitaria di un gruppo di studenti sordi, interessante e semplice nel suo sguardo sulla quotidianità.

Amore nello spettro: è una mini docu-serie girata con gli intenti di una ricerca scientifica, per raccontare l’amore tra giovani uomini e donne con autismo.

Aspergers are us: è un documentario che racconta l’amicizia e la realizzazione di uno spettacolo comico tra quattro giovani con diverse forme di autismo.

100 metri: film spagnolo su una storia (vera) di diagnosi di sclerosi multipla: il protagonista messo di fronte alla decisione di lottare o accettare il destino.

Breaking Bad: potreste guardare questa famosa serie per mille altri motivi, ma anche perchè uno dei protagonisti è l’attore RJ Mitte, con Paralisi Cerebrale Infantile come il suo personaggio.

The Speed Cubers: è un documentario sui massimi esperti del cubo di Rubik, è interessante per la storia di Max Park, uno dei campioni in carica con autismo, che trova nel cubo magico lo strumento per fare progressi e trovare una sua strada.

Tall Girl: perché anche essere più alti della media può essere un problema o un vantaggio.

Anche su Amazon Video l’offerta di film in streaming o per noleggio a pagamento è varia e comprende produzioni italiane e internazionali:

Mio fratello rincorre i dinosauri: tratto dal libro omonimo di Giacomo Mazzariol, il film segna una nuova stagione del cinema italiano che parla di disabilità; è la storia di Giacomo e della relazione con suo fratello Gio con sindrome di Down. È utile guardarlo anche solo per leggere i segnali deboli dei fratelli adolescenti che si rapportano con la disabilità in famiglia.

Tutto il mio folle amore: anche qui un film liberamente ispirato al romanzo ‘Se ti abbraccio non aver paura’ di Fulvio Ervas; un road movie che racconta la storia di Andrea e Franco Antonello, padre e figlio autistico e del loro viaggio catartico in moto.

Wonder: tratto dal romanzo di successo di R.J. Palacio, il film non poteva che essere un successo di pubblico e di critica; è la storia di Auggi, un bambino di 10 anni con sindrome di Treacher Collins e della sua relazione con la società, minata da atti di bullismo a causa di una malformazione cranio-facciale. Ci sono dentro anche l’home schooling, la relazione conflittuale con i fratelli, il ruolo dei genitori costretti ad indossare diversi cappelli.

In viaggio verso un sogno – The Peanut Butter Falcon: molto americano ma almeno uno sport e uno scenario diverso; il protagonista con sindrome di Down, che scappa da un istituto in Carolina del Sud per inseguire il sogno di diventare un campione di wrestling.

La famiglia Belier: film francese, criticato dalla comunità sorda; indaga da dentro la vita di una famiglia di persone sorde ad eccezione di una figlia che risulta essere così l’interprete principale verso il mondo esterno.

Gleason: documentario sulla vita di Steve Gleason; ex campione di football americano che a seguito dell’avanzare della malattia di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) si trova ad interagire con il mondo grazie alle tecnologie assistive.

Le streghe: tratto dal racconto di Roald Dahal e con la regia di Zemeckis; quest’ultima edizione è da vedere anche solo per il dibattito che ha generato, ce ne ha parlato Fabia Timaco qui. Se non vi piacciono i topi, magari evitate.

Non ci resta che vincere (‘Campeones’, nella versione originale): un film spagnolo da vedere con i ragazzi. Un’interpretazione esemplare di Jesus Vidal; ingredienti tipici (la squadra di atleti con disabilità intellettiva, l’allenatore che deve scontare una pena facendo lavori socialmente utili…). Finalmente protagonisti veri che interpretano il loro ruolo.

Io sono Mateusz: film polacco. Obiettivo sfatare il principio abilista per cui le persone con una disabilità fisica devono essere per definizione anche incapaci di intendere e di volere.

Adam: una rappresentazione facile, quella del protagonista con sindrome di Asperger. Naturalmente ingegnere ed appassionato di astronomia, che si innamora della scrittrice di libri per ragazzi. Insomma.

Perdiamoci di vista: commedia all’italiana leggera. Carlo Verdone ridicolizza i talk show abilisti e poi si innamora di Asia Argento nel ruolo di una ragazza in carrozzina.

Per i più piccoli

Può essere utile vedere e commentare questi film in famiglia. Comunque esistono anche alcune serie o cartoni animati dedicati ai bambini e che offrono un utile spunto per parlare di diversità:

Nemo e Alla ricerca di Dory: Nemo è per definizione il cartone con cui meglio si identificano i bambini con una diversità agli arti, grazie alla sua pinna atrofica; ma anche nel sequel su Dory abbiamo la coraggiosa protagonista con perdita di memoria a breve termine, la balena miope Destiny, il beluga Bailey che ha perso la sua capacità ‘sonar’ ed Hank, il polpo a cui manca un tentacolo. Eppure tutti trovano un posto nel mondo.

Dumbo: ovvero la filmografia su circo e disabilità spiegata ai bambini; vi consigliamo il remake più recente di Tim Burton per mostrare ai bambini che anche gli elefanti volano, con qualche adattamento e se abbattiamo le barriere legate all’ambiente che li circonda.

Daniel Tiger: è una serie di un cartone americano che rappresenta la vita di una famiglia di tigrotti; nelle varie puntate vengono toccati argomenti legati ad empatia e valorizzazione delle diversità, includendo anche personaggi con disabilità come Chrissie.

Inside out: film da vedere per riuscire a spiegare la regolazione delle emozioni, che spesso si accompagna ad alcune disabilità intellettivo-relazionali.

Frozen: un film che rappresenta un’occasione per parlare di superpoteri a volte scomodi e per la relazione tra le due sorelle Elsa ed Anna.

Avatar: uno dei primi film di fantascienza in 3D. Definito un ‘film con la disabilità e non sulla disabilità. Racconta un mondo alla rovescia in cui un diverso dagli uomini del suo mondo, perché vive su una sedia a rotelle, è anche diverso dagli abitanti di Pandora, popolo extraterrestre dalla pelle azzurra e dal fisico imponente’.

A portata di mano su YouTube

Anche su Youtube si trovano film che vengono spesso segnalati dalle famiglie o dai giovani con disabilità; in una rete quasi clandestina o forse solo perché usciti fuori da tutti i circuiti; tra questi ricordiamo:

Il circo della farfalla: interpretato dal ‘motivatore’ Nick Vujicic. Il film rappresenta anche qui il mondo onirico del circo e dei ‘fenomeni da baraccone’ a cui viene offerta una nuova opportunità.

The Pearson twins: la storia dei gemelli Pearson la trovate in versione originale anche su Vimeo; in soli 12’ riesce a raccontare una storia di malattia genetica, la neurofibromatosi, che condiziona però in maniera diversa i due fratelli.

First do no harm: da guardare per capire la condizione disabilitante con cui convivono le persone con epilessia, e le loro famiglie.

La mia fedele compagna (‘Front of the class’ in inglese): la storia vera di un bambino con Sindrome di Tourette. Le sue sfide nel desiderio di diventare insegnante in quella scuola che tanto lo aveva deriso.

Speechless: la serie è prodotta da ABC, è stata trasmessa in Italia anche da Fox e TV2000 ma se ne può visionare qualche scena anche su Youtube. È la storia di una famiglia americana contemporanea che si trasferisce alla ricerca dell’ambiente di vita più adatto al figlio con Paralisi Cerebrale Infantile.

Stelle sulla terra: una produzione indiana. Il genere è quello del bambino con dislessia che dopo varie peripezie incontra il maestro che capisce il suo talento artistico e trova il giusto canale per insegnargli a leggere e scrivere. Fantasia.

E per finire, un cortometraggio recente e italiano, ‘Ciruzziello’, a cura di Ciro D’Aniello. Per capire al meglio la disperazione che può accompagnare le persone con disabilità e i loro familiari, quando non esistono reti di supporto o quando non si sentono rappresentati e ascoltati.
La prossima volta che cambi canale, facci caso.

(Parzialmente rielaborato da ilsole24ore.it)

Cinema oltre le barriere. 8 film per raccontare le persone con disabilità

Dal film “Mio fratello rincorre i dinosauri”

Un ciclo per raccontare la condizione delle persone con disabilità, otto istantanee di senso da (ri)scoprire in ambito pastorale, familiare ed educativo. È la proposta per l’estate della Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) – Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali e dal Servizio Nazionale per la pastorale delle persone con disabilità della Conferenza Episcopale Italiana. Ogni venerdì, a partire dal 3 luglio, sul sito Cnvf.it e sul portale del Servizio per le persone con disabilità (Pastoraledisabili.chiesacattolica.it http://Pastoraledisabili.chiesacattolica.it), verrà pubblicata una scheda cinematografica di approfondimento critico-pastorale.
Abbiamo scelto 8 sguardi – sottolinea Massimo Giraldi, presidente della Cnvf – che affrontano la disabilità non in chiave drammatica, bensì ricorrendo all’umorismo garbato e brillante. Film che si sono imposti nell’ultimo decennio aiutando a cambiare lo storytelling sulla disabilità, abbandonando stereotipi e offrendo istantanee realistiche nel segno della speranza”.
Le narrazioni cinematografiche o televisive degli ultimi anni – sottolinea suor Veronica Donatello – responsabile del Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità, “hanno offerto suggestioni importanti nella rappresentazione della quotidianità delle persone con disabilità. Molte opere hanno finalmente allargato l’orizzonte dello sguardo sulle loro esigenze per poter vivere un’esistenza piena, a cominciare dall’inserimento nel mondo del lavoro e dall’accesso ai vari cicli formativi, non dimenticando inoltre il bisogno di affettività”. Il ciclo cinematografico nasce dunque come proposta di riflessione per animare il territorio nei mesi estivi, nel rispetto delle disposizioni al tempo dell’emergenza Covid-19. Una proposta per superare barriere sociali e isolamento imposto dal Coronavirus.
Cinema e disabilità in 8 film
Si inizia venerdì 3 luglio con la commedia “Mio fratello rincorre i dinosauri” (2019) di Stefano Ciani, rivelazione alla 76a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia e vincitrice del David Giovani ai premi David di Donatello 2020, film che esplora con tenerezza il legame tra fratelli, di cui uno con sindrome di Down, tratto dal romanzo di Giacomo Mazzariol. Segue, il 10 luglio, “La famiglia Bélier” (2015) di Éric Lartigau, sul rapporto genitori-figli opera che offre uno sguardo originale sulla disabilità uditiva. Il 17 luglio c’è la commedia “Tutto il mio folle amore” (2019) di Gabriele Salvatores, storia di un padre riluttante e un giovane adolescente con Asperger che provano a riannodare i fili del cuore. Il 24 luglio spazio al mondo della scuola con la commedia educational “Wonder” (2017) di Stephen Chbosky dal libro di R.J. Palacio. Il 31 luglio è la volta del dramedy “Quasi amici” (2011) di Olivier Nakache ed Éric Toledano, la storia (vera) di un’amicizia che salva, quella tra un disabile con tetraplegia e un immigrato dalle banlieue parigine. Il tema della disabilità mentale è protagonista poi della brillante commedia italiana “Ho amici in Paradiso” (2016) di Fabrizio Maria Cortese il 7 agosto, mentre il 21 agosto si affronta il tema dell’inserimento nel mondo del lavoro per un giovane con Asperger nella commedia di Francesco Falaschi Quanto basta” (2018). Chiude, infine, il ciclo (28 agosto) “Il colore nascosto delle cose” (2017) di Silvio Soldini, dramma a pennellate romance sulla condizione della cecità tra dimensione lavorativa e affettiva.
(cnvf.it)

Tutti in piedi, il film che sa scherzare con intelligenza sulla disabilità

Interpretata e diretta da Franck Dubosc, la pellicola sarà nelle sale a partire dal 27 settembre.

Uscirà a fine settembre nelle sale italiane e promette di diventare un buon successo ai botteghini. “Tutti in piedi“, la nuova pellicola francese diretta ed interpretata da Franck Dubosc con Alexandra Lamy non solo è una commedia leggera ed irriverente, ma affronta una tematica delicata come l’umorismo sulla disabilità. In effetti non poteva essere che francese un film così ironico e dissacratorio sui molti luoghi comuni legati all’handicap.

Sui pregiudizi con cui vengono catalogati i disabili si ride e anche di gusto. Tutto si sviluppa sullo stile della classica commedia degli equivoci. Il protagonista ed impenitente seduttore Jocelyn un giorno si siede sulla carrozzina della madre di cui si è appena svolto il funerale e viene scambiato per paraplegico da una affascinante vicina, che di mestiere fa l’assistente domiciliare.

Incuriosito dalla situazione e colpito dalla donna, si finge realmente disabile, ma il suo giochetto gli prende la mano quando conosce Florence, la bella sorella della vicina. Florence è una disabile vera, in carrozzina a seguito di un incidente d’auto, che lo spiazza completamente. Finalmente Dubosc mostra una immagine delle persone in sedia rotelle per niente pietistica e molto più vicina alla realtà.
Jocelyn è il classico maschio alfa conquistatore, che non se fa scappare una. L’uomo, manco a dirlo, è un viziato imprenditore con azienda florida ed amante delle macchine di lusso. Si trova di fronte una donna vitale e vivace, piena di curiosità ed interessi. Quello che non riesce a reggere i ritmi rischierà di essere proprio lui. Jocelyn inizia una doppia vita una in carrozzina ed una “in piedi“.

Trailer Italiano

Dubosc ha raccontato di aver deciso di girare questo film in seguito ad una esperienza vissuta con l’anziana madre, che sie era ritrovata ad usare la carrozzina per poter riprendere ad uscire. La donna lo aveva fatto riflettere sulla doppia valenza di questo ausilio, che poteva essere un mezzo di libertà, ma anche un grosso limite a causa delle barriere architettoniche.
il regista ha anche ammesso di aver sempre voluto parlare di una storia d’amore tra persone caratterizzate da differenze non culturali né sociali, ma fisiche. Da sempre inoltre era incuriosito dall’idea di innamorarsi di una donna disabile e dalle sue possibili reazioni.

(blastingnews.com)

Disabili in tivù, come cambiano pubblicità e film

Da Forrest Gump allo spot di Sky. Storia dei portatori di handicap in televisione.

Esperimento virtuale: con l’espressione «disabilità in tivù e al cinema» cosa viene in mente?
Probabilmente Simona Atzori senza braccia e Giusy Versace con due protesi al posto delle gambe.
Oppure Simone Salvagnin, atleta plurimedagliato di paraclimbing, non vedente; e Urko Carmona, campione del mondo nella stessa specialità e scalatore su roccia.

TRASMISSIONI DENUNCIA. Nella categoria rientrano anche servizi e inchieste di trasmissioni come Le Iene e Striscia la notizia, in cui spesso vengono denunciate violazioni di diritti in differenti ambiti della vita di una persona con disabilità: la presenza di barriere architettoniche che impediscono l’accesso a luoghi pubblici, la carenza di insegnanti di sostegno a scuola, il mancato diritto all’assistenza sessuale.

SKY CI PROVA CON GLI SPOT. È storia recente, poi, l’irruzione del “disability world” nell’universo della pubblicità.
L’ultimo caso è quello dello spot di Sky on demand 2015.
 
Prima di questa però la tipologia usata è sempre stata quella delle campagne pubblicitarie ‘progresso’ che promuovono il sostegno alla ricerca contro la distrofia muscolare.
O che sensibilizzano sull’integrazione sociale di persone con sindrome di Down.

2012, PUBBLICITÀ ALTERNATIVA. Un esempio originale? È andato in onda nel 2012 in occasione della Giornata mondiale sulla sindrome di Down: il 21 marzo in televisione, sulla stampa e sul sito http://www.coordown.it sono state trasmesse versioni alternative di pubblicità dei principali marchi italiani, sostituendo gli attori originali con persone Down.
Più recente è invece l’utilizzo di testimonial famosi con disabilità.

L’EMPOWERMENT FEMMINILE. Proprio a Giusy Versace il 3 giugno 2015 è stato consegnato il premio “Special award pubblicità progresso” come esempio di determinazione e coraggio per tutte le donne.
Da anni la pubblicità progresso dedica i suoi spot all’empowerment femminile, sia per combattere i pregiudizi di genere sia per incoraggiare le donne a una maggior autostima.

NON SOLO MESSAGGI SOCIALI. Ora però i pubblicitari si spingono oltre: modelle con protesi o bambini con sindrome di Down non veicolano più soltanto “messaggi sociali”, ma diventano protagonisti di spot che pubblicizzano calendari, come Maya Nakanishi in Giappone, giochi per bambini, come la piccola Izzy negli Stati Uniti, capi di abbigliamento, come Seb, baby modello nel catalogo di Marks & Spencer, o uniformi e prodotti per la scuola come Natty, la cui immagine è stata scelta dalla Sainsbury, nota catena di supermercati britannica.

I bambini Down che sono stati selezionati per comparire negli spot sopra menzionati hanno i tratti morfologici tipici di che è affetto da trisomia 21, ma hanno volti bellissimi e sorrisi Durban’s.
Le donne con disabilità in tivù sembrano tutte modelle, anche quelle che non lo sono di professione.

DIVERSI CANONI DI BELLEZZA. Ci sono però disabilità con caratteristiche somatiche particolari che non corrispondono agli standard tradizionali di bellezza.
Una donna affetta da tetraparesi spastico-distonica può essere una ‘gnocca da paura’ (e ogni riferimento a persone particolari, ovvero la sottoscritta, è puramente casuale), ma non sempre le espressioni facciali o le posizioni assunte dal corpo rientrano nei modelli di bellezza culturalmente stabiliti.

LA TIVÙ AIUTA L’INCLUSIONE. La televisione e i mass media in generale possono essere considerati degli strumenti per raggiungere l’obiettivo di una reale inclusione sociale di tutte le persone con disabilità?
Serve tenere gli occhi aperti e la mente critica.
Senza dimenticare il vasto mondo delle produzioni cinematografiche: lì la disabilità è presente da molto più tempo di quanto non lo sia in tivù.
FREAKS FU IL PIONIERE. Freaks (1932) del regista Tod Browing è forse il film che apre la strada a quella che sarà la tematica oggetto di molte produzioni successive.
Ambientato nel mondo del circo, ha utilizzato attori con handicap reali.

 
RAIN MAN E FORREST IL TOP. Ci sono poi esempi di “superdisabili”, interpretati da star come il protagonista di Rain Man (1988, Dustin Hoffman) o di Forrest Gump (1994, Tom Hanks): il primo affetto da autismo e genio matematico, il secondo capace di diventare un talento della corsa nonostante i suoi deficit fisici e cognitivi.

ANCHE STORIE ”ORDINARIE”. Ci sono pure storie vere di donne e uomini “ordinari”: tra tutte Gaby – Una storia vera (1987) racconta la vita di Gabriela Brimmer, che non cammina e non parla ma muove solo un piede.
E Il mio piede sinistro (1989), basato sulla vita di Christy Brown, pittore e scrittore affermato con un handicap fisico quasi totale tranne, appunto, nel suo piede sinitro.
In queste produzioni, sebbene i protagonisti non spicchino per l’ironia, la quotidianità viene mostrata senza commiserazioni e falsi pietismi.

Altri film raccontano persone disabili alle prese con un mondo non “disable friendly” come Arianna, interpretata da Asia Argento nel filmPerdiamoci di vista (1994) alla disperata ricerca di un autogrill dotato di bagno accessibile.
SESSO, MA CON IRONIA. The session (2012), tratto da una storia vera, affronta con ironia e lucidità il tema dell’assistenza sessuale.
Mark, 38enne paralizzato dalla poliomelite, sapendo di non aver molto tempo prima di morire decide di rivolgersi a un’assistente sessuale, Cheryl, per perdere la verginità.
 

NÉ VITTIME NÉ EROI. Mark non possiede caratteristiche del supereroe, ma, d’altro canto, non accetta il ruolo di vittima della sua condizione.
I ruoli di terapista e cliente vengono scardinati: durante le sedute lo scambio umano e intellettuale tra i due è alla pari.
Mark non è dipinto come soggetto passivo o esclusivamente bisognoso di cure: piuttosto come un uomo con tutte le carte in regola per poter affascinare una donna.
E infatti le “sessioni” si concludono prima del previsto perché Cheryl, rendendosi conto del reciproco coinvolgimento sentimentale e sessuale, decide di non proseguire.

QUASI AMICI Impossibile non citare Quasi amici (2011), gioiellino di umorismo dissacrante nei confronti dei luoghi comuni sulla disabilità, con spunti di riflessione ed emozioni.
Racconta la relazione tra Philippe, miliardario paraplegico, e Driss, un giovane uomo di origine africana che entra ed esce di galera e diventa suo badante.

La famiglia del miliardario, vittima dei cliché sui “poveri disabili indifesi” e sugli “africani delinquenti”, effettua delle ricerche sulla vita di Driss e scopre i suoi precedenti penali.
«NESSUNA PIETÀ». I parenti lo mettono in guardia: «Stai attento, Philippe, questa gente non ha nessuna pietà!».
Il protagonista non si scompone e risponde: «È esattamente quello che voglio: nessuna pietà».
La stessa mission delle nuove pubblicità sui disabili.
(lettera43.it)

di Giovanni Cupidi

Cinema e disabilità: sposi felici o quasi amici?

Giovanna Vignola ha interpretato Dadina, la direttrice di giornale con acondroplasia della “Grande bellezza”

È complicato parlare di cinema e disabilità. La “settima arte”, infatti, ha prodotto una variegata e copiosa filmografia sulla “diversità”, che rende impossibile essere esaustivi nello spazio di un articolo e difficile anche decidere da quale prospettiva analizzare l’argomento. Quindi… cominciamo dalla fine, vale a dire dalla Grande bellezza, l’opera di Paolo Sorrentino che ha riportato in Italia l’Oscar per il miglior film straniero.
Nel mondo cinico e superficiale che circonda Jep Gambardella (alias Tony Servillo), si fa notare per simpatia Dadina, direttrice di un giornale e confidente del protagonista. Dadina è affetta da acondroplasia – più comunemente nota come nanismo – e in un dialogo con Jep afferma che questa caratteristica fisica è sempre la prima e l’ultima cosa che notano di lei. Dadina è Giovanna Vignola, perugina doc impegnata nel sociale, che ha detto di avere accettato la proposta di Sorrentino perché il suo personaggio «non è una macchietta», ma, al contrario, «una persona autentica e rassicurante che può essere vista come un’occasione di riscatto per chi è vittima di preconcetti».
Giovanna Vignola come Peter Dinklage, apprezzato attore con acondroplasia a proprio agio sia nelle commedie brillanti che nei contesti drammatici, vincitore di un Emmy come miglior attore non protagonista nella serie TV Il trono di spade. Conosciuto per avere vestito i panni del nano Trumpkin in Le cronache di Narnia – Il principe Caspian il ruolo più intenso della sua carriera è stato quello di Fin, l’introverso protagonista di The Station Agent (2003), che eredita dal padre una stazione ferroviaria in disuso.

Anche quello che viene considerato il primo film sulla disabilità ha portato sul grande schermo attori con nanismo. È Freaks, capolavoro di Tod Browning del 1932. Una pellicola audace, “maledetta” e leggendaria, interpretata da attori con disabilità che ai tempi erano considerati deformi fenomeni da baraccone, freaksappunto, per di più con ruoli da cattivi che ancora oggi farebbero discutere. Il film è stato bloccato dalla censura per quasi cinquant’anni a causa della violenza di alcune scene recitate da disabili che vendicano un loro amico.

Un’immagine del celebre film “Freaks”, diretto nel 1932 da Tod Browning

Meno noto, ma per l’epoca altrettanto coraggioso, èJonny Belinda del regista rumeno Jean Negulesco(1948), storia di una ragazza sordomuta sostenuta da un medico che l’aiuta ad uscire dall’isolamento. Un’“Anna dei miracoli” ante litteram, che non ha conosciuto la fama del film di Arthur Penn del ’62, quello che ha commosso il mondo con il rapporto speciale tra l’insegnante Annie Sullivan e la ribelle Helen, cieca e sorda dalla nascita.

Ma è negli ultimi decenni che il binomio cinema-disabilità è stato frequentato più spesso. La potenza narrativa e i meccanismi di identificazione che scattano durante la visione di un film rendono il grande schermo un mezzo efficace per veicolare la cultura dell’integrazione sociale, permettono di cogliere messaggi che vanno oltre i canoni estetici imperanti. Il cinema dà corpo e voce alla disabilità, ma quali modelli ci presenta? Riesce a mantenere un corretto equilibrio fra intrattenimento e riflessione?
Per capirlo, “trasferiamoci” a Hollywood. Abituata a produzioni stellari, la Mecca del cinema non bada a spese neanche quando si tratta di raccontare la “diversità”. Il disabile hollywoodiano è inserito in una cornice narrativa spettacolare, ha il volto di un attore importante, che dimostra quanto è bravo ad interpretare un ruolo fuori dal comune; tutto il film, insomma, gira intorno alla star.
L’antesignano è The Elephant Man (1980) di David Lynch, con John Hurt nei panni di John Merrick, un uomo realmente esistito nella Londra ottocentesca. Laneurofibromatosi gli deformava i lineamenti e i ricchi londinesi gli facevano visita, più per appagare il loro bisogno di sentirsi buoni che per reale umanità.
Altra storia vera, quella dello scrittore paraplegico irlandese Christy Brown in Il mio piede sinistro (1989) diJim Sheridan, con la performance da Oscar di Daniel Day-Lewis.
Raccontano invece storie inventate Rain Man, che nel 1989 consegna un Oscar a Dustin Hoffman per il ruolo del “genio-matematico-autistico” Raymond Babbit, eForrest Gump (1994), con Tom Hanks nella parte del ragazzo che attraversa la storia americana con ingenua saggezza, anch’egli premiato con la statuetta più prestigiosa.

Un Leonardo Di Caprio alle prime armi e un giovane Johnny Depp in “Buon compleanno Mr. Grape”, film del 1993

Pur lodevoli e per certi aspetti profonde, rimangono però tutte pellicole subordinate alle regole dello star system, figlie del compromesso tra finzione e vita vera, con un finale forzatamente dolce-amaro, perché il pubblico non trovi troppo “sgradevole” la presenza di un “diverso” nella storia.

Dal punto di vista della comunicazione sociale, Hollywood ha fatto certamente di meglio con Buon compleanno Mr. Grape (1993), dove si ammira la bravura di un Leonardo Di Caprio alle prime armi nei panni di un giovane con disagio psichico, e soprattutto con Mi chiamo Sam, pellicola del 2001 che vede Sean Penn nel ruolo di un uomo con il quoziente d’intelligenza di un bambino, padre attento e premuroso di una bambina, che deve lottare contro i pregiudizi per ottenerne l’affidamento.
Un’interpretazione splendida che non ottenne l’Oscar, forse perché Sean Penn porta sullo schermo un disabile nella sua normalità, senza sconti, non un “idiota geniale” come Forrest Gump che suscita un’istintiva simpatia.
La disabilità mentale, del resto, è stata affrontata in molti film, basti pensare a Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) e Risvegli (1990), appartenenti al filone “ospedaliero” di Hollywood, pellicole di denuncia rimaste nella storia del cinema con tanti pregi (in primis le interpretazioni di mostri sacri come Jack NicholsonRobert De Niro e Robin Williams), ma con il dichiarato obiettivo di suscitare quella commozione che tanto piace al grande pubblico.
E ci sono state anche trasposizioni di biografie importanti, come A beautiful mind (2001), la vita del Nobel per l’Economia John Forbes Nash, affetto da schizofrenia paranoide, Shine (1996), ovvero gli strazi del pianista David Helfgott prima dell’incontro salvifico con la compagna, e Un angelo alla mia tavola (1990), l’esistenza di Janet Frame, la maggiore scrittrice neozelandese, rinchiusa in un ospedale psichiatrico a causa di una diagnosi sbagliata di schizofrenia.
Non è invece arrivato nel nostro Paese – ed è un gran peccato – Murderball (“Palla assassina”), raro esempio di film-documentario made in USA del 2005, girato sul campo di gioco e negli spogliatoi di una squadra di pallacanestro in carrozzina. Vi colpisce la durezza dello scontro fra sedie a rotelle durante le partite, le storie personali dei giocatori descritte senza ipocrisia, la goliardia delle trasferte. Una “palla assassina” che arriva dritta allo stomaco, ma che lascia gli occhi asciutti perché ti obbliga a guardare le persone, non la loro condizione.
In altre occasioni, invece, la disabilità ha fatto da sfondo a racconti incentrati su temi forti come il pacifismo (i dubbi e i tormenti dell’America dopo il conflitto del Vietnam in Tornando a casa del 1976 e Nato il 4 lugliodel 1989, storie di reduci rimasti disabili), oppure è stata “usata” in film di genere fantastico, come allegoria per spiegare la solidarietà a volte solo apparente dei cosiddetti “normodotati”. Ad esempio, Edward mani di forbice di Tim Burton (1990) prende a pretesto la fiaba moderna di un novello Frankenstein con due paia di forbici al posto delle mani, per rappresentare l’attrazione/rifiuto verso la “diversità” e in Biancaneve diTarsem Singh (2012), più di Julia Roberts nei sontuosi abiti della strega cattiva, si fanno notare i sette nani politicamente scorretti. Cacciati dal regno in quanto “indesiderati”, non vengono infatti difesi da nessuno e si dedicano al banditismo.
E poi non può mancare il cinema sentimentale. Di primo acchito torna in mente Figli di un dio minore, titolo divenuto con il tempo un modo per definire l’intero universo della disabilità.

Una scena dal film australiano del 1998 “Balla la mia canzone” diretto da Rolf de Heer

Film del 1986, ambientato in un istituto per non udenti, percorre le tappe dell’amore tra un insegnante anticonformista e la donna delle pulizie, sorda dalla nascita. L’attrice, Marlee Matlin, porta a casa un Oscar ed è un esempio di interprete disabile anche nella vita. Marlee, infatti, non sente in quanto affetta da una malattia genetica.
Un’opera interessante, ma un po’ scontata, diversamente dall’australiano Balla la mia canzone(1998), diretto da Rolf de Heer che mette a confronto la solarità e la profondità d’animo di Julia, giovane tetraplegica, con la grettezza dell’assistente Madelaine, che sfoga le sue frustrazioni su Julia, arrivando a sedurre l’uomo di quest’ultima per affermare la propria “normalità”. Tentativo inutile, perché alla fine vince l’amore vero, non senza scene di nudo che hanno choccato e scatenato polemiche.

Fin qui pare proprio che “non ci resti che piangere”, nel senso che escludendo sporadiche scene, tutti i film passati in rassegna hanno risvolti drammatici. Eppure, con la disabilità si può anche ridere di gusto (senza cadere nel cattivo gusto, Indovina chi viene a Natale eFuga di cervelli docet, recenti pellicole italiane che indugiano su battute grevi e luoghi comuni).
In tal senso dobbiamo inchinarci ai cugini d’oltralpe che nel 2011 hanno portato nelle sale di tutto il mondoQuasi amici, il 62º miglior film di sempre, secondo il sito americano Internet Movie Data Base. Tra l’aristocratico paraplegico Philippe e il badante Driss c’è contrapposizione di possibilità fisiche, cultura, colore della pelle, condizioni economiche e sociali, nazionalità. Si stabilisce tra queste due persone così diverse unacomunicazione diretta e sincera. Le battute a tratti poco eleganti del badante Driss, le corse sulla sedia a rotelle, gli scherzi alla polizia regalano alla pellicola ulteriore verità senza precipitare nella scorrettezza. In definitiva, una storia semplice e allegra che ha incantato il pubblico di ogni latitudine. Peccato solo che in Italia (il titolo originale era Intouchables si sia intitolato Quasi amici, perché quel “quasi” rimane inspiegabile.
Già nel 1996 gli sceneggiatori francesi avevano fatto riflettere con L’ottavo giorno, nel quale il talentuoso attore con sindrome di Down Pascale Duquenne aveva redento il manager in carriera Daniel Auteuil, insegnandogli il valore della generosità.

C’è una notevole differenza tra Hollywood e l’Europa nel rappresentare la “diversità”. I lavori del Vecchio Continente, infatti, sono più introspettivi, legati alla vita quotidiana, non disdegnano tematiche forti e lasciano un finale aperto che non necessariamente riconcilia con il mondo.
Prendiamo ad esempio lo spagnolo Mare dentro, titolo evocativo per la storia vera di un ex marinaio che sceglie l’eutanasia dopo ventotto anni di immobilità in seguito ad un tuffo azzardato. Grazie anche all’interpretazione di un sublime Javier Bardem, uno dei migliori attori in circolazione, Mare dentro parla alla testa e al cuore, senza edulcorare la trama e rifuggendo i moralismi che spesso accompagnano le pellicole sulla disabilità.
Non lancia proclami contro o a favore dell’eutanasia neppure Lo scafandro e la farfalla, opera francese del 2007 di grande umanità ed elevato livello artistico. Lo spettatore “vede” il mondo attraverso l’occhio sinistro del protagonista, l’unico organo intatto in un corpo rimasto paralizzato e senza l’uso della parola dopo un malore. Giornalista affermato, Jean-Dominique Bauby si risveglia dal coma imprigionato in un corpo pesante come uno scafandro, ma il suo pensiero vola libero come una farfalla.

Kim Rossi Stuart e Andrea Rossi in una scena di “Le chiavi di casa”, film diretto nel 2004 da Gianni Amelio

Il delicato argomento della sessualità nelle persone disabili è centrale invece in La teoria del volo, film inglese del 1998, che si fregia della presenza di Kenneth Branagh nelle vesti dell’artista fallito, costretto dai servizi sociali ad assistere una ragazza con una malattia degenerativa, Jane, che vuole perdere la verginità prima di morire.

Anche in Italia possiamo annoverare qualche positivo esempio. Il meglio riuscito, a parere di chi scrive, è Le chiavi di casa di Gianni Amelio (2004), liberamente tratto dal romanzo autobiografico di Giuseppe Pontiggia Nati due volte. Vi si racconta il rapporto tra un padre, Gianni, e Paolo, il figlio quindicenne disabile che non ha mai conosciuto. Per interpretare Paolo è stato scelto Andrea Rossi, ragazzo paraplegico con un estro che da solo vale la visione del film.
Sempre un libro autobiografico, Più leggero non basta. Educazione alla diversità di un obiettore di coscienza diFederico Starnone, aveva ispirato nel 1998 la sceneggiatura di Più leggero non basta, con Stefano Accorsi in servizio civile che deve occuparsi di una ragazza con distrofia muscolare (Giovanna Mezzogiorno). Con tocco sensibile, la regista Elisabetta Lodoli ritrae un incontro-scontro che cambia la vita all’obiettore fino ad allora ignaro della disabilità.
Il tabù del disagio mentale nell’infanzia è centrale poi nelGrande cocomero di Francesca Archibugi (1993), film da cui è nata l’omonima Associazione che si occupa dei minori in situazioni di disadattamento psichico e sociale.
E ancora, per il genere commedia, ricordiamoPerdiamoci di vista (1994) di e con Carlo Verdone, film critico della cosiddetta “TV del dolore”, smascherata da una giovane donna in carrozzina (Asia Argento), arguta e senza peli sulla lingua, che cambia la prospettiva dello spregiudicato showman Verdone.
Una perla di bravura la fornisce infine Giancarlo Giannini, cinquantenne con sindrome di Down, in Ti voglio bene Eugenio del 2002.

Persone con super-risorse, qualche cliché, a volte un eccesso di zucchero, adattamenti per rendere più accessibili storie “scomode”. Ma anche personaggi vericon vissuti che trasmettono un’interiorità profonda e lasciano un segno, obbligano a non girarsi dall’altra parte.
Il cinema ci ha proposto modelli differenti e differenti scelte stilistiche hanno dato vita a risultati più o meno apprezzabili. Nei confronti della disabilità, la “settima arte” è diventata un mezzo di comunicazione, ci fa entrare nei panni dell’altro e capire quali strategie inconsce mettiamo in atto di fronte alla “diversità”. Sul grande schermo, in poche parole, la disabilità si svincola dallo stereotipo assistenziale e diventa oggetto di riflessione culturale.
(superando.it)

di Giovanni Cupidi

Con «Arrugas» l’Alzheimer arriva al cinema

Il film di animazione spagnolo, nelle sale italiane, racconta con tenerezza e ironia la malattia che ruba la memoria.

L’Alzheimer è una malattia che fa svanire la memoria e rende difficile prendersi cura di sé, a cominciare dai gesti quotidiani più semplici, come lavarsi e vestirsi. A raccontarla con tenerezza e umorismo sullo schermo è un film di animazione spagnolo, «Arrugas» – Rughe, che sta girando di nuovo l’Italia (in proiezione nei prossimi giorni da Treviso a La Spezia, da Milano a Roma), in occasione della Giornata internazionale dell’Alzheimer, che si celebra in tutto il mondo il 21 settembre. Primo nella storia degli Oscar spagnoli (Premi Goya) a vincere come miglior film di animazione e migliore sceneggiatura adattata, il lungometraggio, diretto dal regista Ignacio Ferreras, è tratto dal graphic novel omonimo di Paco Rocache, prima di scrivere la storia, ha visitato diverse cliniche per anziani.

LA TRAMA – «Arrugas» narra le avventure di Emilio e Miguel, che s’incontrano e stringono amicizia all’interno di una residenza per anziani, dove per molti la vita sembra ormai finita. Emilio, ex direttore di banca, ha un inizio di Alzheimer e deve abituarsi a convivere con gli altri ospiti, quelli che rivivono i sogni del passato, come la signora che s’immagina in viaggio per Istanbul sull’Orient Express e chi rivede, come se vivesse tra le nuvole, gli anni d’oro dell’adolescenza e del primo amore. Per ambientarsi, l’uomo potrà contare sul suo compagno di stanza, Miguel, che questa condizione l’ha presa bene, tanto da scherzarci. Entrambi cercano di non finire nel tanto temuto ultimo piano dell’istituto, dove viene recluso chi ha perso la ragione e non può più badare a se stesso. E provano ad affrontare la solitudine e la sofferenza con dignità, senza rinunciare a ridere.

VECCHIAIA ASSENTE AL CINEMA – «La vecchiaia è un tema scarsamente trattato nel cinema come nella letteratura – sottolinea Paco Roca -. Nella nostra società un anziano è come un attore non protagonista e Arrugas parla di ciò che sentono le persone anziane lontane nella vita dai ruoli principali». L’autore del fumetto ha preso spunto da racconti di vita vissuta: «Emilio, il protagonista, è il padre di un mio caro amico; ho anche conosciuto una signora malata di Alzheimer, che passava le sue giornate alla finestra pensando di viaggiare in treno».