Le persone con disabilità incontrano ancora troppe barriere anche nel digitale

L’accessibilità ai servizi da parte di aziende e uffici pubblici non è sempre garantita. L’importanza della progettazione per superare gli ostacoli

Le barriere per le persone con disabilità non consistono solo in marciapiedi senza scivoli, stazioni senza ascensore, locali senza bagni attrezzati. Nell’epoca dell’onlife, per dirla col filosofo Luciano Floridi, sono diventate digitali. “Il 90% delle disabilità è invisibile”, conferma Giuseppe Trieste, presidente di Fiaba, associazione che si occupa dell’abbattimento di barriere architettoniche. Ma anche la tecnologia non sempre resta al passo.

L’accessibilità dagli anni Ottanta a oggi

La nascita di dispositivi e periferiche per persone disabili risale agli anni Ottanta. All’epoca la produzione era su misura. Poi c’è stato l’avvento del web. Che già nel 1999 si è dotato di regole di accessibilità (Wcag). “Le regole esistono da decenni”, chiarisce Roberto Scano, uno dei pionieri del settore in Italia. L’ultima versione del Wcag, con 13 linee guida, risale al 2018. “All’inizio si seguivano su base volontaria, poi si è cominciato a renderle obbligatorie. Tra i primi gli Stati Uniti. Per l’Italia bisogna aspettare il 2004, con la legge Stanca per le pubbliche amministrazioni. Poi si è passati anche alle aziende private, con la legge 67/2006 contro la discriminazione delle persone con disabilità”, prosegue Scano.

Si può portare in tribunale chi non si adegua? Sì. Tuttavia, precisa l’esperto, “i grandi gruppi si sono conformati. Anche perché fare un sito non accessibile significa perdere un cliente oggi che le nostre attività passano sempre più per la rete, come ha mostrato il lockdown“. Discorso diverso per i piccoli, prosegue: “Nella pratica, non accade quasi mai che si denunci una piccola attività, per esempio un albergo: è più semplice cambiare struttura che fare causa”.

Fondamentale il ruolo del controllo distribuito: come nel caso dell’app Io della pubblica amministrazione, dove è intervenuta l’associazione Luca Coscioni. Risposta in 48 ore e in cinque giorni problema sistemato. “Il problema, però, è cominciare a capire che le applicazioni devono essere pensate accessibili by design: è più semplice così piuttosto che smontare tutto”, dice Scano. Ed esistono già consulenti ad hoc.

Il dramma dei documenti pubblici scansionati

Entro il 2022 il Parlamento italiano recepirà l’Accessibility Act dell’Unione europea, che riguarda tutto il digitale: dai libri di testo alle banche online ai Pos. Tutti  i nuovi prodotti dovranno essere accessibili entro il 2025. Per i prodotti già operativi, il limite è fissato nel 2030. “In Italia tutte le aziende che hanno fatturato sopra 500 milioni devono realizzare servizi accessibili. Un cittadino insoddisfatto può rivolgersi all’Agid, che apre istruttoria. E che, secondo legge e in caso di mancato adeguamento, può comminare una sanzione che arriva  fino al 5% fatturato”, dice Scano.

Spesso, tuttavia, uffici pubblici e aziende si limitano a scansionare i documenti, che però sono illeggibili per i software di riconoscimento del testo. Meglio, suggeriscono gli esperti, scrivere i documenti con un editor di testo e convertirli in pdf, formato che salva le caratteristiche di accessibilità.
Ma anche in questo caso servono alcune accortezze: come l’utilizzo degli stili e non dei grassetti per dare i titoli ai paragrafi. Per non parlare delle infografiche: senza link, sono inutili per una persona non vedente.

Tra le altre pratiche cattive, c’è quella di non inserire il testo alternativo nelle immagini quando si compone la pagina con un cms, l’uso improprio dei colori o anche la mancata possibilità di attivare la visualizzazione in orizzontale. In Gran Bretagna una società ferroviaria ha ingrigito le pagine del sito in occasione della morte del principe Filippo, col risultato che orari e prenotazioni sono diventati difficile consultabili per le persone con disturbi della vista.

Dalla tv alla scuola

I grandi, come detto, si adeguano. Word ha un controllo accessibilità, Power Point dal 2019 può leggere in contemporanea la presentazione.  Android contiene Talkback, funzione per accessibilità. In Italia la Rai sta studiando nel centro Ricerche e innovazione di Torino software in grado di tradurre autonomamente il linguaggio vocale in linguaggio dei segni. Il direttore del centro, Gino Alberico, spiega: “Stiamo lavorando da cinque anni a un sistema di traduzione che abbiamo già impiegato per realizzare le audioguide del museo Radio e tv di Torino. Oggi stiamo facendo degli esperimenti con il meteo, i cui bollettini,  per definizione, quando vengono letti da ufficiali dell’Aeronautica prevedono un vocabolario limitato: abbiamo un tasso di riuscita vicino al cento per cento”.

Ora l’idea è di sperimentare reti neurali “allenate” su centinaia di migliaia di casi in maniera distribuita,  magari con il coinvolgimento di soggetti esterni come le scuole e le associazioni. “L’idea che stavamo elaborando era mettere a disposizione una piattaforma ad accesso libero, che desse la possibilità a enti e scuole di arricchire il database dei segni. Ma ovviamente ora bisogna definire le regole del gioco. Siamo in fase in cui la tecnologia c’è: è il momento di creare degli accordi legali di copyright sui segni“, dice Alberico.

Paolo Berro, disability manager di Wind Tre, ingegnere meccanico, è stato il primo studente online in Italia. Correva l’anno 1999, vent’anni prima della didattica a distanza. “Il Politecnico di Torino stava, allora, provando a lanciare un nuovo progetto: la didattica universitaria a distanza per la facoltà di ingegneria”, racconta Berro, che, paralizzato a causa di un gravissimo incidente, non poteva seguire più le lezioni nell’ateneo a cui si era immatricolato.

Primo studente del progetto, Berro racconta di aver sentito “da subito una grande responsabilità: quella di fare bene e di farlo, soprattutto, per tutte quelle altre persone che, come me, avevano voglia di realizzarsi”. A distanza di anni, tuttavia, l’ingegnere punta il dito contro la mancanza di aggiornamento dei sistemi a supporto delle persone con disabilità: interfacce obsolete e costose, non coperte dal sistema sanitario.

E poi c’è il mancato coinvolgimento dei destinatari di questi sistemi nella fase di progettazione. “Per esperienza personale, posso dire che la presenza e i contributi di persone con disabilità, competenti nell’ambito dell’accessibilità, saranno il vero motore di questo cambiamento”, dice Berro. Gli fa eco Trieste: “Oggi nel mondo dell’informatica si parla molto di user experience per gli utenti comuni: il tema dell’accessibilità dovrebbe rientrare a pieno titolo in questo filone. Le barriere sono di qualunque tipo: significano non poter fare una cosa, non poter agire, comunicare, stare con gli altri”.
(wired.it)

Orlando: “Riconvertiremo le case dei disabili in abitazioni assistite”

Il piano illustrato dal ministro del Lavoro nella sua audizione sulle linee programmatiche del ministero anche in vista del Recovery Plan. “La dimensione dell’“abitazione assistita”, è fondamentale soprattutto per cambiare le prospettive dell’intervento in favore delle persone in condizione di disabilità e marginalità estrema, senza dimora, oggetto di politiche fortemente disomogenee a livello territoriale, spesso limitate solo a interventi emergenziali”.

Riconvertire le case di riposo per gli anziani in “Abitazioni assistite” dotate delle attrezzature necessarie e dei servizi utili per la permanenza in sicurezza della persona anziana nel proprio territorio, è l’obiettivo cui mira il Governo con finanziamenti dedicati.
Lo ha sottolineato il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, in una audizione di una settimana fa alla Commissione Lavoro del Senato sulle linee programmatiche del ministero e il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), svoltasi in sue sessioni l’11 (vedi) e il 15 marzo (vedi) scorsi, evidenziando che “elementi di domotica, telemedicina e monitoraggio a distanza permetteranno di aumentare l’efficacia dell’intervento”.

La dimensione dell’“abitazione assistita” – ha precisato – è fondamentale soprattutto per cambiare le prospettive dell’intervento in favore delle persone in condizione di disabilità e marginalità estrema, senza dimora, oggetto di politiche fortemente disomogenee a livello territoriale, spesso limitate solo a interventi emergenziali”.

Con le risorse del Pnrr, ha aggiunto il ministro Orlando, “sarà possibile superare tale situazione con investimenti mirati a livello territoriale, da realizzare attraverso i comuni titolari dei servizi sociali territoriali, in particolare quelli di dimensioni maggiori o facenti parte di un’area metropolitana, nell’ottica cosiddetta dell’housing first, ossia assistenza alloggiativa temporanea ma di ampio respiro, fino a 24 mesi, per coloro che non possono immediatamente accedere all’edilizia residenziale pubblica, affiancata da un progetto individualizzato volto all’attivazione delle risorse del singolo o del nucleo familiare, con l’obiettivo di favorire percorsi di autonomia”.

Tali soluzioni sono in grado di operare come piattaforma per i servizi domiciliari e di prossimità di nuova generazione, ben integrate nei modelli di gestione del problema, le cui applicazioni possibili sono molto varie.

Si va dai modelli più aggiornati di housing sociale, ai servizi per la vita indipendente o per la vita assistita – sottolinea Giuseppe Trieste, presidente FIABA, Fondo Italiano per l’Abbattimento delle Barriere Architettonich – dai centri polifunzionali ai sistemi abitativi intergenerazionali e multiservizi: è un mondo fluido, in divenire, funzionale all’azione imprenditoriale sociale e all’applicazione di modelli organizzativi leggeri, vicini ai desideri delle persone e coerenti con il naturale svolgersi della vecchiaia.

A nostro parere il momento attuale sembra favorevole al dibattito, in quanto i più recenti atti normativi hanno valorizzato il ruolo delle abitazioni protette, anche se hanno introdotto alcune incertezze nel confine fra queste e il tema ancora poco definito della “residenzialità leggera” di cui si parla nella riforma delle RSA.Le abitazioni assistite possono essere una valida risposta al problema dell’autonomia abitativa delle persone diversamente abili che hanno l’esigenza di staccarsi dal nucleo familiare di origine, ma che non possono o non vogliono vivere da soli, dal momento che le stesse abitazioni assistite, rispettano pienamente non solo i requisiti strutturali, ma anche di igiene e sicurezza indispensabili per tutelare chi è fragile.

Dal punto di vista di Igiene Edilizia ed organizzativo si possono individuare tre gruppi di persone per descrivere sommariamente il target al quale proporre tale soluzione abitativa a persone con disabilità che:

sono capaci di autodeterminarsi, che, supportate dai servizi socioeducativi-assistenziali e sanitari territoriali, possono vivere a domicilio con progetti personalizzati dopo un percorso in comunità;
 
in età giovane/adulta possono affrontare percorsi di autonomia abitativa e uscire dal nucleo familiare di origine, ma che hanno bisogno di un tempo per “sperimentarsi”;

sono note ai servizi socio-sanitari, il cui livello di autonomia è parzialmente compromesso, che vivono a domicilio con genitori anziani o malati, che rischiano di rimanere senza supporti.

 
Per eventuali ristrutturazioni di manufatti edilizi già esistenti – ha aggiunto poi il Presidente FIABA – da adibire ad assistite è possibile usufruire del Superbonus 110% purchè sia precvisto almeno un intervento cosiddetto “trainante” sullo stesso fabbricato, quale il cappotto termico, se l’edificio migliora di due classi energetiche; la sostituzione degli impianti di riscaldamento, se l’edificio migliora di due classi energetiche; il consolidamento antisismico, se l’edificio si trova in zona sismica 1, 2 o 3. Una volta eseguito almeno uno degli interventi trainanti, è possibile effettuare anche gli interventi cosiddetti “trainati”, che servono, tra l’altro, ad abbattere le barriere architettoniche ed alla installazione di impianti di domotica.

(quotidianosanità.it)