Parole di Carta: La forza di non mollare

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione
Testimonianza di forza di una donna che ce l’ha fatta

Il quotidiano di una donna è in genere fitto d’incombenze: casa, lavoro, famiglia e quant’altro.
Non è sempre facile poter gestire tutto, incastrare gli impegni con precisione millimetrica e farlo mantenendo comunque una certa serenità.

Le cose si complicano se interviene un imprevisto, soprattutto se si tratta di qualcosa di importante come una malattia.

Allora in molti casi, guardandosi indietro, si capisce che la vita condotta fino a quel momento, sia pur caotica e magari stressante, non è nulla rispetto al presente e si sarebbe potuta affrontare anche con meno ansia da prestazione.

Qualcuno tra coloro che ci sono passati racconta che nel periodo immediatamente successivo alla scoperta della malattia non ci si rende immediatamente conto di ciò che si sta per affrontare.Qualcuno tra coloro che ci sono passati racconta che nel periodo immediatamente successivo alla scoperta della malattia non ci si rende immediatamente conto di ciò che si sta per affrontare.

Doriana, una donna, una mamma, un’amica, racconta: “Quando mi hanno diagnosticato il tumore, all’inizio era come se stessi guardando un film, come se la cosa non mi riguardasse direttamente. Le prime lotte cominciano subito, nella ricerca del medico giusto, del centro migliore, nelle prenotazioni e nelle liste d’attesa. E’ come stare in un sogno e tutto è un’incognita. Procedendo con gli esami, si inizia a capire la gravità e allora il primo pensiero va alle persone amate, in primo luogo ai figli se ne hai. Ricordo che prima dell’intervento feci dei regali a ciascuna delle mie figlie e le affidai a persone vicine nel caso qualcosa fosse andata storta.

Come affrontare una situazione del genere senza lasciarsi travolgere dagli eventi e mantenendo la forza e la determinazione per cercare di tornare a star bene? Non ci sono purtroppo ricette valide per tutti, ma ci auguriamo che riportare la testimonianza di una donna che è riuscita a venirne fuori ricostituendo la propria vita possa essere d’aiuto ad altri.

IL CONSIGLIO

I momenti peggiori sono stati quelli successivi ai vari cicli di chemioterapia – aggiunge Doriana – Mi chiudevo in camera giorno e notte, qualunque stimolo mi faceva star peggio. Non appena mi sentivo meglio, mi precipitavo in cucina, cucinavo e mangiavo di tutto. Tutto sommato, il ricordo di quei momenti di sollievo riesce a farmi sorridere, così come l’immagine delle piante del giardino che vedevo quando finalmente mi decidevo ad aprire le persiane e mi sembravano sempre più verdi e brillanti.

Forza delle donne

Riscoprire la bellezza di ciò che di solito si dà per scontato. Un disagio non indifferente, soprattutto per una donna, è l’inevitabile perdita dei capelli che la chemio provoca. Anche in questo caso, cercare dentro di sé lo spirito giusto può fare la differenza.

Doriana ricorda: “Scelsi di tagliarli molto corti per non affrontare il trauma di vederli cadere a ciocche. Mi procurai dei turbanti colorati che mettevo in modo che una parte mi cadesse sulla spalla a mo’ di coda. Ne avevo di vari colori e li abbinavo ai vestiti. In qualche modo diventò un vezzo, m’illudevo di avere i capelli lunghi, incoraggiata anche dal fatto che chi m’incontrava e non sapeva della malattia mi faceva i complimenti per l’estro.

E’ importante anche avere un progetto, un sogno da custodire, programmarne la realizzazione quando la tempesta sarà passata. Proiettarsi nel futuro con un obiettivo da realizzare.

Nelle pause mi dedicavo alla stesura del mio libro-testimonianza Spenderò il mio capitale in cielo e appena sono stata un po’ meglio sono tornata in palestra da allieva, io che ero sempre stata un’istruttrice di fitness musicale. Il pensiero di tornare al mio lavoro mi spaventava, non sapevo se sarei stata in grado dato anche il fatto che le cure mi avevano modificato il fisico. Inoltre avevo già 42 anni e anche questo non giocava a mio favore. Una volta, in un momento di crisi lanciai contro il muro i libri sul pilates che tenevo a casa.

Anche chi ha una buona capacità reattiva, come la nostra amica, può avere momenti in cui si viene sopraffatti dallo scoraggiamento.
Che fare in questi casi? Mollare può sembrare la soluzione più a portata di mano quando le battaglie sono troppo dure e sfiancano.

Eppure: “Per caso mi accorsi che nella palestra che frequentavo c’era una sala aerobica libera e, un po’ per gioco, iniziai a intrattenere alcune delle mie compagne di corso. In breve riuscii a ricostituirmi un gruppo di allieve e da allora, un passo alla volta, ho continuato nel mio cammino d’istruttrice e di mamma, ho gradualmente recuperato le forze fisiche e mentali e rimesso in piedi la mia vita. Oggi ho una mia palestra dove insegno pilates e il mio lavoro continua a essere per me fonte di forza.”

Nei momenti in cui si sta peggio è inevitabile dover affidare la cura dei figli più piccoli ad altri. E’ possibile poi recuperare appieno il rapporto? Come procedere?

A me è successo di riavvicinarmi alle mie figlie riprendendo un po’ alla volta a fare per loro ciò che facevo prima della malattia: cucinare, accudirle, accompagnarle a scuola. E’ così, riprendendo la routine quotidiana a piccoli passi, evitando di colpevolizzarmi per i momenti in cui non avevo potuto esserci, e cercando di dare di me tutto ciò che potevo, che la mia vita ha ripreso il proprio percorso.

(Non sconfiggerai mai la mia anima)

Per concludere, Doriana ci dice che secondo lei tra le cose più importanti rimane la capacità di chiedere aiuto quando se ne ha bisogno e lasciare che al proprio posto entrino altre figure che provvisoriamente possano svolgere i nostri compiti. Se si semina bene, al momento del bisogno qualcuno disposto ad aiutarci si trova.

5 donne, il video che racconta la normalità della disabilità

Silvia, Chiara, Franca, Noemi e Laura sono 5 donne con disabilità che vivono insieme, assaporando l’esperienza di autonomia della vita adulta

Il video realizzato da questo talentuoso regista, 5 donne, ci accompagna in punta di piedi nella vita di Silvia, Chiara, Franca, Noemi e Laura, che sono 5 donne con disabilità che vivono insieme, lavorano, cucinano, guardano la televisione, chiacchierano tra loro, cantano, discutono, trascorrono le giornate seguite dagli assistenti della cooperativa e, al contempo, assaporando l’esperienza di autonomia della vita adulta.

Questo progetto è il modo con cui la Cooperativa Arcobaleno di Breno, in provincia di Brescia, ha scelto di divulgare il proprio sostegno alla vita autonoma delle donne con disabilità. L’art. 19 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, è intitolato Vita Indipendente e Inclusione nella Società, in cui si riconosce il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone. Il video realizzato da questo talentuoso regista, 5 donne, fa proprio questo, ci accompagna in punta di piedi nella vita di Silvia, Chiara, Franca, Noemi e Laura, che sono cinque donne con disabilità che vivono insieme, lavorano, cucinano, guardano la televisione, chiacchierano tra loro, cantano, discutono, trascorrono le giornate seguite dagli assistenti della cooperativa e, al contempo, assaporando l’esperienza di autonomia della vita adulta.

La decisione di contattare Michele, il regista, è venuta spontanea, perché il Pastrello è esperto in video emozionali, ed il risultato non può che dar loro ragione, sono immagini che raccontano una tranquilla quotidianità fatta di impegni, passioni, abitudini, vissuti in una coabitazione residenziale che include e non isola dalla comunità, spesso senza parole, perché i visi di queste donne e i loro gesti, spesso, non ne hanno bisogno.

«Ho conosciuto Silvia, Chiara, Franca, Noemi e Laura – spiega il regista – e ho trascorso una giornata con loro. Mi sono fatto raccontare la vita di tutti i giorni, gli impegni settimanali, che siano lavorativi, domestici o legati a un hobby, e ho chiesto quali siano le loro passioni, scoprendo chi tra loro ama l’acqua, chi ricamare, chi leggere.

Ho pensato che raccontare la loro vita indipendente non potesse essere null’altro che questo: mettere in immagini la quotidianità e il loro stare nella comunità, lasciando trasparire il legame che le unisce e che non ho potuto fare a meno di notare come sia molto fisico, affettivo. Questo non è un video sulla disabilità, ma un video con persone disabili. Non è neanche la loro storia, ma una fotografia della loro vita attuale, che è uguale alla nostra: loro come noi».

Per le protagoniste la realizzazione del video è stata un’esperienza emozionante, durante la quale si sono messe in gioco e hanno ‘recitato’ la loro vita. «Silvia, Chiara, Franca, Noemi e Laura – spiega Ketty Pellegrinelli, referente e coordinatrice dell’area Vita Indipendente della Casa Alloggio per la Cooperativa Arcobaleno – hanno così vissuto una settimana ‘avventurosa’ ma anche intensa per permettere a ‘5 donne’ di vedere la luce.

Da sempre – aggiunge – crediamo nel diritto ad una vita adulta autonoma – con la presenza minima delle operatrici professionali – per le persone con disabilità, sia fisica che intellettiva-relazionale, ed è per questo che abbiamo desiderato di realizzare un video che mostrasse la nostra realtà, in cui vivono alcune donne con disabilità».

(tratto da dilei.it)

Re Minore: Il corpo offeso

Rubrica a cura di Elena Beninati – Giornalista/Fotografa

Il corpo offeso è quello di “Samah” giovane donna tunisina violentata durante il lockdown

A 27 anni cercano di distruggerle la vita, mossi da pulsioni e senza motivazioni, così, forse per noia o semplice arroganza.
Samah è il nome di copertura di una giovane e stupenda donna tunisina, violentata nel corpo e nel cuore a Tunisi in un pomeriggio di lockdown.

Samah ha una laurea magistrale in civiltà, letteratura e lingua italiana; parla e scrive benissimo l’italiano, lavora in remoto per il servizio clienti italiano dell’operatore Lycamobile.

Mancavano due ore al coprifuoco ma doveva necessariamente recuperare il suo pc prestato ad un’amica tempo addietro.
Ho deciso di recarmi all’appuntamento a piedi. Dopo pochi passi mi rendo conto che la strada solitamente super trafficata che conduce a Beb Alioua è deserta. Ho paura e inizio a provare un senso di smarrimento, avrei voluto raggiungere al più presto il luogo dell’incontro, ritirare il computer necessario per lavorare e rientrare subito a casa.

Ancora non sapevo che la mia sensazione di turbamento si sarebbe trasformata in una tragica concretezza. Camminando scorgo all’orizzonte un uomo e una donna e mi sento più sicura, mi avvicino a loro, la donna inizia subito a farmi domande molto personali e, in un momento di distrazione, è riuscita a rubarmi il cellulare e scappare. L’uomo che aveva accanto l’ha bloccata e mi ha restituito l’oggetto.

Mi dissero che era uno scherzo e credevo che fossero sinceramente preoccupati per la mia incolumità quando si offrirono di accompagnarmi percorrendo una strada secondaria, a loro avviso più sicura. Sono stata ingenua. Quei pochi attimi cambiarono per sempre la mia vita. Cominciammo a percorrere la nuova strada insieme, ma la mia ansia cresceva. In un lampo riescono a bloccarmi e trascinarmi in uno stabile fatiscente.

Giovani che giocano a calcio

Mi conducono al secondo piano dell’edificio dove troviamo due ragazzi e una ragazza. Mi rinchiudono in una stanza, resto sola alcuni minuti. Mi era chiaro che non avrei potuto evitare in nessuno modo né lo stupro, né la morte. Pensavo che avrei preferito morire immediatamente, piuttosto che convivere per tutta la vita con una violenza di tale entità.

Fra il terrore e la confusione in uno slancio di forza mi lancio dalla finestra al secondo piano. Cado in un prato condominiale. Cado male, non riesco a muovermi, ho un dolore tremendo alla schiena, scoprirò poi, in ospedale, di essermi procurata due fratture alla colonna vertebrale.

Gli individui del sequestro mi hanno raggiunta e riportata al piano superiore. Sbattuta su di un materasso sporco e consunto due maschi hanno iniziato a picchiarmi e violentarmi a turno senza pietà. Il terzo stava a guardare. Ero vergine.

Dopo alcuni instanti che non sarei in grado di quantificare, due figure del gruppo vedendomi pressoché incosciente e incapace di muovermi, mi aiutano a rivestirmi e bloccano i miei persecutori. Pochi istanti di sollievo prima di perdere i sensi. Mi hanno lasciata sola tutta la notte.

Sarei morta con dolori atroci se la mattina seguente all’alba, il gruppo non avesse deciso di liberarmi e restituirmi il cellulare. Le due persone che avevano avuto un po’ di compassione il giorno prima mi hanno dato il nome e il cognome del responsabile. Sono rimasta sola ancora una volta e ho chiamato la polizia.

Mi hanno condotta in urgenza all’ospedale di Ben Arous, e una volta accertati i danni, trasferita direttamente in sala operatoria. L’intervento chirurgico è durato otto ore. Ho subito fratture nella prima e nella quarta vertebra, è stato intaccato il midollo spinale.

Le era stata diagnosticata una paralisi agli arti inferiori, causata dalle percosse subite. Ma nonostante gli incalcolabili danni psicologici e morali oggi Samah è in piedi pronta a rivivere e raccontare.

Il corpo delle donne
Una giovane donna tunisina

Parlo perché ho ancora voce, perché questa orribile tragedia non mi ha distrutto definitivamente, perché grazie a Dio sono ancora in vita e sto avendo molte occasioni per poter sensibilizzare la popolazione su una problematica fin troppo diffusa e accettata in tutto il mondo. Nessuno merita di subire un oltraggio così intimo dalle conseguenze imprevedibili. Sono forte e voglio diventare un supporto a chiunque sia stato vittima di abusi e di violenze”.

Oggi Samah vive nel nord Italia e ha ripreso lentamente a camminare, non è autonoma al 100 per cento e ha bisogno di cure. La sua disabilità le impedisce di vivere appieno la nuova vita che l’Italia le sta offrendo, e non essendo italiana non ha diritto in toto ad un supporto medgico ed economico adeguato alla sua condizione.

Qui in Italia molte persone tengono alla sua salute ma non basta. Il suo recupero fisico necessità di cure e il suo inserimento socio lavorativo di risorse. Restate con noi e dateci una mano!

www.leonde.org

1522 Numero Verde Antiviolenza

Sessualità, maternità, visite ginecologiche e salute delle donne disabili

Il Gruppo donne UILDM promuove una indagine rivolta alle donne con disabilità motoria per raccogliere dati su salute e condizione femminile

Per le donne con disabilità – soprattutto motorie, e soprattutto non collaboranti – le visite e ai controlli ginecologici (ma non solo) e legati alla salute femminile sono talvolta percorsi ad ostacoli, dovuti ad una lacunosa accessibilità alle strutture preposte, ma anche a una formazione mancante da parte di alcuni professionisti.
La conseguenza è una limitata accessibilità alla cura della salute sessuale, con ricadute sugli aspetti legati alla propria femminilità, ad una eventuale scelta di maternità, e alla propria sessualità in generale.

UNA RICERCA SU SALUTE FEMMINILE DELLE DONNE DISABILI

Su questi argomenti il Gruppo Donne UILDM, dopo circa dieci anni dalla prima indagine, promuove una ricerca per raccogliere dati sulla condizione femminile, in collaborazione con il Gruppo Psicologi. L’indagine, che si svolge con somministrazione di due questionari rivolti a donne con disabilità motoria, vuole indagare il livello di accessibilità ai controlli legati alla salute femminile, approfondendo anche aspetti più allargati legati al rapporto della persona con il proprio corpo, con la propria femminilità, con il corpo dell’altro che si esprime nella sessualità e in percorsi dedicati alla maternità.
Il gruppo di lavoro è composto da donne con disabilità, psicologhe e una dottoranda in Sociologia.

DUE QUESTIONARI

La prima fase della ricerca prevede la somministrazione di due questionari:

  • Questionario Sessualità, Maternità, Disabilità verrà somministrato alle donne con disabilità motoria e si focalizzerà sull’analisi delle abitudini sanitarie e sulla femminilità nella sua accezione più ampia.
  • Questionario di rilevazione Accessibilità dei servizi ostetrico-ginecologici alle donne con disabilità, da distribuire a un campione di strutture ed enti sanitari di diverse città, dislocate al Nord, Centro e Sud Italia.
OBIETTIVO DELL’INDAGINE

I dati raccolti serviranno ad avere un quadro della realtà attuale, per capire se si possa delineare una situazione di discriminazione subita dalle donne con disabilità nell’accedere ai servizi sanitari, ed eventualmente denunciare le eventuali lacune riscontrate per consentirne la rimozione. “Partendo dalle narrazioni e dall’esperienza, vorremmo proporre un’indagine che possa contribuire a una riflessione sulla sessualità in senso lato (accesso alle strutture, sapere medico, comunicazione sul rischio, prevenzione, contraccezione, gestione dei tempi biografici con i tempi sanitari della visita ginecologica-ostetrica, ecc.), sui desideri, proiezioni/immaginari e rinunce alla maternità e il rapporto con il corpo” dichiarano le promotrici nella pagina di presentazione dell’iniziativa.

COME PARTECIPARE

La compilazione del questionario, aperta fino al 30 settembre 2021, è anonima e richiede circa 20 minuti. Qui il link del questionario su Sessualità, Maternità, Disabilità

Per info:
https://gruppodonne.uildm.org

(Disabili.com)

Let’s start up: essere donne con disabilità e microimprenditrci in Palestina

Sono donne Palestinesi. Vivono in Cisgiordania, nei Territori Occupati, in una situazione economica e sociale precaria, aggravata dall’occupazione militare e dipendente dal mercato israeliano e dagli aiuti umanitari. La situazione è ancora più grave per le fasce più vulnerabili della società. Come Samira, Amani, Hiba e molte altre come loro, per le quali la possibilità di vivere una vita facile non esiste. Perché sono donne con disabilità o sono madri di figli con disabilità.

Per loro, all’essere donna in una società fortemente patriarcale, si aggiunge lo stigma della disabilità loro o dei loro figli vista come un marchio, quasi un tabù. Sono oggetto di una forte discriminazione da parte della società.
Inoltre la mancanza di servizi specifici, le barriere architettoniche, il doversi far carico da sole della cura dei figli con disabilità le escludono da ogni possibilità di autosufficienza. Private dell’accesso al mercato del lavoro vivono per sempre in situazioni di dipendenza e mancanza di autonomia economica.

Invece oggi Samira, Amani, Hiba e altre 13 donne Palestinesi nelle stesse situazioni hanno avviato nel territorio 12 microimprese sociali che gestiscono autonomamente. Molte di loro hanno coinvolto nell’attività anche i loro figli disabili. Samira ha aperto un’impresa di catering di cucina tradizionale, Ibtisam un’apicoltura con più di 50 clienti tra i quali anche grossi venditori, Farial ha aperto una lavanderia a secco e si è specializzata nella cucitura e nel lavaggio di tappeti.

È il risultato del progetto “Let’s start up”, gestito dal 2017 in Palestina dall’ONG riminese EducAid, nei Governatorati di Ramallah e di Nablus. Finanziato dall’AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo), vede tra i partner in loco le due Camere di Commercio e le Università di Nablus e Ramallah . E tra i partner italiani, Yunus Social Business Center dell’Università di Firenze, RIDS – Rete italiana disabilità e sviluppo e Piano Strategico Rimini.

Creatività e capacità imprenditoriali

Oggi Amani, un figlio con disabilità intellettiva e una figlia disabile, scomparsa di recente, è la prima donna falegname in Palestina. Prima, per la sua passione per il legno, costruiva piccole automobili, oggi con l’intervento di EducAid ha potuto dotarsi di attrezzature e ha avviato una falegnameria che produce anche tavoli e sedie da giardino.

Jawaher, una emiplegia che le paralizza metà del corpo, ha avviato un allevamento di uova biologiche. Ha formato una rete di clienti e organizzato un servizio di consegna.
Samira, con la sua impresa di catering, è felice: “Prima per strada venivo additata come ‘la madre dei disabili’. Adesso mi chiamano per nome, sono Samira, quella che cucina”.

Lara, Hiba, Manal, Ebtisam e Nisreen sono cinque giovani donne con disabilità uditiva, che a Ramallah hanno fondato una microimpresa nel campo della fotografia e dell’animazione. “Dalla nostra disabilità abbiamo imparato che la comunicazione e l’espressione artistica si possono manifestare in molti modi diversi. Ora lo stiamo mettendo in pratica.”

Diventare protagonisti della propria vita

Il modo di operare di EducAid, costituita a Rimini nel 2000 dal Ceis e dalla Cooperativa Il Millepiedi, rifugge dall’approccio assistenzialista. Come spiega Francesca Manzoni, responsabile Progetti estero, due lauree, una in Economia e commercio, l’altra in Sociologia e anni di esperienza nella cooperazione in diversi Paesi del mondo: “Il nostro metodo di intervento non è l’assistenza alle persone con disabilità, ma l’empowerment, cioè farle crescere lavorando insieme a loro fino a renderle autonome.

Questo significa il rafforzamento individuale delle persone, lo sviluppo delle loro potenzialità e capacità. Un percorso di emancipazione personale e di formazione che gli permette di riscattare la dignità attraverso la valorizzazione delle proprie attitudini e il lavoro. In Palestina abbiamo trovato molta collaborazione e sensibilità a queste tematiche anche nei partner locali, come Aswat Society e Rantis Young Ladies Society, organizzazioni attive nella promozione dei diritti delle persone con disabilità.”

EducAid, non assistenza ma coinvolgimento

Il metodo e i risultati del progetto “Let’s start up” si possono riassumere così:

  • oltre 4 anni di lavoro per selezionare, formare e affiancare le donne in un percorso di empowerment
  • 8 organizzazioni italiane e palestinesi partner
  • 47 business plan elaborati dalle partecipanti
  • 10 comunità coinvolte
  • 12 imprese sociali costituite
  • 16 donne guidate verso l’indipendenza economica e il riconoscimento sociale.

Continua Francesca Manzoni: “Abbiamo seguito un percorso manageriale e trasparente, a partire dal processo di selezione dei progetti da sostenere. Abbiamo aperto una call per raccogliere i business plan. Tutte le partecipanti sono state accompagnate in ogni fase dell’elaborazione del loro progetto. Alla fine ne sono arrivati quasi cinquanta.”

Abbiamo organizzato percorsi formativi per le start-up selezionate, sia nella gestione dell’impresa che in quella finanziaria. Quindi formazioni individualizzate per i vari settori d’impresa, stage e giornate di incontro con altre donne. Ma tutte le donne interessate a sottoporre le loro idee a “Let’s start up” sono state accompagnate fin dall’inizio.

Per tutte c’è stato il supporto di consulenti nel mettere a fuoco il loro progetto, verificarne le potenzialità e infine per l’elaborazione dei piani aziendali. “Il coaching di EducAid ha orientato le donne anche a individuare idee di impresa più innovative e di maggior impatto sociale. E ha distolto la loro attenzione dall’essere donne con disabilità, focalizzandola sulle loro capacità e potenzialità, sul loro diritto di accedere ad opportunità di lavoro.”

Ce l’hanno fatta: sono diventate imprenditrici di se stesse.

Continuare a sostenere le microimprese

Poi, però, è arrivato il Covid, oltre un anno di pandemia che ha travolto il mondo e ancora di più i Paesi in difficoltà come la Palestina. “Adesso è fondamentale non abbandonarle,” spiegano a EducAid.

Il programma prevedeva di portare in Italia le nuove imprenditrici per scambi di esperienze e per creare contatti commerciali. Ma tutto si è bloccato. Quindi si è deciso di utilizzare i fondi stanziati per aiutarle a sostenere la loro attività in loco e comprare nuove attrezzature.

Non vogliamo lasciarle sole nella fase delicata del passaggio verso la piena autonomia, reso ancora più difficile dagli effetti della pandemia.”

Per aiutare queste nuove microimprese al femminile, EducAid ha quindi avviato una campagna di raccolta fondi, appoggiandosi alla più importante piattaforma internazionale di crowfunding: https://www.gofundme.com/f/lets-start-up-imprese-al-femminile-in-palestina, con questo invito, rivolto a tutti: “Se puoi, aiutaci. Se puoi, dona.”

(newsrimini.it)

Disabilità: Lavoratrici caregiver a rischio licenziamento

Essere un caregiver familiare oggi è decisamente drammatico, specie se si è donne: madri, mogli, sorelle di persone con disabilità, in molti casi di persone con malattie rare e croniche gravemente invalidanti, o di persone anziane non autosufficienti. Parliamo di una stima di 7milioni di persone in Italia, per la stragrande maggioranza donne.

Lo Sportello Legale dell’Osservatorio Malattie Rare riceve continue richieste di aiuto: “Hanno utilizzato tutti i permessi (104 e non), tutte le ferie, i congedi, perfino l’aspettativa”, spiega Ilaria Vacca, giornalista dello Sportello Legale. “Se non sono collocabili in smart working? Se i loro familiari non possono assolutamente rischiare il contagio Covid, che fare? E quando i familiari devono essere assistiti h24 e non è più possibile affidarli a strutture semiresidenziali o caregiver professionisti non ancora vaccinati? Dal DPCM 2 marzo 2021, l’ultima misura prevista dal Governo, nessuna risposta per queste persone. Quanti di loro (e quante donne soprattutto) perderanno il posto?

La situazione dei lavoratori fragili ad oggi è drammatica, perché la maggior parte delle misure di tutela introdotte nella prima fase dell’emergenza sanitaria non sono state rinnovate”, si legge in un comunicato di Omar Osservatorio Malattie Rare. “Il DPCM 2 marzo non menziona alcuna proroga rispetto alle originali tutele previste dal Decreto Cura Italia che permettevano ai lavoratori fragili di assentarsi dal lavoro, men che meno prevede forme di tutela per i cargiver familiarei. Il ricorso allo smart working è solo fortemente raccomandato, ma nessun obbligo legale è previsto in nessun caso.

Resta attivo solo il congedo parentale straordinario per i genitori dipendenti in caso di sospensione dell’attività didattica in presenza (in zona rossa sostanzialmente) delle classi seconde e terze delle scuole secondarie di primo grado”, prosegue il comunicato Omar. “Lo stesso Congedo è stato previsto per i genitori di figli in situazione di disabilità grave – riconosciuta ai sensi dell’Art. 3 comma 3 della Legge 104/92 – in caso di sospensione della didattica in presenza di scuole di ogni ordine e grado o in caso di chiusura dei centri diurni a carattere assistenziale, indipendentemente dallo scenario di gravità e dal livello di rischio in cui è inserita la regione dove è ubicata la scuola o il centro di assistenza. Il congedo prevede il riconoscimento di un’indennità pari al 50% della retribuzione, calcolata secondo quanto previsto dalla normativa precedente.”

Gli unici specifici riferimenti alla disabilità del DPCM 2 marzo riguardano le attività sociali e socio-sanitarie (da svolgere secondo i piani territoriali e seguendo i protocolli previsti), la deroga al distanziamento sociale per le categorie effettivamente impossibilitate a rispettarlo e la possibilità di svolgere sempre attività motoria all’aperto per queste stesse categorie”, riporta la nota. “A questo si aggiunge la novità, forse l’unica davvero positiva, introdotta dal comma 5 dell’Art. 11, che introduce – per i soli territori in ‘zona gialla’ – una deroga fondamentale all’assistenza da parte di caregiver per gli accessi a visite mediche e ai pronto soccorso per persone affette da grave disabilità. Gli accompagnatori dei pazienti in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, possono ora accedere al pronto soccorso insieme al paziente.

Stando alla norma il caregiver, inoltre, può prestare assistenza anche nel reparto di degenza, ma unicamente nel rispetto delle indicazioni del direttore sanitario della struttura. Il che potrebbe implicare una certa discrezionalità rispetto alla possibilità di restare con il proprio familiare durante tutto il ricovero.

Al DPCM 2 marzo seguirà il Decreto Legge ‘Sostegni’, che dovrebbe prevedere – secondo le bozze non ufficiali circolate nei giorni precedenti – un articolo dedicato alla tutela dei lavoratori fragili. Nulla – conclude il comunicato – è previsto, ancora una volta, per i caregiver, sempre più invisibili agli occhi del mondo. Specie se donne.

(clicmedicina.it)

ELLAI: disabilità, sessualità e opportunità

Rubrica a cura di Lidia Ianuario – Blogger e Social Media Marketing Specialist / CM in Sociologia

Sei settembre duemiladiciassette. Voglio scriverla per esteso, questa data, perché in me lascia ancora oggi un segno indelebile. Mia madre mi racconta di un neurochirurgo che, madido di sudore, invoca Dio dopo ben otto ore di operazione. Dodici punti, come gli apostoli. Li porto con dignità, come la mia disabilità, chiedendomi se la vita ci riserva sorprese inaspettate a noi “combattenti”, come la canzone di Fiorella Mannoia che mio zio mi invia alle tre di notte, l’unica in cui, ignara di essere paralizzata dal collo in giù, cerco di muovere le gambe, rigide, senza riuscirci, e vado in crisi.

Sì, non sono nata così: sono grata per questa mia condizione. Oggi posso perfino nuotare, il tumore al midollo spinale ha leso molte funzioni neuromotorie, tante riprese. Nessuno crede in me, in quel periodo. Nemmeno il mio neurochirurgo, solo una fisioterapista: con lei inizia la sfida maggiore della mia vita. Riabilitare il mio corpo.

Passo dopo passo, letteralmente parlando, da più di una sedia a rotelle fino alla piscina, dove mi sento parte dell’acqua calda, che mi accarezza il corpo. Come un bambino, riprendo a essere eretta e a camminare. Tante azioni compiute nella vita quotidiana sembrano scontate. Per molti, sono un modo per superare i propri limiti.

Una come me, abituata a una vita dinamica, sempre di corsa tra un corso universitario e un’attività di volontariato, tra una lezione di fitness e una videochiamata su Skype, costretta a rimanere a letto. Una che si batte per le barriere di ogni tipo, da quelle culturali a quelle architettoniche, che sogna dei media accessibili a tutti, senza quei capchta che rendono difficoltoso un commento a un cieco o che lavora in un consorzio di cooperative e riesce ad avere servizi RAI perché i suoi progetti piacciono; una, infine, che esce senza appuntamenti prefissati, basta una telefonata e si getta al volo in una nuova avventura, che se ne fa di una vita così?

Due le alternative: accettare la realtà o sognare. Mi accingo a scegliere la seconda. Invece di quaranta minuti di riabilitazione, ben due ore, ogni giorno, sabato e domenica compresi. In meno di sei mesi – solo tre – esco dal centro della Fondazione Maugeri di Telese Terme, in Campania, centro d’eccellenza, con le mie gambe e il soprannome di “Freccia Rossa”.

In ospedale metto a soqquadro l’intero reparto, con feste ogni sera e la richiesta di non essere messa a letto alle sette di sera. Rivoluziono tutto. Alla fine, vinco. Mi presento al dottor De Falco, Primario del Reparto di Neurochirurgia dell’Ospedale “Santa Maria delle Grazie” in località La Schiana, a Pozzuoli, senza nemmeno un bastone. Lui stenta a crederci.

Bisogna avere un desiderio che diventa missione di vita: il mio è scrivere. Eccomi qui, allora, con una rubrica su donne, sessualità e disabilità, perché la prima battuta una volta operata è :”Ho gli impulsi sessuali. Tutto a posto, dottore”, con lui che risponde :”Ianuario, ci manca solo un uomo. Come lo vuole?”. “Ironico, intelligente e aitante”, la mia risposta.

Ogni mattina, quindi, le infermiere e assistenti socio-sanitarie sanno che devo lavarmi, improfumarmi, abbinare lo smalto delle dita delle mani e dei piedi al mio pigiama pulito e al mio ventaglio.

Questa è ‘nata storia, come diceva Pinuccio, noto cantautore partenopeo.
Al prossimo racconto, per affrontare, tramite la mia testimonianza, un tema troppo poco trattato.

Pudore? Assenza di una giusta e corretta informazione? Poco importa, è giunto il momento di preoccuparsi dell’affettività di noi donne disabili, perché l’una è legata all’altra. Insieme, per il diritto di amare. Iniziando da questa rubrica e dalla pagina Facebook.

Buon viaggio, lo sarà questa serie di articoli, nel vasto mondo della disabilità.

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Violenza sulle donne con disabilità: un convegno per rompere il silenzio

Oggi è di nuovo 25 novembre. E siamo di nuovo qui. A parlare di violenza sulle donne, con uno sguardo particolare rivolto al mondo della disabilità. Perché, purtroppo, il fenomeno non arresta. Anzi, con il lockdown è anche cresciuto. E quindi, ancora nel 2020, siamo qui a confrontarci e a discutere nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Sognando che un giorno non serva più, se non per coltivare la memoria e fare in modo che certi drammi non accadano di nuovo.
Ma oggi è ancora oggi. E siamo di nuovo qui. Ed è importante esserci, parlarne, scriverne. Perché durante il lockdown sono aumentati i casi di violenza domestica e, sebbene non ci siano ancora dati ufficiali nel campo della disabilità, è facile immaginare che il dato sulle violenze sia cresciuto anche in questo ambito specifico. A maggior ragione, forse. Visto che le donne con disabilità di qualsiasi tipo – fisico, intellettivo e sensoriale – sono le vittime privilegiate di una violenza fisica, psicologica e sessuale, nonché oggetto di soprusi e maltrattamenti. Ma anche di trascuratezza e dimenticanze, considerato che gli ultimi dati Istat sul tema risalgono addirittura al 2014.

Quei dati facevano già orrore. Perché dicono che il rischio di subire stupri o tentati stupri per le donne disabili è doppio rispetto alle altre: il 10% contro il 4,7%. E che il 36% di donne con problemi importanti di salute e il 36,6% di quelle che hanno limitazioni gravi hanno subito violenze fisiche o sessuali.
Eppure, passano sei anni senza che l’indagine venga rifatta e aggiornata. Sei anni.
Nel frattempo, come riporta Redattore Sociale, tra il 2014 e il 2019, ben 245 donne con disabilità – solo tra Roma e Salerno – si sono rivolte alle 11 realtà protette gestite dall’associazione Differenza Donna. E solo nell’ultimo anno, tra il 1 novembre 2019 e il 1 novembre 2020, le donne con disabilità sono state 90 su un totale di circa 1.500 donne.
A colmare la lacuna sui dati fermi ancora al 2014 era intervenuta la FISH, Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, che nel 2018 ha promosso la ricerca specifica VERA (Violence Emergence, Recognition and Awareness) in collaborazione proprio con Differenza Donna. I dati, diffusi esattamente un anno fa (il 20 novembre 2019), mostrano che su 519 donne con diverse disabilità intervistate ben 339 hanno subito violenza in qualche forma, vale a dire il 65,3%. Ma solo il 33% di loro riconosce effettivamente come violenza ciò che ha subito o che continua a subire. La forma di violenza più ricorrente è quella psicologica, subita dal 54% delle donne; a seguire la molestia sessuale, la violenza fisica e la violenza economica. E nell’80% dei casi la violenza è perpetrata da persone note alla vittima.
L’indagine è stata riproposta anche quest’anno dalla FISH, con la campagna VERA 2 lanciata a settembre, di cui non si conoscono ancora i risultati. Ma la paura che i dati possano essere in crescita è tanta. E fondatamente, purtroppo. Considerato che la raccolta abbraccia questo anno difficilissimo che è il 2020, tra pandemia e lockdown.
Ecco perché siamo di nuovo qui a parlarne. E a scriverne. Ancora. E se ne parlerà ancora domani, nel fatidico “day after”, il giorno dopo la Giornata dedicata al tema. Perché non se ne parlerà mai abbastanza, finché il fenomeno della violenza sulle donne, comprese le donne con disabilità, non sarà stato debellato e relegato dentro lo spazio della memoria, necessaria per non dimenticare. E per non ripetere gli stessi orrori.
Domani, si diceva. L’appuntamento è con il dibattito Disviolenza – Dialoghi intorno e dentro la violenza sulle donne con disabilità, tavola rotonda in streaming (dalle 15 alle 17 qui e qui) fortemente voluta dalla nostra Anna Gioria, blogger di InVisibili, “per dare visibilità a un fenomeno in crescita sul quale c’è ancora poca informazione”. I Dialoghi, moderati dal nostro Alessandro Cannavò e con la partecipazione – tra gli altri – di Fiorenza Sarzanini, anche lei caporedattrice del Corriere della Sera, sono promossi in collaborazione con +Cultura Accessibile e InVisibili e con il patrocinio di FISH. Per provare ad abbattere le barriere comunicative all’espressione della violenza ricevuta e puntare i riflettori sul protagonismo delle donne con disabilità. Per parlare di giustizia. E per rintracciare il seme della violenza nelle dinamiche e nei modelli socioculturali che ancora sopravvivono nella nostra contemporaneità, come retaggio di schemi atavici da scardinare ad ogni costo. Perché altrimenti, quando un giorno verrà chiesto chi di noi – di fronte al dramma della violenza di genere – è innocente, la riposta rischierà di essere: nessuno.
(invisibili.corriere.it)

La violenza sulle donne disabili, un aspetto ignorato

Pensate che la violenza sulle donne sia un argomento conosciuto? Ebbene, non è vero.  Le donne disabili subiscono violenza in misura decisamente maggiore rispetto alle donne non disabili. Vi è una diffusa non-conoscenza di questo fenomeno, che si rivela invece vastissimo. Vediamone subito i numeri.



I dati ISTAT
Violenze fisiche o sessuali
Donne con disabilità: 36,6%
Donne senza limitazioni: 30,4%
Stupri o tentati stupri
Donne con disabilità: 10,0%
Donne senza limitazioni: 4,7%
Violenza psicologica dal partner attuale
Donne con disabilità: 31,4%
Donne senza limitazioni: 25,0%
Stalking prima o dopo separazione
Donne con disabilità: 21,6%
Donne senza limitazioni: 14,3%
(Fonte: ISTAT, La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia)

Il Rapporto GREVIO 2020

In gennaio 2020 il GREVIO (Gruppo di esperte contro la violenza sulle donne, organismo del Consiglio d’Europa) ha pubblicato il primo Rapporto sull’Italia, che descrive lo stato di applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia e offre raccomandazioni per la sua piena realizzazione. In giugno 2020 il Dipartimento per le pari opportunità ha pubblicato la traduzione in italiano del Rapporto. Il GREVIO sottolinea che gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul (l’Italia è tra questi) devono garantirne l’attuazione senza alcuna discriminazione. Stato di salute e disabilità sono annoverati nell’ elenco di motivi di discriminazione espressamente vietati.

Lo studio di Differenza Donna

Secondo uno studio effettuato da Differenza Donna, a tutto ciò si aggiunge la mancanza di supporto specifico per donne con disabilità vittime di violenza di genere: molte di loro non sono a conoscenza dell’esistenza e delle funzioni dei Centri Antiviolenza e delle Case Rifugio o, in alcuni casi, non riescono a raggiungerli o a chiedere aiuto autonomamente. Le più a rischio sono le donne con disabilità cognitiva. Spesso, infatti, non vengono credute da coloro che dovrebbero proteggerle ma non sono preparati a riconoscere la violenza.  Frequentemente, esse dipendono da intermediari che talora sono gli stessi ad esercitare la violenza, lasciandole senza via d’uscita.

Combattere la discrimininazione tra donne

Le donne disabili vivono una condizione di discriminazione multipla, che non è solo una somma di discriminazioni, quanto una loro moltiplicazione: queste donne non godono di pari opportunità né rispetto alle altre donne, né rispetto agli uomini con disabilità. Le Associazioni che si occupano di diritti dei disabili e violenza sulle donne sono intervenute su tali aspetti, ma é tempo che tutta la società prenda coscienza del fatto che non bastano l’indignazione per l’ultimo femminicidio né le campagne social oggi tanto di moda; non bastano manifestazioni e “giornate” per garantire una reale parità: a partire, quanto meno, delle donne tra di loro.

Coronavirus e donne disabili, Filomena Gallo: «Il super bonus per la libertà»

Filomena Gallo, avvocato e Segretario Nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, fa il punto sulle donne disabili ai tempi del Coronavirus. Per superare il peggioramento della situazione economica e sociale prodotto dalla pandemia su queste persone serve un sostegno rapido ed efficace che le aiuti ad “abilitare la disabilità”


In un momento che nessuno avrebbe mai pensato di vivere, in cui tutti hanno subito privazioni delle libertà più personali e scontate, l’emergenza Coronavirus ha acceso i riflettori sui molti ostacoli e le odiose discriminazioni con cui tantissime persone nel nostro Paese si trovano ancora a fare i conti

Coronavirus e disabilità, l’effetto moltiplicatore

Si è molto discusso sugli impatti che la pandemia ha avuto sul mondo della disabilità, poco si è detto sull’effetto “moltiplicatore” che questo momento storico ha avuto sulle discriminazioni di genere. Se le donne hanno pagato il prezzo più alto della crisi sanitaria, sotto il profilo sociale, economico, ma anche del diritto alla salute – si pensi agli aborti negati e alle tecniche di fecondazione assistita sospese – le donne con disabilità hanno vissuto il rischio, doppio, di subire discriminazioni, sul lavoro, nella formazione, nella vita sociale, intima e familiare. Solo nel periodo pre-covid, secondo i dati della Federazione italiana superamento dell’handicap, per esempio, ben oltre il 65% delle donne con disabilità ha subito almeno una forma di violenza

Le barriere e i diritti

La donna con disabilità, in quanto donna, deve, infatti, fare i conti con le minori opportunità previste per tutte le donne, e, in quanto persona con disabilità, sarà soggetta alle barriere – architettoniche, sensoriali, digitali – che impediscono un pieno godimento dei diritti fondamentali. Una relazione invisibile, quella che collega la disabilità al genere – e ancora più difficile da contrastare – sottolineata anche dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (e ratificata dall’Italia), che ha riconosciuto come le donne e le ragazze siano “soggette a discriminazioni multiple

I numeri in Italia

Eppure nel nostro Paese sono ancora molti gli investimenti da fare e gli ostacoli da superare, per garantire una piena inclusione, che riesca ad andare veramente oltre ogni tipo di differenza a beneficio di tanti. Secondo l’Istat sono 3,1 milioni le persone che presentano una forma di disabilità e che, in mancanza di politiche adeguate, vivono in un lockdown perenne, con problemi di indipendenza e limitazione costante di libertà. Di queste, la metà – 1,5 milioni – ha più di 75 anni e il 60% è composto da donne. Una differenza tra generi che caratterizza tutte le fasce d’età, ma aumenta vertiginosamente oltre i 65 anni perché le donne vivono più a lungo

Serve un sostegno del reddito

Come risolvere la situazione dunque? Sicuramente nel breve periodo, l’attivazione di forme di sussidio o di sostegno del reddito, misure ipotizzate dai vari piani di “rilancio” discussi negli ultimi giorni, rappresenta una via sostenibile dal punto di vista economico e utile a contrastare povertà ed esclusione sociale. Il vero obiettivo, però, deve essere “abilitare la disabilità”, riuscire, cioè, ad aiutare le donne e gli uomini con disabilità, ad ottenere in autonomia quella dose di libertà, di autorealizzazione e di attitudine alla vita, che uno Stato non può garantire solo con un sostegno economico

Le richieste dell’Associazione Luca Coscioni

Con l’Associazione Luca Coscioni, abbiamo recentemente rinnovato al Governo le nostre principali proposte per raggiungere questo obiettivo: la necessaria realizzazione di Piani di Eliminazione di Barriere Architettoniche in tutti i comuni italiani come previsto dalla legge, una piena accessibilità digitale con equiparazione della firma digitale a quella autografa anche in ambito di partecipazione democratica, il corretto reperimento e l’erogazione di ausili e Protesi e, come per il superbonus energetico ed ecologico, l’istituzione di un “superbonus per la libertà” per garantire e investire sulle libertà del futuro: di movimento, di partecipazione, di lavoro, di vita indipendente
Nel frattempo continueremo ad assistere legalmente chiunque si veda negati dei diritti fondamentali e a chiedere alle amministrazioni locali di consentire la fruizione di tutti quei servizi che impediscono un pieno esercizio delle libertà individuali, senza lasciare indietro nessuno.

(iodonna.it)