Disabilità e diversità, risorse per le aziende

Crescono le aziende attente ai temi della disabilità e della diversità

Secondo un’indagine condotta da PageGroup su più di 100 imprese che operano in diversi settori – un campione costituito prevalentemente da manager di realtà che hanno tra 100 e 499 dipendenti (29,5%) – il 60,2% dichiara di essersi occupato di diversity management negli ultimi due anni. Il 22,7%, invece, non lo ha ancora fatto, ma lo farà nel prossimo futuro, mentre soltanto il 17% non lo farà.

Le ragioni per le quali non è presente il tema dell’inclusione può essere riassunto in due macro-aree: valore aggiunto ancora non percepito (53,3%) e mancanza di risorse per approcciare il tema (26,6%). Per quanto riguarda il ruolo dei manager coinvolti in questi processi, dalla ricerca emerge che il 61,4% dei responsabili della Diversity opera in ambito Hr e che il 22,7% è di livello senior.

«Sebbene – dichiara Pamela Bonavita, managing director di PageGroup – oltre il 60% delle aziende che abbiamo coinvolto nella nostra indagine percepisca il tema della Diversity & Inclusion come fondamentale, e questo è certamente un dato molto positivo, siamo ancora piuttosto lontani dagli standard europei: in Olanda, in Spagna o in Portogallo, infatti, più del 70% delle imprese ha a cuore questi temi e solo poco meno dell’8% non ha intenzione di occuparsene in futuro.

Abbiamo sicuramente fatto grandi passi in avanti, ma purtroppo questo aspetto continua a non essere ritenuto di valore per quattro aziende su dieci. Credo che la ragione sia da ricercare nella mancanza di risorse o di capacità per approcciare un tema estremamente complesso, ma davvero molto importante. Una adeguata strategia di Diversity Management può portare enormi benefici a ogni azienda, anche a livello di business».

Per le aziende intervistate, inclusione significa prevalentemente (65,9%) creare un ambiente di lavoro libero da molestie, intimidazioni e discriminazioni. Grande rilevanza assume, inoltre, il rispetto che deve essere garantito a tutti i dipendenti (58,5%). Quasi metà delle aziende intervistate (48,8%) ritiene, infine, che l’inclusione debba passare da un ambiente di lavoro in cui si valorizzino diverse prospettive. Due aziende su tre (72,7%) si impegnano a promuovere una flessibilità lavorativa che garantisca un miglior equilibrio tra vita professionale e vita privata; metà delle aziende intervistate (50%), invece, ha scelto di intraprendere un’attività di comunicazione interna ed esterna che mostri gli obiettivi ed i risultati della politica di Diversity Management.

Per quanto riguarda i successi esterni, più della metà delle aziende intervistate (59,1%) ha riportato un miglioramento dell’immagine dell’azienda ed una maggior capacità di attrarre talenti o trattenere i talenti (52,3%). Tra i successi interni più rilevanti, invece, si segnala la creazione di un’ambiente di lavoro più stimolante (54,5%) e una maggiore soddisfazione e fidelizzazione dei dipendenti (38,6%).

«Questi dati – aggiunge Bonavita – dimostrano quanto queste politiche abbiano un impatto positivo sia in termini di immagine esterna, sia di engagement delle risorse (attuali e potenziali). Un trend che, da quanto vediamo, si confermerà anche in futuro: le aziende intervistate che hanno intrapreso una politica di Diversity Management prevedono di poter esercitare una maggiore attrazione per i talenti (47,1%), di poter prevenire la discriminazione (43,1%) e di migliorare la propria immagine (35,3%)».

Viene confermato infatti che le pratiche inclusive sui temi di genere e identità di genere, etnia, orientamento sessuale e affettivo, età, status socio-economico, disabilità e credo religioso (le sette aree della diversity su cui si concentra la ricerca) impattano positivamente sulla reputazione dell’azienda e sulla fiducia delle consumatrici e dei consumatori, riversandosi in un indice di passaparola positivo e risultati economici migliori.

I marchi percepiti come inclusivi registrano un Nps (Net Promoter Score, indicatore del passaparola) in ulteriore crescita (+5,3 p.p.) rispetto all’anno precedente, attestandosi a +86,5%; per gli altri, l’Nps rimane invece molto basso, sebbene in attenuazione rispetto al 2021 (-77,2% vs -90,9%): un dato che conferma come il livello di attenzione e sensibilità del mercato verso questi temi si sia comunque alzato e come vengono registrati meno “scivoloni” sul tema. Si conferma inoltre il differenziale della crescita dei ricavi tra i due gruppi di aziende, con un +23% a favore di quelle percepite come maggiormente inclusive.

I dati evidenziano ancora una volta come parlare di inclusione al mercato finale in maniera coerente e affidabile non abbia controindicazioni ma porti solo vantaggi. Sulla composizione settoriale dei primi 50 brand percepiti dal mercato come più inclusivi rispetto allo scorso anno si registrano dei rimbalzi che seguono la modifica dei comportamenti pandemici avvenuta fra il 2020 e il 2021:

dopo il balzo in avanti dello scorso anno, retrocedono infatti le aziende dell’information Technology (-8 p.p.) e Media (-2 p.p.), insieme a Healthcare & Wellbeing (-2 p.p.). Riguadagnano terreno invece le aziende legate al Retail (+8 p.p.), in virtù di una maggiore possibilità di accedere agli spazi commerciali viste le calanti restrizioni pandemiche, che si conferma il settore più presente (28%), al FMCG (beni di largo consumo, +2 p.p.) e ai Consumer Services (+2 p.p.).

Proseguono la loro marcata progressione le marche dell’Apparel & Luxury goods (+4 p.p.), registrando un balzo in 3 anni dal 6 al 20% e diventando il secondo settore più indicato, grazie in primis all’adozione di un’immagine più inclusiva nelle loro campagne (special collection e così via). Dalla ricerca l’Italia si conferma complessivamente un Paese con un buon grado di conoscenza, familiarità e contatto sui temi della diversity ma ancora con una scarsa pratica, con un divario tra il grado effettivo di contatto e quello del coinvolgimento; dopo anni di assoluta stabilità su questo fronte, nel 2021 qualcosa è cambiato.

Nello specifico, disabilità, età e status socio-economico si confermano come le tre forme di diversità sulle quali la popolazione si sente più coinvolta, mentre scende lievemente il livello di familiarità, soprattutto nelle componenti del genere e dell’orientamento sessuale, e aumenta la percezione di contatto con le aree dell’etnia e della religione, controbilanciato da una percezione di minore interazione con orientamenti sessuali diversi dal proprio.

Disabilità e diversità
L’iniziativa di Andel e Università e-Campus

Gli strumenti per assicurare l’inclusione lavorativa delle persone disabili ci sono, funzionano ma non vengono applicati a livello nazionale. Come ha dimostrato Marino Bottà, direttore generale di Andel-Agenzia nazionale disabilità e lavoro, le buone pratiche esistono e sono fattibili: capendo il potenziale occupazionale di un’azienda, si è in grado di proporre l’inserimento di una persona disabile che ha le caratteristiche adatte per ricoprire quel determinato ruolo. Un altro strumento è quello delle cosiddette “adozioni lavorative”.

Le aziende con più di 15 dipendenti che non assumono la loro quota di lavoratori disabili, sono tenute a versare 8mila euro a un fondo regionale. Secondo il progetto proposto da Bottà, questi 8mila euro potrebbero essere usati per pagare un datore di lavoro che offre un tirocinio retribuito a una persona che non è nelle condizioni di essere assunta. Utilizzando questo sistema, circa 800 persone con disabilità stanno già svolgendo tirocini. Oltre ad inserire nel mondo del lavoro le persone disabili, queste buone pratiche portano le aziende ad applicare le leggi già esistenti. Ma purtroppo la strada è ancora lunga.

Il metodo delle “adozioni” proposto da Bottà oggi è applicato solo dalle regioni Lombardia, Liguria, Emilia Romagna e Veneto perché mancano gli strumenti burocratici. In attesa che la politica si attivi per fornire questi strumenti a tutto il territorio nazionale, l’Università e-Campus e Andel hanno unito le forze per creare il primo master italiano per la formazione di Disability Job Supporter, figura mediatrice fra persona disabile e il mercato del lavoro, dotata di competenze psico-pedagogiche, giuridiche ed economiche fondamentali per lo svolgimento di questo lavoro.

Inoltre Andel si occuperà del placement dell’Università eCampus e congiuntamente metteranno in campo iniziative per promuovere sul territorio nazionale le buone pratiche di inclusione lavorativa per persone disabili e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni.

“Digital Diversity Week” dal 26 al 29 aprile

Dal 26 al 29 aprile si terrà la Digital Diversity Week, l’evento digitale dedicato alle aziende che vogliono raggiungere le persone con disabilità e appartenenti alle categorie protette. Digital Diversity Week nasce dalla partnership tra Start Hub Consulting – la prima realtà a lanciare le job fair digitali – e Jobmetoo Seltis Hub – realtà specializzata nella consulenza in tematiche di Disability & Inclusion e ideatrice della piattaforma dedicata alla ricerca e selezione di persone con disabilità e appartenenti alle categorie protette.

Sul sito web dedicato all’evento, i candidati potranno conoscere le aziende partecipanti e inviare il proprio cv in risposta alle posizioni pubblicate o come candidatura spontanea. Allo stesso tempo, le aziende partecipanti avranno a disposizione strumenti dedicati alla consultazione e gestione ottimale delle candidature in ingresso. (avvenire.it)

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Paramount Pictures: l’impegno ad assumere attori con disabilità

La casa cinematografica statunitense ha scelto di attenersi alle linee guida della Ruderman Family Foundation per quanto riguarda le audizioni a interpreti con disabilità. Un ulteriore passo nell’ottica di una maggiore attenzione all’inclusione e alla diversità

La Paramount Pictures ha deciso di dare maggiore attenzione e spazio all’inclusività, scegliendo di attenersi alle linee guida della Ruderman Family Foundation per quanto riguarda le audizioni di attori che presentano disabilità.

Si tratta della fondazione filantropica privata fondata a Boston nel 2002 e gestita dalla famiglia Ruderman che si impegna a lavorare per una maggiore inclusione sociale delle persone con disabilità.

L’inclusione di persone con disabilità è fondamentale per un autentico impegno per la diversità nel nostro settore e nella nostra comunità”, ha dichiarato Jim Gianopulos, presidente e CEO di Paramount Pictures.

PARAMOUNT PICTURES DA ANNI INTERESSATA ALL’INCLUSIONE

Non si tratta di una novità in assoluto. Paramount Pictures dimostra già da anni una notevole sensibilità per quanto riguarda i temi importantissimi di diversità e inclusività.

Questo è quindi un nuovo passo verso “il consolidamento di una cultura di inclusione” che la società ha già messo in pratica in passato.Ad affermarlo è lo stesso Jay Ruderman, presidente della Ruderman Family Foundation: “Impegnandosi formalmente ad ascoltare attori con disabilità per le produzioni in studio, Paramount Pictures ha compiuto un passo importante verso il consolidamento di una cultura di inclusione che la società ha già messo in pratica per anni, anche lavorando con attori con disabilità e prendendo decisioni di casting che riflettono la rappresentazione autentica in ruoli di alto profilo“, ha dichiarato durante un intervista in esclusiva concessa a Variety.

PROMUOVERE LA DIVERSITÀ E L’INCLUSIONE

La promozione della diversità e dell’inclusione da parte del mondo dello spettacolo incomincia a diventare un capitolo principale e molto virtuoso dell’entertainment di oggi.

Siamo orgogliosi di adottare queste linee guida come un passo cruciale nel lavoro in corso per dare priorità e promuovere la diversità e l’inclusione sia nella creazione che nel racconto delle storie che condividiamo con il pubblico di tutto il mondo“, ha aggiunto il presidente e CEO di Paramount Pictures.

Tra le prime grandi case di produzione che hanno risposto all’appello di aumentare la rappresentanza di persone che presentano disabilità, spicca la CBS Entertainment. Già nel 2019 lo studio cinematografico e televisivo della CBS si è impegnato a sostenere direttamente la causa.

LE PERSONE CON DISABILITÀ HANNO AVUTO POCO SPAZIO A HOLLYWOOD IN PASSATO

Si parla di inclusione e di diversità ormai da anni nello showbiz. Tuttavia le persone con disabilità sono sempre state poco considerate dall’industria cinematografica e televisiva. In passato hanno avuto poco, anzi pochissimo spazio sui set del piccolo e del grande schermo.

Riconosciamo che la disabilità è fondamentale per la diversità, che la comunità dei disabili comprende la più grande minoranza nella nostra nazione e che le persone con disabilità affrontano l’isolamento dall’industria dell’intrattenimento. Comprendiamo che aumentare le audizioni, indipendentemente dalle dimensioni del ruolo, è un passo fondamentale verso il raggiungimento dell’inclusione nel settore. Questo studio si impegna ad aumentare il numero di attori e attrici con disabilità che fanno provini per parti in televisione e nei film“, ha dichiarato la Paramount Pictures.
(tg24.sky.it)

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La diversità e la disabilità nelle scatole dei GIOCATTOLi

Giocare è una cosa seria, una delle attività più serie che esistano. È attraverso il gioco che i cuccioli di ogni specie, quella umana compresa, imparano il mestiere della vita, e per questa ragione anche i grandi, ogni tanto, avrebbero bisogno di riaprire la scatola dei giocattoli per qualche “ripetizione”.

Non immaginiamo però il gioco soltanto come un oggetto che si tiene tra le mani; quando incontra la disabilità, infatti, può assumere forme inaspettate, trasformarsi in occasione di inclusione, fare educazione e riabilitazione, addirittura aiuta a superare le barriere architettoniche.

Bambole con disabilità

Le donne con disabilità sono state bambine e hanno giocato con le bambole, come ogni altra bimba. Lo ricordo bene anch’io, i giochi prediletti si dividevano in tre categorie: le bambole-neonato, da accudire come fossimo piccole mamme; le bambole “coetanee”, somiglianti a noi, con cui inventare avventure; la Barbie con il suo guardaroba infinito, il fidanzato, la casa, la macchina, il camper e chi più ne ha più ne metta, per giocare ad essere grandi. Nessuna bambola aveva una disabilità evidente che ne cambiasse l’aspetto e la rendesse in qualche maniera “diversa”. Le piccole disabili del XXI secolo, invece, hanno l’opportunità di giocare con bambole che presentano diverse forme di disabilità.

L’idea è venuta per la prima volta nel 2015 a tre mamme inglesi (tra le quali una giornalista non udente e ipovedente dalla nascita), per rispondere ai bisogni dei loro figli e di tutti i bimbi con disabilità. Hanno aperto un gruppo Facebook e dato il via ad una campagna denominata ToyLikeMe, letteralmente “un giocattolo come me”. 

Il messaggio di integrazione e sensibilizzazione è diventato virale, i genitori di bambini con disabilità hanno ampiamente condiviso l’iniziativa, raggiungendo un pubblico di 50.000 persone. Grazie alla notorietà raggiunta, il progetto è diventato realtà. È stata l’azienda britannica MakieLab, già nota per le bambole personalizzabili, ad accettare la sfida e a mettere sul mercato tre bamboline “like me” realizzate mediante la stampa 3D, Melissa, con una voglia sul volto, Eva, che si muove con un bastone da passeggio ed Hetty, con un apparecchio acustico che indica “ti amo” nella Lingua dei Segni.

Al prezzo di 69 sterline (circa 75 euro, non esattamente un prezzo popolare), le Makie Dolls sono progettate su misura per il loro proprietario, con l’azienda che prevede la possibilità di richiedere ai genitori le caratteristiche facciali dei bambini, in modo tale che le bambole possano assomigliare ai loro figli. Oggi sul loro sito si trovano indirizzi di diverse aziende che producono bambolotti e peluche sulla sedia a rotelle, con cicatrici, protesi eccetera.

Negli Stati Uniti, per la non modica cifra di 100 dollari, si può acquistare una bambola realizzata a mano che rappresenta le stesse disabilità delle bambine a cui è destinata. Anche in questo caso l’iniziativa è partita da una mamma che ha promosso la campagna di fundraising A Doll Like Me.

E c’è cascata anche la Barbie: la sua dimora superlusso, infatti, non era accessibile e la sua amica Becky, in sedia a rotelle, non passava dalle porte e non poteva salire sulla macchina! È realmente accaduto nel 1997, con la Mattel, casa produttrice della bambola più famosa del mondo, che ha commercializzato la sua compagna di avventure in carrozzina e soltanto in seguito si è accorta che non poteva entrare in casa e a bordo dell’auto. Una buona intenzione finita in un flop, come nella vita vera, se è vero che anche nell’immaginario mondo di Barbie l’accessibilità è spesso difficile da raggiungere.

Accusato di spingere le bambine verso stereotipi di bellezza irraggiungibile, nel 2016 il colosso dei giocattoli ha lanciato la linea Fashionistas con quattro tipi di bambole dalla diversa silhouette, dalla più magra alla più in carne, sette tonalità di carnagione, ventidue colori degli occhi e ventiquattro acconciature differenti.

Nel giugno del 2019, quindi, sono state messe in vendita due Barbie con disabilità, una seduta sulla sedia a rotelle disponibile in due versioni, classica bionda oppure di colore, l’altra con i capelli scuri, grandi orecchini dorati e una protesi alla gamba. Il prezzo, circa 20 dollari la prima e 10 la seconda, ha l’ambizione di raggiungere una platea vasta, anche se lo slogan che le accompagna, («Puoi essere tutto ciò che desideri»), è realistico fino a un certo punto, visto che le Barbie con disabilità hanno la vita da vespa e il viso supertruccato, nella più classica tradizione della bambola Mattel.

Come dire, se sei sulla sedia a rotelle ma con qualche chilo di troppo e in versione acqua e sapone “vai un po’ meno bene”.
La nostra Giusy Versace ha disegnato, invece, una Barbie con le gambe tempestate di cristalli Swarovski, protesi gioiello da cambiare al posto delle scarpe.

Dino Island, quando un videogioco diventa riabilitazione

Le mamme devono staccare la spina dal muro per obbligare i loro pargoli ad allontanarsi dai videogiochi. Eppure, come ogni cosa, anche questi moderni prodotti dell’industria ludica non sono “cattivi” in assoluto, bisogna solo usarli nel modo giusto. Numerosi studi ne attestano l’efficacia terapeutica per patologie e disabilità in pazienti giovanissimi, in particolare nei disturbi dello sviluppo neurologico e nelle lesioni cerebrali.
La ricerca più recente è proprio di quest’anno e arriva dall’Università di Victoria, in Canada, dove è in fase di sperimentazione, su trentacinque famiglie, Dino Island, un videogioco ambientato su un’isola fantastica sulla quale si devono affrontare sfide di difficoltà progressiva.

Si parte da una constatazione elementare: se un gioco risulta interessante, non può che generare positivi cambiamenti. Dino Island comprende cinque giochi che si adattano alle performance personali del bambino, pertanto ogni livello completato regala bonus da “spendere” virtualmente per acquistare oggetti necessari nella prosecuzione dell’avventura. Il team di ricercatori ha progettato un’esperienza non troppo difficile, ma neanche troppo semplice, per non incorrere in frustrazione o perdita di interesse. I risultati preliminari sono molto incoraggianti: sono migliorati la concentrazione, la memoria, la capacità di trattenere le informazioni, il controllo delle emozioni e, in alcuni casi, ne ha beneficiato perfino il rendimento scolastico. Il videogioco è studiato per essere vissuto in compagnia di un adulto, presto si spera di coinvolgere anche bambini con disturbi dello spettro autistico e deficit dell’attenzione.

…e con i LEGO si superano le barriere architettoniche

L’inclusione si costruisce mattone dopo mattone. Anzi, mattoncino dopo mattoncino, per essere precisi con i mattoncini più divertenti e noti, quelli della LEGO. Inventati per giocare con la fantasia, sono diventati perfino materiale da costruzione per rampe utili al superamento delle barriere architettoniche, ma cominciamo dal principio.
Le mamme di ToyLikeMe si sono rivolte ai vertici dell’azienda, chiedendo maggiore attenzione verso la disabilità attraverso una petizione online sul sito Change.org che ha raccolto oltre 20.000 firme. Accolto l’appello, nell’estate del 2015 la linea Duplo ha sfornato venti nuovi omini, tra cui un anziano signore in sedia a rotelle spinto da una ragazza.

Accusata di essere caduta nello stereotipo del disabile non autosufficiente e sempre bisognoso di essere accompagnato (che comunque nella realtà esiste, quindi perché non dovrebbe trovare una rappresentazione?), l’anno successivo il gruppo LEGO ha presentato il set Fun at the Park, destinato ai bambini dai 5 ai 12 anni, con un giovane in carrozzina senza “badante” e un bimbo anch’esso sulla sedia a rotelle.

Fin qui restiamo nell’àmbito del gioco vero e proprio, però, con questo particolare gioco, l’inclusione è uscita dal mondo in miniatura della scatola di mattoncini ed è approdata in città, per abbattere le barriere in modo creativo e colorato. Merito di una simpatica signora tedesca in sedia a rotelle, Rita Ebel, che ha assemblato rampe mobili con LEGO e colla vinilica. I suoi scivoli, oltre ad avere il pregio di approcciarsi alla disabilità in modo leggero e divertente, sono pratici e possono essere facilmente spostati da un negozio a un ristorante, da un ufficio a un marciapiede troppo alto.

Sono di diverse dimensioni, adattabili a spazi differenti, ognuno corredato da una scheda tecnica di realizzazione. Schede che sono arrivate in Italia, alla Cooperativa veneta L’Iride che, incuriosita dall’invenzione, ha contattato Rita, trovandola subito disponibile a collaborare per esportare la sua idea. È così che in punti strategici di Padova e dei centri limitrofi Selvazzano Dentro e Saccolongo, le città dove opera la Cooperativa, sono stati posizionati dei contenitori per raccogliere mattoncini donati dai cittadini. Con il passaparola, in pochi giorni, ne sono arrivati a sufficienza per costruire le prime rampe.

Una quindicina di persone con disabilità che frequentano Iridarte, il laboratorio della Cooperativa, si sono messe all’opera con entusiasmo e tanta voglia di fare, suddivise in gruppi di cinque per rispettare le regole di contrasto al contagio. Numerosi negozi si sono fatti avanti, sia per contribuire alla raccolta, ospitando un contenitore, sia per dotarsi di una rampa LEGO; il Comune di Selvazzano Dentro vorrebbe contribuire, idem quello di Verona. Chissà in Danimarca, nella casa madre dei mattoncini, quanti pezzi verranno scartati perché fallati e non adatti al commercio…

Questo hanno pensato in Cooperativa, e detto fatto hanno chiesto alla LEGO di mandarli in Italia, per dare ulteriore spinta all’iniziativa e una seconda vita a giocattoli altrimenti da buttare. Se l’industria accetterà, potremo vedere le nostre città “colonizzate” dai colori dell’infanzia, senza dimenticare che la priorità è abbattere le barriere con il metodo classico e costruire rispettando le normative dell’accessibilità.

L’identificazione del bambino con i suoi giochi e la pubblicità connessa è stata analizzata da uno studio di COFACE Families Europe che nel 2015 ha sfogliato trentadue cataloghi di giocattoli di nove Paesi europei, Italia compresa, trovandovi “raffigurati” 3.125 bambini, dei quali 2.908 con la pelle bianca, 120 di colore, 59 di famiglie “miste”, 31 asiatici e 7 mediorientali, nessuno con disabilità visibili.
Forse sono troppo “vecchia” per esprimere un’opinione su queste iniziative, ma non staremo esagerando con il “politicamente corretto” e perdendo di vista il nocciolo della questione? Se ripenso alla mia infanzia, non ricordo di aver mai sentito la necessità di tenere tra le mani un “fac-simile” di me, seduto sulla sedia a rotelle, ero perfettamente a mio agio con i bambolotti in commercio. Certo, è giustissimo che i giocattoli rappresentino la diversità delle persone, sia essa costituita dal colore della pelle, sia dalle caratteristiche fisiche.

Maneggiando sempre giochi “perfetti”, in una società che ha fatto dell’esteriorità il suo mantra, se non adeguatamente supportati, i bambini rischiano di diventare adulti considerando la perfezione, anche fisica, come unico modello a cui aspirare. E tuttavia, nel caso specifico ad esempio delle bambole con disabilità, c’è il rischio che diventino un prodotto di nicchia, capace di raggiungere soltanto chi ha già una particolare sensibilità verso il tema dell’inclusione, mentre bisognerebbe lavorare perché diventassero utili compagne di crescita anche e forse ancor di più per le bimbe senza disabilità.

Non possiamo delegare ai giocattoli queste tematiche e il cambiamento della cultura, non basta dare un gioco inclusivo e pretendere che i bambini capiscano da soli l’importanza di eliminare i pregiudizi; non vanno mai dimenticati, infatti, il ruolo della famiglia, dell’esempio quotidiano e della società tutta.
Facciamo un esempio banale: se un genitore parcheggia sistematicamente l’auto nel posto riservato alle persone con disabilità senza averne diritto e dopo regala la Barbie in sedia a rotelle o il LEGO con l’omino disabile ai suoi figli, pensate sia sufficiente per educare alla diversità?

(superabile.it)

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VISIONI DIVERSE” CINEFORUM A VILLA BUTERA DEDICATO ALLA DISABILITÀ E ALLA DIVERSITÀ

Si chiama “Visioni diverse” ed è una serie di appuntamenti cinematografici organizzati dall’associazione “La terra nelle nostre mani” e patrocinata dal Comune di Bagheria su interessamento dell’assessorato alle Politiche sociali coordinato da Emanuele Tornatore.
Il cineforum che prenderà il via martedì 28 luglio 2020 vuole puntare ad accendere i riflettori sul mondo della diversità, della disabilità. Ogni appuntamento sarà introdotto dalla dottoressa Giusy Calò

 Si tratta di proiezioni con “visioni diverse”, sia per il contenuto delle pellicole che affrontano il tema della disabilità, ma anche per il punto di vista dal quale si affronta la condizione della disabilità. una occasione per riflettere, per incontrarsi e confrontarsi, senza pregiudizi, senza orpelli e ipocrisie.

Il primo spettacolo di martedì 28 luglio 2020, alle ore 21,00 si intitola “Figlia del silenzio” (titolo originale: The Memory Keeper’s Daughter) è un romanzo dell’autrice statunitense Kim Edwards che racconta la storia di un uomo che abbandona sua figlia appena nata, affetta da sindrome di Down. Pubblicato da Viking Press nel giugno 2005, il romanzo ebbe molto successo nel 2006, ed è stato inserita nella lista dei best seller del New York Times. 
Seguiranno: “Mi chiamo Sam” il 4 agosto; “Quasi amici” il 25 agosto e “Wonder” il primo settembre. 
Le proiezioni si teranno nella corte di villa Butera alle ore 21, 00. Saranno rispettate le norme anticovid così come previsto dalla normativa vigente relativamente al distanziamento. Potranno avere accesso sino ad un massimo di 50 persone.

Si prega gli spettatori che vorranno intervenire di portare con sé i DPI mascherina e gel disinfettante. 
L’ingresso è gratuito.

(comune.bagheria.pa.it)

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Principesse Disney e disabilità, un tabù non ancora sfatato

L’hanno insegnato le copertine patinate delle riviste fino a pochi anni fa, accanto ai modelli di perfezione raggiungibili grazie alla chirurgia plastica, alle diete e alle bambole di plastica che da oltre sessant’anni entrano nelle case di milioni di bambini nel mondo. Le Barbie, per l’appunto, sempre impeccabili e affiancate da uomini altrettanto idealizzati, i loro fidati compagni per tutta la vita: Ken. Bisogna essere belli, anzi bellissimi, e appunto perfetti. Come le Principesse Disney, ad esempio.

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