Disabili, il lavoro che non c’è. Sempre più crisi: serve un piano

Marina ha 50 anni e lavora per una cooperativa che si occupava di pulizie in uno sporting club. Il centro non ha ancora riaperto, a causa dell’emergenza Covid. Marina, che ha una lieve disabilità psichica, rischia di non riprendere più a lavorare.

Damiano di anni ne ha 21 e vive nel Milanese. Due importanti operazioni mediche subite da bambino e il ritardo mentale gli hanno reso molto difficoltoso il percorso scolastico. Alla fine, con grande impegno, ha ottenuto una qualifica professionale. “Qualche mese fa – racconta sua madre Eleonora – è stato assunto in un piccolo supermercato ed era al settimo cielo. In questo periodo però la clientela scarseggia, gli hanno ridotto l’orario da otto a quattro ore e il contratto sta per scadere. A casa si annoia e senza niente da fare rischia di perdere l’autonomia così faticosamente conquistata”.

Fabio invece ha la sindrome di Down. Si è diplomato con il massimo dei voti all’alberghiero e ha ottime referenze dai tirocini. Ma oggi non trova lavoro e la scuola, su richiesta della famiglia, è riuscita ad attivare per lui un altro periodo di tirocinio: un paradosso, dato che il ragazzo ha già superato brillantemente la maturità.

Tre storie emblematiche di questa faccia dell’emergenza lavoro: in Italia ci sono un milione di persone disabili disoccupate o in cerca del primo impiego, con probabilità assai scarse di trovare un posto in tempi ragionevoli, vista anche l’emergenza sanitaria. Il sistema pubblico di collocamento non riesce a realizzare più di 20/30mila inserimenti l’anno, a fronte di oltre 800mila iscritti. Il risultato è che in Italia su 100 persone disabili tra i 15 e i 64 anni in grado di lavorare solo il 35,8 per cento lo fa, contro una media del 57,8 per cento per i normodotati. A restare quasi completamente escluse sono le persone con disabilità più complesse, determinate da problematiche psichiche, intellettive, relazionali, o da malattie rare. La media europea dell’inclusione lavorativa dei disabili supera invece il 50 per cento.

A rischio

Ma questa situazione, già drammatica, potrebbe peggiorare con il termine del blocco dei licenziamenti che mette a rischio diverse migliaia di lavoratori disabili, tra i quali molti over 50. L’età media di questa categoria, in Italia, è pari a 59 anni. Proprio per favorire una riforma strutturale del sistema di collocamento delle persone disabili è nata nei giorni scorsi «Andel – Agenzia nazionale disabili e lavoro», soggetto non profit che opererà in questo ambito. L’obiettivo? Colmare il vuoto di «idee, strumenti e professionalità adeguate a progettare e gestire il collocamento mirato e i percorsi personalizzati di accompagnamento al lavoro, indispensabili per la maggior parte delle persone con disabilità, sul modello di quanto accade in molti Paesi europei e anche in alcune realtà locali del nostro Paese, dove vengono realizzate con successo sperimentazioni e buone pratiche», spiegano dall’agenzia. A usufruire dei suoi servizi saranno aziende, Comuni, scuole, università cooperative sociali.

Per la prima volta anche il Terzo settore, con le associazioni dei disabili, sarà co-protagonista dell’inclusione lavorativa. C’è molto da fare. A partire per esempio dall’urgenza di ridurre il divario di opportunità fra Nord e Sud: stando ai dati odierni, una persona con disabilità residente nel Centro o al Sud ha probabilità quasi nulle di essere inserita lavorativamente mediante il sistema pubblico. Neppure gli incentivi alle imprese almeno per il momento funzionano: nonostante la loro consistenza (fino al 70 per cento della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali e fino a 60 mesi) le aziende che li utilizzano sono sempre state poche migliaia. E dalle circa tremila che vi hanno fatto ricorso nel 2016 e nel 2017 siamo scesi a poco più di mille negli anni successivi.

Avvicinamento

«Un dato così deludente non può che portare alla conclusione che l’intero sistema deve essere riformato», hanno spiegato Marino Bottà e Enrico Seta, direttore generale e presidente di «Andel». Entrambi recentemente hanno incontrato il ministro della Disabilità Erika Stefani, nella sede del Ministero. L’obiettivo dell’agenzia è realizzare, entro il 2026, azioni qualificate di avvicinamento al mercato del lavoro per circa 100-200 mila persone disabili. Secondo Andel «la crisi post-pandemica e il programma Next Generation Eu sono una preziosa occasione per intervenire con incisività». Per questo l’agenzia ha chiesto al Ministero di inserire una linea d’azione per l’inclusione lavorativa delle persone disabili nel piano italiano di accesso alle risorse europee del Recovery Fund.
(corriere.it)

Detto tra Noi: Caregiver e dintorni

Una Rubrica a cura di Angiola Rotella – Presidente Insieme per l’Autismo ONLUS

La crisi politica che stiamo vivendo in questo periodo, che speriamo si risolva al più presto, ci mette nelle condizioni di dover constatare che, ancora una volta e con una ennesima scusa, la disabilità continua inevitabilmente ad essere trascurata.

La speranza è ormai il sentimento motore delle persone che vivono questa condizione ed è un sentimento che fa credere che, presto o tardi, si esca da questo anonimato forzato e si riconquisti quella dignità che purtroppo continua ad essere calpestata dalle innumerevoli priorità che, evidentemente, non tengono conto del diritto alla vita negato alle persone con disabilità ed ai caregiver per naturale conseguenza.

Infatti oggi voglio soffermarmi sulla figura “disgraziata” del caregiver.
E’ stato pubblicato, infatti, pochi giorni fa, su G.U., il decreto ed il riparto delle risorse relative al triennio 2018/2019/2020 destinate alle regioni che devono utilizzarle per “interventi di sollievo” ai caregiver familiari.
La cosa mi preoccupa molto, se si tiene conto di quanto già evidenziato prima.
Proprio perché in un momento di totale assenza dello Stato, gli interventi di sollievo potrebbero essere molto distanti dai reali bisogni dei caregiver che mai come oggi si traducono in “emergenza economica”.

Tocca fare molta attenzione a come le regioni intendono interpretare il decreto in questione perché di avvoltoi sulle spalle dei disabili e delle loro famiglie ce ne sono già abbastanza.
A tal proposito numerose associazioni a tutela dei diritti delle persone con disabilità e loro famiglie si sono già premurate di chiedere incontri alle relative regioni per poter insieme individuare i percorsi migliori.

Sarà sufficiente?
Essendo direttamente coinvolta, in quanto io stessa caregiver, mi auguro che si tenga conto del momento storico che si sta attraversando e di tutte le relative ripercussioni a danno dei caregiver.
E’ stato ed è tuttora molto duro occuparsi dei propri cari con disabilità al tempo del covid. E’ necessario uno sforzo in più per entrare davvero nelle case delle persone con disabilità e rendersi conto delle infinite sfumature che rappresentano i giorni difficili che viviamo.
Il mio personale augurio di potervi dare al più presto, buone notizie.

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