Disabilità: un algoritmo musicale migliora il sonno dei piccoli

Un algoritmo musicale migliora il sonno dei bambini disabili, li rilassa e riduce lo stress dei genitori.

Si tratta di una precisa sequenza di suoni, voci, musiche e immagini sviluppata dai ricercatori dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù e personalizzata in base alle necessità di ciascun paziente. La nuova tecnica riabilitativa è stata sperimentata durante il primo il lockdown del 2020 come terapia sostitutiva delle sedute in Ospedale per garantire la continuità delle cure anche a casa. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “Journal of Telemedicine and Telecare”.

Il metodo riabilitativo sviluppato dai ricercatori del Bambino Gesù si chiama “Euterpe”, dal nome della mitologica dea della Musica. Viene regolarmente utilizzato dai terapisti del Dipartimento di neuroriabilitazione del Bambino Gesù, diretto da Enrico Castelli, per la stimolazione multisensoriale dei bambini con disabilità motorie e neurologiche attraverso l’uso combinato – secondo le necessità del paziente – di suoni, musiche, immagini, aromi, oggetti, strumenti e luci.
Durante il primo lockdown del 2020 questa terapia è stata rielaborata per essere eseguita anche a domicilio (teleriabilitazione). Sono stati così realizzati dei componimenti audio-video personalizzati che contenevano suoni a particolari frequenze, musiche originali, la voce della mamma e del bambino stesso, canzoni e ninne nanna familiari, immagini legate a momenti piacevoli registrate durante le sedute al Bambino Gesù.

Lo studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di neuroriabilitazione del Bambino Gesù ha coinvolto 14 pazienti affetti da diversi disturbi neurologici (paralisi cerebrale infantile, sindromi genetiche, malformazioni cerebrali), tutti al di sotto dei 12 anni (età media 7 anni e 5 mesi). Al termine della sperimentazione, gli effetti della terapia a domicilio sono stati valutati con appositi questionari scientificamente validati. Dall’analisi sono emersi dati statisticamente significativi. In particolare la riduzione dei disturbi del sonno dei bambini, i livelli di stress dei genitori e il miglioramento della relazione bambino-genitore.

Oltre ai risultati raggiunti – dice la neuropsichiatra infantile Sarah Bompardè importante sottolineare che, grazie a questo studio, i bambini hanno potuto proseguire, seppure in modi e tempi diversi, una terapia riabilitativa. Siamo riusciti a dare un importante supporto anche ai genitori, preoccupati che la disabilità dei figli potesse peggiorare con la sospensione delle terapie riabilitative in Ospedale. È importante inoltre sottolineare che tutte le famiglie hanno proseguito la somministrazione dei componimenti audio-video personalizzati anche dopo il termine dello studio, dati i numerosi benefici riscontrati. Tra i nostri obiettivi futuri vi è sicuramente quello di condurre studi su un numero maggiore di pazienti e con patologie diverse”.

(agensir.it)

Recovery plan e disabilità: nuove risorse e lacune antiche

Sulla disabilità che cosa esprime il PNRR? Chi ha redatto il Piano dimostra di conoscere gli elementi portanti della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 che spazia dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. Tuttavia, il “tema” disabilità è sostanzialmente confinato nella missione sull’inclusione sociale. Anzi, in una parte di quella missione

Inquadriamo lo scenario usando la stessa sintassi governativa. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, lo strumento predisposto a Bruxelles per rispondere alla crisi provocata dalla pandemia da Covid-19. È strettamente necessario che il Piano sia elaborato in modo congruente alle richieste UE per poter contare su un contributo mai visto e che sfiora i 200 miliardi. Il Governo Conte ne aveva elaborato una prima deficitaria versione.

Il Governo Draghi ci ha rimesso le mani ne ha inviato testo e schede tecniche al Parlamento. Sarà al centro del Consiglio dei Ministri di domani e poi della discussione parlamentare lunedì e martedì prossimi. Infine sarà approvato in una nuova riunione del CdM e inviato a Bruxelles.
Il Piano (chiamato anche Recovery Plan) è articolato in sei missioni: digitalizzazione; innovazione; competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità sostenibile; istruzione; cultura e ricerca; inclusione e sociale; salute.

Attorno alle oltre 318 pagine del PNRR, non solo per la vastità del documento, è difficile esprimere sia una stroncatura, che certo non merita, che un acritico apprezzamento. Molti invece gli interrogativi, talora pessimistici ma più spesso sinceramente ispirati dalla curiosità di conoscerne la effettiva applicazione e ricaduta sulle persone, sulle famiglie, sulla collettività.

Sulla disabilità che cosa esprime il PNRR? Chi ha redatto il Piano dimostra di conoscere gli elementi portanti della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 che spazia dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. Lo dimostra e la cita assieme ai preoccupati report (2017) del Parlamento europeo.

Tuttavia, il “tema” disabilità è sostanzialmente confinato nella missione sull’inclusione sociale. Anzi, in una parte di quella missione. Se alcuni elementi sono certamente apprezzabili (al netto di come verranno effettivamente realizzati), non emerge una visione d’insieme articolata e che colga, almeno in nuce, le complessità irrisolte su disabilità e non autosufficienza, su inclusione e pari opportunità, su segregazione e isolamento.

Nella missione riservata all’inclusione sono previste per la disabilità due specifiche linee di intervento. La prima è quella delle infrastrutture sociali che dovrebbero “rafforzare il ruolo dei servizi sociali locali come strumento di resilienza mirare alla definizione di modelli personalizzati per la cura e il miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità, anche attraverso il potenziamento delle infrastrutture sociali che coinvolgono il terzo settore.” Non è ancora chiaro di cosa si intenda nel dettaglio, ma verosimilmente vi saranno inclusi servizi residenziali, semiresidenziali e di accompagnamento.

Ci si attendeva in queste parti un più articolato dettaglio, solo ad esempio, sul tema della non autosufficienza. Aspetto invece che rimane molto debole in tutto l’impianto del Piano con quello che ne deriva per una parte significativa della popolazione.

Più stringente la seconda linea che contempla invece i percorsi di autonomia per le persone con disabilità cogliendo in parte , almeno in termini programmatici, molte istanze avanzate in questi anni. Gli intenti espressi – su cui si possono elaborare differenti letture – sono quelli di evitare la istituzionalizzazione o di favorire la destituzionalizzazione soprattutto attraverso l’assistenza domiciliare ma anche di accompagnamento all’autonomia personale. Si delineano anche sostegni all’abitare, agli interventi per la ristrutturazione delle abitazioni anche con il ricorso a strumenti di domotica o tecnologicamente avanzati. Un passaggio è dedicato al ricorso a strumentazione e allo sviluppo di competenze digitali in funzione del telelavoro. Il tutto dovrebbe essere inquadrato nella definizione di progetti personalizzati.

In altri passaggi non si rileva invece alcuna particolare attenzione alla disabilità; in particolare l’assenza brilla nelle politiche per l’occupazione (grave!) e nell’housing sociale. Come pure in altre linee dedicate alla disparità di genere e, ancora, all’istruzione o, infine, alla reale accessibilità alla salute, alla prevenzione, alla cura.
Si tace sulla disabilità anche nella parte riservata all’innovazione nella Pubblica amministrazione. Qui di apprezzabile vi è il richiamo all’accessibilità degli atti e delle risorse pubbliche (peraltro già previsto da un corpus regolamentare nazionale ed UE).

Rimane quindi la spiacevole sensazione che la visione della disabilità sia costretta nell’ambito dell’assistenza e della protezione sociale (nel senso minimale dell’espressione) e non piuttosto in quella di una condizione umana trasversale cui riservare inclusione e opportunità.
Non è una sensazione ma una certezza invece, la lacuna rispetto alle riforme strutturali strettamente necessarie al successo stesso del Recovery Plan. È una lacuna che sappiamo essere ben chiara nella sua ampiezza sia a Draghi che al suo entourage: è quello della governance. E governance non significa solo e tanto vigilare che gli obiettivi siano raggiunti per distribuire i quattrini. Significa conservare la regia e i poteri sufficienti per far sì che quegli obiettivi siano realmente perseguiti.

Nel sociale – a noi qui quello interessa – ciò è particolarmente infido. Tentiamo di spiegarla facile e in poche righe. La legge quadro sull’assistenza (recte: sistema integrato di interventi e servizi sociali) risale al 2000. Norma risultante di una stagione di forti idealità, di condivisione, di confronti, la 328/2000 è verosimilmente la legge meno applicata alle nostre latitudini. Anche per una banale coincidenza storica: quasi contestualmente è stato riformato il Titolo V della Costituzione restituendo alle Regioni pressoché tutte le competenze in ambito sociale. Anziché generare mirabolanti effetti la pretesa sussidiarietà ha partorito 21 sistemi sociali regionali ed una profonda disparità territoriale, fortissime disequità allevate nell’assenza di livelli essenziali di assistenza sociale. E niente: con una punta di provocazione possiamo di che che forse l’unico “livello essenziale” reale è oggi l’indennità di accompagnamento, quella che eroga INPS per conto dello Stato.

Negli ultimi anni si è malamente tentato di metterci una toppa, usando i decreti di riparto di alcuni Fondi nazionali come leva a lungo braccio per imprimere un minimo di uniformità di trattamento almeno su alcuni aspetti (non autosufficienza, dopo di noi …). Ma le risorse sono troppo limitate per forzare cambiamenti radicali e strutturali nei territori. Per usare una immagine bucolica: se si gettano semi un terreno che oramai è ghiaioso, difficilmente germoglieranno. Lo stesso fenomeno che accade quando risorse arrivano in un territorio in cui i servizi sociali sono largamente assenti.
Nel sociale lo Stato non ha poteri sufficienti per governare, rendere omogenei servizi e politiche, eliminare odiose disparità territoriali (che la UE mal sopporta); deve quindi contrattare al ribasso le regole con le Regioni, tornare ai consueti decreti di riparto e incidere assai poco nei casi di latitanza.

E che c’entra il Recovery Plan? Ci si ritrova nella stessa situazione di governance monca e che le più mirabolanti intuizioni rimangano impaludate in antichi meccanismi.
A meno che… A meno che Mister Draghi, forte del consenso che per ora conserva, non tiri fuori un coniglio dal cilindro, modificando regole e norme che ci condizionano da parecchi lustri. Se ciò dovesse avvenire, ci auguriamo si inizi dal sociale.
(di Carlo Giacobini su vita.it)

Disabili, il lavoro che non c’è. Sempre più crisi: serve un piano

Marina ha 50 anni e lavora per una cooperativa che si occupava di pulizie in uno sporting club. Il centro non ha ancora riaperto, a causa dell’emergenza Covid. Marina, che ha una lieve disabilità psichica, rischia di non riprendere più a lavorare.

Damiano di anni ne ha 21 e vive nel Milanese. Due importanti operazioni mediche subite da bambino e il ritardo mentale gli hanno reso molto difficoltoso il percorso scolastico. Alla fine, con grande impegno, ha ottenuto una qualifica professionale. “Qualche mese fa – racconta sua madre Eleonora – è stato assunto in un piccolo supermercato ed era al settimo cielo. In questo periodo però la clientela scarseggia, gli hanno ridotto l’orario da otto a quattro ore e il contratto sta per scadere. A casa si annoia e senza niente da fare rischia di perdere l’autonomia così faticosamente conquistata”.

Fabio invece ha la sindrome di Down. Si è diplomato con il massimo dei voti all’alberghiero e ha ottime referenze dai tirocini. Ma oggi non trova lavoro e la scuola, su richiesta della famiglia, è riuscita ad attivare per lui un altro periodo di tirocinio: un paradosso, dato che il ragazzo ha già superato brillantemente la maturità.

Tre storie emblematiche di questa faccia dell’emergenza lavoro: in Italia ci sono un milione di persone disabili disoccupate o in cerca del primo impiego, con probabilità assai scarse di trovare un posto in tempi ragionevoli, vista anche l’emergenza sanitaria. Il sistema pubblico di collocamento non riesce a realizzare più di 20/30mila inserimenti l’anno, a fronte di oltre 800mila iscritti. Il risultato è che in Italia su 100 persone disabili tra i 15 e i 64 anni in grado di lavorare solo il 35,8 per cento lo fa, contro una media del 57,8 per cento per i normodotati. A restare quasi completamente escluse sono le persone con disabilità più complesse, determinate da problematiche psichiche, intellettive, relazionali, o da malattie rare. La media europea dell’inclusione lavorativa dei disabili supera invece il 50 per cento.

A rischio

Ma questa situazione, già drammatica, potrebbe peggiorare con il termine del blocco dei licenziamenti che mette a rischio diverse migliaia di lavoratori disabili, tra i quali molti over 50. L’età media di questa categoria, in Italia, è pari a 59 anni. Proprio per favorire una riforma strutturale del sistema di collocamento delle persone disabili è nata nei giorni scorsi «Andel – Agenzia nazionale disabili e lavoro», soggetto non profit che opererà in questo ambito. L’obiettivo? Colmare il vuoto di «idee, strumenti e professionalità adeguate a progettare e gestire il collocamento mirato e i percorsi personalizzati di accompagnamento al lavoro, indispensabili per la maggior parte delle persone con disabilità, sul modello di quanto accade in molti Paesi europei e anche in alcune realtà locali del nostro Paese, dove vengono realizzate con successo sperimentazioni e buone pratiche», spiegano dall’agenzia. A usufruire dei suoi servizi saranno aziende, Comuni, scuole, università cooperative sociali.

Per la prima volta anche il Terzo settore, con le associazioni dei disabili, sarà co-protagonista dell’inclusione lavorativa. C’è molto da fare. A partire per esempio dall’urgenza di ridurre il divario di opportunità fra Nord e Sud: stando ai dati odierni, una persona con disabilità residente nel Centro o al Sud ha probabilità quasi nulle di essere inserita lavorativamente mediante il sistema pubblico. Neppure gli incentivi alle imprese almeno per il momento funzionano: nonostante la loro consistenza (fino al 70 per cento della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali e fino a 60 mesi) le aziende che li utilizzano sono sempre state poche migliaia. E dalle circa tremila che vi hanno fatto ricorso nel 2016 e nel 2017 siamo scesi a poco più di mille negli anni successivi.

Avvicinamento

«Un dato così deludente non può che portare alla conclusione che l’intero sistema deve essere riformato», hanno spiegato Marino Bottà e Enrico Seta, direttore generale e presidente di «Andel». Entrambi recentemente hanno incontrato il ministro della Disabilità Erika Stefani, nella sede del Ministero. L’obiettivo dell’agenzia è realizzare, entro il 2026, azioni qualificate di avvicinamento al mercato del lavoro per circa 100-200 mila persone disabili. Secondo Andel «la crisi post-pandemica e il programma Next Generation Eu sono una preziosa occasione per intervenire con incisività». Per questo l’agenzia ha chiesto al Ministero di inserire una linea d’azione per l’inclusione lavorativa delle persone disabili nel piano italiano di accesso alle risorse europee del Recovery Fund.
(corriere.it)

Covid. Sui vaccini per i disabili (e chi li assiste) tanti annunci e pochi fatti

Vaccinazioni per i disabili ancora ferme o a rilento. Ancora peggio per i loro caregiver, familiari e operatori.

Scontano i ritardi generali nelle vaccinazioni, tutti slittano e i disabili ancora di più, ma anche indicazioni incomprensibili, incongruenze, con patologie previste come prioritarie e altre, simili, fuori dagli elenchi.

Questo a livello nazionale, mentre solo tre Regioni, Emilia Romagna, Lazio e Abruzzo, hanno messo in campo proprie iniziative, ma con metodologie diverse, a conferma di una grande confusione. E ancora una volta a rimetterci sono le famiglie dei disabili che per tutelarli li tengono a casa da mesi senza le preziose attività riabilitative e socializzanti. In particolare autistici e altri disabili mentali, completamente dimenticati tra i prioritari.

Le “Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti-Sars CoV2/Covid-19” del ministero della Salute dello scorso 8 febbraio, inserisce nella “fase 2” le “persone estremamente vulnerabili” e tra loro alcune forme di disabilità come Sla, paralisi cerebrali infantili, fibrosi cistica, sindrome di Down. Molto poche e con alcune incongruenze.
Ricordiamo, innanzitutto, che nella prima fase di vaccinazione, ancora in corso, si è intervenuti nelle Rsa che, oltre agli anziani, ospitano anche disabili con varie patologie. Per loro e per gli operatori la vaccinazione è stata fatta o lo sarà nei prossimi giorni. Per tutti. Chi, invece, vive in famiglia dovrà attendere la “fase 2” o chissà quando se non rientra nell’elenco delle “Raccomandazioni” dell’8 febbraio.

Un’evidente disparità di trattamento. E in alcune Regioni va anche peggio perché alcune strutture come i centri di riabilitazione, pur ospitando disabili anche gravi e in regime residenziale, non sono inserite nella prima fase.
Niente vaccino per i disabili e neanche per gli operatori. Il motivo sarebbero i ritardi nell’approvvigionamento dei vaccini, ma sta di fatto che a parità di condizioni non si capisce perché siano finiti in fondo alla lista. Ma le incongruenze maggiori riguardano le patologie previste come prioritarie nella “fase 2”, ai limiti della discriminazione. Ad esempio è stata, molto giustamente, inserita la Sla ma non si capisce perché non lo siano la Distrofia muscolare e la Sma (Atrofia muscolare spinale) che appartengono alla stessa “famiglia” e, pur meno gravi, sono molto simili, in particolare da un punto di vista respiratorio.

Mentre in altri Paesi tutti quelli che hanno problemi respiratori di questo tipo sono trattati allo stesso modo per le vaccinazioni. Altra incongruenza è aver inserito i caregiver degli emofiliaci. Giustissimo. Ma non ci sono gli altri, anche quelli delle patologie previste come prioritarie in quanto gravi. Dimenticanza? Contraddizione? Mentre totalmente trascurati sono gli affetti da sindrome dello spettro autistico, e quasi tutte le disabilità mentali. Con grossi problemi perché a queste persone è molto difficile far rispettare le norme sul distanziamento fisico e l’uso della mascherina. La priorità per loro non è, dunque, motivata da rischi clinici ma comportamentali. Ma questo sembra che non sia stato preso in esame. Una confusione confermata a livello regionale.

Emilia Romagna e Lazio hanno scelto di operare attraverso i servizi: trovate voi le persone che corrispondono all’identikit previsto a livello nazionale. In questo caso, ovviamente, dipende molto da come operano i vari servizi pubblici che si occupano delle più diverse disabilità, dalla loro efficienza e capacità organizzativa. Ad esempio ieri si è proceduto alla somministrazione del vaccino per tutte le persone ricoverate presso il reparto di Unità Spinale del CTO “Andrea Alesini” di Roma, in cui vengono curate e riabilitate persone che hanno subito una lesione al midollo spinale, quindi esposte a maggior rischio in caso di contagio da Covid-19. E lo stesso si è poi fatto al Centro Paraplegici di Ostia.

Ma siamo ancora all’inizio e i numeri sono bassi. Basti pensare che, secondo le indicazioni del ministero, nella “fase 2” nel Lazio rientrerebbero circa 50mila disabili gravi, ma in realtà dovrebbero essere almeno 80mila. E non è detto che attraverso i servizi si riesca a raggiungerli tutti.

L’Abruzzo, invece, ha scelto un’altra strada. Il singolo disabile, e il caregiver, autonomamente si prenotano al centro vaccinale, ovviamente con priorità. Altre regioni come le Marche e la Sicilia avevano annunciato proprie iniziative ma ancora non si è visto nulla. Mentre nelle altre (non tutte) si sta procedendo solo alla vaccinazione dei disabili nelle Rsa. Con molta lentezza, non solo per i ritardi nell’approvvigionamento dei vaccini, ma anche per la carenza di operatori per andare nelle diverse strutture.
(avvenire.it)

Covid-19 e Disabilità – Webinar gratuito della FMC

COVID-19 E DISABILITÀ
Buone pratiche per la sicurezza a casa, nelle residenze e in ospedale

Appuntamento aperto a persone con disabilità, familiari, caregiver, operatori e medici 
promosso da Fondazione Mantovani Castorina onlus e ASMeD
per tutelare il diritto alla salute delle persone più fragili

Vaccini, norme igienico-sanitarie e buone pratiche per garantire il diritto alle cure ed evitare il contagio in tutti gli ambiti di vita e di cura delle persone con disabilità grazie a una Medicina “su misura”, cioè a cure appropriate e risposte modulate in base alle esigenze di ciascuno. È questo il focus del webinar gratuito on line “Covid e Disabilità. Buone pratiche per la sicurezza” promosso da Fondazione Mantovani Castorina e da ASMeD (Associazione per lo studio dell’assistenza medica alla persona con disabilità) in partnership con l’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano in programma sabato 27 febbraio dalle 9.30 alle 12 in diretta on line.

Con l’aiuto di un pool di medici e professionisti di tutta Italia, impegnati sui temi della disabilità, affronteremo le problematiche principali, indicazioni pratiche e operative, di taglio igienico-sanitario, ergonomico, relazionale e procedure sanitarie da adottare presso l’ospedale, a casa, nelle strutture socio-sanitarie semiresidenziali e residenziali per persone con disabilità (RSD) o nei contesti di inserimento lavorativo per gestire il rischio di contagio nelle persone con disturbi del neurosviluppo e con disabilità intellettiva.

Webinar on line gratuito
sabato 27 febbraio dalle 9.30 alle 12.00

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo accresce notevolmente il rischio che una persona con disabilità venga discriminata nell’accesso alle cure – spiega Filippo Ghelma, responsabile SSD DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance) ASST Santi Paolo e Carlo di Milano e presidente ASMeD – . Se rimettiamo al centro le persone e costruiamo le risposte attorno ai più fragili, gli ambienti di vita e di cura, i protocolli e le prassi verranno di conseguenza. È necessario un cambio di paradigma ed è necessario che avvenga velocemente. Per questo abbiamo raccolto una serie di pratiche che garantiscono un equilibrio fra il diritto alla salute fisica e il diritto alla salute psichica, che deriva dalla possibilità di condurre una vita quanto più possibile simile a quella della popolazione generale”.

Tutte le persone hanno diritto a una vita dignitosa e ricca. Ed è un dovere di giustizia da parte della società curare su una base di eguaglianza e non discriminazione le persone con disabilità, come è sottolineato anche nella Convenzione delle Nazioni Unite – continua Angelo Mantovani, direttore di FMC – . Per questo Fondazione Mantovani Castorina promuove il webinar “Covid-19 e Disabilità” attraverso il Centro Famiglie+ attivato con il contributo di Fondazione Comunità Milano e con la collaborazione dello sportello psicologico dell’associazione iSempreVivi.

Perché anche nelle fasi di emergenza, come quella sanitaria che si sta affrontando, non vengano dimenticati i pazienti con esigenze sanitarie, comunicative, relazionali più complesse. Riteniamo sia fondamentale che le famiglie per prime, i medici, gli operatori e tutti i professionisti che ruotano intorno alle persone con disabilità conoscano i diritti e le modalità di cura e attuino queste buone prassi per gestire il rischio di contagio, per generare un vero cambiamento culturale e affrontare in modo nuovo e integrato l’assistenza e la cura della disabilità grave dentro e fuori l’ospedale. Questa è la missione di Fondazione Mantovani Castorina

Il webinar è gratuito e aperto a tutti: persone con disabilità, familiari, caregiver, medici, operatori sanitari, insegnanti e tutti i professionisti e volontari interessati.
 
Per iscriversi è sufficiente compilare il form sul sito www.fmc-onlus.org entro il 25 febbraio. Si riceveranno a seguire le info per accedere in streaming al webinar.

Covid e disabilità. Due guide per l’assistenza in ospedale e nelle Rsa

Distanziamento sociale e divieto di visita durante la degenza hanno colpito in maniera drammatica le persone con disabilità, rendendo il loro diritto alla salute e alle migliori cure disponibili, molto precario. In realtà, già prima della crisi pandemica, la salute, il diritto alla cura e la gestione intraospedaliera delle persone con disabilità presentavano numerose criticità. L’Associazione per lo Studio dell’assistenza Medica alla persona con Disabilità, in collaborazione con la Società Italiana di Ergonomia e Fattori Umani, ha elaborato due documenti.

L’organizzazione e la gestione dei luoghi di cura – ambulatori, ospedali, case di cura, RSA – è stata stravolta dall’attuale pandemia COVID-19. In particolare misure come distanziamento sociale e divieto di visita durante la degenza hanno colpito in maniera drammatica le persone con disabilità, rendendo il loro diritto alla salute e alle migliori cure disponibili, molto precario. Inoltre, i dati ci dicono come la disabilità, ed in particolare la disabilità intellettiva, costituisca un fattore di rischio di mortalità.

In realtà, già prima della crisi pandemica la salute, il diritto alla cura e la gestione intraospedaliera delle persone con disabilità sono temi che presentano numerose criticità.

La neoformata Associazione per lo Studio dell’assistenza Medica alla persona con Disabilità (ASMeD), in collaborazione con la Società Italiana di Ergonomia e Fattori Umani, ha elaborato due documenti:

– COVID, ospedale e disabilità

– Indicazioni operative igienico-sanitarie ed ergonomiche per la gestione del rischio COVID-19 con le persone con disturbi del neuro sviluppo e/o disabilità intellettiva, nelle strutture semiresidenziali, residenziali e negli inserimenti lavorativi (con allegati)

Si tratta di indicazioni operative igienico-sanitarie ed ergonomiche, messe a punto sulla base dell’esperienza professionale maturata in molti anni di attività in questo ambito. ASMeD infatti riunisce i professionisti sanitari che operano nell’ambito della salute di queste persone; ne fanno parte, in particolare, operatori sanitari che svolgono il loro lavoro in strutture ospedaliere dotate di percorsi dedicati alla gestione delle problematiche mediche delle persone con disabilità, sul modello organizzativo DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance).

ASMeD nell’elaborare questi documenti si è basata sui principi contenuti nella Convenzione delle Nazione Unite sui diritti delle persone con disabilità e nella Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale, promossa dalla cooperativa Spes Contra Spem (https://spescontraspem.it/).  È un dovere di giustizia da parte della società mettere in grado le persone con disabilità di essere curate su una base di eguaglianza e non discriminazione.

Abbiamo ritenuto anche in una situazione così difficile sia quanto mai necessario garantire in modo concreto il diritto alla salute e l’accesso alle cure ti tutte le persone. Questo può avvenire mediante la promozione di un’organizzazione sanitaria, di una medicina e di un nursing centrati sul paziente e sulla personalizzazione delle cure. E’ necessario rimettere al centro le persone e costruire risposte attorno ai più vulnerabili: in questo modo ambienti di vita e di cura, protocolli e prassi saranno costruiti intorno a loro e alle loro esigenze e non calati dall’alto.

I due documenti si fondono quindi su alcuni principi che vengono tradotti in pratiche operative:

• il diritto della persona con disabilità a ricevere le cure più adeguate alle sue necessità e al suo stato di salute, su base di eguaglianza con gli altri;

• la residenzialità a misura di persona, di nucleo familiare, che dovrebbe essere un elemento fondante nella gestione del rischio da contagio Covid-19, avviando così tutte le riorganizzazioni possibili nel breve e medio periodo, seguite da una riforma generale nel lungo periodo;

• i principi e metodi ergonomici del design for all – “progettazione universale” guida agli interventi di progettazione, riprogettazione e accomodamento degli ambienti di vita e di cura, degli arredi, degli oggetti d’uso quotidiano;

• il diritto della persona con disabilità a non subire discriminazioni per la sua condizione di disabilità.

In particolare è necessario l’applicazione – nella prevenzione, così come nei percorsi clinici e diagnostico terapeutici – del principio dell’accomodamento ragionevole, sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, molto spesso totalmente ignorato in ambito sanitario. La sua applicazione comporterebbe un impatto notevole nell’organizzazione sanitaria e nella pratica clinica e garantirebbe il diritto alla salute della persone con disabilità:
 
– esecuzione di test di provata affidabilità, che comportino una minor invasività ed una maggiore tolleranza (salivare, nasale superficiale), in sostituzione del tampone nasofaringeo e, in caso di indisponibilità, adottare procedure di prevenzione adattate; soprattutto nelle persone con disabilità il tampone naso salivare presente notevoli difficoltà di esecuzione;

– presenza di un accompagnatore / caregiver durante la degenza ospedaliera; spesso si dimentica che il caregiver è uno strumento di cura indispensabile, è l’interfaccia tra la persona con disabilità e gli operatori sanitari. Privare la persona con disabilità del suo caregiver, significa non essere in grado di comprendere le sue necessità, anche essenziali (sete, fame, dolore). È quindi necessario creare le condizioni per ricoverare in sicurezza il caregiver assieme alla persona con disabilità con COVID-19. A questo proposito va dato atto alla Regione Lazio di aver deliberato già in tal senso;

– rendere possibili le visite dei familiari nei reparti di degenza e nelle residenze;

– rendere possibili le uscite delle persone con disabilità dalla residenza, nel rispetto delle misure di prevenzione necessarie;

– organizzare uno spazio vitale per le relazioni negli ambienti in cui prestare l’assistenza, in caso di contagio da Sars-CoV-2, in condizioni asintomatiche e sintomatiche;

– rendere possibili le normali attività delle persone con disabilità, alla stregua della popolazione generale.

Inoltre ASMeD ritiene che vada data priorità nella somministrazione del vaccino alle persone con disabilità residenti nelle RSD, nelle case famiglie e agli operatori. Questa richiesta assume maggior forza dal dato che, mentre abbiamo certezza che il vaccino riduce la mortalità, non abbiamo certezza che le persone vaccinate non lo trasmettano.

L’applicazione di questi principi, non deve essere considerata come eccezione, un privilegio per una categoria di persone, ma come una questione di giustizia: le persone con disabilità non hanno diritti speciali, hanno gli stessi diritti di tutti, ma hanno necessità di strumenti speciali che possano garantire la fruizione di questi diritti.

Questa visione ha inoltre il grande valore di mettere al centro della cura la persona malata, anche in corso di crisi pandemica e di scarsità di risorse. Ha anche il vantaggio di restituire valore alla medicina basata sulla persona, che in questo frangente sembra essere stata dimenticata perchè ritenuta non applicabile. Ma è solo partendo dalla persona malata che si può costruire una medicina di comunità che includa e non discrimini, per garantire davvero a tutti la sicurezza e la salute in ambienti ergonomici, con strumenti di diagnosi e cura adattati ai limiti e alle potenzialità di ogni persona.

Filippo Ghelma
Presidente ASMeD (Associazione per lo Studio dell’assistenza Medica alla persona con Disabilità

Da febbraio vaccino Covid19 ai disabili

Il commissario per l’emergenza Covid fa un bilancio delle immunizzazioni e annuncia le prossime categorie che saranno vaccinate contro il Coronavirus

Sembra essere stata ascoltata la richiesta che da più parti chiedeva di inserire le persone disabili tra i soggetti ai quali sottoporre in via prioritaria il vaccino anti coronavirus.
Il commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, durante la conferenza stampa nella quale è stato fatto anche il punto sulla campagna vaccinale in corso, ha dichiarato che da febbraio si inizieranno a vaccinare persone over 80, persone disabili e loro accompagnatori.

Intanto, rispetto all’andamento delle vaccinazioni in corso, Arcuri si è dimostrato soddisfatto dei numeri. In meno di una settimana già vaccinati circa 339mila italiani. “Abbiamo distribuito 919.425 vaccini, quasi un milione, – dice Arcuri su tutto il territori nei 294 punti di somministrazione. Per questa prima fase – continua ci siamo dati l’obiettivo di somministrarne almeno 65-67mila al giorno e stiamo superando questo obiettivo di qualche misura”.
Nel frattempo l’AIFA, l’agenzia italiana del farmaco, ha approvato anche il vaccino anti dell’americana Moderna. Ora si può contare su una seconda arma contro il virus, insieme a quello Pfizer-BionTech di cui è già iniziata la somministrazione.

Alcune Regioni come Lazio e Campania hanno già provveduto alla pianificazione per le vaccinazioni per le persone con disabilità già da gennaio o quantomeno a prevederle al più presto anche ad esempio per i centri diurni.

Piano vaccini: le persone con disabilità siano fra le priorità

Antonio Caponetto ha scritto al Commissario Arcuri, al CTS, alla Presidenza del Consiglio e al Ministero della Salute in merito al piano vaccini Covid19

Antonio Caponetto, capo dell’Ufficio per le Politiche in favore delle persone con disabilità, ha scritto al Commissario straordinario Domenico Arcuri, al CTS, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero della Salute in merito al piano di vaccinazioni Covid19 per le persone con disabilità. Le regioni infatti ad oggi hanno inviato al Commissario straordinario le liste delle persone che ritengono prioritarie da vaccinare contro il Covid-19. Alcune Regioni hanno inserito fra i soggetti destinatari delle prime dosi di vaccino anche gli ospiti delle Residenza sanitarie e dei Centri Diurni per disabili. Per Caponetto «al fine di rendere omogeneo su tutto il territorio nazionale il controllo dell’infezione in questa popolazione, appare necessario uniformare i criteri per la definizione delle liste almeno includendo le persone con disabilità ospitate presso tali strutture».

Già Arcuri ha indicato poi per la seconda fase della campagna vaccinale una priorità per le “persone fragili. Queste insieme alle persone in età avanzata e a quelli con patologie gravi pre-esistenti. Caponetto sottolinea: «non è chiaro se in questa definizione rientrino le persone con disabilità grave e non autosufficienti e coloro che usufruiscono dell’ADI». Persone che per il consigliere Caponetto «sono da considerare fra quella da sottoporre a vaccinazione con carattere di priorità» a prescindere dal dato anagrafico.

Un’attenzione particolare dovrebbe andare alle persone con disabilità psichica. Per loro fatti il rischio di contagio è particolarmente elevato per la difficoltà nel rispettare le misure di sicurezza. Se dovessero avere la necessità di ricovero, lontano dalle persone che se ne prendono cura, presenterebbero un fattore di rischio in più. «È quindi importante che tali necessità siano tenute nella giusta considerazione nella predisposizione dei piani vaccinali», conclude Caponetto «e che la comunicazione istituzionale rassicuri sul fatto che la priorità sarà estesa anche alle persone con disabilità ospitate nelle strutture e a coloro i quali rientrano fra le categorie più vulnerabili a prescindere dal dato anagrafico».

(rielaborazione da vita.it)

Disabili malati di Covid in ospedale e il mistero del Garante delle Persone con Disabilità in Sicilia

Il dramma di Valeria, 32enne con la sindrome di Down, morta da sola in ospedale a causa del covid19. La Regione Siciliana non ha ancora nominato il Garante delle Persone con Disabilità

Come sapete un po’ di tempo fa vi comunicai la notizia della mia decisione di partecipare al bando regionale per la carica di Garante delle Persone con Disabilità. AD OGGI, dopo diverse, troppe settimane, ancora l’assessore della Famiglia e delle Politiche Sociali Antonio Scavone non ha indicato chi sarà a ricoprire questo ruolo. A prescindere dalla mia partecipazione (ne avevo dato notizia sulla mia pagina facebook), a questo punto irrelevante, la presenza del Garante delle Persone con Disabilità serve a mettere in luce, segnalare e proporre soluzioni alle Istituzioni competenti rispetto tutte le necessità, bisogni e diritti di tutte quelle persone e famiglie che vivono la disabilità. Pensiamo ad esempio a tutto ciò che sta accadendo nella scuola che già presentava carenze e diritti non garantiti agli studenti con disabilità e che con la pandemia sta causando alte percentuali di mancata partecipazione alla DAD o a lezioni in presenza con solo studenti disabili dal sapore amaro delle classi speciali.

Ma la figura del Garante serve anche e soprattutto a segnalare situazioni come quella di Valeria, 32enne con la sindrome di Down, morta SOLA ricoverata in ospedale al Policlinico di Palermo a causa del Coronavirus nonostante chiedesse incessantemente di vedere la mamma. Non riusciva a tenere la mascherina, non capiva cosa le stesse accadendo. In trentadue anni Valeria Scalisi non era mai stata sola, e da sola si è ritrovata in terapia intensiva. Perché per una persona disabile avere il coronavirus è un dramma nel dramma. “Valeria è morta così, senza nessuno accanto”, così la sorella Giusi Scalisi, ma le sue parole non nascondono il dolore di un’intera famiglia di Adrano. “Ha passato tre giorni senza un parente al suo fianco, e per noi è difficile accettare che tutto questo possa succedere a una persona incapace di intendere e di volere”.

A raccogliere per primo il grido d’aiuto della famiglia Scalisi siamo stati proprio noi del comitato Siamo handicappati no cretini, di cui sono vicepresidente. Avevamo fatto presente un rapporto dell’Istituto superiore di sanità che, fra le altre cose, detta le linee guida per l’ospedalizzazione di persone con disabilità intellettiva affette da Covid. “Nel corso del ricovero – si legge nel documento – particolare attenzione andrà dedicata all’utilizzo di modalità di comunicazione e gestione adeguate ai bisogni della persona, alla presenza di un caregiver adeguatamente formato e con adeguati dispositivi di protezione individuale e, ove opportuno, all’utilizzo di appropriati e programmati interventi farmacologici per la gestione dell’angoscia, del dolore, della fatica respiratoria della persona, nell’ottica di alleggerire al massimo il sovraccarico per la persona e diminuire i rischi per la persona e per il contesto”.

La dichiarazione che col Comitato abbiamo rilasciato alla testata online LiveSicilia:
Siamo in tanti ad avere un disabile gravissimo in casa, e viviamo terrorizzati. Abbiamo sempre la paura di vivere una tragedia nel caso in cui il Covid contagiasse i nostri cari e non trovassimo sanitari di buon senso, convinti di dover dare al caregiver la possibilità di assisterli. In questi casi i protocolli lasciano alla ‘discrezionailtà’ del sanitario, per cui bisogna avere la fortuna di incappare in un apparato organizzativo che preveda certe evenienze e che sappia come agire. È assurdo che una cosa così essenziale venga lasciata al ‘buon senso’ e che non vi sia un protocollo che obblighi i sanitari a equipaggiare il caregiver e farlo partecipare a tutte le procedure con il paziente disabile gravissimo. Che chiaramente, appena non vede accanto a sé un volto amico, subisce un crollo psicologico inevitabile”.

Una storia terribile e una paura che accomuna tutte le persone con grave disabilità e a cui le Istituzioni regionali, nelle persone degli assessori Antonio Scavone e Ruggero Razza, non hanno dato ascolto, risposte e soluzioni nonostante le nostre continue richieste e perpeutino l’assenza di un/a Garante da mesi. Intollerabile!

**errata corrige: Valeria è morta al policlinico di catania il 27 novembre e ricoverata il 14 novembre.

Caregiver, quel legame che il Covid non può spezzare. Dalla tragedia la proposta

Prende spunto da una storia drammatica, la proposta di un protocollo che permetta l’affiancamento per le persone non autosufficienti in ospedale, presentata da alcune associazioni al ministro Speranza. La storia è quella di Daniele, uomo con disabilità ucciso dal Covid; del papà che si è “lasciato andare” e della mamma che non lo ha potuto salutare



Un protocollo che obblighi gli ospedali a ricoverare, insieme al paziente con disabiltà, anche il suo caregiver familiare, garantendogli i servizi essenziali: è una richiesta che da tempo con forza rivendicala la community “Sorelle di Cuore”, di cui fanno parte varie realtà associative e di cui è moderatrice Oltre lo Sguardo onlus. Una richiesta che parte da una certezza: il caregiver è la cura e spesso l’unica possibilità di guarigione per le persone con disabilità che si ammalano di Covid (e non solo). Oggi la Community torna a chiedere con forza un protocollo che garantisca questa possibilità, mentre si moltiplicano le storie, spesso drammatiche. 

C’è la storia di Gabriella, la mamma ricoverata da oltre tre settimane insieme al figlio disabile. E c’è la storia, tanto drammatica quanto silenziosa, di Daniele, che al Covid non è sopravvissuto; del padre, che si è lasciato “portar via dal Covid” quando ha capito che questo si sarebbe preso suo figlio; e della mamma, che ha dormito in macchina per giorni, fuori dall’ospedale, pur di accompagnare fino alla fine quel figlio a cui aveva dedicato la vita, ma a cui non ha potuto stare accanto, nel momento più brutto. 

Daniele se n’è andato e il papà ha voluto raggiungerlo

A raccontarci la storia di questa famiglia, a cui è ispirata e dedicata la proposta di protocollo che le associazioni presentano al ministro Speranza, è Elena Improta, fondatrice di Oltre lo sguardo e mamma caregiver di Mario. “Ho ricevuto la telefonata dei parenti di Daniele una sera tardi, circa 15 giorni fa. La mamma piangeva e urlava che le stavano portando via il figlio. Daniele, 50 anni e una grave disabilità, aveva difficoltà respiratorie e risultò poi positivo al Covid. Così come positivi risultarono poi anche la mamma e il papà. Lo ricoverarono al Pertini, ma si aggravò presto: una notte ebbe un attacco cardiaco e lo trasferirono a Casal Palocco. La sorella, che si appostava fuori dal Pertini, lo vide salire in ambulanza coperto malamente e sofferente. Sapevamo tutti che Daniele non ce l’avrebbe fatta”. Per questo, “feci tutto il possibile per far rivedere alla madre suo figlio: lei dormiva in macchina, sotto l’ospedale, per stargli più vicino. Grazie a una amica, prima che consigliera regionale , abbiamo stabilito un contatto con il direttore sanitario di Casal Paloco, siamo riuscite a farle avere un video di Daniele, sedato e con il volto sereno. E’ l’ultima immagine che ha visto di suo figlio, che ha potuto salutare solo dalla finestra, quando il carro funebre, su richiesta dei parenti, è passato sotto casa”.

Il dolore è stato lacerante, per la mamma di Daniele, “che dopo 50 anni dedicati completamente al figlio, non ha potuto accompagnarlo fino alla fine. Ed è stato devastante per il papà, che si è lasciato andare e ha raggiunto il figlio poche ore dopo: ricoverato anche lui con sintomi del Covid, ha rifiutato di farsi curare, voleva andare con Daniele. Così questa donna è rimasta sola con il suo dolore: noi possiamo solo starle accanto, in punta di piedi, come ‘sorelle di cuore’, immedesimandoci tutte, come mamme caregiver, nella sua drammatica solitudine”. 

Un protocollo, perché il caregiver “possa curare” anche in ospedale

Sono storie come questa a rendere urgente e accorato la richiesta che dall’inizio della pandemia le associazioni di caregiver rivolgono alle istituzioni e che oggi indirizzano al ministro Speranza: quella di percorsi sanitari dedicati per le persone con disabilità, che prevedano la possibilità, per il caregiver, di esserci e di assistere il proprio caro, per aiutarlo a guarire, quando questo sia possibile, o per accompagnarlo fino alla fine, quando ci sia altro da fare.

Le persone non autosufficienti spesso non sono in grado di restare da sole neanche per pochi minuti al giorno, senza correre dei seri rischi per la loro incolumità – si legge nella lettera aperta – Per questo, anche e soprattutto quando sono malate, queste persone hanno necessità di avere una presenza costante, con figure di riferimento affettivamente significative, che possano rappresentare un indispensabile veicolo di facilitazione tra un contesto alienante e traumatizzante e l’esposizione dei propri bisogni sanitari, in una collaborazione indispensabile, che è premessa essenziale per ogni tipo di cura o terapia. Il caregiver familiare – si legge ancora – è una figura affettiva che, proprio per il fatto di aver ricoperto a lungo il ruolo di prestatore di cura e, al contempo, facilitatore tra la persona non autosufficiente e il resto del mondo, rappresenta una risorsa indispensabile e universalmente riconosciuta per qualsiasi approccio terapeutico, a maggior ragione in contesti di emergenza come quelli che occorre affrontare in una pandemia, dove la scarsità di risorse umane è costantemente in sovraffaticamento. Per questo motivo – affermano le associazioni – appare indispensabile e urgente effettuare un protocollo obbligatorio, quindi non più lasciato al giudizio insindacabile di un dirigente sanitario, che permetta l’affiancamento del caregiver familiare per le persone non autosufficienti affette da Covid in ospedale sin dalla loro ingresso in pronto soccorso che nei reparti sub intensivi. Tale protocollo – precisano le associazioni – deve garantire il servizio alberghiero, con letto e pasti e dispositivi di protezione alla persona che presta assistenza 24 ore su 24, prevedendo la possibilità di una stanza singola con doppio letto. Nell’eventualità non fosse possibile reperire una stanza singola, si potrà prevedere un ambiente isolato da un paravento per la persona non autosufficiente e il suo caregiver familiare”.

Familiari in ospedale, una storica e necessaria sinergia

Una proposta valida per le persone non autosufficienti, ma “anche per gli anziani, che sono i più numerosi pazienti ricoverati per Covid – osserva Sara Bonanno, di Oltre lo sguardo – Anche prima della pandemia, la sanità ospedaliera faceva enorme affidamento sui familiari: ancor prima di visitare gli anziani, si chiamavano i parenti, anche solo per conoscere la storia clinica. E’ sempre stato evidente quanto il supporto del familiare sia fondamentale nei casi in cui il paziente non sappia spiegare le sue problematiche e riferire la propria storia clinica. Ora, se anche in pronto soccorso è vietato l’ingresso ai familiari, quando il paziente non sia in grado di fornire correttamente le informazioni indispensabili per i medici, è inevitabile che le cure siano inefficaci. Neanche se fossero in tanti, i medici e gli infermieri potrebbero sostituire i familiari, figuriamoci ora che sono insufficienti. Ecco perché occorre assolutamente trovare il modo per consentire ai caregiver familiari di stare accanto a questi pazienti, naturalmente nel rispetto di tutte le norme di sicurezza, a tutela della salute di tutti. Non c’è altro modo, occorre farlo e farlo presto. Perché il caregiver, in tanti casi, è l’unica possibile cura”.

Il protocollo, in fase di ultimazione, sarà presentato nei prossimi giorni al ministro Speranza.

(redattoresociale.it)