Covid: Un miliardo di euro in pensioni che l’Inps risparmia ogni anno

Considerando l’alternativa, invecchiare è la miglior cosa che possa capitare nella vita. Possibilmente in salute. Sappiamo che purtroppo non va sempre così. In Italia ci sono 3 milioni di non autosufficienti (5% della popolazione) e il loro numero è destinato a raddoppiare entro il 2030. Parliamo di persone che non sono in grado di fare niente da soli e hanno bisogno di un accompagnamento. E allora proviamo a metterci nei loro panni: cosa devono fare per avere il sostegno a cui hanno diritto?

In Italia ci sono 3 milioni di non autosufficienti (5% della popolazione) e il loro numero è destinato a raddoppiare entro il 2030

Odissea tra uffici e sportelli

Per il riconoscimento di una invalidità al 100% perché non riesco a camminare, lavarmi, vestirmi né a mangiare senza l’aiuto di un accompagnatore, devo andare dal medico di famiglia che mi fa la certificazione, che poi invio all’Inps per ottenere un codice identificativo. Con questo codice vado a fare la visita medica all’Asl, e poi presento online la domanda. Ma se non ho dimestichezza posso rivolgermi ad un patronato. A questo punto il mio caso viene esaminato da una commissione presieduta da un medico Inps. Una volta ricevuto dall’Istituto di previdenza il verbale di indennità civile, compilo il modulo AP70 che mi consente di ricevere dalla stessa Inps l’indennità di accompagnamento di 522,10 euro al mese, indipendentemente dal reddito. Non ci sono dati ufficiali sui tempi di questo iter, ma le esperienze raccolte sul campo dicono che passano dai cinque ai sei mesi.

Una commissione diversa per ogni servizio

Da non autosufficiente ho poi bisogno di altre cose: un posto in una struttura diurna che mi ospita per sei/otto ore durante il giorno; dell’infermiere che viene a casa (si chiama Adi, e sta per Assistenza domiciliare integrata), oppure dei pannoloni. Devo quindi rivolgermi all’Asl, perché questi servizi sono finanziati dal Sistema sanitario nazionale. Ogni Regione, e perfino ogni Asl, è organizzata a modo suo. In linea di massima queste richieste passano da tre commissioni diverse dove un geriatra, uno psicologo, un infermiere e un medico di famiglia decidono se ho diritto o meno a quel che chiedo.

Se ho un reddito basso e nessun familiare in grado di occuparsi di me, e ho bisogno di qualcuno che mi aiuti ad alzarmi dal letto, a vestirmi e a mangiare, mi reco agli sportelli dei Servizi sociali del Comune, dove un’altra commissione valuterà se mi spetta il voucher per pagare quello che in gergo tecnico è il Sad, ossia il Servizio di assistenza domiciliare. Ma sempre il Comune, oltre al servizio sanitario, può mettere a disposizione strutture semi-residenziali per trascorrere la giornata. Morale: se beneficio dell’indennità di accompagnamento dell’Inps, dell’assistenza domiciliare del Ssn e di servizi semi-residenziali del Comune devo passare da tre iter diversi. Ognuno con i suoi tempi e criteri di accesso. Un calvario per le famiglie che rende di per sé sfinente e disincentivante richiedere il sostegno che spetta.

Morale: se beneficio dell’indennità di accompagnamento dell’Inps, dell’assistenza domiciliare del Ssn e di servizi semi-residenziali del Comune devo passare da tre iter diversi

Sostegno solo a un anziano su due

Il quadro è così frammentato che nemmeno i ministeri competenti oggi possiedono una mappa completa della situazione reale: né sul tasso di copertura dei servizi, né sui costi perché le varie banche dati non comunicano tra loro. Una stima è appena stata realizzata dal Cergas-Bocconi. Gli anziani che ricevono l’indennità di accompagnamento sono 1,4 milioni, per una spesa pubblica di 8,8 miliardi di euro. Di questi 911 mila anziani beneficiano anche di servizi domiciliari: in 779 mila dall’Asl, mentre in 131 mila dal Comune. Per quel che riguarda l’assistenza presso i centri diurni, 270 mila anziani la ricevono nelle strutture semi-residenziali dei Comuni, mentre 24 mila dal sistema sanitario nazionale. La spesa pubblica totale per questi servizi è di 200 milioni. Il costo complessivo ammonta a 11,16 miliardi, che diventano 15,22 se ci aggiungiamo le case di riposo, dove sono ospitati altri 287 mila anziani.

Una spesa consistente per interventi che tuttavia raggiungono poco più del 50% degli anziani non autosufficienti e con servizi scarsi. Basti pensare che le ore di assistenza a domicilio con l’Adi sono in media 21 in un anno, mentre per il Sad la spesa media annua in voucher è di 2.090 euro. Di fatto la cura degli anziani viene scaricata sulle famiglie: sono 8 milioni i familiari che assistono non autosufficienti.

Per supplire alla mancanza di assistenza pubblica è stata fatta la legge 104 del 1992: i parenti fino al terzo grado possono prendere 3 giorni al mese di permesso retribuito per assistere la persona bisognosa assentandosi dal lavoro: da un lato ciò è insufficiente per chi è solo, dall’altro la norma si presta a una lunga serie di abusi difficilmente controllabili. Inoltre si aggiungono un milione di badanti, per una spesa complessiva di 6,8 miliardi. E quando le famiglie non sono in grado di pagare di tasca loro i servizi domiciliari o semiresidenziali, gli anziani finiscono ricoverati in modo improprio in ospedale.

Il Recovery Plan: gli investimenti e la promessa di riforma

In Italia una riforma è attesa dalla fine degli anni Novanta. Ora sono previsti 500 milioni di investimenti in «Sostegno alle persone vulnerabili e prevenzione dei ricoveri» e 3 miliardi alla voce «Assistenza domiciliare». I soldi arriveranno dal Recovery Plan che ha raccolto alcune delle proposte sviluppate dal Network Non Autosufficienza, coordinato da Cristiano Gori, e promosse e sostenute da decine di associazioni fra cui Caritas, il Forum Diseguaglianze e Diversità e Cittadinanzattiva.

Dal Recovery Plan arriva anche la promessa di realizzare con un’apposita legge, da varare entro la primavera 2023, una «riforma organica degli interventi (…). I suoi cardini saranno la semplificazione dei percorsi di accesso alle prestazioni, un rafforzamento dei servizi territoriali di domiciliarità, e quando la permanenza in un contesto familiare non è più possibile, la progressiva riqualificazione delle strutture residenziali». Ovvero: meno burocrazia, più assistenza a casa e più case di riposo. Come tradurre nella pratica questi intenti, e integrarli di quel manca, è scritto invece nelle proposte di Francesco Longo e Gianmario Cinelli del Cergas-Bocconi, presentate nelle scorse settimane ai ministeri della Salute e del Lavoro e politiche sociali. I ricercatori del Cergas-Bocconi hanno elaborato una proposta di riforma complessiva del sistema che prevede di istituire un servizio nazionale per gli anziani non autosufficienti, come avvenuto nel 1978 per il Ssn.

Più assistenza senza aumento di spesa

Il nuovo sistema si fonda su tre elementi chiave. In primo luogo, facciamola finita con anziani e famiglie che devono peregrinare all’Inps, all’Asl e ai Comuni e istituiamo un’unica commissione che stabilisce chi può avere accesso ai servizi di sostegno. In secondo luogo, diamo un’assistenza commisurata alle effettive condizioni di salute degli anziani. Oggi il sostegno è uguale per tutti gli assistiti. Ad esempio, ricalcando il modello tedesco introdotto nel 1995, un anziano in condizione di autosufficienza limitata che sceglie un aiuto in denaro riceverebbe 288 euro al mese; un non autosufficiente che sceglie l’assistenza a domicilio e in strutture residenziali beneficerebbe di servizi per 1.815 euro al mese. Infine, bisogna affrontare di petto la questione delle badanti, spesso non in grado di assistere gli anziani adeguatamente e alle quali oggi lo Stato non riconosce il ruolo di cura. Vanno formate e regolarizzate: oggi il 60% sono clandestine.

Sarebbe, dunque, giusto indirizzare verso l’assistenza quel miliardo di euro in pensioni all’anno che l’Inps sta risparmiando sui morti Covid

Senza spendere un euro in più, ma solo riorganizzando il sistema si possono assistere meglio 590.000 anziani in più. Ma dal totale restano sempre esclusi un milione di non autosufficienti. Sarebbe, dunque, giusto indirizzare verso l’assistenza quel miliardo di euro in pensioni all’anno che l’Inps sta risparmiando sui morti Covid. La riduzione della spesa pensionistica calcolata per il 2020 è di 1,11 miliardi di euro, se la proiettiamo sul decennio 2020-2029 sulla base delle aspettative di vita rilevate dalle tavole di mortalità Istat 2019, arriviamo ad un totale di circa 11,9 miliardi di pensioni che nei prossimi 10 anni non verranno erogate.

(dataroom@rcs.it)

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Recovery plan e disabilità: nuove risorse e lacune antiche

Sulla disabilità che cosa esprime il PNRR? Chi ha redatto il Piano dimostra di conoscere gli elementi portanti della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 che spazia dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. Tuttavia, il “tema” disabilità è sostanzialmente confinato nella missione sull’inclusione sociale. Anzi, in una parte di quella missione

Inquadriamo lo scenario usando la stessa sintassi governativa. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, lo strumento predisposto a Bruxelles per rispondere alla crisi provocata dalla pandemia da Covid-19. È strettamente necessario che il Piano sia elaborato in modo congruente alle richieste UE per poter contare su un contributo mai visto e che sfiora i 200 miliardi. Il Governo Conte ne aveva elaborato una prima deficitaria versione.

Il Governo Draghi ci ha rimesso le mani ne ha inviato testo e schede tecniche al Parlamento. Sarà al centro del Consiglio dei Ministri di domani e poi della discussione parlamentare lunedì e martedì prossimi. Infine sarà approvato in una nuova riunione del CdM e inviato a Bruxelles.
Il Piano (chiamato anche Recovery Plan) è articolato in sei missioni: digitalizzazione; innovazione; competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità sostenibile; istruzione; cultura e ricerca; inclusione e sociale; salute.

Attorno alle oltre 318 pagine del PNRR, non solo per la vastità del documento, è difficile esprimere sia una stroncatura, che certo non merita, che un acritico apprezzamento. Molti invece gli interrogativi, talora pessimistici ma più spesso sinceramente ispirati dalla curiosità di conoscerne la effettiva applicazione e ricaduta sulle persone, sulle famiglie, sulla collettività.

Sulla disabilità che cosa esprime il PNRR? Chi ha redatto il Piano dimostra di conoscere gli elementi portanti della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 che spazia dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. Lo dimostra e la cita assieme ai preoccupati report (2017) del Parlamento europeo.

Tuttavia, il “tema” disabilità è sostanzialmente confinato nella missione sull’inclusione sociale. Anzi, in una parte di quella missione. Se alcuni elementi sono certamente apprezzabili (al netto di come verranno effettivamente realizzati), non emerge una visione d’insieme articolata e che colga, almeno in nuce, le complessità irrisolte su disabilità e non autosufficienza, su inclusione e pari opportunità, su segregazione e isolamento.

Nella missione riservata all’inclusione sono previste per la disabilità due specifiche linee di intervento. La prima è quella delle infrastrutture sociali che dovrebbero “rafforzare il ruolo dei servizi sociali locali come strumento di resilienza mirare alla definizione di modelli personalizzati per la cura e il miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità, anche attraverso il potenziamento delle infrastrutture sociali che coinvolgono il terzo settore.” Non è ancora chiaro di cosa si intenda nel dettaglio, ma verosimilmente vi saranno inclusi servizi residenziali, semiresidenziali e di accompagnamento.

Ci si attendeva in queste parti un più articolato dettaglio, solo ad esempio, sul tema della non autosufficienza. Aspetto invece che rimane molto debole in tutto l’impianto del Piano con quello che ne deriva per una parte significativa della popolazione.

Più stringente la seconda linea che contempla invece i percorsi di autonomia per le persone con disabilità cogliendo in parte , almeno in termini programmatici, molte istanze avanzate in questi anni. Gli intenti espressi – su cui si possono elaborare differenti letture – sono quelli di evitare la istituzionalizzazione o di favorire la destituzionalizzazione soprattutto attraverso l’assistenza domiciliare ma anche di accompagnamento all’autonomia personale. Si delineano anche sostegni all’abitare, agli interventi per la ristrutturazione delle abitazioni anche con il ricorso a strumenti di domotica o tecnologicamente avanzati. Un passaggio è dedicato al ricorso a strumentazione e allo sviluppo di competenze digitali in funzione del telelavoro. Il tutto dovrebbe essere inquadrato nella definizione di progetti personalizzati.

In altri passaggi non si rileva invece alcuna particolare attenzione alla disabilità; in particolare l’assenza brilla nelle politiche per l’occupazione (grave!) e nell’housing sociale. Come pure in altre linee dedicate alla disparità di genere e, ancora, all’istruzione o, infine, alla reale accessibilità alla salute, alla prevenzione, alla cura.
Si tace sulla disabilità anche nella parte riservata all’innovazione nella Pubblica amministrazione. Qui di apprezzabile vi è il richiamo all’accessibilità degli atti e delle risorse pubbliche (peraltro già previsto da un corpus regolamentare nazionale ed UE).

Rimane quindi la spiacevole sensazione che la visione della disabilità sia costretta nell’ambito dell’assistenza e della protezione sociale (nel senso minimale dell’espressione) e non piuttosto in quella di una condizione umana trasversale cui riservare inclusione e opportunità.
Non è una sensazione ma una certezza invece, la lacuna rispetto alle riforme strutturali strettamente necessarie al successo stesso del Recovery Plan. È una lacuna che sappiamo essere ben chiara nella sua ampiezza sia a Draghi che al suo entourage: è quello della governance. E governance non significa solo e tanto vigilare che gli obiettivi siano raggiunti per distribuire i quattrini. Significa conservare la regia e i poteri sufficienti per far sì che quegli obiettivi siano realmente perseguiti.

Nel sociale – a noi qui quello interessa – ciò è particolarmente infido. Tentiamo di spiegarla facile e in poche righe. La legge quadro sull’assistenza (recte: sistema integrato di interventi e servizi sociali) risale al 2000. Norma risultante di una stagione di forti idealità, di condivisione, di confronti, la 328/2000 è verosimilmente la legge meno applicata alle nostre latitudini. Anche per una banale coincidenza storica: quasi contestualmente è stato riformato il Titolo V della Costituzione restituendo alle Regioni pressoché tutte le competenze in ambito sociale. Anziché generare mirabolanti effetti la pretesa sussidiarietà ha partorito 21 sistemi sociali regionali ed una profonda disparità territoriale, fortissime disequità allevate nell’assenza di livelli essenziali di assistenza sociale. E niente: con una punta di provocazione possiamo di che che forse l’unico “livello essenziale” reale è oggi l’indennità di accompagnamento, quella che eroga INPS per conto dello Stato.

Negli ultimi anni si è malamente tentato di metterci una toppa, usando i decreti di riparto di alcuni Fondi nazionali come leva a lungo braccio per imprimere un minimo di uniformità di trattamento almeno su alcuni aspetti (non autosufficienza, dopo di noi …). Ma le risorse sono troppo limitate per forzare cambiamenti radicali e strutturali nei territori. Per usare una immagine bucolica: se si gettano semi un terreno che oramai è ghiaioso, difficilmente germoglieranno. Lo stesso fenomeno che accade quando risorse arrivano in un territorio in cui i servizi sociali sono largamente assenti.
Nel sociale lo Stato non ha poteri sufficienti per governare, rendere omogenei servizi e politiche, eliminare odiose disparità territoriali (che la UE mal sopporta); deve quindi contrattare al ribasso le regole con le Regioni, tornare ai consueti decreti di riparto e incidere assai poco nei casi di latitanza.

E che c’entra il Recovery Plan? Ci si ritrova nella stessa situazione di governance monca e che le più mirabolanti intuizioni rimangano impaludate in antichi meccanismi.
A meno che… A meno che Mister Draghi, forte del consenso che per ora conserva, non tiri fuori un coniglio dal cilindro, modificando regole e norme che ci condizionano da parecchi lustri. Se ciò dovesse avvenire, ci auguriamo si inizi dal sociale.
(di Carlo Giacobini su vita.it)

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COVID-19, IL DIRITTO ALLA SALUTE DELLE PERSONE CON DISABILITÀ: “NON POSSIAMO RESTARE IN PORTO PER PAURA DEL MARE”

di Alessandro Mella (Scrittore e divulgatore storico), Marilena Apuzzo (Psichiatra), Federica Galli (Psicologa Clinica, Ricercatrice)
Foto di Ben Allan/Unsplash

Le misure di mitigazione attualmente in atto in tutto il mondo rischiano di esacerbare molte sfide psicologiche, finanziarie e quotidiane delle persone con disabilità.


Se c’è qualcosa che la vita ci ha insegnato in questa fase è come gli stravolgimenti siano costanti, imprevedibili ed improvvisi. A riprova di come la nostra normalità non sia scontata. Nel mio caso, come nel caso di molti, l’ho sperimentato due volte. Se ne parlo non è per vanagloria, anzi avevo riserve a farlo in questi termini, ma perché credo che questa storia sia del tutto simile a migliaia di altre storie, di altre persone cui spero di contribuire a dare voce.

Abituato ad una vita “vivace” nel 2015, all’improvviso, sintomi sospetti mi portarono a scoprire di essere caduto in un abisso. Mi fu diagnosticata una dolorosa e violenta forma di artrite reumatoide con fattore reumatoide ed anti-ccp positivi ad alto titolo.

L’AR è una malattia cronica e degenerativa, purtroppo tendenzialmente invalidante. Ti cambia totalmente la vita. Devi rinunciare a molte cose, moltissime, e accettare il fatto che ogni sforzo ti costerà poi un prezzo, una rappresaglia da mettere in conto. Pochi mesi prima avevo letto di questa malattia interessandomi dell’improvvisa sospensione delle attività dell’attrice Anna Marchesini. Leggendone mi spaventai e mi dissi che mai avrei voluto vedere qualcuno caro doverla affrontare. Ironia della sorte dopo pochi mesi toccò a me.

Non è facile trovarsi a trent’anni con il corpo di un novantenne, con dolori fortissimi, con l’impossibilità di provvedere a se stessi in piena autonomia, con le rinunce lavorative, sportive, sociali e umane. Premetto che ho avuto la fortuna di trovare medici di prim’ordine, bravissimi, attenti e scrupolosi verso i quali nutro un costante senso di gratitudine e con i quali mi interfaccio per ogni decisione. Dopo vari esperimenti decidemmo di passare ai farmaci biotecnologici e la terapia fu una iniezione di un potente immunosoppressore a casa (benefico per la malattia ma pieno di effetti collaterali che vanno dalle nausee a molto altro) affiancato da infusioni, somministrate in ospedale, di un farmaco similare biotecnologico. Associato ad un antistaminico di sicurezza. Ogni sei settimane, quindi, andavo in ospedale per riceverlo.

Durante il periodo del lockdown, ovviamente, non fu possibile recarsi in ospedale ed il percorso terapeutico fu sospeso. Potevo fare solo il primo farmaco ma non il biologico e quindi avere una terapia dimezzata. Scelta incontestabile, comprensibile, mai mi sognerei di contestarla a chi l’ha presa obtorto collo. Feci l’ultima infusione a febbraio e poi iniziarono i problemi. Solo a maggio iniziò ad aprirsi qualche spiraglio ed ai primi di giugno fu possibile tornare in ospedale tuttavia, avendo subito una parziale “disintossicazione” forzata, concordai con i medici di passare, anche per il biologico, ad un sottocute per ridurre le presenze in reparto ed i rischi futuri. Ma questo va ritirato non in farmacia normale ma in un altro ospedale di zona presso la relativa farmacia asl. Ergo in caso di lockdown la sicurezza di riceverlo, in cuor mio, non può che calare.

Vi è da dire che questi sono farmaci molto molto spossanti (e in genere immunosopressori) e si vive in perenne stanchezza pur tentando di conquistare, giorno dopo giorno, spazi di libertà e di autonomia. Quel che si guadagna è sempre frutto di compromessi e fatica, propri e delle persone care.

Contestualmente a tutto questo, in quei mesi, mi fu impedito, ovviamente, di vedere la persona che amo molto e che mi ha scelto e mi sta accanto malgrado la mia invalidità e disabilità perpetue. Può sembrare puerile, infantile, financo stupido a dirsi, ma lei è il mio primo farmaco. La sua presenza è un effetto placebo insostituibile. Preferirei rinunciare a tutti i farmaci che a lei. Sceglierei il dolore del corpo piuttosto che quello dell’anima. E specialmente in quel modo improvviso.

Quelle settimane lontane furono uno strazio per l’anima, così forte che ancora oggi ne sento il peso e vivo con l’angoscia che ricapiti. Io sono sempre stato, nel mio piccolo, impegnato culturalmente e socialmente ma sto facendo molta fatica a tornare a leggere e scrivere ed occuparmi dei miei doveri. Devo e sto cercando di tornare a vivere e riprendere il mio mondo. Ma quelle ferite dell’anima riemergono spesso. I titoli dei media, poi, non aiutano e ritrovare pace ed i giornali, alle volte, sembrano voler infondere un “male di vivere” quotidiano.

So che si tratta solo di un’impressione ingenerosa ma questo è quello che si percepisce. Ogni giorno l’angoscia sale, il malessere cresce, poi arriva un poco di speranza e poco dopo si ricrolla nella paura. Non è vivere questo, forse nemmeno sopravvivere.
Per cui talvolta mi espongo per rimarcare un tema che non sento solo mio. Sono convinto, convintissimo intimamente, che appartenga a decine o centinaia di altre persone con malattie croniche e già provate da queste. Tutti abbiamo sofferto, chi più chi meno, ed io non giudico mai la sofferenza del prossimo. Ognuno ha la sua e sa quanto la sente. Io, poi, forse sono stato anche meglio e più fortunato di altri (se non altro, ad esempio, con il bastone cammino) e sollevo il tema, davvero, anche per loro. Ma se dentro di me sento il terrore del lockdown, di ritrovarmi lontano da lei, di poter magari di nuovo restare a terapie ridotte od interrotte (malgrado lo ribadisco non mi permetta nemmeno per un istante di contestare la scelta fatta allora dai medici, che reputo comprensibile e saggia malgrado i disagi), devo davvero sentirmi stupido o colpevole o meschino?

Dobbiamo vivere con prudenza, responsabilità e vigile attenzione ma anche con speranza, serenità e libertà. Noi immunodepressi, poi, spesso veniamo indicati come più fragili da mettere sotto attenzione. Si, forse lo siamo ma proprio per questo abbiamo una cultura, una forma mentis, dell’autoprotezione di gran lunga più datata e consolidata. Ma non possiamo noi disabili, e intendo chiunque viva la disabilità per una ragione od un’altra, morire di crepacuore per non morire di Covid. E, aggiungo, nessun lavoratore, nessun piccolo o grande imprenditore, dovrebbe sprofondare nella disperazione. Il mio cuore è anche per le partite iva e chi ha subito danni diversi.

Queste mie parole non vogliono essere uno sterile lamentarsi ma solo uno sprone alle autorità, alle istituzioni, a consolidare questa “navigazione tra i due scogli”. Vele spiegate e partiamo, la vita continua, le tempeste ci saranno e le affronteremo con fede e coraggio. Perché non possiamo restare in porto per paura del mare.


Qual è stato l’impatto del Covid-19 sul diritto alla salute delle persone con disabilità?
L’OMS definisce la disabilità come “qualsiasi condizione del corpo o della mente che renda più difficile per la persona che ne è affetta svolgere determinate attività e interagire con il mondo che la circonda” (Organizzazione Mondiale della Sanità 2020a, b). Anche prima della pandemia COVID-19, le persone con disabilità manifestavano maggiori difficoltà nell’accesso all’assistenza sanitaria, nello svolgimento delle attività quotidiane e nel mantenimento del benessere finanziario (Kweon 2020; Lenze et al.2001) e le misure di mitigazione attualmente in atto in tutto il mondo rischiano di esacerbare molte sfide psicologiche, finanziarie e quotidiane (Gershman 2020). E’ dunque semplice immaginare la forza dell’impatto della pandemia sulle persone che quotidianamente vivono con una disabilità; basti pensare, ad esempio, alle persone con disabilità visive che, oltre a essere maggiormente suscettibili al virus, soffrono particolarmente delle misure restrittive e di controllo raccomandate dal governo, inclusa l’adozione di nuovi cambiamenti comportamentali (ad esempio, distanza sociale, limitazione del contatto tattile), oppure alle persone affette dal morbo di Parkinson, che vedono peggiorare i loro sintomi quando sono confinati in ambienti chiusi (Senjam et al. 2020; Kumar et al. 2020).

Il documento redatto dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ONU il 29/04/2020, “COVID-19 and the rights of persons with disabilities: guidance”, ha sottolineato che le persone con disabilità sono state colpite in modo particolare dall’emergenza sanitaria e dal lockdown, a causa di barriere attitudinali, ambientali e istituzionali, che hanno reso particolarmente difficile l’accesso alle cure e ai siti ospedalieri.

Il documento sottolinea come:

– molte persone con disabilità hanno condizioni di salute preesistenti che li rendono più suscettibili a contrarre il virus ed a sperimentare sintomi più gravi dopo l’infezione;

– i disabili hanno sperimentato un grave isolamento al proprio domicilio legato alle restrizioni imposte o, se ricoverate in istituti, sono state più vulnerabili, come dimostra l’alto numero di morti nelle case di cura residenziali e nelle strutture psichiatriche;

– si sono intensificate le barriere nell’accesso ai servizi sanitari e alle informazioni, nonché le barriere nell’accesso al sostegno, al sostentamento e al reddito, alla partecipazione a forme di istruzione online e alla ricerca di protezione dalla violenza.

Recenti pubblicazioni scientifiche hanno fornito ampie raccomandazioni per limitare l’impatto della pandemia sulle persone con disabilità (Senjam 2020; Kessler Foundation 2020; National Association of the Deaf 2020), ma ci sono ancora pochi strumenti disponibili per valutare l’impatto su tale gruppo di popolazione. Di conseguenza, alcuni autori hanno puntato a sviluppare un nuovo strumento di indagine, il Coronavirus Disability Survey (COV-DIS), allo scopo di valutare l’impatto della pandemia COVID-19 e delle relative misure di mitigazione delle malattie su questo gruppo di persone.

L’indagine include elementi per valutare la salute generale e psicologica, le attività della vita quotidiana, l’isolamento sociale, la tensione finanziaria e l’accesso alle informazioni e ai trasporti. Si chiede agli intervistati di confrontare le esperienze attuali con le loro esperienze prima di diventare consapevoli della pandemia. Tale strumento è attualmente in uso in alcuni Stati d’America.
Atteso quanto sopra, è stato proposto di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’impatto della pandemia sulle persone con disabilità e sui loro diritti e di attirare l’attenzione su alcune pratiche promettenti già intraprese in tutto il mondo.

Quali sono alcune pratiche promettenti?
Il Comitato Bioetico della Repubblica di San Marino ha prodotto linee guida COVID-19 sul triage, che vieta la discriminazione sulla base della disabilità: “L’unico parametro di scelta, quindi, è la corretta applicazione del triage, rispettando ogni vita umana, sulla base dei criteri di appropriatezza clinica e proporzionalità dei trattamenti. Qualsiasi altro criterio di selezione, come l’età, il sesso, l’affiliazione sociale o etnica, la disabilità, è eticamente inaccettabile, in quanto implementerebbe una classifica delle vite solo apparentemente più o meno degne di essere vissute, costituendo una violazione inaccettabile dei diritti umani.”

L’Ufficio per i diritti civili presso il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti ha emesso un bollettino per garantire che le autorità proibiscano la discriminazione sulla base della disabilità, affermando che “alle persone con disabilità non dovrebbe essere negata l’assistenza medica sulla base di stereotipi, valutazioni della qualità della vita o giudizi sul relativo “valore” di una persona in base alla presenza o assenza di disabilità o di età“.

Nelle Filippine, la Commissione per i diritti dell’uomo ha pubblicato informazioni a sostegno delle agenzie sanitarie che personalizzano i messaggi pubblici per i gruppi vulnerabili delle comunità, compresi i bambini e le persone con disabilità.

In Canada, è stato istituito il “COVID-19 Disability Advisory Group” (gruppo consultivo per la disabilità COVID-19) con la partecipazione delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni rappresentative, per consigliare il governo su questioni specifiche per la disabilità, su sfide, lacune, strategie e misure da adottare.

L’ONU auspica che tra le azioni da intraprendere ci siano:

• Proibire azioni che possano discriminare l’accesso a trattamenti medici sulla base della disabilità, sul livello delle esigenze di sostegno, sulle valutazioni della qualità della vita o su qualsiasi altra forma di pregiudizio medico nei confronti delle persone con disabilità, anche per quanto concerne l’assegnazione di risorse scarse (come i ventilatori o l’accesso alle terapie intensive);

• Garantire in maniera prioritaria test a persone con disabilità che presentino i sintomi del COVID

• Identificare e rimuovere gli ostacoli al trattamento, comprese le barriere architettoniche e garantire la diffusione di informazioni sanitarie e comunicazioni in modalità, mezzi e formati accessibili.
Promuovere la ricerca sull’impatto del COVID-19 sulla salute delle persone con disabilità.

•Garantire la fornitura e l’accesso ai farmaci per le persone con disabilità.
Sensibilizzare gli operatori sanitari per prevenire la discriminazione basata su pregiudizi e pregiudizi nei confronti delle persone con disabilità.

Fondamentale, in questa fase, è anche sensibilizzare ugualmente la politica perché, nel prendere provvedimenti e decisioni talvolta difficili, essa tenga in considerazione anche queste problematiche.

Ha piacevolmente sorpreso, nelle dichiarazioni del presidente del consiglio Giuseppe Conte di domenica 18 ottobre, il riferimento alle famiglie con persone disabili. L’auspicio è che queste parole, inedite ed inattese, siano rivelatrici di una ritrovata attenzione al tema. A queste si spera che subentrino azioni concrete a conferma di questa speranza.

Bibliografia
Bernard et al., Assessing the impact of COVID-19 on persons with disabilities: development of a novel survey. Int J Public Health. 2020 Jul 23 : 1–3.

Gershman J (2020) A Guide to State Coronavirus Reopenings and Lockdowns. The Wall Street Journal, Dow Jones & Company www.wsj.com/articles/a-state-by-state-guide-to-coronavirus-lockdowns-11584749351.
Kessler Foundation (2020)

COVID-19 and spinal cord injury: minimizing risks for complications. https://kesslerfoundation.org/info/covid-19-and-spinal-cord-injury-minimizing-risks-complications. Accessed 30 June 2020

Kumar et al. Impact of home confinement during COVID-19 pandemic on Parkinson’s disease, Parkinsonism and Related Disorders 80 (2020) 32–34

Kweon S (2020) Pandemics hit people with disabilities hard. https://www.iapb.org/news/pandemics-hit-people-with-disabilities-hard/. Accessed 30 June 2020

Lenze EJ, Rogers JC, Martire LM, Mulsant BH, Rollman BL, Dew MA, Reynolds CF., III The association of late-life depression and anxiety with physical disability: a review of the literature and prospectus for future research. Am J Geriatr Psychiatry. 2001;9(2):113–135. doi: 10.1097/00019442-200105000-00004.

National Association of the Deaf (2020) COVID-19: deaf and hard of hearing communication access recommendations for the hospital. https://www.nad.org/covid19-communication-access-recs-for-hospital/. Accessed 30 June 2020

Senjam SS. Impact of COVID-19 pandemic on people living with visual disability. Indian J Ophthalmol. 2020;68(7):1367. doi: 10.4103/ijo.IJO_1513_20
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(tratto dalla pagina Facebook “Pillole di Ottimismo)

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