Minori con disabilità, Italia condannata da Corte europea per mancanza di adeguata assistenza. Sentenza

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’italia per mancanza di adeguata assistenza ai minori con disabilità. La violazione individuata dalla Corte è contenuta nell’articolo 14 dei diritti dell’Uomo contenente il divieto di discriminazione, nonché dell’articolo 2 del Protocollo Addizionale n. 1 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Diritto all’istruzione), rilevando il carattere discriminatorio dell’omessa assistenza.
Per la Corte, l’assistenza ha evidenziato le gravi conseguenze e i danni che la mancata assistenza evidenziata può causare in un minore, in particolare (per il caso trattato), nei primi anni di scuola primaria.

La sentenza è stata pubblicata dall’Associazione Luca Coscioni, dove si rintraccia anche una dichiarazione dalla presidente e avvocato Filomena Gallo, ““Proprio nei giorni in cui in Italia è vivo il dibattito legato alle lacune del sistema scolastico alla riapertura post lockdown, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con una importante sentenza, ha quindi segnato una tappa decisiva verso il rafforzamento dei diritti delle persone con disabilità nello scenario europeo ed internazionale. Un grazie a questa famiglia che ha deciso di chiedere l’affermazione di diritti fondamentali per la propria figlia e all’avvocato Marilisa D’Amico, che ha patrocinato la difesa del caso che  ha portato a questa importante decisione”.
Testo della sentenza
(orizzontescuola.it)

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Scarsa assistenza agli alunni disabili”: condannato il ministero dell’Istruzione

La decisione del tribunale di Milano dopo la denuncia della Lega per i diritti delle persone con disabilità (Ledha): “Il ministero ha previsto una dotazione di insegnanti di sostegno inferiore a quella necessaria”

Il tribunale di Milano ha condannato il ministero dell’Istruzione per discriminazione ai danni di studenti con disabilità. La motivazione: “Ha previsto una dotazione di insegnanti di sostegno inferiore a quella necessaria”. E’ quanto fanno sapere da Ledha, la Lega per i diritti delle persone con disabilità, in un comunicato nel quale parla di “vittoria per le famiglie di 16 ragazzi con disabilità che nel corso dell’anno scolastico 2012-2013 si erano visti assegnare un numero di ore di sostegno inferiore alle loro esigenze”. La condanna è stata stabilita da giudice della prima sezione civile del tribunale di Milano”. Soddisfatto il presidente di Ledha, Franco Bomprezzi,  “per il contenuto di questa sentenza che si inserisce splendidamente nel filone giurisprudenziale del rispetto del principio di non discriminazione”.
Oggetto del ricorso (presentato da Ledha e da 16 famiglie) i provvedimenti adottati dal Miur tra l’aprile 2010 e il luglio 2012 con cui si è determinata una riduzione del numero di insegnanti di sostegno a fronte di un incremento del numero di studenti con disabilità. “Leggendo le motivazioni addotte a difesa, da parte delle istituzioni scolastiche e del ministero non posso non rilevare con preoccupazione il continuo riferimento alla necessità di contenere i costi e la convinzione di poter agire in un quadro normativo di grande discrezionalità – rimarca Bomprezzi – Ecco perché ancora una volta si deve chiedere alla magistratura di intervenire per ristabilire la qualità del diritto all’inclusione scolastica”. L’auspicio di Ledha è che simili episodi discriminatori non si ripetano più nel prossimo anno scolastico.
“Il giudice, per evitare possibili ripetizioni delle condotte discriminatorie accertate, ha ordinato che per il prossimo anno scolastico l’amministrazione fornisca tutte le ore che verranno indicate nel Piano educativo individualizzato per gli alunni che hanno promosso l’azione”, aggiunge l’avvocato Livio Neri. È quello che nel diritto antidiscriminatorio viene chiamato piano di rimozione: “Ovvero una misura per evitare nel futuro il reiterarsi della discriminazione accertata”.

(repubblica.it))

Disabili e occupazione: perché l’Europa ha condannato l’Italia

La Corte di Giustizia Ue sanziona il nostro paese, per non aver favorito abbastanza l’inserimento nel mondo del lavoro dei portatori di handicap

Italia condannata per non aver favorito abbastanza l’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro

E’ quanto ha stabilito una recentissima sentenza della Corte di Giustizia Europea , che impone al nostro paese di mettersi in riga e adottare opportuni cambiamenti legislativi, tali da sanare la situazione. 

IL CONTENZIOSO
Tutto è partito da un contenzioso che risale addirittura al 2006 e che ha visto contrapposte la Commissione Ue e la Repubblica Italiana. In particolare, le autorità di Bruxelles hanno rimproverato al governo e al parlamento di Roma di non aver recepito pienamente una direttiva europea che risale a oltre 13 anni fa (la n. 78 del 2000) e che aveva proprio lo scopo di agevolare l’inserimento nel mondo produttivo dei portatori di handicap. Secondo l’articolo 5 della direttiva, “il datore di lavoro deve prendere dei provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze e delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere a un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o di ricevere una formazione professionale, a meno che tali provvedimenti non richiedano un onere finanziario sproporzionato per lo stesso datore di lavoro”.

LE BARRIERE ARCHITETTONICHE
Si tratta di un principio che in Italia, secondo la Commissione Ue, non è stato pienamente rispettato, benché nel nostro paese esistano delle norme a tutela dei lavoratori disabili sin dagli anni ’60, perfezionate poi con la legge n. 68 del 1999. Nello specifico, Bruxelles rimprovera alla legislazione italiana di circoscrivere le tutele soltanto ad alcune tipologie di disabilità specificamente individuate e di basare le politiche di integrazione dei portatori di handicap soprattutto su “incentivi, agevolazioni e iniziative a carico delle autorità pubbliche” senza imporre sufficienti obblighi ai datori di lavoro. Inoltre, dalla disciplina italiana sono in gran parte escluse alcune categorie di aziende, come quelle con meno di 15 addetti.

LA SODDISFAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI
Anche se Roma ha rispedito le accuse al mittente, la Corte di Giustizia Europea ha deciso di ragione a Bruxelles. La sentenza è stata accolta con soddisfazione dai sindacati e da alcune associazioni di categoria come la Federazione italiana superamento handicap (Fish), la quale ha evidenziato alcune cifre che provano la giustezza del pronunciamento dei giudici comunitari. Nel nostro paese, infatti, soltanto il 16% delle persone disabili con un età fra i 15 e i 74 anni risulta essere un lavoratore attivo, mentre il tasso di occupazione tra la popolazione generale è di circa il 50%.

IL PARERE DEL GIURISTA
Di diverso parere è l’avvocato Fabrizio Daverio, giuslavorista e socio fondatore dello studio legale Daverio&Florio, il quale giudica “abbastanza sorprendente” il recente pronunciamento della Corte”. I motivi che spingono Daverio avere questa posizione, sono sostanzialmente due. Innanzitutto, l’avvocato fa notare che il testo dell’articolo 5 della direttiva europea sui lavoratori disabili è “piuttosto generico” e rende difficile capire, nello specifico, quali sono le sue reali modalità di applicazione. Inoltre, secondo Daverio, le leggi italiane a tutela dei lavoratori portatori di handicap sono già abbastanza avanzate e stabiliscono certi obblighi per le aziende che, invece, non sono previsti in altri paesi (almeno in alcuni). E’ il caso delle norme che impongono alle imprese di avere nell’organico un numero minimo di dipendenti disabili (almeno 7% dei lavoratori occupati, se la società ha più di 50 addetti; almeno due lavoratori, se l’azienda ha un organico tra 36 a 50 dipendenti e almeno un lavoratore, qualora nell’impresa siano impiegati da 15 a 35 dipendenti). Se dunque in Italia il tasso di occupazione tra i disabili è basso, per Daverio la colpa non è certo delle leggi attuali, che ovviamente si limitano a fissare dei principi e degli obblighi. Spetta alle autorità pubbliche, poi, riuscire ad applicarli bene.
(economia.panorama.it)

di Giovanni Cupidi

Lavoro per i disabili: l’Ue condanna l’Italia

In Italia le opportunità lavorative e di integrazione per i disabili non sono molte nonostante a livello nazionale vi sia una legge specifica e l’Unione Europea preveda norme molto precise contro le discriminazioni. Da oggi a certificare l’inadempienza del nostro paese c’è anche la sentenza della Corte Europea di Giustizia che ha condannato l’Italia perché “è venuta meno al suo obbligo di recepire correttamente e completamente” le norme contro la discriminazione delle persone con disabilità ed in particolare l’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE che stabilisce “un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.”Alla sentenza della Corte di Giustizia si è arrivati dopo l’avvio nel 2006 di una procedura di infrazione della Commissione nei confronti dell’Italia perché inadempiente sulla corretta applicazione alle Direttive europee. La Commissione nei suoi giudizi sull’Italia hacontestato moltissimi punti della Legge 68/99, le procedure di applicazione della stessa e le norme adottate negli ultimi anni per adeguarsi alla legislazione europea. Pur ammettendo la legge italiana su alcuni aspetti offre “garanzie ed agevolazioni persino superiori” alla direttiva europea, la Commissione sostiene che questa obbliga solo una parte dei datori di lavoro ad assumere lavoratori svantaggiati e di conseguenza esclude una parte dei disabili dalle opportunità lavorative.Anche l’applicazione pratica della legge viene contestata perché l’adozione delle misure previste sarebbe affidata alle “autorità locali o alla conclusione di apposite convenzioni tra queste e i datori di lavoro e non conferirebbe quindi ai disabili diritti invocabili direttamente in giudizio”. In questo caso ad essere contestata è la complessa trafila che vede occuparsi della stessa materia Provincie, Regioni e Direzioni del lavoro senza una effettiva garanzia dei diritti sanciti e una reale possibilità di far varli valere giuridicamente.  Praticamente l’Europa fa notare all’Italia che seppure una legge c’è è difficile  applicarla e farla rispettare per i troppi passaggi burocratici fra gli enti pubblici.   
In definitiva il giudizio della Commissione Europea sulla Legge 68/99 è piuttosto duro perché sostiene che “il sistema italiano di promozione dell’integrazione lavorativa dei disabili è essenzialmente fondato su un insieme di incentivi, agevolazioni e iniziative a carico delle autorità pubbliche e riposa solo in minima parte su obblighi imposti ai datori di lavoro” mentre la normativa europea impone precisi obblighi e non solo incentivi. L’Italia nelle sue repliche, pur ammettendo delle lacune legislative, ha ribadito però che la Legge 68/99 garantisce “soluzioni in favore  dei disabili” e che alcune norme europee sono state interpretate in modo troppo restrittivo e in modo “difforme” dal testo.  Tali repliche tuttavia non hanno convinto la Corte di Giustizia Europea che ha invece confermato tutti i rilievi mossi dalla Commissione condannando l’Italia per non aver applicato in modo completo per tutti i datori di lavoro l’obbligo di assunzione dei disabili e garantire loro le giuste condizioni di lavoro. L’Italia, inoltre, essendo parte soccombente nel procedimento è stata condannata al pagamento delle spese legali. Di fatto tutti gli argomenti sollevati dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia confermano  tutti i problemi le inadempienze che l’inchiesta Disoccupabili di Fainotizia ha documentato dando voce ai disabili stessi e che rendono sempre più urgente una nuova legislazione in materia. 
(fainotizia.it)

di Giovanni Cupidi