Parole di Carta: A caccia di pregiudizi

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione
A caccia di pregiudizi. Come sfatare le false credenze sulla Comunicazione Alternativa
Come sfatare le false credenze sulla Comunicazione Alternativa

La comunicazione è la prima abilità che l’individuo deve mettere in atto se vuole sopravvivere. Si pensi ad esempio al pianto del bambino, senza il quale il piccolo non potrebbe segnalare i propri bisogni.

Non sempre tutto scorre liscio, non sempre i percorsi della vita vanno in rettilineo. In questi casi non bisogna farsi fermare dallo scoraggiamento; al contrario, nel tempo sono stati strutturati da parte di persone competenti in materia, strumenti di supporto che consentano di comunicare anche a chi ha obiettive difficoltà di base, come nel caso di alcune forme di disabilità.

Di recente abbiamo avuto modo di parlare di Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) con la dottoressa Giulia Tizzoni dell’Associazione Nasininsù di Catania.

Come promesso, approfondiamo oggi l’argomento sfatando alcuni dei pregiudizi che gravitano spesso intorno a questo importante strumento di supporto per chi, per cause diverse, ha rilevanti problemi di comunicazione.

Il primo pregiudizio è che la CAA sia destinata soltanto ai bambini con problemi. In realtà si presta a fornire un aiuto concreto anche ad adulti che, per malattia, incidente o simili, siano privi temporaneamente o in modo permanente di linguaggio verbale.

Altro pregiudizio ricorrente è quello per il quale l’uso dei simboli, frequente nelle forme alternative di comunicazione, possa impedire l’emergere del linguaggio vocale. È vero l’opposto, ossia i simboli stimolano le stesse aree del cervello del linguaggio vocale, per cui semmai ne favoriscono lo sviluppo.

Specifica la dottoressa Tizzoni: “Prima di riuscire a parlare, il bambino il più delle volte capisce ciò che gli adulti gli chiedono; supportare questa fase accompagnando con i simboli le parole che gli rivolgiamo aiuta sicuramente.”

IL CONSIGLIO

Pare evidente che non si possa improvvisare ma affidarsi invece a professionisti esperti, che possano fare la differenza. Bisogna sapere come muoversi, per cui sbaglia chi sostiene che non servano competenze specifiche.

Prima di occuparsi direttamente della persona con disabilità – aggiunge la dottoressa Tizzoni – il terapista deve analizzare i partner comunicativi all’interno dell’ambiente naturale in cui si manifestano i bisogni comunicativi della persona con difficoltà di linguaggio.

A quest’ultima va poi insegnato a chiedere ciò che vuole, e anche a scegliere.
Nel momento in cui l’individuo in questione sperimenta che attraverso una forma sia pur accennata di comunicazione può influenzare l’ambiente intorno, gli cresce l’autostima e s’incoraggia a proseguire nel percorso di abilitazione o riabilitazione.

La CAA non si basa su ripetizioni infinite che possono finire con lo stancare e demotivare il soggetto coinvolto, piuttosto punta ad aumentare la competenza comunicativa insegnando quando parlare, quando tacere, cosa dire e a chi. La funzionalità comunicativa che ne risulta dev’essere efficace, quindi si deve raggiungere l’obiettivo di farsi capire dall’interlocutore, e la comunicazione deve risultare adeguata al punto che il messaggio arrivi in modo chiaro non solo alle persone più vicine ma anche agli estranei.

Il cammino proposto può forse risultare non breve nel caso di disabilità più gravi, ma poter contare su una guida competente rassicura emotivamente sia la persona con disabilità che i caregivers e questa è la base per una collaborazione proficua, proprio perché fondata sulla fiducia.

Nel prossimo articolo parleremo di quelle che sono le procedure più opportune da metter in atto in base ai diversi tipi di comunicatori.

Parole di Carta: Alla ricerca del proprio canale di comunicazione

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione

L’esperienza di Neon teatro

Il più delle volte il concetto di disabilità è associato a quello di assistenza (o, peggio, di assistenzialismo).
Il termine “abilità” sembra stridere ontologicamente, per natura, con quello (a torto definito “opposto”) di “disabilità”.

Tutta colpa del prefisso “dis” che, come una cappa di acciaio, ingabbia e soffoca l’abilità che nella parola è comunque compresa.
Se la cosa non fosse già di per sé grave, all’universo dei dis-abili ancora troppo spesso si avvinghia come un vampiro anche il dis-interesse generale, tanto che nelle menti dis-tratte il problema-disabilità finisce facilmente nella dis-carica dei pensieri ingombranti.

Quanto danno può creare un prefisso, forse perché “pre” è anche in “pre-giudizio”. In fondo, tutto torna.
Ogni persona ha dentro una bellezza che non sempre viene coltivata ed espressa.
Non sempre, infatti, è facile trovare il proprio canale di comunicazione per esprimere la “specialità” che è in ciascuno di noi.

Probabilmente ancora più complicato diventa per le persone con disabilità, perché la società, condizionata dalla dis-informazione a riguardo, ha costruito ancora troppi pochi spazi di espressione per chi ha delle oggettive difficoltà di base.

IL CONSIGLIO

L’Associazione culturale Neon, fondata da Piero Ristagno e Monica Felloni nel 1989, da più di trent’anni ha fatto della collaborazione tra persone normodotate e con disabilità il proprio manifesto.

Tutti i nostri spettacoli hanno come motivazione e obiettivo la comunicazione – spiega Piero Ristagno – I nostri attori, con la guida attenta della regista Monica Felloni, hanno la possibilità di esprimere sul palco il proprio modo di essere. Il teatro non è però l’unica via percorribile. È importante che ciascuno individui la forma espressiva, anche artistica, che si conforma maggiormente alle sue corde.”

Gli chiediamo di riportarci qualche esempio a riguardo e quindi aggiunge: “Angela Longo, pur essendo tetraplegica, s’è inventata un sistema di scrittura che le consente di comunicare attivamente sui social: scrive col naso. Danilo Ferrari, anche lui affetto da tetraplegia spastica, comunica con gli occhi. Accanto a lui la sua ex insegnante di sostegno, Mariastella Accolla, che trasforma in parole tutto ciò che lui, attraverso un sistema codificato ideato da loro, le comunica.

Danilo, trovato il proprio sistema di comunicazione, è riuscito a laurearsi e oggi è scrittore, giornalista e attore per la compagnia Neon. Altra perla di Neon è Alfina Fresta che, senza farsi abbattere dalla disabilità, ha combattuto per realizzare il proprio sogno artistico. Anche lei fa parte della compagnia di Neon teatro ed è anche una cantante lirica molto apprezzata.”

In conclusione afferma: “Il mio consiglio per le famiglie che hanno al proprio interno una persona con disabilità è quello di incoraggiarle a sperimentare varie possibilità senza farsi abbattere da possibili difficoltà nel percorso, finché non troveranno la propria forma espressiva, artistica, sportiva o di qualunque altro genere.

Clara Woods: la vita oltre la disabilità

La straordinaria storia di una ragazza che non parla e non legge ma capisce tre lingue

Piacere, sono Clara!

Clara Woods è una ragazza di quattordici anni a cui un ictus ha provocato una disabilità importante, sia in termini di movimento, sia di articolazione del linguaggio. Clara è la prima, coraggiosa abitante di questo territorio dell’oltre. Non parla e non sa leggere, ma comprende tre lingue. Ha una paralisi che le impedisce di muovere metà del suo corpo, ma dipinge. La sua pittura è la via di accesso alle sue parole, alla sua storia densa e intrisa di un dolore profondo, ma animata dall’amore vivo di una famiglia straordinaria che le ha offerto un motivo per non spegnersi e, invece, brillare di luce nuova.

La famiglia

Betina, Carlo e Davi sono gli altri tre eroi di questa storia straordinaria. La grande casa dell’amore, del resto, si costruisce su fondamenta solide e tutte legate insieme. Passando attraverso un grande dolore, la famiglia Woods ha indirizzato le risorse di Clara verso la potentissima esperienza della pittura, arte catartica e preziosa per gli stimoli che può offrire all’indagine della propria persona. 

Oggi Clara vive negli Usa con la sua famiglia. Sta scoprendo nuovi orizzonti, sta entrando in contatto con una nuova cultura, una nuova lingua, un nuovo clima. Tante, tante tele attendono di essere dipinte e di raccontare le nuove storie della sua vita. Mentre Clara cresce come persona e come artista, non immagina quanto grande è il contributo che lascia ogni giorno a questo mondo bizzarro. Dai luoghi dell’oltre il suo sorriso arriva raggiante e spazza via la paura che non sia possibile aprirsi alla vita con una disabilità. Lei ci guarda tutti da quella riva e agita la sua mano per salutarci e ricordarci che le cose possono andare in un modo diverso. Dovremmo farci un salto in questo posto!

Betina, la madre di Clara, è stata così gentile da concederci il tempo per una intervista su questa storia e noi vorremmo condividerla con voi.

Quando siete venuti a conoscenza del problema di Clara? Cosa è accaduto in quel momento?

Diciamo che alla sua nascita ci siamo accorti che c’erano delle cose che non andavano. Clara non si girava nel letto e la sua mano destra non si apriva. Fu, però, durante il suo settimo mese che realizzai che c’era qualcosa di molto serio: un giorno eravamo all’Ikea e vedemmo una bambina della sua età che gattonava. Scoppiai in un pianto dirotto: la nostra Clara non lo faceva. Quel giorno il mondo mi crollò addosso. Condivisi con Carlo, il babbo di Clara, i miei pensieri. Lui ha già una figlia con l’atrofia muscolare da un primo matrimonio, e pensammo che potesse trattarsi di questo. Infine, però, siamo riusciti ad ottenere i risultati degli esami che confermavano che Clara non avesse la SMA. Io, per immaturità, non avevo in effetti fatto durante la gravidanza gli esami che avrei dovuto fare. Mi ero detta che sarebbe venuto quello che doveva venire. In seguito i dottori hanno scoperto che Clara aveva avuto un ictus e le hanno prospettato un’esistenza da vegetale, ma noi genitori le abbiamo fatto intraprendere un percorso di riabilitazione e Clara ci sorprende ogni giorno con continui progressi.

Come e quando nasce l’idea di decidere di raccontare la storia di Clara?

Nasce nel 2016. A quel punto non avevamo più speranze che Clara imparasse a scrivere a leggere o che potesse parlare. Mi sono detta, allora, che l’avrei trasformata in una influencer. Lei è bella, solare, mi son detta, e può trasmettere dei grandi messaggi! Così, avendo io sempre lavorato nel marketing, ho deciso di creare il suo profilo di Instagram e ho cominciato a pubblicare contenuti su di lei.

Cosa è accaduto nelle vostre vite dopo la nascita di Clara?

Clara è sempre stata un dono per noi. Non l’abbiamo mai considerata una disgrazia. Abbiamo sempre accettato la sua condizione. Ho pianto spesso, ho litigato con Dio tante volte, ho sperato che guarisse e che accadesse un miracolo, ma intanto ci siamo subito rimboccati le maniche e subito abbiamo cercato di capire  cosa fosse meglio per lei.

Come vive Clara oggi la sua disabilità? Come l’ha vissuta finora?

Alti e bassi, dipende dai momenti. Ha sofferto, certo, perché ci sono diverse cose che non può fare. Ci sono stati dei momenti difficili: non riusciva a vestirsi, per esempio. Poi, non ha mai avuto amici o amiche della sua età. Tanti rapporti d’amicizia sono stati spinti da noi, ma sono finiti. Clara è molto conscia della sua disabilità. Noi siamo stati sempre molto chiari: le abbiamo spiegato che per essere accettati c’è del lavoro da fare, dunque lei sa che il suo non sarà un futuro normale e che c’è da lavorare tantissimo.

Come comunica a scuola o fuori da casa?

Lei a scuola ha una maestra di sostegno che sta imparando a conoscerla. Qui nella scuola americana, Clara ha un tablet con il quale riesce a comunicare abbastanza bene, ma si avvale anche dei gesti. Io do una mano nel senso che la mattina scrivo per la scuola tutto ciò che Clara ha fatto il giorno prima e fornisco una base per i suoi racconti. Fuori da casa con chi non conosce è ovviamente più complicato. Clara non sa usare la lingua dei segni. Ci abbiamo anche provato, ma imparare quella lingua significa usarla solo con i sordi. Lei ha persino sempre rifiutato di usare i tablet prima di convincersene adesso. Vedremo come andrà a finire. Dovremo trovare un sistema di comunicazione che possa utilizzare fuori.

Come e quando nasce la sua passione per la pittura?

Clara ha cominciato a dipingere da piccolina. Poi ha smesso e ha ricominciato nel 2016, con la stessa maestra che la seguiva da bambina. A quel tempo, però, dipingeva le sue tele per lo più di nero e distruggeva tutti i quadri. Poi, piano piano, ha cominciato a disegnare delle forme. Abbiamo notato che era man mano più tranquilla mentre dipingeva, più a suo agio. Sembrava che avesse trovato una certa pace interiore. Poi, nel 2017, le regalai un libro per bambini su Frida Kahlo e quella lettura ha cambiato tutto. Clara si è perdutamente innamorata di Frida. Anche Frida è riuscita ad arrivare lontano nonostante la sua disabilità e i suoi problemi. Da quel momento è nato tutto questo percorso di innamoramento per la pittura. Non solo, Clara ha scoperto che la sua pittura poteva piacere alle persone e che attraverso quella poteva costruire dei rapporti e la sua vita.

Dove sono esposte le opere di Clara?

Nelle case dei collezionisti, di chi ha comprato le sue opere. Clara non è ancora arrivata ad un museo. Ha esposto in passato, ma oggi non ci sono sue opere esposte. Con la pandemia, poi, si è fermato tutto.

Perché avete deciso di trasferirvi negli Usa?

Perché era un vecchio mio sogno nel cassetto. Io sono brasiliana, sono stata a Firenze per sedici anni e penso che qui a livello di business ci siano molte più opportunità, che ce ne siano specialmente per Clara. Pensavo anche che qui la scuola fosse migliore ed in effetti è per loro un’esperienza straordinaria. Il tempo qui dove siamo è sempre caldo e anche quello aiuta la deambulazione di Clara, che soffre molto il freddo. Qui poi la mentalità è differente, a me quella europea stava molto stretta. Insomma, mi sono detta che dovevamo provare questa cosa!

Che cos’è Clara Woods LLC?

Clara Woods LLC è l’azienda che abbiamo creato qui, negli Usa. Prima c’era Clara Woods, che era l’azienda italiana e che abbiamo chiuso per poter continuare il lavoro qui. Clara Woods LLC nasce con due scopi: uno è creare un brand internazionale per Clara, che abbia un team che opera con lei e per lei e che parli al mondo di disabilità e inclusione. In questo modo, se mai a me e Carlo accadesse qualcosa, lei avrebbe qualcosa di suo su cui lavorare. Le permetterebbe di vivere e di sentirsi realizzata. Non solo, in Clara Woods LLC vorremmo anche lanciare un’agenzia che a sua volta promuova il talento di persone disabili che per qualche motivo – economico e non – hanno difficoltà ad affermarsi nel mercato.

(cblive.it)

Forme di comunicazione alternative nella disabilità

In ritardo ma pur sempre interessante:

Bambini con varie disabilità intellettive, neuromotorie o sensoriali manifestano spesso significative difficoltà nella comunicazione, nella capacità di comprendere ed elaborare i messaggi ricevuti, e talora in modo drammatico, nell’esprimere, mediante sistemi di comunicazione trasparente e coerente, i propri bisogni, desideri, orientamenti. Una abilità di comunicazione deficitaria o inadeguata è all’origine di alcuni problemi di comportamento che rappresentano un ostacolo non solo per l’apprendimento, ma anche sul piano relazionale e sociale. In questi casi, puntare sul potenziamento delle abilità comunicative diventa una delle priorità nell’intervento educativo-riabilitativo.  

Su tale filo conduttore si svilupperà il 1° Convegno Erickson Sviluppare le abilità di comunicazione nella disabilità (16 e 17 maggio, a Trento) dedicato a psicologi, medici, logopedisti, terapisti, educatori e insegnanti di ogni ordine e grado scolastico. Il convegno si propone di offrire ai partecipanti una visione d’insieme delle strategie, strumenti e metodi per lavorare attraverso forme di comunicazione alternative. Deficit di linguaggio non significa fortunatamente assenza totale di comunicazione, infatti lo scambio di pensieri, emozioni, sensazioni, informazioni avviene non solo attraverso la parola, la scrittura, ma anche attraverso i gesti, le immagini e i suoni.  
I tre workshop di approfondimento prenderanno in esame alcune metodologie di intervento. Carlo Ricci E Alberta Romeo (Istituto Walden, Roma) presenteranno il Picture Exchange Communication System (PECS), ideato da Lori A. Frost e Andrew S. Bondy nel 1994 negli Stati Uniti all’interno del Delaware Autistic Program, che letteralmente significa “Sistema di Comunicazione mediante Scambio per Immagini”. Il PECS combina conoscenze approfondite di terapia del linguaggio e tecniche cognitive comportamentali di apprendimento. Basato sull’utilizzo di rinforzi, è rivolto ad una grande varietà di disturbi della comunicazione, in particolare al Disturbo dello Spettro Autistico.  

Maria Antonella Costantino (Centro Sovrazonale di Comunicazione Aumentativa, Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Fondazione IRCCS “Ca’Granda” Ospedale Maggiore Policlinico, Milano) introdurrà l’area della pratica clinica definita Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA). Vengono considerate come forme di CAA tutte le modalità di comunicazione che possono facilitare e migliorare la comunicazione delle persone che hanno difficoltà a utilizzare i più comuni canali comunicativi, soprattutto il linguaggio orale e la scrittura. Gli interventi di CAA sono progetti costruiti attorno alla persona con intenzionalità comunicativa e costituiti da un insieme di conoscenze, tecniche e strategie, allo scopo di integrare (funzione aumentativa) le modalità comunicative già esistenti o sostituire (funzione alternativa) l’eloquio qualora completamente assente. Le indicazioni all’intervento attualmente includono non solo le patologie motorie ma anche autismo, ritardo mentale, sindromi genetiche, disfasia grave, malattie progressive e altre patologie. 

Il workshop condotto da Mauro Mario Coppa (Lega del Filo d’Oro, Osimo, Ancona) illustrerà i programmi di sviluppo della comunicazione realizzati in circa 50 anni di riabilitazione della Lega del Filo d’Oro, onlus che opera a favore delle persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali. Nello specifico, verrà offerta una presentazione pratica delle modalità di insegnamento e apprendimento dei vari sistemi non verbali di comunicazione, quali la comunicazione oggettuale, gestuale, grafico-pittorica, i sistemi tecnologici basati su microswitch (gli switches permettono ai bambini con pluriminorazione grave non solo di comunicare, ma anche di fare scelte e di partecipare attivamente alle attività quotidiane) e VOCAs (comunicatori con output vocale) che stimolano risposte comunicative mediante l’attivazione di risposte minime in persone con disabilità intellettive gravi e multiple. La possibilità di apprendere un codice comunicativo piuttosto che un altro dipende in ogni caso dai sensi residui della persona sordocieca, dalle caratteristiche motorie, dal livello cognitivo ed emozionale.  
(lastampa.it)