Calcio e disabilità a convegno: «Dobbiamo fare squadra»

A Reggio Emilia il confronto organizzato dalla Lega Pro tra società, istituzioni e tesserati alla presenza del ministro Erika Stefani. L’esempio virtuoso di Reggiana e Feralpisalò

Il film Crazy for football. Matti per il calcio di Volfango De Biasi, la storia della Nazionale calciatori con disabilità psicosociale – fondata dal dottor Santo Rullo – insegna che la “calcioterapia” funziona. Ed è su questo crinale che ieri a Reggio Emilia, presso l’Università Unimore, la Lega Pro in collaborazione con due suoi club, la Feralpisalò e la Reggiana, ha organizzato una giornata di studi su calcio e disabilità. “Progetto diversamente abili. Ripartire dal calcio inclusivo e di valori” è il titolo del convegno che si tiene sotto l’egida della Lega Pro, in collaborazione con l’Unimore. Quest’ultima da tempo è impegnata su quattro fronti del sociale: l’inclusione, la lotta al bullismo, il benessere psicofisico di chi entra in contatto con il mondo dello sport e le connessioni tra il mondo dell’istruzione e la vita sportiva.

«Questa iniziativa riconosce la forte valenza del binomio sport e disabilità. Lo sport è infatti una grande scuola di vita per tutti, poiché insegna – anche con la vivacità e la competizione – a confrontarsi con gli altri nel rispetto delle regole. Ed è ancora più una scuola di vita quando lo sport diventa davvero accessibile a tutti: le persone con disabilità, attraverso lo sport, non solo imparano a vivere la società, il gruppo e le relazioni, ma lo fanno con divertimento e con gioia, sentendosi parte della comunità. Proprio come dovrebbe essere nella vita», spiega il ministro per le Disabilità, Erika Stefani, intervenuta a concludere i lavori del panel al quale hanno preso parte anche il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, il presidente CIP Luca Pancalli e il presidente Dcps Franco Carraro.

Diverse le testimonianze, anche dei calciatori che vanno in campo e che hanno avuto esperienze dirette di inclusione, a cominciare dal capitano della Nazionale amputati Francesco Messori, reggiano di Correggio. La Reggiana padrona di casa del presidente Carmelo Salerno, assieme alla Feralpisalò, sono due società in prima linea. I granata emiliani vantano 30 atleti tesserati, tra AC Reggiana Quarta Categoria Livello I e Livello II, tutti di età compresa tra i 20 e i 45 anni. La Feralpisalò del patron Giuseppe Pasini è stata invece la prima società ad aver adottato un cane diventato il portabandiera della sensibilità sociale del club lombardo verso il mondo animale.

Messaggi veicolati a livello mediatico da “Special News”, il primo tg in Italia condotto con ragazzi affetti da disabilità cognitiva, in onda su Teletutto (la principale Tv bresciana con un milione di contatti quotidiani) e interamente dedicato al mondo Feralpisalò, con contributi di tutto il team del progetto “Senza di me che gioco è?”.Le compagini di Reggio Emilia e Salò, rappresentano il vertice di un lavoro che mira a diventare “virale” per tutta la Serie C che vuole farsi modello per tutto il movimento.

«La mia massima aspirazione è avere un campionato delle 60 società di Lega Pro interamente dedicato ai diversamente abili – dice il presidente della Lega di C Francesco Ghirelli –. Realtà o utopia? Io lo sogno, ma lo reputo allo stesso modo possibile. Le nostre sono squadre generose, attente al prossimo, e i proprietari sono imprenditori che vogliono restituire al territorio qualcosa che va ben oltre ad una squadra di calcio. Parlo dei valori: includere, aggregare, essere vicino ai disabili, ai giovani, alle famiglie. Questo è il calcio che la Lega Pro vuole essere soprattutto dopo un periodo così difficile legato alla pandemia»

Un anno e mezzo di blackout dal quale il mondo del calcio e dello sport tutto si sta riprendendo, ma per rifarsi del tempo perduto nel campo affascinante, quanto impervio, del sociale il ministro, Stefani è consapevole che «occorre lavorare, affinché il futuro della nostra società sia pienamente inclusivo, permettendo alle persone con disabilità di sentirsi nella squadra della vita, della scuola, del lavoro».

In foto: Gli atleti speciali della Fermana, Novara, Virtus Entella, Lega Pro scattata a Novarello per la quadrangolare “4 Special Cup” del 2019

La radiocronaca per i tifosi con disabilità visiva del Manchester City

UN’INIZIATIVA DI ENORME SUCCESSO CHE HA SUPERATO I VENT’ANNI DI ATTIVITÀ
La stagione 2020/2021 di Premier League volge al termine con il titolo vinto per la terza volta sotto la guida di Pep Guardiola. All’interno dello staff del Manchester City c’è qualcuno, oltre ai calciatori, che fa costantemente la differenza, ogni settimana, per il divertimento e l’esperienza dei tifosi.
Da oltre vent’anni, infatti, il Manchester City si avvale di un team di sei componenti che realizza una radiocronaca descrittiva come servizio ufficiale del club a favore dei tifosi con disabilità visiva. Qualcosa che, fra il 2020 e quest’anno, in piena pandemia e con lo stadio rimasto a porte chiuse, ha assunto una rilevanza e un aiuto ancor più grande.

Il Manchester City non è nuovo a interventi e progetti di inclusione verso tutti i suoi tifosi e le loro eventuali necessità. Per le persone con disabilità visive “guardare” una partita non basta più e diventano molto più importanti i suoni, i profumi e il brusio collettivo dello stadio. Già normalmente, il servizio di “audio commentary” specifico per queste persone era disponibile ma, con gli stadi chiusi causa-Covid, il City ha voluto potenziarlo, offrendolo in diretta dall’Etihad Stadium anche per i tifosi delle squadre avversarie e facilmente ascoltabile da casa tramite i vari dispositivi mobili.

MANCHESTER CITY, LA RADIOCRONACA DESCRITTIVA PER I TIFOSI CON DISABILITÀ VISIVE

Andrew Nelson e Paul Raffo fanno parte del team di radiocronisti del club dedicati a questa iniziativa. La loro diretta parte un quarto d’ora prima dell’inizio della partita. La suddivisione dei compiti, qualche domanda e risposta e brevi spunti pre-partita, poi, fanno parte della routine normale del classico radiocronista. Ma anche loro sanno quanto questo servizio sia importante, e di conforto, per tanti tifosi.

«Ci sono molte persone che fanno affidamento su questo servizio ed è fantastico che il club stesso lo consideri importante»

Stuart Beckett, tifoso

«Nell’ultimo periodo l’importanza del nostro compito è aumentata. C’è molto lavoro da fare per realizzarlo al meglio, ma intanto abbiamo avuto il privilegio di entrare allo stadio come sempre nonostante la pandemia, e soprattutto abbiamo la consapevolezza che i loro occhi sono la nostra voce», ha spiegato Andrew. «Cerchiamo di descrivere l’azione e l’atmosfera nel modo più accurato possibile, con dettagli e colori che possano renderla al meglio a chi ci ascolta».

«Abbiamo una grande responsabilità», gli fa eco Paul, «la proviamo nei confronti di chi ci ascolta, perché li consideriamo anche nostri amici. Prima della pandemia, quando arrivavamo allo stadio ci fermavamo sempre a chiacchierare con qualcuno di loro, perché molti venivano all’Etihad, si sedevano in tribuna e seguivano il match ascoltando la nostra radiocronaca dagli auricolari. Li conosciamo personalmente e per questo il nostro compito diventa ancora più speciale».

E per gli stessi tifosi la gratitudine è ricambiata. Stuart Beckett arrivò a Manchester alla fine degli anni ’70 per intraprendere un lavoro come docente nella località di Wythenshawe. Si innamorò immediatamente del City dopo essere andato alla sua prima partita al vecchio stadio Maine Road nel 1977. Nonostante una frenetica vita lavorativa continuò ad andare il più possibile allo stadio, fino a quando un graduale deterioramento della vista non lo costrinse a seguire le partite da casa.

L’arrivo del servizio di radiocronaca descrittiva fu un momento di svolta e di estrema gioia: «Scoprire che il club realizzava questo servizio fece una differenza enorme, perché in caso contrario non credo sarei mai tornato allo stadio. Invece ricominciai ad andarci, seduto al mio posto in Colin Bell Stand (la Tribuna ovest, ndr) ad ascoltare il loro commento in ogni partita!».

Anche per Fred Yeomans, tifoso dei Citizens da 70 anni, il servizio di radiocronaca descrittiva ha permesso di rimanere legato al Manchester City e alle sorti del club come in passato: «La cosa bella è sentire l’affetto di Andrew e Paul per la squadra, perché non fanno solo una radiocronaca ma è come se parlassero con noi che li ascoltiamo. Se qualcuno sta giocando male o bene, lo dicono, ce lo fanno capire. E questo è ottimo, perché ti tiene coinvolto e ti senti parte dello sviluppo della partita, dell’atmosfera».

Nella fase di pandemia e di gare a porte chiuse, il Manchester City ha implementato una funzione di domande/risposte tramite la quale i tifosi possono interagire con il team di commento nei pre-partita e sentirsi ancor di più coinvolti e parte di un gruppo, condividendo opinioni, speranze, previsioni. Inoltre ha già pianificato di renderlo disponibile anche per tutte le partite della squadra femminile, a partire dalla stagione 2021/2022.

«Ci sono molte persone che fanno affidamento su questo servizio ed è fantastico che il club stesso lo consideri importante», confermano Stuart e Fred. «Tutto ciò che sta succedendo in questo periodo è spaventoso, e solo avere questo momento, e un po’ di tempo per riunirsi idealmente insieme e ascoltare la partita della tua squadra e interagire con qualche chiacchiera e qualche battuta, ti migliora la giornata e ti fa davvero sentire parte di qualcosa».
(archistadia.it)

Alleno l’Empoli dalla carrozzella» (grazie a Massimo Moratti)

Paraplegico dall’età di 14 anni, Antonio Genovese oggi allena la squadra femmibarriere mentalinile. Ad aprirgli la strada nel mondo del calcio fu l’incontro con Massimo Moratti

Qualcuno, quando è entrato in carrozzina al corso per diventare allenatore professionista a Coverciano, lo ha guardato «come un alieno». Poi hanno conosciuto la sua determinazione e tutto è cambiato. Sulla soglia dell’«università» del calcio italiano, Antonio Genovese, 41 anni, sapeva già che niente e nessuno lo avrebbero fermato. Oggi, dopo 192 ore di studio e trasferte tra Milano (dove vive) e Firenze, stringe tra le mani il patentino. «Ce l’ho fatta, anche grazie ai miei compagni di corso. Sono il primo disabile in Italia che può fare l’allenatore professionista», racconta mentre viaggia verso gli allenamenti della squadra femminile delle Empoli Ladies, dove è il responsabile della tattica.

«Più che le barriere architettoniche – riflette mister Genovese – ho dovuto combattere le barriere mentali. “Ma questo mica vorrà venire ad allenarci?”, era lo sguardo interrogativo di alcuni che mi vedevano inchiodato ad una carrozzina. All’inizio mi dava fastidio, poi ho imparato a fregarmene». È l’inizio della svolta, che il mister racconta nel libro biografico, «L’allenatore in carrozzina», che ripartendo dal giorno più tragico arriva alla vittoria della sua Coppa del Mondo. È la caldissima estate del ‘91: Antonio e la sua famiglia sono in vacanza in Sicilia, ma una ruota scoppia e finiscono in una scarpata. Genovese ha 14 anni, si risveglia in ospedale. Vi rimarrà per molti mesi per una grave lesione spinale. Il calvario sembra senza fine.

Antonio reagisce, animato dalla passione incredibile per il calcio. E anche se il campo non lo può più calcare, lo sfogo diventa la tattica. Il Milan e i colori rossoneri sono per lui una fede inscalfibile, con un idolo su tutti: «Carletto Ancelotti». Ma il destino è «beffardo», perché la svolta arriva proprio grazie ai colori dei cugini-nemici nerazzurri. Il futuro mister ha 19 anni: è ricoverato al Niguarda per una brutta influenza. Un giorno, per far visita ad un amico, entra nella sua camera Massimo Moratti, presidente dell’Inter ed «un gran signore». Antonio gli racconta della sua passione per il pallone e che vorrebbe riuscire ad allenare. Il presidente gli lascia un recapito telefonico, dicendogli di chiamarlo l’indomani: «Non avrei mai creduto che mi avrebbe risposto…». Invece? «Fui convocato da Sandro Mazzola e mi fu dato l’incarico di osservatore giovanile per i nerazzurri».

Il sogno di Antonio si era avverato: dieci anni passati a girare l’Italia in lungo e in largo, alla scoperta di nuovi talenti. Poi il brusco stop, una rivoluzione ai vertici societari ed è (quasi) tutto da rifare. «Dovevo per forza rimboccarmi le maniche – ricorda Antonio – e poi ho deciso di scrivere questo libro per dare voce a chi non ne ha. A chi è in carrozzina ed è convinto di non poter diventare mister. A forza di consultare i bandi dei corsi ho scoperto che quello “Uefa B” prevedeva una quota per i disabili. Ho iniziato da lì e poi sono andato oltre». Oggi può allenare come vice anche in Serie A e B e come “primo” fino alla Lega Pro. Poi la sua storia lo ha portato a dedicarsi al calcio femminile con le Empoli Ladies: «Che differenza c’è tra allenare gli uomini e le donne? Le ragazze fanno tante domande riguardo preparazione e tattica… Ti senti più partecipe, con loro ho stabilito un buon feeling, come un fratello maggiore. Siamo secondi in classifica. A fine stagione vorrei che le ragazze fossero prime».

(corriere.it)

Il muro di plexiglass

Oggi 21 settembre 2014 sono stato a vedere la partita in casa del Palermo (vivendo io qui) contro l’Inter. Nulla di più normale e nulla di straordinario sembrerebbe. Eppure non è così. Come ben sapete  (per chi segue il blog) io sono affetto da tetraplegia e quindi utilizzo una sedia a rotelle elettronica per spostarmi.
Anche a Palermo per accedere allo stadio vi è una procedura preliminare di accredito sia per le persone con disabilità deambulanti che non. Tutto ciò va fatto nei giorni precedenti alla data della partita. Questa procedura di accredito è pressoché simile in tutta Italia  e garantisce alla persona con disabilità ed ad un accompagnatore l’ingresso gratuito. Ma allora cosa non funziona in tutta questa vicenda se addirittura si entra gratis per vedere la partita?  Ciò che non va è che l’ingresso gratuito non corrisponde ad un posto sugli spalti dello stadio ma bensì ad un “posto” lungo il bordo campo della tribuna dietro un muro di plexiglass.
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(la freccia indica la mia posizione)

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Il che significa che oltre a non avere una visione intera di tutto il campo⬆ (a seconda di dove ci si mette si vede poco e nulla) ci si trova anche davanti coloro che sono autorizzati a stare dentro il campo il che limita ancor più  la visione della partita.

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In più nelle giornate invernali si è esposti alle intemperie tipiche della stagione non essendo riparati dalla tettoia presente al di sopra degli spalti. Inoltre, come se non bastasse,  questa precaria visione spinge le persone in sedia a rotelle ad una competizione della serie chi tardi arriva male alloggia per accaparrarsi la posizione con maggiore visibilità.
Vi sembra che si possa definire civile tutto ciò? Alla menomazione che (me compreso) colpisce le persone si aggiunge discriminazione e una mancanza di rispetto unica e incredibile.
Eppure sarebbe facilmente risolvibile tutto ciò, almeno al Renzo Barbera, in quanto le prime file⬇ di tutta la tribuna nella sua intera lunghezza sono sempre vuote e non occupate (ma anche se lo fossero) e quindi facilmente trasformabili in una capiente e comoda tribuna rialzata per le persone in sedia a rotelle.

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Ma c’è un altro aspetto che mi preme sottolineare e cioè quello che alla menomazione venga associata in maniera automatica l’indigenza. Dico questo perché se io comprassi un biglietto di tribuna, fosse esso centrale o addirittura VIP, invece di ricevere l’elemosina di un biglietto e di un posto scomodissimo, non sarebbe possibile raggiungere il mio posto in quanto la tribuna è totalmente inaccessibile.  Eppure avrei pagato come tutte le altre persone, no?
Al concetto di accessibilità va associato, quindi, quello di giusta fruizione ma anche la libertà di scegliere come tutto ciò debba essere declinato, che sia gratis o a pagamento.
Come sempre è la cultura che deve essere cambiata prima ancora delle regole o delle disposizioni o se volete delle consuetudini affinché possano essere applicate soluzioni assolutamente realizzabili.

Panoramica sulla postazione disabili (almeno l’audio è divertente).

di Giovanni Cupidi

L’Inter dà un calcio alla disabilità

Il club nerazzurro ha organizzato nella “casa” delle sue giovanili il quinto 5° Torneo F.C. Internazionale di Calcio Integrato al quale hanno partecipato giovani normodotati e con handicap fisico, neurologico, psichico e sociale. Applaudite anche le esibizioni di Calcio a 5 per non vedenti totali del Comitato Italiano Paralimpico e quelle di Calcio a 5 per portatori di handicap.di Andrea Ramazzotti

L’Inter anche quest’anno si è schierata a fianco dei disabili e ha organizzato oggi al Centro Sportivo Giacinto Facchetti, la “casa” delle giovanili nerazzurre, il quinto 5° Torneo F.C. Internazionale di Calcio Integrato. In campo sono scese squadre formate da giovani normodotati e giovani con handicap fisico, neurologico, psichico e sociale (disabilità intellettiva, motoria, neurologica e disagio sociale). Oltre al torneo sono andare in scena anche esibizioni di Calcio a 5 per non vedenti totali del Comitato Italiano Paralimpico ed esibizioni di Calcio a 5 per portatori di handicap (Centro Socio-Educativo di Cusano Milanino Squadra A/Squadra B). L’obiettivo della manifestazione è ribadire l’idea che lo sport è un’avventura del corpo e della mente, che fa avvicinare le persone con handicap al mondo degli altri. Queste le classifiche di una giornata nella quale in realtà hanno vinto tutti i partecipanti. Calcio integrato (giocatori con insufficienza mentale): 1° AUSONIA, 2° PORTA ROMANA, 3° BRESSO, 4° FONTANILE; Centri salute mentale (giocatori con patologie di carattere psichiatrico): 1° BONOLA, 2° PARMA, 3° LOKOMOTIV, 4° SAN PAOLO; Squadre FISDIR e Fed Italiana Football sala (giocatori con insufficienza mentale): 1° BUSTO ARSIZIO, 2° TICINO, 3° ARLUNO, 4° IL GIARDINO; Squadre con disagio sociale e lieve ritardo mentale: 1° VILLA CORTESE, 2° SPORTING ZONA, 3° PANGEA.
(corrieredellosport.it)

Brasile 2014, non c’è spazio per i tifosi disabili

Il campionato mondiale di calcio è ricco di sfide per il Brasile. A cominciare da quelle connesse all’accessibilità negli stadi per le persone disabili. Le città che ospiteranno l’evento, infatti, non sono in grado di accogliere quelli che, ad esempio, possono muoversi solo grazie all’ausilio di una carrozzina. E poco è stato fatto per migliorare questa situazione. Nonostante circa 27 milioni di brasiliani (il 14% della popolazione) vivano con una disabilità. A dire il vero nella costruzione e ristrutturazione dei 12 stadi che faranno da cornice alle sfide fra le nazionali si è cercato di dare una soluzione a questi problemi. Il Ministero del Turismo di Brasilia, infatti, ha investito 50mln di dollari per l’accessibilità di 9 città nelle quali si giocheranno le partite, con l’obiettivo di riservare almeno l’1% dei posti ai diversamente abili. Tuttavia nello stadio Mané Garrincha di Brasilia, nel quale si disputeranno ben 7 partite, solo 154 posti sono stati riservati a persone obese o con mobilità ridotta. Oltre a 156 spazi per persone in sedie a rotelle. Numeri molto inferiori all’1% previsto. Visto che l’arena può contenere 71mila spettatori. Tra i 12 nuovi stadi costruiti l’unico ben attrezzato è il Castelão di Fortaleza, dove si svolgeranno 6 incontri: in questo caso il 2,4% degli spazi è riservato a disabili. Di fronte a dati in prevalenza scoraggianti l’ex calciatore Romario, ora deputato in parlamento, ha criticato le opere: “Oltre al numero insufficiente di posti per disabili, ci sono problemi fuori degli stadi. Come parcheggi, marciapiedi e rampe d’accesso”, dice l’ex attaccante. Rincara la dose Denise Albuquerque, del Comitato Accessibilità. Che conferma come i campi da calcio non siano preparati come dovrebbero: “La nostra legislazione è moderna, ma la maggior parte degli stadi non soddisfa gli standard di accessibilità”. Jurandir de Souza, un uomo in carrozzina che recentemente è stato al Mané Garrincha per assistere ad una partita del campionato brasiliano ha denunciato alcuni difetti nella struttura: “I parcheggi sono troppo lontani dallo stadio, non ci sono segnali o guide lungo i percorsi per raggiungere i posti riservati e ci sono passaggi troppo stretti da percorrere in sedia a rotelle”. Al momento ci sono ancora sette stadi in costruzione. Che dovranno essere pronti entro la prossima estate. Nessuno di questi sarà completamente accessibile. “Quello che ci aspettiamo è che questi progetti siano modificati subito”, dice Denise Albuquerque. Ma le imprese di costruzione non ne vogliono sapere. Sostenendo che le opere sono in conformità con la legge ed eventuali modifiche causerebbero un aggravio dei costi. “L’attuazione di questi cambiamenti aumenteràsicuramente gli oneri di costruzione. Ma i diritti umani e la dignità dei cittadini sono davvero un costo?”. È quanto si chiede Kleber Santos, rappresentante del Consiglio Nazionale degli Ingegneri.
(www.west-info.eu)

di Giovanni Cupidi