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Unicef. Sono quasi 240 milioni i bambini con disabilità nel mondo (1 su 10)
La nuova stima globale del numero di bambini con disabilità è superiore alle precedenti, e si basa su una comprensione più significativa e inclusiva delle disabilità, che considera le difficoltà in diversi ambiti di attività, così come i sintomi di ansia e depressione. Le aree più colpite in percentuale sono lìAfrica centrale occidentale, il Medio oriente e il Nord Africa. Mentre la percentuale più bassa si trova in Europa e Asia centrale. (Foto Unicef). IL RAPPORTO.
Secondo il nuovo rapporto dell’UNICEF “Considerati, contati, inclusi” (“Seen, Counted, Included“), il numero di bambini e adolescenti con disabilità a livello globale è stimato in quasi 240 milioni. I bambini con disabilità sono svantaggiati rispetto ai bambini senza disabilità per la maggior parte delle misurazioni del benessere dei bambini, si legge nel rapporto.
Rispetto ai bambini senza disabilità, i bambini con disabilità hanno:
- Il 24% di probabilità in meno di ricevere stimoli precoci e cure adeguate;
- Il 42% in meno di avere competenze di base di lettura e calcolo;
- Il 25% di probabilità in più di soffrire di malnutrizione acuta e il 34% in più di soffrire di malnutrizione cronica;
- Il 53% in più di avere sintomi di infezioni respiratorie acute;
- Il 49% in più di non aver mai frequentato la scuola;
- Il 47% in più di non frequentare la scuola primaria, il 33% in più per la scuola secondaria inferiore e il 27% in più per la secondaria superiore;
- Il 51% in più di sentirsi infelici;
- Il 41% in più di sentirsi discriminati;
- Il 32% in più di subire punizioni fisiche gravi;
Il rapporto include dati comparabili a livello internazionale provenienti da 42 paesi e copre più di 60 indicatori del benessere dei bambini – dalla nutrizione e la salute, all’accesso all’acqua e ai servizi igienici, alla protezione dalla violenza e dallo sfruttamento, all’istruzione. Questi indicatori sono disaggregati per tipo di difficoltà funzionale e gravità, sesso del bambino, condizione economica e paese. Il rapporto chiarisce le barriere che i bambini con disabilità affrontano per partecipare pienamente alle loro società e come questo spesso si traduca in esiti sociali e sanitari negativi.
“Questa nuova ricerca conferma ciò che già sapevamo: i bambini con disabilità affrontano sfide multiple e spesso combinate per realizzare i loro diritti“, ha dichiarato il Direttore generale dell’UNICEF Henrietta Fore, che aggiunge come “dall’accesso all’istruzione, al ricevere letture a casa, i bambini con disabilità hanno meno probabilità di essere inclusi o ascoltati su quasi tutte le misurazioni. Troppo spesso, i bambini con disabilità vengono semplicemente lasciati indietro“.
Tuttavia, le esperienze delle persone disabili variano molto. L’analisi dimostra che c’è uno specchio di rischi e risultati che dipendono dal tipo di disabilità, dove il bambino vive e a quali servizi possono accedere. Ciò sottolinea l’importanza di progettare soluzioni mirate per rispondere alle disuguaglianze.
L’accesso all’istruzione è uno dei diversi temi esaminati nel rapporto. Nonostante il diffuso consenso sull’importanza dell’istruzione, i bambini con disabilità sono ancora indietro. Il rapporto rileva che i bambini con difficoltà di comunicazione e che non riescono a prendersi cura di se stessi hanno maggiori probabilità di rimanere fuori dalla scuola, indipendentemente dal livello di istruzione. I tassi di abbandono scolastico sono più alti tra i bambini con disabilità multiple e le disparità diventano ancora più significative quando si prende in considerazione la gravità della disabilità.
“L’educazione inclusiva non può essere considerata un lusso. Per troppo tempo, i bambini con disabilità sono stati esclusi dalla società in un modo che nessun bambino dovrebbe mai subire. La mia esperienza di donna con disabilità conferma questa affermazione“, afferma Maria Alexandrova, 20 anni, una giovane attivista dell’UNICEF per l’istruzione inclusiva della Bulgaria. “Nessun bambino, specialmente i più vulnerabili, dovrebbe lottare da solo per i propri diritti umani fondamentali. Abbiamo bisogno che i governi, le parti interessate e le ONG garantiscano che i bambini con disabilità abbiano un accesso uguale e inclusivo all’istruzione.”
L’UNICEF lavora con i partner a livello globale e locale per aiutare a realizzare i diritti dei bambini con disabilità. “Tutti i bambini, fra cui quelli con disabilità – sottolinea una nota dell’organizzazione per l’infanzia delle Nazioni Unite – devono poter dire la loro nelle questioni che riguardano le loro vite, e devono essere fornite loro le opportunità per realizzare il loro potenziale e reclamare i loro diritti“.
L’UNICEF chiede ai governi di:
- Fornire ai bambini con disabilità pari opportunità. I governi devono lavorare insieme alle persone con disabilità per eliminare le barriere fisiche, comunicative e attitudinali che le tengono fuori dalla società, e garantire la registrazione delle nascite; servizi sanitari, alimentari e idrici inclusivi; istruzione equa; e accesso alle tecnologie assistive. Devono anche lavorare per sradicare lo stigma e la discriminazione nelle comunità.
- Consultare le persone con disabilità e considerare l’intera gamma di disabilità, così come i bisogni specifici dei bambini e delle loro famiglie, quando si forniscono servizi inclusivi e un’istruzione equa e di qualità. Questo include un servizio di assistenza attento e politiche favorevoli alla famiglia, supporto alla salute mentale e psicosociale, e protezione dall’abuso e dalla noncuranza.
“L’esclusione è spesso la conseguenza dell’invisibilità“, conclude Fore, rimarcando che “non abbiamo avuto dati affidabili sul numero di bambini con disabilità per molto tempo. Quando non riusciamo a conteggiare, considerare e consultare questi bambini, non riusciamo ad aiutarli a raggiungere il loro vasto potenziale”.
(quotidianosanità.it)
“VISApp”: Stimolazione visiva di bimbi e bimbe con disabilità della vista
«Quando nasce un bambino o una bambina con una disabilità visiva, i suoi genitori si chiedono fin da subito: il mio bambino o bambina vedrà? Quanto e come vedrà? C’è qualcosa che si può fare per stimolare l’apprendimento della funzione visiva? Se come genitori, come pediatri o come educatori della scuola dell’infanzia vi siete posti anche voi queste domande, il nostro consiglio è quello di partecipare all’incontro del 12 giugno»: viene presentato così, dall’Associazione Aniridia Italiana, impegnata su tale malattia genetica rara (l’aniridia, appunto) che colpisce la vista (se ne legga nel box in calce), l’incontro online in programma per il pomeriggio di sabato 12 giugno (ore 15), centrato sulla presentazione di VISApp, un’innovativa applicazione per la stimolazione visiva di bambini o bambine con una disabilità della vista, di età compresa fra 0 e 6 anni.
Il Progetto
«Il progetto VISApp – spiegano da Aniridia Italiana – nasce dalla collaborazione internazionale di più Associazioni (insieme alla nostra, Aniridia Europa, Aniridi Norge, RedTree, Small Codes e ALBA–Associazione Spagnola dell’Albinismo), nell’àmbito del progetto A School for All, finanziato dal fondo dell’Unione Europea per l’educazione interculturale Erasmus+. Oltre all’intervento di stimolazione visiva dedicato ai bambini e alle bambine, tale progetto ha consentito anche la creazione di una piattaforma per la condivisione di approcci e buone prassi con gli insegnanti e gli educatori degli asili nido e le scuole dell’infanzia».
«VISApp – aggiungono – propone molteplici livelli di azione e interazione, con l’obiettivo di portare il bimbo o la bimba a capire come individuare un oggetto che si muove sullo schermo, abbinarlo a un altro oggetto simile, gestirne il movimento e lo spostamento sul dispositivo digitale. Nel complesso la stimolazione visiva prodotta dal gioco consentirà al bambino di allenare l’occhio al riconoscimento di forme e colori, in maniera semplice e veloce e in un ambiente digitale strutturato per una fruizione sicura, protetta e idonea per l’età».
Per l’incontro online del 12 giugno è richiesta la prenotazione, scrivendo a aniridia.italiana@gmail.com o a Barbara Poli (barbara.poli965@gmail.com), indirizzi ai quali chiedere pure ogni altra informazione.
Aniridia
Questa parola significa letteralmente “senza iride”. Si tratta di una malattia genetica rara che colpisce la vista ed è caratterizzata dalla formazione incompleta dell’iride (la parte colorata che circonda la pupilla).
Anche altre parti dell’occhio, come il nervo ottico e la macula (la parte centrale della retina), possono non essere correttamente sviluppate. Le alterazioni della struttura dell’occhio possono altresì provocare l’insorgenza di altre patologie oculari.
L’aniridia e queste condizioni associate colpiscono ciascuno in modo diverso. Così, mentre alcune persone affette sono ipovedenti o non vedenti, altre possono avere una vista quasi normale (per approfondire ulteriormente, fare riferimento a questo link, nel sito di Aniridia Italiana).
(superando.it)
Bambini con disabilità, stimolazione dei 5 sensi in maniera controllata
Presentata la Stanza Multisensoriale realizzata presso l’Istituto comprensivo Marconi
E’ stata presentata la stanza multisensoriale realizzata all’interno dell’Istituto comprensivo Marconi di Casalmaggiore, un progetto nato da una idea della dirigente scolastica Sandra Guidelli e da Cristina Cirelli della cooperativa Santa Federici. La preside, parlando a tutti coloro che in vario modo hanno dato una mano alla realizzazione dell’ambiente, ha spiegato che nell’ambito di un gruppo di lavoro per l’inclusione è emerso che nell’istituto sono presenti 68 bambini con disabilità, di cui 43 nel plesso di Casalmaggiore, e di questi diversi da spettro autistico.
Di qui la volontà di creare dei laboratori polivalenti indirizzati ai bambini con bisogni specifici ma non solo, per consentire a tutti di poter usufruire di una didattica innovativa e di un ambiente estremamente rilassante. La stanza multisensoriale nasce come ambiente progettato per il benessere, prodotto dalla stimolazione dei 5 sensi in maniera controllata. La teoria sulla quale si basa la progettazione di tale stanza, va sotto il nome di Metodo Snoezelen, volto a sviluppare la percezione.
“QUELLO CHE VI LEGGERO’ ORA E’ UN PENSIERO CHE PIU’ TARDI DEDICHERO’ A TUTTI GLI AMICI DELL’ISTITUTO MARCONI IN OCCASIONE DELLA ODIERNA GIORNATA CONCLUSIVA DEL PROGETTO INCLUSIONE. CIAO AMICI, SONO GAIA UNA BAMBINA DELLA CLASSE QUARTA E ANCH’IO CON I MIEI COMPAGNI HO PARTECIPATO COME VOI AL PROGETTO INCLUSIONE “UN PLAY PER CRESCERE”. IL NOSTRO ISTITUTO E’ GRANDE E SIAMO IN TANTI, DI DIVERSE ETA’, LE MAESTRE CI HANNO DETTO CHE I PIU’ PICCOLINI DELL’INFANZIA HANNO GUARDATO UN EPISODIO DI “PEPPA PIG”, ALTRI “DUMBO”, ALTRI ANCORA “STELLE SULLA TERRA” E I PIU’ GRANDI “WONDER”.
TUTTE PROPOSTE DIVERSE E’ VERO, MA E’ BELLO PENSARE CHE COMUNQUE TUTTI ABBIAMO PARLATO E RIFLETTUTO SU UNA STESSA COSA: L’ALTRO DA ME… ACCIPICCHIA CHE COSA IMPORTANTE L’ALTRO, VERO? SENZA L’ALTRO, CIOE’ UN AMICO AL MIO FIANCO IO FACCIO PERSINO FATICA A PENSARE… L’ALTRO E’ ALTRO CI SONO POCHE PAROLE PER DESCRIVERLO, NON POSSO COSTRUIRLO COME VOGLIO IO, NON VA BENE, NON E’ GIUSTO E POI NON SAREBBE NEMMENO BELLO! L’ALTRO RISPETTO A ME E’ UNA SCOPERTA, OGNI GIORNO, E’ ARRICCHIMENTO! PERCHE’ CIO’ CHE NON POSSO ESSERE IO MAGARI E’ LUI. GRAZIE A TUTTI AMICI PER AVERE CONDIVISO E CONOSCIUTO QUESTA INSOSTITUIBILE ESPERIENZA DI CRESCITA: L’INCLUSIONE! CI FACCIAMO UNA PROMESSA? CI STATE? SARA’ ANCHE UN REGALO AI NOSTRI INSEGNANTI… PROVIAMO A COSTRUIRE UN MONDO PIU’ INCLUSIVO ANCHE FUORI DALLA SCUOLA. CIAO BUONE VACANZE DA GAIA“
E’ il pensiero di Gaia, letto ieri mattina durante la presentazione dei nuovi spazi legati all’inclusione e al termine del progetto Un Play per Crescere di cui vi parleremo in fondo al pezzo.
Il progetto Inclusione della Marconi è un progetto complesso e strutturato. “E’ nata l’esigenza di avere degli ambienti in cui i bambini potessero stare bene – ha spiegato Sandra Guidelli – e non solo i bambini con bisogni educativi speciali, ma tutti i bambini della scuola. Abbiamo pensato di creare dei laboratori polivalenti in cui i bambini che a volte hanno difficoltà di stare in classe, perché a parte le difficoltà in questa scuola siamo a tempo pieno e quindi 8 ore seduti può essere faticoso, venissero seguiti dal resto della classe o almeno da piccoli gruppi per lavorare tutti insieme.“
“Abbiamo voluto attuare una didattica innovativa creando questi ambienti. Stamattina ne vediamo uno, ma grazie all’apporto dell’amministrazione comunale, del nostro sindaco, dell’ufficio tecnico del comune, che si sono subito attivati per creare gli ambienti idonei. C’era venuta voglia e l’esigenza di creare un ambiente dove i bambini potessero veramente stare bene e avessero un ambiente dedicato per la calma, un ambiente rilassante e quindi è nata l’esigenza di creare questo laboratorio multisensoriale”.
(articolo rielaborato da laprovinciacr.it e oglioponews.it)
Gaza, “dopo i bombardamenti i grandi dimenticati sono disabili e bambini”
Yousef Hamdouna, responsabile della ong EducAid nella Striscia, racconta come i progetti per le famiglie palestinesi di persone con disabilità siano stati prima sospesi e poi rimodulati, dopo l’operazione militare israeliana. “Anziché andare avanti, a Gaza ci sembra sempre di tornare indietro”
“Nella Striscia oggi viviamo una situazione insostenibile: migliaia di famiglie palestinesi hanno perso la casa, 54 scuole sono state danneggiate, le strade sono distrutte e muoversi è molto complicato. Anche le nostre attività sono state sospese e poi rimodulate secondo nuove esigenze: anziché andare avanti, qui a Gaza ci sembra sempre di tornare indietro”. Yousef Hamdouna, responsabile dei progetti della ong riminese EducAid nella Striscia, ha la voce stanca mentre parla dal suo ufficio di Gaza City. Nell’ultimo attacco, avvenuto dal 10 al 21 maggio, sono morti a Gaza 232 palestinesi, tra cui 65 minorenni, e 1.948 sono stati i feriti. Le vittime israeliane sono invece in tutto 12, con centinaia di feriti.
“A Gaza, 3 mila famiglie hanno perso la loro casa nei bombardamenti, mentre altre 11 mila hanno subito danni così gravi all’edificio che non possono più viverci dentro: molte case verranno demolite perché a rischio di crollo – spiega Hamdouna –. Per la ricostruzione ci sono tempi molto lunghi, e così le agenzie internazionali danno un contributo per cercare un alloggio da prendere in affitto. È chiaro però che questa situazione non è sostenibile: con tutte queste persone in strada, anche i nostri progetti sono stati modificati e ripensati per affrontare le nuove necessità”.
Dal 2003, EducAid lavora nella Striscia nel settore dell’educazione inclusiva, per promuovere l’inclusione scolastica dei bambini con disabilità e difficoltà di apprendimento. Nel 2018, grazie al progetto “I-Can: Indipendence, Capabilities, Autonomy, Inclusion”, è stato inaugurato il primo Centro per la vita indipendente per le persone con disabilità, esperienza unica nella Striscia ma anche in tutto il Medio Oriente: l’obiettivo è quello di rafforzare l’indipendenza e l’autodeterminazione delle persone con disabilità.
“A Gaza abbiamo scarsa disponibilità di ausili per le persone con disabilità – continua Hamdouna –. Dopo più di 15 anni di assedio, tanti ausili qui non arrivano, perché servono i permessi da parte di Israele, che non li concede dicendo che i materiali potrebbero essere utilizzati per costruire armi. E poi c’è scarsa accessibilità ai luoghi, anche a causa delle distruzioni e degli attacchi. piani di emergenza e gli interventi per la ricostruzione non prendono in considerazione le esigenze delle persone con disabilità. Infine, le persone con disabilità hanno scarse possibilità di empowerment personale, per via di una scarsa accessibilità alla scuola e al mercato del lavoro, e di uno stigma sociale ancora molto forte”.
Ecco allora che il centro garantisce opportunità alle persone con disabilità per avviare processi di autonomia, attraverso un percorso pensato ad hoc sulle esigenze di ciascuno. Si creano così dei progetti di vita individuali: il percorso viene co-progettato con il beneficiario e anche la scelta dell’ausilio è fatto dalla persona stessa. “Si parte sempre dai bisogni e dai desideri della persona, e dal diritto di ciascuno di scegliere. Poi noi mettiamo a disposizione il nostro expertise”.
Il team multidisciplinare che opera nel centro è composto da due operatrici sociali, due terapisti occupazionali che lavorano sugli ausili, un tecnico di officina che realizza gli ausili stessi, un’architetta che opera sull’accessibilità, due educatrici che lavorano soprattutto con i minori, e sei consulenti alla pari, ovvero persone con disabilità che hanno raggiunto un alto livello di empowerment e svolgono un ruolo di awareness, per aumentare la consapevolezza delle persone con disabilità riguardo i loro diritti e le loro possibilità di inclusione nella società.
“Durante i bombardamenti il nostro centro ha dovuto chiudere: oggi abbiamo riaperto, ma abbiamo dovuto rimodulare tutte le attività – racconta Hamdouna –. A seguito dell’operazione militare, sono state dieci le associazioni e le ong che hanno avuto problemi e disservizi, di cui cinque erano associazioni che lavoravano con persone con disabilità. In più, il ministero dell’educazione ha deciso di chiudere anticipatamente l’anno scolastico, e questo ha complicato ulteriormente la situazione”.
Nelle scuole palestinesi, racconta Hamdouna, l’atteggiamento è più di integrazione che di inclusione: la legge prevede che i minori disabili vadano a scuola, ma spesso vengono isolati e trascurati. Con la pandemia, poi, è arrivata la didattica a distanza, che ha acuito le differenze.
Il progetto “Desi” di EducAid prevede proprio un intervento per far fronte all’emergenza Covid-19: oltre alla distribuzione di kit igienici e il miglioramento dei cosiddetti “wash facilities” (bagni, lavandini), sono stati formati gli operatori e gli insegnanti per una didattica a distanza più inclusiva.
“Se già in tutto il resto del mondo non si capiva come gestire la didattica a distanza, immaginatevi come poteva essere la situazione a Gaza, dove manca l’energia elettrica, le tecnologie, e dove gli scambi sono bloccati – afferma Hamdouna –. Qui la didattica in presenza esclude molti bambini disabili o con difficoltà di apprendimento: a distanza la situazione è ancora più complessa. Il progetto allora fa in modo che non si lasci nessuno indietro. Anche perché l’interruzione delle lezioni a Gaza non è condizionata solo dalla pandemia. i sono molte altre emergenze che portano alla chiusura delle scuole, come gli attacchi delle ultime settimane. È quindi interesse del ministero tenere sempre un piano B a portata di mano”.
I minori, racconta Hamdouna, sono tra le vittime più colpite dagli attacchi israeliani. A Gaza, quasi il 50 per cento della popolazione ha meno di 18 anni. “Durante i bombardamenti io ero a casa da solo. È un momento molto teso, si sta lì ad aspettare il rumore della prossima bomba e ci si chiede: ‘Colpirà me o qualcun altro?’. Sentivo i bambini, i miei vicini di casa, che urlavano. I traumi che vivono questi bambini sono enormi, ed è necessario un lavoro molto lungo per superarli”.
Anche Hamdouna ha due figlie, una delle quali ha una disabilità perché la madre è stata colpita da un bombardamento mentre era incinta.
“Ora la mia famiglia è in Italia per poter fornire delle cure specifiche a mia figlia – conclude –. A Gaza la situazione è sempre peggio. Dopo gli ultimi scontri c’è stato un cessate il fuoco, ma si tratta di un cessate il fuoco molto fragile e pericoloso. Non c’è un vero accordo sulla tregua, e siamo tutti convinti che in qualsiasi momento gli scontri e i bombardamenti potrebbero riprendere. La frustrazione è quella di vedere che le nostre attività, anziché andare avanti, tornano sempre indietro. I progetti di cooperazione devono essere sostenuti da posizioni politiche e azioni diplomatiche, altrimenti è tutto inutile. Il silenzio da parte del mondo ci soffoca: noi moriamo sotto le macerie delle nostre case, e in Europa si parla dei palestinesi come se fossero dei terroristi. Eppure, in questo attacco gli israeliani non hanno bombardato nient’altro che case.
Si sente tanto parlare di diritti umani, ma diritti umani per chi? Chi sono gli umani?”.
(difesadelpopolo.it)
Disabilità: un algoritmo musicale migliora il sonno dei piccoli
Un algoritmo musicale migliora il sonno dei bambini disabili, li rilassa e riduce lo stress dei genitori.
Si tratta di una precisa sequenza di suoni, voci, musiche e immagini sviluppata dai ricercatori dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù e personalizzata in base alle necessità di ciascun paziente. La nuova tecnica riabilitativa è stata sperimentata durante il primo il lockdown del 2020 come terapia sostitutiva delle sedute in Ospedale per garantire la continuità delle cure anche a casa. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “Journal of Telemedicine and Telecare”.
Il metodo riabilitativo sviluppato dai ricercatori del Bambino Gesù si chiama “Euterpe”, dal nome della mitologica dea della Musica. Viene regolarmente utilizzato dai terapisti del Dipartimento di neuroriabilitazione del Bambino Gesù, diretto da Enrico Castelli, per la stimolazione multisensoriale dei bambini con disabilità motorie e neurologiche attraverso l’uso combinato – secondo le necessità del paziente – di suoni, musiche, immagini, aromi, oggetti, strumenti e luci.
Durante il primo lockdown del 2020 questa terapia è stata rielaborata per essere eseguita anche a domicilio (teleriabilitazione). Sono stati così realizzati dei componimenti audio-video personalizzati che contenevano suoni a particolari frequenze, musiche originali, la voce della mamma e del bambino stesso, canzoni e ninne nanna familiari, immagini legate a momenti piacevoli registrate durante le sedute al Bambino Gesù.
Lo studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di neuroriabilitazione del Bambino Gesù ha coinvolto 14 pazienti affetti da diversi disturbi neurologici (paralisi cerebrale infantile, sindromi genetiche, malformazioni cerebrali), tutti al di sotto dei 12 anni (età media 7 anni e 5 mesi). Al termine della sperimentazione, gli effetti della terapia a domicilio sono stati valutati con appositi questionari scientificamente validati. Dall’analisi sono emersi dati statisticamente significativi. In particolare la riduzione dei disturbi del sonno dei bambini, i livelli di stress dei genitori e il miglioramento della relazione bambino-genitore.
“Oltre ai risultati raggiunti – dice la neuropsichiatra infantile Sarah Bompard – è importante sottolineare che, grazie a questo studio, i bambini hanno potuto proseguire, seppure in modi e tempi diversi, una terapia riabilitativa. Siamo riusciti a dare un importante supporto anche ai genitori, preoccupati che la disabilità dei figli potesse peggiorare con la sospensione delle terapie riabilitative in Ospedale. È importante inoltre sottolineare che tutte le famiglie hanno proseguito la somministrazione dei componimenti audio-video personalizzati anche dopo il termine dello studio, dati i numerosi benefici riscontrati. Tra i nostri obiettivi futuri vi è sicuramente quello di condurre studi su un numero maggiore di pazienti e con patologie diverse”.
(agensir.it)
La diversità e la disabilità nelle scatole dei GIOCATTOLi
Giocare è una cosa seria, una delle attività più serie che esistano. È attraverso il gioco che i cuccioli di ogni specie, quella umana compresa, imparano il mestiere della vita, e per questa ragione anche i grandi, ogni tanto, avrebbero bisogno di riaprire la scatola dei giocattoli per qualche “ripetizione”.
Non immaginiamo però il gioco soltanto come un oggetto che si tiene tra le mani; quando incontra la disabilità, infatti, può assumere forme inaspettate, trasformarsi in occasione di inclusione, fare educazione e riabilitazione, addirittura aiuta a superare le barriere architettoniche.
Bambole con disabilità
Le donne con disabilità sono state bambine e hanno giocato con le bambole, come ogni altra bimba. Lo ricordo bene anch’io, i giochi prediletti si dividevano in tre categorie: le bambole-neonato, da accudire come fossimo piccole mamme; le bambole “coetanee”, somiglianti a noi, con cui inventare avventure; la Barbie con il suo guardaroba infinito, il fidanzato, la casa, la macchina, il camper e chi più ne ha più ne metta, per giocare ad essere grandi. Nessuna bambola aveva una disabilità evidente che ne cambiasse l’aspetto e la rendesse in qualche maniera “diversa”. Le piccole disabili del XXI secolo, invece, hanno l’opportunità di giocare con bambole che presentano diverse forme di disabilità.
L’idea è venuta per la prima volta nel 2015 a tre mamme inglesi (tra le quali una giornalista non udente e ipovedente dalla nascita), per rispondere ai bisogni dei loro figli e di tutti i bimbi con disabilità. Hanno aperto un gruppo Facebook e dato il via ad una campagna denominata ToyLikeMe, letteralmente “un giocattolo come me”.
Il messaggio di integrazione e sensibilizzazione è diventato virale, i genitori di bambini con disabilità hanno ampiamente condiviso l’iniziativa, raggiungendo un pubblico di 50.000 persone. Grazie alla notorietà raggiunta, il progetto è diventato realtà. È stata l’azienda britannica MakieLab, già nota per le bambole personalizzabili, ad accettare la sfida e a mettere sul mercato tre bamboline “like me” realizzate mediante la stampa 3D, Melissa, con una voglia sul volto, Eva, che si muove con un bastone da passeggio ed Hetty, con un apparecchio acustico che indica “ti amo” nella Lingua dei Segni.
Al prezzo di 69 sterline (circa 75 euro, non esattamente un prezzo popolare), le Makie Dolls sono progettate su misura per il loro proprietario, con l’azienda che prevede la possibilità di richiedere ai genitori le caratteristiche facciali dei bambini, in modo tale che le bambole possano assomigliare ai loro figli. Oggi sul loro sito si trovano indirizzi di diverse aziende che producono bambolotti e peluche sulla sedia a rotelle, con cicatrici, protesi eccetera.
Negli Stati Uniti, per la non modica cifra di 100 dollari, si può acquistare una bambola realizzata a mano che rappresenta le stesse disabilità delle bambine a cui è destinata. Anche in questo caso l’iniziativa è partita da una mamma che ha promosso la campagna di fundraising A Doll Like Me.
E c’è cascata anche la Barbie: la sua dimora superlusso, infatti, non era accessibile e la sua amica Becky, in sedia a rotelle, non passava dalle porte e non poteva salire sulla macchina! È realmente accaduto nel 1997, con la Mattel, casa produttrice della bambola più famosa del mondo, che ha commercializzato la sua compagna di avventure in carrozzina e soltanto in seguito si è accorta che non poteva entrare in casa e a bordo dell’auto. Una buona intenzione finita in un flop, come nella vita vera, se è vero che anche nell’immaginario mondo di Barbie l’accessibilità è spesso difficile da raggiungere.
Accusato di spingere le bambine verso stereotipi di bellezza irraggiungibile, nel 2016 il colosso dei giocattoli ha lanciato la linea Fashionistas con quattro tipi di bambole dalla diversa silhouette, dalla più magra alla più in carne, sette tonalità di carnagione, ventidue colori degli occhi e ventiquattro acconciature differenti.
Nel giugno del 2019, quindi, sono state messe in vendita due Barbie con disabilità, una seduta sulla sedia a rotelle disponibile in due versioni, classica bionda oppure di colore, l’altra con i capelli scuri, grandi orecchini dorati e una protesi alla gamba. Il prezzo, circa 20 dollari la prima e 10 la seconda, ha l’ambizione di raggiungere una platea vasta, anche se lo slogan che le accompagna, («Puoi essere tutto ciò che desideri»), è realistico fino a un certo punto, visto che le Barbie con disabilità hanno la vita da vespa e il viso supertruccato, nella più classica tradizione della bambola Mattel.
Come dire, se sei sulla sedia a rotelle ma con qualche chilo di troppo e in versione acqua e sapone “vai un po’ meno bene”.
La nostra Giusy Versace ha disegnato, invece, una Barbie con le gambe tempestate di cristalli Swarovski, protesi gioiello da cambiare al posto delle scarpe.
Dino Island, quando un videogioco diventa riabilitazione
Le mamme devono staccare la spina dal muro per obbligare i loro pargoli ad allontanarsi dai videogiochi. Eppure, come ogni cosa, anche questi moderni prodotti dell’industria ludica non sono “cattivi” in assoluto, bisogna solo usarli nel modo giusto. Numerosi studi ne attestano l’efficacia terapeutica per patologie e disabilità in pazienti giovanissimi, in particolare nei disturbi dello sviluppo neurologico e nelle lesioni cerebrali.
La ricerca più recente è proprio di quest’anno e arriva dall’Università di Victoria, in Canada, dove è in fase di sperimentazione, su trentacinque famiglie, Dino Island, un videogioco ambientato su un’isola fantastica sulla quale si devono affrontare sfide di difficoltà progressiva.
Si parte da una constatazione elementare: se un gioco risulta interessante, non può che generare positivi cambiamenti. Dino Island comprende cinque giochi che si adattano alle performance personali del bambino, pertanto ogni livello completato regala bonus da “spendere” virtualmente per acquistare oggetti necessari nella prosecuzione dell’avventura. Il team di ricercatori ha progettato un’esperienza non troppo difficile, ma neanche troppo semplice, per non incorrere in frustrazione o perdita di interesse. I risultati preliminari sono molto incoraggianti: sono migliorati la concentrazione, la memoria, la capacità di trattenere le informazioni, il controllo delle emozioni e, in alcuni casi, ne ha beneficiato perfino il rendimento scolastico. Il videogioco è studiato per essere vissuto in compagnia di un adulto, presto si spera di coinvolgere anche bambini con disturbi dello spettro autistico e deficit dell’attenzione.
…e con i LEGO si superano le barriere architettoniche
L’inclusione si costruisce mattone dopo mattone. Anzi, mattoncino dopo mattoncino, per essere precisi con i mattoncini più divertenti e noti, quelli della LEGO. Inventati per giocare con la fantasia, sono diventati perfino materiale da costruzione per rampe utili al superamento delle barriere architettoniche, ma cominciamo dal principio.
Le mamme di ToyLikeMe si sono rivolte ai vertici dell’azienda, chiedendo maggiore attenzione verso la disabilità attraverso una petizione online sul sito Change.org che ha raccolto oltre 20.000 firme. Accolto l’appello, nell’estate del 2015 la linea Duplo ha sfornato venti nuovi omini, tra cui un anziano signore in sedia a rotelle spinto da una ragazza.
Accusata di essere caduta nello stereotipo del disabile non autosufficiente e sempre bisognoso di essere accompagnato (che comunque nella realtà esiste, quindi perché non dovrebbe trovare una rappresentazione?), l’anno successivo il gruppo LEGO ha presentato il set Fun at the Park, destinato ai bambini dai 5 ai 12 anni, con un giovane in carrozzina senza “badante” e un bimbo anch’esso sulla sedia a rotelle.
Fin qui restiamo nell’àmbito del gioco vero e proprio, però, con questo particolare gioco, l’inclusione è uscita dal mondo in miniatura della scatola di mattoncini ed è approdata in città, per abbattere le barriere in modo creativo e colorato. Merito di una simpatica signora tedesca in sedia a rotelle, Rita Ebel, che ha assemblato rampe mobili con LEGO e colla vinilica. I suoi scivoli, oltre ad avere il pregio di approcciarsi alla disabilità in modo leggero e divertente, sono pratici e possono essere facilmente spostati da un negozio a un ristorante, da un ufficio a un marciapiede troppo alto.
Sono di diverse dimensioni, adattabili a spazi differenti, ognuno corredato da una scheda tecnica di realizzazione. Schede che sono arrivate in Italia, alla Cooperativa veneta L’Iride che, incuriosita dall’invenzione, ha contattato Rita, trovandola subito disponibile a collaborare per esportare la sua idea. È così che in punti strategici di Padova e dei centri limitrofi Selvazzano Dentro e Saccolongo, le città dove opera la Cooperativa, sono stati posizionati dei contenitori per raccogliere mattoncini donati dai cittadini. Con il passaparola, in pochi giorni, ne sono arrivati a sufficienza per costruire le prime rampe.
Una quindicina di persone con disabilità che frequentano Iridarte, il laboratorio della Cooperativa, si sono messe all’opera con entusiasmo e tanta voglia di fare, suddivise in gruppi di cinque per rispettare le regole di contrasto al contagio. Numerosi negozi si sono fatti avanti, sia per contribuire alla raccolta, ospitando un contenitore, sia per dotarsi di una rampa LEGO; il Comune di Selvazzano Dentro vorrebbe contribuire, idem quello di Verona. Chissà in Danimarca, nella casa madre dei mattoncini, quanti pezzi verranno scartati perché fallati e non adatti al commercio…
Questo hanno pensato in Cooperativa, e detto fatto hanno chiesto alla LEGO di mandarli in Italia, per dare ulteriore spinta all’iniziativa e una seconda vita a giocattoli altrimenti da buttare. Se l’industria accetterà, potremo vedere le nostre città “colonizzate” dai colori dell’infanzia, senza dimenticare che la priorità è abbattere le barriere con il metodo classico e costruire rispettando le normative dell’accessibilità.
L’identificazione del bambino con i suoi giochi e la pubblicità connessa è stata analizzata da uno studio di COFACE Families Europe che nel 2015 ha sfogliato trentadue cataloghi di giocattoli di nove Paesi europei, Italia compresa, trovandovi “raffigurati” 3.125 bambini, dei quali 2.908 con la pelle bianca, 120 di colore, 59 di famiglie “miste”, 31 asiatici e 7 mediorientali, nessuno con disabilità visibili.
Forse sono troppo “vecchia” per esprimere un’opinione su queste iniziative, ma non staremo esagerando con il “politicamente corretto” e perdendo di vista il nocciolo della questione? Se ripenso alla mia infanzia, non ricordo di aver mai sentito la necessità di tenere tra le mani un “fac-simile” di me, seduto sulla sedia a rotelle, ero perfettamente a mio agio con i bambolotti in commercio. Certo, è giustissimo che i giocattoli rappresentino la diversità delle persone, sia essa costituita dal colore della pelle, sia dalle caratteristiche fisiche.
Maneggiando sempre giochi “perfetti”, in una società che ha fatto dell’esteriorità il suo mantra, se non adeguatamente supportati, i bambini rischiano di diventare adulti considerando la perfezione, anche fisica, come unico modello a cui aspirare. E tuttavia, nel caso specifico ad esempio delle bambole con disabilità, c’è il rischio che diventino un prodotto di nicchia, capace di raggiungere soltanto chi ha già una particolare sensibilità verso il tema dell’inclusione, mentre bisognerebbe lavorare perché diventassero utili compagne di crescita anche e forse ancor di più per le bimbe senza disabilità.
Non possiamo delegare ai giocattoli queste tematiche e il cambiamento della cultura, non basta dare un gioco inclusivo e pretendere che i bambini capiscano da soli l’importanza di eliminare i pregiudizi; non vanno mai dimenticati, infatti, il ruolo della famiglia, dell’esempio quotidiano e della società tutta.
Facciamo un esempio banale: se un genitore parcheggia sistematicamente l’auto nel posto riservato alle persone con disabilità senza averne diritto e dopo regala la Barbie in sedia a rotelle o il LEGO con l’omino disabile ai suoi figli, pensate sia sufficiente per educare alla diversità?
(superabile.it)
“Tutti Uguali” aiuta i bimbi con disabilità in Camerun
L’iniziativa di Dokita sostiene cure mediche e fisioterapiche, accoglienza e supporto scolastico. arantire il diritto di camminare verso un futuro serena ai bambini vulnerabili ospiti del Foyer de l’Esperance di Sangmelima, del Foyer Père Monti di Ebolowa e del Centro Prohandicam di Yaoundé che complessivamente ospitano 5mila minori
Garantire cure mediche, accoglienza e supporto scolastico ai bambini con disabilità del Camerun, Paese in cui oltre il 23% delle persone con età compresa tra i 2 e i 9 anni lotta ogni giorno con almeno una forma di disabilità. Disabilità spesso legata alle conseguenze di malattie infettive come la polio, la malaria, la lebbra o il morbillo (63% dei casi). Questo l’obiettivo della campagna sms solidale “Tutti Uguali“, lanciata dall’organizzazione umanitaria Dokita che da oltre 30 anni offre un aiuto concreto ai più fragili in Italia e nel mondo.
«In questi mesi di emergenza Covid-19», spiega il direttore di Dokita Mario Grieco « la vita dei disabili è ancora più difficile, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove spesso le persone con disabilità si scontrano con la mancanza di strutture sanitarie adeguate e con rigide barriere sia architettoniche che socioculturali. I bambini disabili del Camerun, purtroppo, non sono uguali a tutti gli altri bambini: a causa delle grandi difficoltà di accesso a terapie adeguate, all’istruzione e spesso persino al calore di una famiglia, non godono delle stesse opportunità garantite ai loro coetanei nati in Paesi più ricchi e sviluppati.
“In Camerun i servizi per i disabili sono spesso carenti, le strutture attrezzate per accogliere bambini con bisogni speciali pochissime e, nella maggior parte dei casi, i bambini con fragilità vengono rifiutati persino dalle loro famiglie, sia per mancanza di risorse economiche che per ragioni legate allo stigma ancora troppo spesso associato alla loro condizione. Essere un bambino disabile in Camerun significa, nella maggior parte dei casi, non avere la possibilità di accedere ai servizi medici e fisioterapici, non poter frequentare la scuola e non poter ricevere un’adeguata assistenza e nutrizione, in altre parole essere emarginato. Superare questa ingiustizia è un dovere e per farlo dobbiamo fornire a questi bimbi gli strumenti per vivere un’infanzia felice esattamente come quella dei loro compagni: cure mediche e fisioterapiche, accoglienza e istruzione».

I progetti che Dokita porta avanti in Camerun sono volti ad offrire supporto integrale ai disabili, offrendo loro servizi di assistenza e di cura della persona, ma anche di empowerment, affinché possano partecipare attivamente alla vita sociale ed economica della loro comunità. In particolare la campagna “Tutti Uguali” a favore della quale è attivo fino al 28 marzo il numero solidale 45580, sostiene le attività di tre centri dedicati all’accoglienza, alla cura e al sostegno scolastico dei bimbi con disabilità in Camerun. Il Foyer de l’Esperance di Sangmelima che sostiene giovani con disabilità motorie e intellettive; il Foyer Père Monti di Ebolowa, che dal 1984 si prende cura di minori con disabilità nelle funzioni della voce, uditive, visive e dell’apparato motorio; il Centro Prohandicam di Yaoundé che gestisce una delle poche scuole per bambini ciechi in Camerun.
I fondi raccolti serviranno per rafforzare e mantenere il Foyer de l’Esperance, il Foyer Pere Monti e Prohandicam; consolidare le attività di accoglienza, di supporto e di trasporto dei bambini disabili dei tre centri; potenziare le attività di ricognizione e monitoraggio delle zone rurali circostanti e continuare a sostenere le attività di riabilitazione fisioterapica.
I tre centri aiutano complessivamente oltre 5.000 persone con disabilità ogni anno. Il Foyer de l’Esperance è gestito da Suor Laura Figueroa. Il Foyer Père Monti a Ebolowa e il Centro Promhandicam a Yaoundé sono gestiti dai padri missionari della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione.
(vita.it)
La fattoria degli animali che non fa sentire soli i bambini disabili
Una fattoria in Texas ha trovato il modo per aiutare i bambini disabili a sentirsi meno soli. Si chiama «Safe», è situata ad Austin, e fa conoscere ai bimbi con disagi fisici o psichici altri animali che come loro sono in difficoltà. C’è chi per esempio non ha una zampa, o ha bisogno delle rotelle per camminare. Quando i bambini incontrano altri cani, gatti o pecore con disabilità capiscono che questa condizione può colpire tutti, e per i più piccoli è un modo per trovare conforto e conoscere se stessi.
La fondatrice si chiama Jamie Wallace-Griner: «tutto è cominciato quando abbiamo adottato un cane di nome Angel per aiutare il nostro bambino autistico», racconta. Hanno sempre amato gli animali, ma da quando Angel è entrato nella loro vita hanno capito che altri cani avrebbero potuto aiutare altri bambini come suo figlio. «Gli animali possono fare miracoli. Angel ci ha dato forza e ha aiutato nostro figlio a superare molte paure e a capire meglio le sue sensazioni e i suoi pensieri».

Jamie e suo marito hanno così comprato un ranch ad Austin nel 2014 e da allora è diventato la casa di molti animali compresi maiali, volatili e conigli. All’inizio le spese per mantenerli venivano pagate dalla famiglia, ma a un certo punto non erano più in grado di sostenere da soli tutte le cure veterinarie. Così nel 2018 hanno deciso di creare questa organizzazione non profit in modo da poter accettare delle donazioni. «Ogni animale che salviamo ha una storia da raccontare – dicono – e i bambini che vengono da noi con dei traumi possono confrontarsi con la vita degli animali e scoprire di non essere i soli ad avere delle difficoltà».
La fattoria offre una casa definitiva a molti animali, ma è anche un centro di riabilitazione. Loro aiutano infatti quattro zampe che hanno subito abusi o maltrattamenti, li aiutano a vivere meglio, e poi in alcuni cani quando le cure sono finite vengono anche adottati da altre famiglie.
(ilsecoloxix.it)
Disabilità e inclusione. Come dirlo? Con i fumetti
Nasce il progetto didattico “La SMAgliante Ada” destinato alle scuole elementari per raccontare ai bambini il valore della disabilità, dell’inclusione sociale e della conoscenza scientifica
Mai come in questo periodo si è parlato della scuola e dell’urgenza che i bambini ricevano la formazione necessaria, nonostante i rischi del momento. Un po’ meno, invece, o comunque non ancora abbastanza, si parla dell’importanza di educare i bambini alla conoscenza delle patologie sanitarie e dei valori dell’inclusione sociale. Nasce proprio perciò, in questo contesto, il progetto didattico-educativo “La SMAgliante Ada”, realizzato dall’Associazione famiglie Sma, dai Centri clinici Nemo e da Roche Italia, per accompagnare i bambini degli ultimi anni delle scuole elementari nel rientro a scuola, parlando di atrofia muscolare spinale (Sma) e di inclusione sociale. E lo fa in un linguaggio del tutto nuovo, quello dei fumetti, nel tentativo di fornire una guida utile nella comprensione di temi complessi e importanti come il valore della disabilità in quanto risorsa, dell’inclusione come opportunità, del valore della conoscenza scientifica per capire gli altri e soprattutto imparare a mettersi nei loro panni.
COS’È L’ATROFIA MUSCOLARE SPINALE
L’atrofia muscolare spinale è una malattia genetica rara che determina una debolezza dei muscoli che può essere di grado variabile, a seconda della forma clinica, in cui si perdono progressivamente le capacità motorie, con particolare interessamento delle gambe. In Europa, l’incidenza annuale per 100mila soggetti nati vivi varia tra 3,6 e 7,1 per il tipo I, tra 1 e 5,3 per il tipo II e tra 1,5 e 4,6 per il tipo III. In media, in Italia, viene colpito un bambino ogni 6mila.
SINTOMATOLOGIA E FORMA CLINICA
La Sma si divide in tre differenti tipologie, dove la prima – anche nota come acuta – è la forma più diffusa e più grave, può spesso essere mortale nei primi mesi di vita e richiede un’assistenza continuativa altamente specializzata. Un bambino affetto da questo tipo di Sma, infatti, non è in grado di compiere attività fisiche e motorie autonomamente, sino ad essere impossibilitato a sollevare la testa, respirare o deglutire senza supporto. La Sma di tipo 2, invece, definita cronica, presenta nei bambini una debolezza generalizzata dei muscoli, meno grave rispetto alla forma acuta, ma non consente loro di camminare autonomamente e richiede l’uso della carrozzina e il monitoraggio dell’alimentazione e della respirazione. Infine, la malattia nella sua declinazione 3, nota anche come malattia di Kugelberg-Welander o atrofia muscolare spinale giovanile, ha una diagnosi meno drammatica, in quanto i pazienti sono in grado di deambulare autonomamente seppure con difficoltà progressivamente crescenti.
ALTERAZIONE DEI GENI SMN1 e SMN2
La malattia è causata da un difetto in uno dei due geni – SMN1 e SMN2 – che porta alla produzione insufficiente della proteina SMN, necessaria per la sopravvivenza dei motoneuroni. La modalità di trasmissione è autosomica recessiva, il che significa che si trasmette qualora entrambi i genitori sono portatori sani del difetto genetico, presentando dunque il 25% di probabilità di trasmettere la malattia a ciascuno dei figli.
IL PROGETTO
Il fumetto, realizzato da un team multidisciplinare composto da educatori, psicologi e counsellor dell’Associazione famiglie Sma, con i contenuti e la supervisione scientifica degli specialisti della rete dei Centri clinici Nemo, è stato disegnato da un team composto da fumettisti, sceneggiatori e disegnatori professionisti specializzati in storie per ragazzi. La disabilità motoria viene trattata partendo dalle vicende di Ada, una cagnolina affetta da Sma, che vive le sue avventure su una carrozzina elettrica rosso fuoco. Le avventure della SMAgliante Ada incontra l’immaginario dei bambini con il linguaggio del fumetto per educare in modo semplice e creativo, raccontando in cinque storie la quotidianità del gioco, della scuola, dello sport, degli amici e della famiglia, il tema dell’inclusione sociale e della disabilità motoria. Il fumetto, tra l’altro, si conclude con alcune tavole didattiche con l’obiettivo di accompagnare i bambini alla scoperta del mondo della genetica e del sistema neuromuscolare attraverso giochi ed esercizi interattivi.
“UNA NUOVA SFIDA DA VINCERE… CON I FUMETTI”
“Da sempre Roche è attenta e vicina ai bisogni dei pazienti. Lo confermano gli oltre 120 anni di operato in Italia, caratterizzato dalla determinazione e dall’entusiasmo di lavorare uniti per un unico obiettivo: migliorare la vita delle persone che convivono con malattie rare come la Sma, spesso di difficile gestione”, ha commentato Patrizia Olivari, Rare condition business head di Roche durante l’evento (virtuale) di lancio dell’iniziativa. “Questo progetto rappresenta per tutti noi una nuova sfida. Grazie alla magia del fumetto, Ada saprà far appassionare i piccoli e i loro genitori nel voler conoscere ciò che può sembrare difficile da comprendere, come vivere la quotidianità di una malattia neuromuscolare come la Sma”, ha riferito invece Alberto Fontana, presidente dei Centri clinici Nemo, centri ad alta specializzazione clinica e assistenziale nati nel 2008 proprio per rispondere in modo specifico alle necessità di chi è affetto da malattie neuromuscolari e dei loro caregiver.
“IL VALORE DELLA DIVERSITÀ E LA BELLEZZA DELL’INCLUSIONE”
“Spiegare ai più piccoli cosa significhi essere affetti da una patologia come la Sma vuol dire intraprendere un viaggio al loro fianco, per condurli a conoscere i limiti e le risorse della condizione fisica legata alla patologia” ha infatti aggiunto il direttore clinico del centro di Milano e responsabile del progetto Valeria Sansone. “Trasferire con un linguaggio corretto le conoscenze scientifiche sulla malattia – ha aggiunto Sansone – rappresenta un’opportunità di crescita per chi la vive, ma anche uno strumento concreto per superare la paura di ciò che consideriamo diverso”. “Quest’anno più che mai il tema della scuola è al centro delle nostre vite e delle nostre priorità. Attraverso le avventure di Ada faremo conoscere la Sma dal punto di vista scientifico a tanti bambini, il valore della diversità e la bellezza dell’inclusione. Sappiamo che nei prossimi mesi con la riapertura delle scuole i nostri ragazzi affronteranno nuove e difficili sfide, ma crediamo che ogni difficoltà possa essere vissuta anche come un’avventura, e in questo Ada ci aiuterà a costruire una nuova pagina” ha commentato la presidente di Famiglie Sma Daniela Lauro.
(formiche.net)