Anziani non autosufficienti. Toscana: Rivedere il sistema di presa in cura

Una delibera istituisce un tavolo di lavoro per ripensare il modello, con soluzioni modulari e integrate tra domiciliari, semi-residenziali e residenziali

Trasformare le criticità emerse durante l’emergenza Covid in un’occasione per rivedere e migliorare il sistema di presa in carico dell’anziano non autosufficiente. E’ questo l’obiettivo di una delibera della giunta regionale approvata su proposta dell’assessora regionale alle politiche sociali Serena Spinelli: il provvedimento serve ad avviare un percorso per ripensare il modello complessivo attraverso l’attivazione di un tavolo tecnico cui parteciperanno tutti i soggetti interessati.

La pandemia ha fatto emergere difficoltà vecchie e nuove, ma anche elementi di forza e capacità di adattamento” ha spiegato Spinelli. “A partire da queste ritengo sia necessaria una riflessione approfondita che apra una fase di cambiamento nella quale vogliamo ridefinire il quadro delle politiche e delle risposte rivolte ai bisogni sociali e sanitari delle persone anziane e in particolare non autosufficienti”.

L’esigenza di ripensare complessivamente il sistema di presa in carico dell’anziano è anche espressione di un mutamento e di un allargamento progressivo delle esigenze della popolazione anziana. In Toscana già oggi gli over 64 sono quasi un milione. Si stima che la quota di anziani andrà costantemente crescendo arrivando al 60% del totale nel 2060. Questa espansione si ripercuote sulle esigenze dell’assistenza sanitaria e sociale. Ma sulla necessità di modulare e diversificare gli interventi nell’ambito delle quattro aree già presenti attualmente: prevenzione, interventi a domicilio, servizi semi residenziali, servizi residenziali.

L’obiettivo del tavolo che andrà ora a costituirsi è quello di incrementare in termini quantitativi e qualitativi le risposte socio-sanitarie sul territorio. Si cercherà di offrire, nel rispetto dei LEA, una gamma di soluzioni socio-sanitarie modulabili a seconda del tipo di bisogno espresso dall’anziano non autosufficiente.

Vogliamo ripensare e potenziare la capacità di risposta sul territorio ai bisogni della popolazione anziana, in un’ottica di presa in cura complessiva che metta al centro i diritti, le aspettative e la qualità della vita delle persone, in questo caso di quelle anziane e fragili” evidenzia Spinelli. “Per questo – prosegue – a partire da questa delibera avviamo un confronto che coinvolga tutti gli attori del sistema.e i soggetti coinvolti“.

“Il modello che vogliamo attuare dovrà rispondere a un nuovo approccio integrato che tenga insieme risposte di residenzialità, anche di livello e tipologie diverse, modulabili sulle diverse caratteristiche e sui diversi livelli di autonomia delle persone anziane, con servizi di assistenza e cura territoriali che in parallelo devono essere rafforzati e strutturati nel senso di una maggiore prossimità, di chiarezza e continuità del percorso di presa in cura, di gestione delle cronicità, che da tempo sono uno aspetti che caratterizzano maggiormente una società con un’età media più alta e con una più lunga aspettativa di vita.”

“Da un lato, quindi, serve un miglioramento dell’offerta in termini di residenzialità e dall’altro una sempre maggior attenzione al tema dell’assistenza domiciliare, che consenta di evitare o rimandare l’istituzionalizzazione garantendo alle persone anziane il miglior livello possibile di qualità della vita senza dover lasciare l’ambiente domestico e familiare”.

Il tavolo potrà utilizzare i risultati dello specifico gruppo di lavoro costituito a maggio dell’anno scorso a seguito dell’emergenza epidemiologica. Tavolo formato da esperti e tecnici che hanno elaborato una serie di proposte di nuovo assetto delle Rsa. Particolare riferimento è stato dato al potenziamento degli aspetti sanitari, nonché all’attuazione di nuovi e più evoluti metodi di assistenza e cura di anziani fragili.

(articolo parzialmente rielaborato tratto da redattoresociale.it)

Covid: Un miliardo di euro in pensioni che l’Inps risparmia ogni anno

Considerando l’alternativa, invecchiare è la miglior cosa che possa capitare nella vita. Possibilmente in salute. Sappiamo che purtroppo non va sempre così. In Italia ci sono 3 milioni di non autosufficienti (5% della popolazione) e il loro numero è destinato a raddoppiare entro il 2030. Parliamo di persone che non sono in grado di fare niente da soli e hanno bisogno di un accompagnamento. E allora proviamo a metterci nei loro panni: cosa devono fare per avere il sostegno a cui hanno diritto?

In Italia ci sono 3 milioni di non autosufficienti (5% della popolazione) e il loro numero è destinato a raddoppiare entro il 2030

Odissea tra uffici e sportelli

Per il riconoscimento di una invalidità al 100% perché non riesco a camminare, lavarmi, vestirmi né a mangiare senza l’aiuto di un accompagnatore, devo andare dal medico di famiglia che mi fa la certificazione, che poi invio all’Inps per ottenere un codice identificativo. Con questo codice vado a fare la visita medica all’Asl, e poi presento online la domanda. Ma se non ho dimestichezza posso rivolgermi ad un patronato. A questo punto il mio caso viene esaminato da una commissione presieduta da un medico Inps. Una volta ricevuto dall’Istituto di previdenza il verbale di indennità civile, compilo il modulo AP70 che mi consente di ricevere dalla stessa Inps l’indennità di accompagnamento di 522,10 euro al mese, indipendentemente dal reddito. Non ci sono dati ufficiali sui tempi di questo iter, ma le esperienze raccolte sul campo dicono che passano dai cinque ai sei mesi.

Una commissione diversa per ogni servizio

Da non autosufficiente ho poi bisogno di altre cose: un posto in una struttura diurna che mi ospita per sei/otto ore durante il giorno; dell’infermiere che viene a casa (si chiama Adi, e sta per Assistenza domiciliare integrata), oppure dei pannoloni. Devo quindi rivolgermi all’Asl, perché questi servizi sono finanziati dal Sistema sanitario nazionale. Ogni Regione, e perfino ogni Asl, è organizzata a modo suo. In linea di massima queste richieste passano da tre commissioni diverse dove un geriatra, uno psicologo, un infermiere e un medico di famiglia decidono se ho diritto o meno a quel che chiedo.

Se ho un reddito basso e nessun familiare in grado di occuparsi di me, e ho bisogno di qualcuno che mi aiuti ad alzarmi dal letto, a vestirmi e a mangiare, mi reco agli sportelli dei Servizi sociali del Comune, dove un’altra commissione valuterà se mi spetta il voucher per pagare quello che in gergo tecnico è il Sad, ossia il Servizio di assistenza domiciliare. Ma sempre il Comune, oltre al servizio sanitario, può mettere a disposizione strutture semi-residenziali per trascorrere la giornata. Morale: se beneficio dell’indennità di accompagnamento dell’Inps, dell’assistenza domiciliare del Ssn e di servizi semi-residenziali del Comune devo passare da tre iter diversi. Ognuno con i suoi tempi e criteri di accesso. Un calvario per le famiglie che rende di per sé sfinente e disincentivante richiedere il sostegno che spetta.

Morale: se beneficio dell’indennità di accompagnamento dell’Inps, dell’assistenza domiciliare del Ssn e di servizi semi-residenziali del Comune devo passare da tre iter diversi

Sostegno solo a un anziano su due

Il quadro è così frammentato che nemmeno i ministeri competenti oggi possiedono una mappa completa della situazione reale: né sul tasso di copertura dei servizi, né sui costi perché le varie banche dati non comunicano tra loro. Una stima è appena stata realizzata dal Cergas-Bocconi. Gli anziani che ricevono l’indennità di accompagnamento sono 1,4 milioni, per una spesa pubblica di 8,8 miliardi di euro. Di questi 911 mila anziani beneficiano anche di servizi domiciliari: in 779 mila dall’Asl, mentre in 131 mila dal Comune. Per quel che riguarda l’assistenza presso i centri diurni, 270 mila anziani la ricevono nelle strutture semi-residenziali dei Comuni, mentre 24 mila dal sistema sanitario nazionale. La spesa pubblica totale per questi servizi è di 200 milioni. Il costo complessivo ammonta a 11,16 miliardi, che diventano 15,22 se ci aggiungiamo le case di riposo, dove sono ospitati altri 287 mila anziani.

Una spesa consistente per interventi che tuttavia raggiungono poco più del 50% degli anziani non autosufficienti e con servizi scarsi. Basti pensare che le ore di assistenza a domicilio con l’Adi sono in media 21 in un anno, mentre per il Sad la spesa media annua in voucher è di 2.090 euro. Di fatto la cura degli anziani viene scaricata sulle famiglie: sono 8 milioni i familiari che assistono non autosufficienti.

Per supplire alla mancanza di assistenza pubblica è stata fatta la legge 104 del 1992: i parenti fino al terzo grado possono prendere 3 giorni al mese di permesso retribuito per assistere la persona bisognosa assentandosi dal lavoro: da un lato ciò è insufficiente per chi è solo, dall’altro la norma si presta a una lunga serie di abusi difficilmente controllabili. Inoltre si aggiungono un milione di badanti, per una spesa complessiva di 6,8 miliardi. E quando le famiglie non sono in grado di pagare di tasca loro i servizi domiciliari o semiresidenziali, gli anziani finiscono ricoverati in modo improprio in ospedale.

Il Recovery Plan: gli investimenti e la promessa di riforma

In Italia una riforma è attesa dalla fine degli anni Novanta. Ora sono previsti 500 milioni di investimenti in «Sostegno alle persone vulnerabili e prevenzione dei ricoveri» e 3 miliardi alla voce «Assistenza domiciliare». I soldi arriveranno dal Recovery Plan che ha raccolto alcune delle proposte sviluppate dal Network Non Autosufficienza, coordinato da Cristiano Gori, e promosse e sostenute da decine di associazioni fra cui Caritas, il Forum Diseguaglianze e Diversità e Cittadinanzattiva.

Dal Recovery Plan arriva anche la promessa di realizzare con un’apposita legge, da varare entro la primavera 2023, una «riforma organica degli interventi (…). I suoi cardini saranno la semplificazione dei percorsi di accesso alle prestazioni, un rafforzamento dei servizi territoriali di domiciliarità, e quando la permanenza in un contesto familiare non è più possibile, la progressiva riqualificazione delle strutture residenziali». Ovvero: meno burocrazia, più assistenza a casa e più case di riposo. Come tradurre nella pratica questi intenti, e integrarli di quel manca, è scritto invece nelle proposte di Francesco Longo e Gianmario Cinelli del Cergas-Bocconi, presentate nelle scorse settimane ai ministeri della Salute e del Lavoro e politiche sociali. I ricercatori del Cergas-Bocconi hanno elaborato una proposta di riforma complessiva del sistema che prevede di istituire un servizio nazionale per gli anziani non autosufficienti, come avvenuto nel 1978 per il Ssn.

Più assistenza senza aumento di spesa

Il nuovo sistema si fonda su tre elementi chiave. In primo luogo, facciamola finita con anziani e famiglie che devono peregrinare all’Inps, all’Asl e ai Comuni e istituiamo un’unica commissione che stabilisce chi può avere accesso ai servizi di sostegno. In secondo luogo, diamo un’assistenza commisurata alle effettive condizioni di salute degli anziani. Oggi il sostegno è uguale per tutti gli assistiti. Ad esempio, ricalcando il modello tedesco introdotto nel 1995, un anziano in condizione di autosufficienza limitata che sceglie un aiuto in denaro riceverebbe 288 euro al mese; un non autosufficiente che sceglie l’assistenza a domicilio e in strutture residenziali beneficerebbe di servizi per 1.815 euro al mese. Infine, bisogna affrontare di petto la questione delle badanti, spesso non in grado di assistere gli anziani adeguatamente e alle quali oggi lo Stato non riconosce il ruolo di cura. Vanno formate e regolarizzate: oggi il 60% sono clandestine.

Sarebbe, dunque, giusto indirizzare verso l’assistenza quel miliardo di euro in pensioni all’anno che l’Inps sta risparmiando sui morti Covid

Senza spendere un euro in più, ma solo riorganizzando il sistema si possono assistere meglio 590.000 anziani in più. Ma dal totale restano sempre esclusi un milione di non autosufficienti. Sarebbe, dunque, giusto indirizzare verso l’assistenza quel miliardo di euro in pensioni all’anno che l’Inps sta risparmiando sui morti Covid. La riduzione della spesa pensionistica calcolata per il 2020 è di 1,11 miliardi di euro, se la proiettiamo sul decennio 2020-2029 sulla base delle aspettative di vita rilevate dalle tavole di mortalità Istat 2019, arriviamo ad un totale di circa 11,9 miliardi di pensioni che nei prossimi 10 anni non verranno erogate.

(dataroom@rcs.it)

Terzo settore, disabilità e non autosufficienza nel PNRR

Il Presidente del Consiglio ha presentato ieri al Parlamento il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ecco alcuni punti. In arrivo una riforma della disabilità e una per la non autosufficienza

«Sbaglieremmo tutti a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze. Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio. L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà.

La consapevolezza di ogni comunità che l’ambiente va tutelato e rispettato»: ha esordito così il Presidente del Consiglio Mario Draghi nel presentare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza #NextGenerationItalia davanti alla Camera. «Non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere, ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare. Dico questo perché sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio».

Il Piano è articolato in progetti di investimento e riforme, organizzate in sei Missioni, con obiettivi quantitativi e traguardi intermedi. Le sei Missioni sono:

•Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura;

•Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica;

•Infrastrutture per una mobilità sostenibile;

•Istruzione e Ricerca;

•Politiche attive del lavoro e della formazione, all’inclusione sociale e alla coesione territoriale;

•Salute.

Le sei Missioni puntano ad affrontare tre nodi strutturali del nostro Paese, che costituiscono obiettivi trasversali dell’intero Piano. Le disparità regionali tra il Mezzogiorno e il Centro Nord, le diseguaglianze di genere e i divari generazionali.

Aspettando che le decisioni sul governo del PNRR chiariscano che ruolo avrà il Terzo settore – ma più propriamente quale parte avrà la sussidiarietà nel governo del più grande piano di investimenti dal dopoguerra ad oggi (vedi dossier Caritas) e nel governo delle scelte che guideranno anche i governi prossimi e venturi – vediamo cosa intanto dicono le 273 pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza #NextGenerationItalia che entro il 30 aprile verrà inviato a Bruxelles.

Terzo settore

Il posto del Terzo settore è esplicitato nella Missione 5, quella riguardante “Inclusione e coesione”. I fondi destinati a questi obiettivi superano nel complesso i 22 miliardi, più ulteriori 7,3 miliardi di interventi beneficeranno delle risorse di REACT-EU.
Vi si legge che: «L’azione pubblica potrà avvalersi del contributo del Terzo settore. La pianificazione in coprogettazione di servizi sfruttando sinergie tra impresa sociale, volontariato e amministrazione, consente di operare una lettura più penetrante dei disagi e dei bisogni al fine di venire incontro alle nuove marginalità e fornire servizi più innovativi, in un reciproco scambio di competenze ed esperienze che arricchiranno sia la PA sia il Terzo settore».
E più avanti: «In coerenza con gli interventi del Piano, si prevede l’accelerazione dell’attuazione della riforma del Terzo settore, al cui completamento mancano ancora importanti decreti attuativi. Si intende inoltre valutare gli effetti della riforma su tutto il territorio nazionale».

Nel capitolo sui Piani urbani integrati viene richiamato anche l’articolo 55 del Codice del Terzo settore. Il 31 marzo scorso il Ministero del lavoro ha emanato le linee guida sul rapporto tra Pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore.

Vi si legge: «Gli interventi potranno anche avvalersi della co-progettazione con il Terzo settore ai sensi dell’art. 55 decreto legislativo 3 luglio 2017 n.117 (Codice del Terzo settore, a norma dell’art.1, comma2, lettera b) legge 6 giugno 2016, n.106) e la partecipazione di investimenti privati nella misura fino al 30% con possibilità di far ricorso allo strumento finanziario del “Fondo dei fondi” BEI. Obiettivo primario è recuperare spazi urbani e aree già esistenti allo scopo di migliorare la qualità della vita promuovendo processi di partecipazione sociale e imprenditoriale. I progetti dovranno restituire alle comunità una identità attraverso la promozione di attività sociali, culturali e economiche con particolare attenzione agli aspetti ambientali».

La Missione 5 prevede un investimento di oltre 11 miliardi di euro su tre riforme: la legge quadro della disabilità (con finanziamento nazionale); una riforma riguardante un sistema di interventi in favore degli anziani non autosufficienti; una riforma per il superamento degli insediamenti abusivi per il contrasto al caporalato e allo sfruttamento dei lavoratori.

Disabilità e non autosufficienza

Tre linee di Investimento: Sostegno alle persone vulnerabili e prevenzione dell’’istituzionalizzazione degli anziani non autosufficienti 0,50 miliardi di euro; Percorsi di autonomia per persone con disabilità 0,50 miliardi di euro; Housing temporaneo e stazioni di posta 0,45 miliardi di euro.

Due Riforme strutturali: Legge quadro per le disabilità; Sistema degli interventi in favore degli anziani non autosufficienti.

«Specifiche linee d’intervento sono dedicate alle persone con disabilità e agli anziani, a partire dai non autosufficienti. Esse prevedono un rilevante investimento infrastrutturale, finalizzato alla prevenzione dell’istituzionalizzazione attraverso soluzioni alloggiative e dotazioni strumentali innovative che permettano di conseguire e mantenere la massima autonomia, con la garanzia di servizi accessori, in particolare legati alla domiciliarità, che assicurino la continuità dell’assistenza secondo un modello di presa in carico socio-sanitaria coordinato con il parallelo progetto di rafforzamento dell’assistenza sanitaria e della rete sanitaria territoriale previsto nella componente 6 Salute (in particolare il progetto Riforma dei servizi sanitari di prossimità e il progetto Investimento Casa come primo luogo di cura)», si legge nel PNRR.

«La linea di attività più corposa del progetto (oltre 300 milioni) è finalizzata a finanziare la riconversione delle RSA e delle case di riposo per gli anziani in gruppi di appartamenti autonomi, dotati delle attrezzature necessarie e dei servizi attualmente presenti nel contesto istituzionalizzato. Gli ambiti territoriali potranno anche proporre progetti ancora più diffusi, con la creazione di reti che servano gruppi di appartamenti, assicurando loro i servizi necessari alla permanenza in sicurezza della persona anziana sul proprio territorio, a partire dai servizi domiciliari. In un caso e nell’altro, l’obiettivo è di assicurare la massima autonomia e indipendenza della persona in un contesto nel quale avviene una esplicita presa in carico da parte dei servizi sociali e vengono assicurati i relativi sostegni.

Elementi di domotica, telemedicina e monitoraggio a distanza permetteranno di aumentare l’efficacia dell’intervento, affiancato da servizi di presa in carico e rafforzamento della domiciliarità, nell’ottica multidisciplinare, in particolare con riferimento all’integrazione sociosanitaria e di attenzione alle esigenze della singola persona».

Il secondo investimento riguarda i percorsi di autonomia per le persone con disabilità, con il fine di accelerare la deistituzionalizzazione.

Gli interventi saranno centrati sull’aumento dei servizi di assistenza domiciliare e sul supporto delle persone con disabilità per consentire loro di raggiungere una maggiore qualità della vita rinnovando gli spazi domestici in base alle loro esigenze specifiche, sviluppando soluzioni domestiche e trovando nuove aree anche tramite l’assegnazione di proprietà immobiliari confiscate alle organizzazioni criminali. Inoltre, l’investimento fornirà alle persone disabili e vulnerabili dispositivi ICT e supporto per sviluppare competenze digitali, al fine di garantire loro l’indipendenza economica e la riduzione delle barriere di accesso al mercato del lavoro attraverso soluzioni di smart working.

Previste invece due vere e proprie riforme: quella del sistema degli interventi in favore degli anziani non autosufficienti e quella della disabilità, con una legge quadro.

Come per infanzia, anche le “pari opportunità per le persone con disabilità” e il “sostegno agli anziani non autosufficienti” hanno due box specifici dedicati. Sono 18 le occorrenze per “non autosufficienti”, 8 quelle per “non autosufficienza”, 48 quelle per “disabilità”, 6 quelle per “disabili”.

Disabili, agevolazioni fiscali: requisiti e come ottenerli

Tutte le agevolazioni fiscali per sostenere i disabili e i loro familiari in particolare nelle spese sanitarie e per l’eliminazione delle barriere architettoniche

Le agevolazioni fiscali per le persone disabili e i loro familiari sono molte in Italia. Riguardano i figli a carico con disabilità; l’acquisto di un automobile, o di altri mezzi di aiuto sia tecnici sia informatici; le detrazioni Irpef per le spese che vengono sostenute per l’abbattimento delle barriere architettoniche; deduzioni dal reddito per le spese sanitarie o l’assistenza personale.
In questa guida le abbiamo racchiuse tutte. Potrebbero essere d’aiuto ai disabili e ai loro familiari che ancora non ne avessero beneficiato.

Spese mediche e assistenza sanitaria

Le spese mediche, così come l’assistenza specifica sostenuta dai disabili, sono deducibili per intero dal reddito della persona con disabilità. I costi di “assistenza specifica”, nei quali rientra quella infermieristica e riabilitativa. Si possono sottrarre al reddito complessivo pure se a sostenerle sono i familiari dei disabili che non li hanno fiscalmente a carico.
Rientrano nei costi deducibili anche le spese mediche generiche, come ad esempio l’acquisto di medicinali.
E dunque, tra le spese di assistenza specifica rientrano:

•l’assistenza infermieristica e riabilitativa;

•le prestazioni fornite dal personale in possesso della qualifica di addetto all’assistenza di base o di operatore tecnico assistenziale (in particolare se sono dedicate esclusivamente all’assistenza diretta della persona disabile);

•le prestazioni del personale di coordinamento delle attività assistenziali di nucleo; quelle dell’educatore professionale; quelle del personale qualificato che si interessa dell’attività di animazione e di terapia occupazionale.

Diritto alla deduzione

Per avere diritto alla deduzione bisogna essere in possesso della fattura rilasciata dal professionista sanitario. Nel documento deve risultare la figura professionale che ha reso la prestazione e la descrizione della prestazione.
Se la fattura è intestata al solo disabile, la deduzione spetta al familiare che ha sostenuto il costo. Ma è necessario integrare la fattura annotando l’importo sostenuto.
Possono essere sottratti dal reddito anche i costi per le attività di ippoterapia e musicoterapia, se prescritte da un medico: il professionista deve però accertare che siano necessarie per il disabile e devono essere svolte in centri specializzati e direttamente, o sotto la loro direzione e responsabilità, di personale medico o sanitario specializzato (come psicoterapeuta, psicologo, terapista della riabilitazione, fisioterapista o altre figure professionali simili).

Spese non deducibili dal reddito

Queste spese non sono invece deducibili dal reddito:

•spese sostenute per le prestazioni di un pedagogista, perché non ritenuto un professionista sanitario, opera infatti nei servizi socio-educativi, socio-assistenziali e socio-culturali.

•Spese sanitarie specialistiche (analisi, visite specialistiche, operazioni chirurgiche) e spese per l’acquisto di dispositivi medici. Per questi costi spetta però la detrazione del 19% sulla parte che eccede 129.11 euro.

•Se il dispositivo medico rientra tra i mezzi indispensabili per l’accompagnamento, la deambulazione, la locomozione (spostamenti), il sollevamento di persone disabili (come le stampelle), il diritto alla detrazione del 19% può essere ottenuto sull’intero importo della spesa sostenuta.

•Spese alimentari per fini medici speciali, quelli in particolare inseriti nella sezione A 1 del registro nazionale, per questi costi è prevista la detrazione del 19% sulla parte che eccede i 129,11 euro.

•Le spese versate a una Cooperativa per sostenere un minore con handicap nell’apprendimento.

Per il Ministero della Salute questa attività è di natura pedagogica ed effettuata da operatori non sanitari, anche se sono qualificati nel sostegno didattico – educativo, e non può essere definita sanitaria.
Non ha importanza – secondo il Ministero – che sia svolta sotto la direzione di una psicologa.
Se il disabile viene ricoverato in un istituto di assistenza non sarà possibile detrarre dal reddito l’intera retta pagata, ma solo quella parte che riguarda le spese mediche, paramediche e di assistenza specifica. Per questi motivi è necessario che nella documentazione rilasciata dall’istituto di assistenza le spese risultino indicate in modo separato.

Spese detraibili dall’Irpef

Per alcune spese sanitarie così come per quelle sostenute per acquistare dei mezzi di ausilio è riconosciuta la detrazione dall’Irpef del 19%.
Questo tipo di detrazione può essere utilizzata anche dal familiare del disabile, ma solo a condizione che la persona con disabilità sia fiscalmente a suo carico.
Per le spese sanitarie specialistiche (analisi, prestazioni chirurgiche e specialistiche) è possibile sottrarre dall’imposta la parte che supera l’importo di 129,11 euro.
Sono invece ammesse integralmente alla detrazione del 19% queste spese:

•Trasporto in ambulanza del disabile (ma le prestazioni specialistiche effettuate durante il trasporto possono essere detratte del 19% solo per la parte che supera i 129,11 euro).

•L’acquisto di poltrone per inabili e minorati non deambulanti e gli apparecchi per il contenimento di fratture, ernie e per la correzione dei difetti della colonna vertebrale.

•L’acquisto di arti artificiali per la deambulazione.

•La costruzione di rampe per l’eliminazione di barriere architettoniche esterne ed interne all’abitazione. Per queste spese la detrazione non è prevista se in contemporanea si fruisce dell’agevolazione per gli interventi di ristrutturazione edilizia.

•L’adattamento dell’ascensore per renderlo idoneo a trasportare la carrozzella e l’installazione la manutenzione della pedana di sollevamento all’interno dell’abitazione del disabile.

•L’acquisto di strumenti tecnici e informatici che possono facilitare l’autosufficienza e l’integrazione dei disabili. In questa categoria rientrano le spese sostenute per l’acquisto di fax, modem, computer, telefono a viva voce, schermo a tocco, tastiera espansa, telefonini per sordomuti e i costi di abbonamento al servizio di soccorso rapido telefonico.

•I mezzi necessari all’accompagnamento, alla deambulazione e al sollevamento dei disabili.

•per l’acquisto di una bicicletta elettrica a pedalata assistita da parte di disabili con ridotte o impedite capacità motorie permanenti. Per averne diritto è necessario che il disabile produca oltre alla certificazione di invalidità o handicap rilasciata dalla commissione medica pubblica, anche la certificazione del medico specialista della Asl che attesti la funzione rilevante (collegamento funzionale) tra la bicicletta elettrica e la menomazione della persona disabile.

Questo collegamento funzionale deve essere dimostrato anche per l’acquisto di telefonini per sordomuti, sussidi tecnici e informatici e cucine. Si può accedere all’agevolazione solo se il “collegamento” viene evidenziato dalla certificazione rilasciata dal medico curante o dalla prescrizione autorizzativa rilasciata dal medico specialista dell’Asl.
Anche le spese per i servizi di interprete possono essere detratte del 19%, ma solo se si possiedono le certificazioni fiscali rilasciate dai fornitori dei servizi.
Le agevolazioni sono solo per i disabili affetti da sordità congenita (dalla nascita) o acquisita durante l’infanzia (età evolutiva), e che quindi ha compromesso l’apprendimento del linguaggio parlato.
La detrazione non spetta invece per servizi resi a persone affette da sordità di natura psichica, o a causa di guerra, lavoro o di servizio.

Certificazioni necessarie

Per ottenere la detrazione sono considerati disabili (oltre alle persone riconosciute dalla commissione medica ai sensi della legge 104), anche coloro che sono stati ritenuti invalidi da altre commissioni mediche pubbliche, quelle – per capirci – che sono incaricate ai fini del riconoscimento dell’invalidità civile, di lavoro, di guerra o altre.

•Con la Legge 104. I disabili riconosciuti dalla Legge 104 possono attestare le condizioni personali anche con una autocertificazione che fa riferimento ad accertamenti sanitari precedenti effettuati da organi che stabiliscono l’invalidità.

•Nei casi di grave invalidità o menomazione per beneficiare della deduzione delle spese mediche e di assistenza specifica è necessaria la certificazione rilasciata ai sensi della Legge 104.

•Con invalidità di accompagnamento. Per gli invalidi civili ai quali non è stato accertato l’handicap, la grave e permanente invalidità o menomazione deve essere ravvisata, se non è stata indicata nella certificazione, quando viene attestata una invalidità totale. Ma anche in tutti i casi in cui non sia attribuita l’indennità di accompagnamento.

Detrazione Irpef per le spese di addetti all’assistenza

Possono essere detratte del 19% anche tutte le spese sostenute per gli addetti all’assistenza personale nei casi in cui la persona disabile non sia autosufficiente.
Il 19% è calcolabile su un ammontare della spesa che non sia superiore ai 2.100 euro. Ma a condizione che il reddito complessivo del contribuente non sia superiore ai 40mila euro.
L’importo di 2.100 euro deve essere riferito al singolo contribuente e non al numero di soggetti a cui si rivolge l’assistenza.
Ci spieghiamo meglio: se un contribuente ha sostenuto spese per sé e un altro familiare la somma sulla quale potrà calcolare la detrazione resta comunque di 2.100 euro.
Se invece più contribuenti hanno sostenuto le spese, la detrazione va divisa tra loro.
La detrazione spetta anche per questi tipi di assistenza:

•una casa di cura o di riposo (la documentazione deve certificare in modo distinto i costi riferiti all’assistenza rispetto a quelli che sono invece stati sostenuti per altre prestazioni).

•Una cooperativa di servizi (la documentazione deve specificare il tipo di servizio effettuato).

•Un’agenzia interinale (la documentazione deve specificare la qualifica e il contratto del lavoratore).

Questa è la guida completa sulle agevolazioni fiscali eleborata dall’Agenzia delle entrate.

(thewam.com)

Disabilità: Lavoratrici caregiver a rischio licenziamento

Essere un caregiver familiare oggi è decisamente drammatico, specie se si è donne: madri, mogli, sorelle di persone con disabilità, in molti casi di persone con malattie rare e croniche gravemente invalidanti, o di persone anziane non autosufficienti. Parliamo di una stima di 7milioni di persone in Italia, per la stragrande maggioranza donne.

Lo Sportello Legale dell’Osservatorio Malattie Rare riceve continue richieste di aiuto: “Hanno utilizzato tutti i permessi (104 e non), tutte le ferie, i congedi, perfino l’aspettativa”, spiega Ilaria Vacca, giornalista dello Sportello Legale. “Se non sono collocabili in smart working? Se i loro familiari non possono assolutamente rischiare il contagio Covid, che fare? E quando i familiari devono essere assistiti h24 e non è più possibile affidarli a strutture semiresidenziali o caregiver professionisti non ancora vaccinati? Dal DPCM 2 marzo 2021, l’ultima misura prevista dal Governo, nessuna risposta per queste persone. Quanti di loro (e quante donne soprattutto) perderanno il posto?

La situazione dei lavoratori fragili ad oggi è drammatica, perché la maggior parte delle misure di tutela introdotte nella prima fase dell’emergenza sanitaria non sono state rinnovate”, si legge in un comunicato di Omar Osservatorio Malattie Rare. “Il DPCM 2 marzo non menziona alcuna proroga rispetto alle originali tutele previste dal Decreto Cura Italia che permettevano ai lavoratori fragili di assentarsi dal lavoro, men che meno prevede forme di tutela per i cargiver familiarei. Il ricorso allo smart working è solo fortemente raccomandato, ma nessun obbligo legale è previsto in nessun caso.

Resta attivo solo il congedo parentale straordinario per i genitori dipendenti in caso di sospensione dell’attività didattica in presenza (in zona rossa sostanzialmente) delle classi seconde e terze delle scuole secondarie di primo grado”, prosegue il comunicato Omar. “Lo stesso Congedo è stato previsto per i genitori di figli in situazione di disabilità grave – riconosciuta ai sensi dell’Art. 3 comma 3 della Legge 104/92 – in caso di sospensione della didattica in presenza di scuole di ogni ordine e grado o in caso di chiusura dei centri diurni a carattere assistenziale, indipendentemente dallo scenario di gravità e dal livello di rischio in cui è inserita la regione dove è ubicata la scuola o il centro di assistenza. Il congedo prevede il riconoscimento di un’indennità pari al 50% della retribuzione, calcolata secondo quanto previsto dalla normativa precedente.”

Gli unici specifici riferimenti alla disabilità del DPCM 2 marzo riguardano le attività sociali e socio-sanitarie (da svolgere secondo i piani territoriali e seguendo i protocolli previsti), la deroga al distanziamento sociale per le categorie effettivamente impossibilitate a rispettarlo e la possibilità di svolgere sempre attività motoria all’aperto per queste stesse categorie”, riporta la nota. “A questo si aggiunge la novità, forse l’unica davvero positiva, introdotta dal comma 5 dell’Art. 11, che introduce – per i soli territori in ‘zona gialla’ – una deroga fondamentale all’assistenza da parte di caregiver per gli accessi a visite mediche e ai pronto soccorso per persone affette da grave disabilità. Gli accompagnatori dei pazienti in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, possono ora accedere al pronto soccorso insieme al paziente.

Stando alla norma il caregiver, inoltre, può prestare assistenza anche nel reparto di degenza, ma unicamente nel rispetto delle indicazioni del direttore sanitario della struttura. Il che potrebbe implicare una certa discrezionalità rispetto alla possibilità di restare con il proprio familiare durante tutto il ricovero.

Al DPCM 2 marzo seguirà il Decreto Legge ‘Sostegni’, che dovrebbe prevedere – secondo le bozze non ufficiali circolate nei giorni precedenti – un articolo dedicato alla tutela dei lavoratori fragili. Nulla – conclude il comunicato – è previsto, ancora una volta, per i caregiver, sempre più invisibili agli occhi del mondo. Specie se donne.

(clicmedicina.it)

Covid e disabilità. Due guide per l’assistenza in ospedale e nelle Rsa

Distanziamento sociale e divieto di visita durante la degenza hanno colpito in maniera drammatica le persone con disabilità, rendendo il loro diritto alla salute e alle migliori cure disponibili, molto precario. In realtà, già prima della crisi pandemica, la salute, il diritto alla cura e la gestione intraospedaliera delle persone con disabilità presentavano numerose criticità. L’Associazione per lo Studio dell’assistenza Medica alla persona con Disabilità, in collaborazione con la Società Italiana di Ergonomia e Fattori Umani, ha elaborato due documenti.

L’organizzazione e la gestione dei luoghi di cura – ambulatori, ospedali, case di cura, RSA – è stata stravolta dall’attuale pandemia COVID-19. In particolare misure come distanziamento sociale e divieto di visita durante la degenza hanno colpito in maniera drammatica le persone con disabilità, rendendo il loro diritto alla salute e alle migliori cure disponibili, molto precario. Inoltre, i dati ci dicono come la disabilità, ed in particolare la disabilità intellettiva, costituisca un fattore di rischio di mortalità.

In realtà, già prima della crisi pandemica la salute, il diritto alla cura e la gestione intraospedaliera delle persone con disabilità sono temi che presentano numerose criticità.

La neoformata Associazione per lo Studio dell’assistenza Medica alla persona con Disabilità (ASMeD), in collaborazione con la Società Italiana di Ergonomia e Fattori Umani, ha elaborato due documenti:

– COVID, ospedale e disabilità

– Indicazioni operative igienico-sanitarie ed ergonomiche per la gestione del rischio COVID-19 con le persone con disturbi del neuro sviluppo e/o disabilità intellettiva, nelle strutture semiresidenziali, residenziali e negli inserimenti lavorativi (con allegati)

Si tratta di indicazioni operative igienico-sanitarie ed ergonomiche, messe a punto sulla base dell’esperienza professionale maturata in molti anni di attività in questo ambito. ASMeD infatti riunisce i professionisti sanitari che operano nell’ambito della salute di queste persone; ne fanno parte, in particolare, operatori sanitari che svolgono il loro lavoro in strutture ospedaliere dotate di percorsi dedicati alla gestione delle problematiche mediche delle persone con disabilità, sul modello organizzativo DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance).

ASMeD nell’elaborare questi documenti si è basata sui principi contenuti nella Convenzione delle Nazione Unite sui diritti delle persone con disabilità e nella Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale, promossa dalla cooperativa Spes Contra Spem (https://spescontraspem.it/).  È un dovere di giustizia da parte della società mettere in grado le persone con disabilità di essere curate su una base di eguaglianza e non discriminazione.

Abbiamo ritenuto anche in una situazione così difficile sia quanto mai necessario garantire in modo concreto il diritto alla salute e l’accesso alle cure ti tutte le persone. Questo può avvenire mediante la promozione di un’organizzazione sanitaria, di una medicina e di un nursing centrati sul paziente e sulla personalizzazione delle cure. E’ necessario rimettere al centro le persone e costruire risposte attorno ai più vulnerabili: in questo modo ambienti di vita e di cura, protocolli e prassi saranno costruiti intorno a loro e alle loro esigenze e non calati dall’alto.

I due documenti si fondono quindi su alcuni principi che vengono tradotti in pratiche operative:

• il diritto della persona con disabilità a ricevere le cure più adeguate alle sue necessità e al suo stato di salute, su base di eguaglianza con gli altri;

• la residenzialità a misura di persona, di nucleo familiare, che dovrebbe essere un elemento fondante nella gestione del rischio da contagio Covid-19, avviando così tutte le riorganizzazioni possibili nel breve e medio periodo, seguite da una riforma generale nel lungo periodo;

• i principi e metodi ergonomici del design for all – “progettazione universale” guida agli interventi di progettazione, riprogettazione e accomodamento degli ambienti di vita e di cura, degli arredi, degli oggetti d’uso quotidiano;

• il diritto della persona con disabilità a non subire discriminazioni per la sua condizione di disabilità.

In particolare è necessario l’applicazione – nella prevenzione, così come nei percorsi clinici e diagnostico terapeutici – del principio dell’accomodamento ragionevole, sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, molto spesso totalmente ignorato in ambito sanitario. La sua applicazione comporterebbe un impatto notevole nell’organizzazione sanitaria e nella pratica clinica e garantirebbe il diritto alla salute della persone con disabilità:
 
– esecuzione di test di provata affidabilità, che comportino una minor invasività ed una maggiore tolleranza (salivare, nasale superficiale), in sostituzione del tampone nasofaringeo e, in caso di indisponibilità, adottare procedure di prevenzione adattate; soprattutto nelle persone con disabilità il tampone naso salivare presente notevoli difficoltà di esecuzione;

– presenza di un accompagnatore / caregiver durante la degenza ospedaliera; spesso si dimentica che il caregiver è uno strumento di cura indispensabile, è l’interfaccia tra la persona con disabilità e gli operatori sanitari. Privare la persona con disabilità del suo caregiver, significa non essere in grado di comprendere le sue necessità, anche essenziali (sete, fame, dolore). È quindi necessario creare le condizioni per ricoverare in sicurezza il caregiver assieme alla persona con disabilità con COVID-19. A questo proposito va dato atto alla Regione Lazio di aver deliberato già in tal senso;

– rendere possibili le visite dei familiari nei reparti di degenza e nelle residenze;

– rendere possibili le uscite delle persone con disabilità dalla residenza, nel rispetto delle misure di prevenzione necessarie;

– organizzare uno spazio vitale per le relazioni negli ambienti in cui prestare l’assistenza, in caso di contagio da Sars-CoV-2, in condizioni asintomatiche e sintomatiche;

– rendere possibili le normali attività delle persone con disabilità, alla stregua della popolazione generale.

Inoltre ASMeD ritiene che vada data priorità nella somministrazione del vaccino alle persone con disabilità residenti nelle RSD, nelle case famiglie e agli operatori. Questa richiesta assume maggior forza dal dato che, mentre abbiamo certezza che il vaccino riduce la mortalità, non abbiamo certezza che le persone vaccinate non lo trasmettano.

L’applicazione di questi principi, non deve essere considerata come eccezione, un privilegio per una categoria di persone, ma come una questione di giustizia: le persone con disabilità non hanno diritti speciali, hanno gli stessi diritti di tutti, ma hanno necessità di strumenti speciali che possano garantire la fruizione di questi diritti.

Questa visione ha inoltre il grande valore di mettere al centro della cura la persona malata, anche in corso di crisi pandemica e di scarsità di risorse. Ha anche il vantaggio di restituire valore alla medicina basata sulla persona, che in questo frangente sembra essere stata dimenticata perchè ritenuta non applicabile. Ma è solo partendo dalla persona malata che si può costruire una medicina di comunità che includa e non discrimini, per garantire davvero a tutti la sicurezza e la salute in ambienti ergonomici, con strumenti di diagnosi e cura adattati ai limiti e alle potenzialità di ogni persona.

Filippo Ghelma
Presidente ASMeD (Associazione per lo Studio dell’assistenza Medica alla persona con Disabilità

Operatori Socio Sanitari: percorso formativo para-universitario per vecchi e nuovi OSS.

Da tempo si attende una seria riforma per gli operatori Socio Sanitari. Auspicabile un percorso formativo para-universitario per vecchi e nuovi OSS.

Gli Operatori Socio Sanitari, attraverso le loro varie organizzazioni, a cominciare da Migep e SHC, passando per UnitossNoi OssCnossFiossAsoss e finendo al CtsMovimento Nazionale OSS, stanno chiedendo da tempo una seria riforma della categoria, partendo dalla formazione di base e dal necessario innalzamento culturale dell’intera futura professione socio-sanitaria.
Da alcuni giorni ci stiamo occupando in maniera specifica delle proposte in essere e dell’atteggiamento singhiozzante della Politica e dei Governi che si sono susseguiti nell’ultimo ventennio.
Il problema degli OSS è anche un altro: oltre al livello culturale e di conoscenze medio-basso, che si registra tutti i giorni in tutte le strutture assistenziali da Nord a Sud, passando per il Centro e per le italiche Isole, vi è la mancanza quasi totale di unità categoriale.  Ogni organizzazione cerca di fare per se, ma quando si è divisi anche se l’obiettivo è simile o uguale difficilmente lo si raggiunge.
Ad oggi l’Operatore Socio Sanitario, personale di supporto all’Infermiere e all’Infermiere Pediatrico (va ricordato), non ha piena autonomia ed è costretto a muoversi entro i vincoli del suo Profilo (ovvero l’Accordo Stato – Regioni del 2001).
In questo clima occorre per forza di cose riuscire a fare sistema, per non ritrovarsi di fronte ad una Legge dello Stato che imporrà il da farsi futuro.
Tra le proposte in cantiere dalla parte della Politica, ricordiamolo, ci sono:

•obbligo della maturità per chi deve Diventare OSS, ma anche per chi è già OSS e lavora da OSS;

•nuova formazione unica nazionale e non più ad appannaggio delle singole regioni come accade oggi, con corsi dalla dubbia valenza formativa;

•percorsi formativi dai 18 ai 24 mesi di natura para-universitaria;

•equipollenza per i vecchi OSS con obbligo di conseguimento della maturità scolastica;

•riconoscimento del Profilo Socio-Sanitario così come previsto dalla Legge 3/2028;

•istituzione di un’unica “Casa comune degli OSS”;

•creazione di un elenco nazionale (impropriamente detto Albo degli OSS) a totale garanzia per il Cittadino, che ha il diritto di avere la migliore assistenza possibile, anche dal punto di vista socio-sanitario.

Il percorso formativo para-universitario, propedeutico al necessario diploma di maturità, si renderà necessario a breve anche per affrontare dal punto di vista scientifico eventuali ulteriori pandemie, come accaduto per quella da Coronavirus, che ha visto molti OSS spiazzati rispetto ad un pericolo che li ha visti impauriti, impreparati, spesso goffamente autolesionisti.
Il sapere e la conoscenza da sempre sono alla base di una corretta assistenza, anche dal punto di vista socio-sanitario.
Non ci resta che attendere e sperare in una riforma seria.

(assocarenews.it)

L’assistenza ai disabili non è mai subordinata alla disponibilità di risorse pubbliche. Asl veneta condannata al risarcimento per mancata assistenza

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1/2020 ha aperto la strada a un principio innovativo, anche se già suggerito dalla Corte Costituzionale (sentenza 80/2010) e applicato dai Tar (ad esempio Tar Napoli, sentenza 5668/2019) per consentire l’assunzione anche in deroga a tempo determinato di insegnanti di sostegno per i disabili. LA SENTENZA.

I disabili vanno assistiti e basta. La loro assistenza non può dipendere né dalle risorse finanziarie disponibili, né dai posti presso le strutture semiresidenziali.

A deciderlo è il Consilio di Stato con la sentenza n. 1 del 2 gennaio 2020 sull’incompleto inserimento di un minore (3 giorni su 5) in un centro diurno, perché l’Asl non aveva disponibilità economiche e si era limitata a formare una lista di attesa, erogando un contributo parziale, previsto dalla Regione Veneto a sostegno delle disabilità.

Il fatto
I genitori di un minore disabile al 100% e non autosufficiente, hanno chiesto l’annullamento del provvedimento del 25 ottobre 2017 con il quale l’Azienda U.L.S.S. N. 6 del Veneto aveva rigettato la loro istanza-diffida del 25 settembre 2017 per “l’immediato inserimento del minore in un Centro Diurno al fine di permetterne la tempestiva fruizione” e a ottenere dall’Azienda il risarcimento dei “danni, patrimoniali e non patrimoniali, cagionati e cagionandi per un importo non inferiore a 25.000 euro”.

L’Azienda sanitaria, respingendo la richiesta, ha sostenuto di esseretenuta a garantire i livelli essenziali di assistenza socio sanitaria nel rispetto dei vincoli di bilancio assegnati annualmente dalla Regione e dalla Conferenza dei Sindaci”.

Il Tar aveva dato ragione all’azienda, sostenendo che anche il diritto alla salute deve essere bilanciato e contemperato con altri beni di rilevanza costituzionale (come in questo caso l’equilibrio del bilancio pubblico e, in particolare, del bilancio regionale), ma il Consiglio di Stato non è dello stesso avviso.

La sentenza
Secondo i giudici “poiché l’interessato è stato privato fino a luglio 2018 di quel grado di assistenza socio sanitaria a cui aveva diritto al fine di consentirne un adeguato sviluppo educativo, di socializzazione, di occupazione, di costruzione della sua condizione di autonomia, tenuto conto delle sue gravi condizioni, il provvedimento impugnato va dichiarato illegittimo”.

Per quanto riguarda la limitatezza di risorse che avrebbe portato l’Azienda a costituire liste di attesa, il Consiglio di Stato sottolinea tra l’altro che “le norme a tutela dei disabili, in un quadro costituzionale che impone alle Istituzioni di favorire lo sviluppo della personalità, risultano essenziali al sostegno delle famiglie e alla sicurezza e benessere della società nel suo complesso, poiché evitano la segregazione, la solitudine, l’isolamento, nonché i costi che ne derivano, in termini umani ed economici, potenzialmente insostenibili per le famiglie; inoltre, l’inserimento e l’integrazione sociale rivestono fondamentale importanza per la società nel suo complesso perché rendono possibili il recupero e la socializzazione”.

A questo si aggiunge, per il diritto costituzionale alla salute, il diritto “a prestazioni positive” basato su norme costituzionali di carattere programmatico (C. Costituzionale n. 218 del 1994).

E’ un “diritto soggettivo pieno e incondizionato, ma nei limiti e secondo le modalità prescelte dal legislatore nell’attuazione della relativa tutela, ben potendo detti limiti e modalità essere conformati dai condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nella distribuzione delle risorse finanziarie disponibili (Corte Costituzionale n. 309 del 1999, n. 432 del 2005 e n. 251 del 2008; CASS sez. III, 27/03/2015, n.6243).

Il Consiglio di Stato, dopo aver ricordato i meccanismi per il finanziamento del fondo disabili della Regione Veneto, ha ritenuto, come si legge nella sentenza, “che l’affermato principio dell’equilibrio di bilancio in materia sanitaria, ribadito in più occasioni anche dalla giurisprudenza di questo Consiglio non possa essere invocato in astratto, ma debba essere dimostrato concretamente come impeditivo, nel singolo caso, all’erogazione delle prestazioni e, comunque, nel caso in cui la disabilità dovesse comportare esigenze terapeutiche indifferibili, il nucleo essenziale del diritto alla salute deve essere salvaguardato (Corte costituzionale n. 304 del 15 luglio 1994)”.

In questo senso “l’Azienda sanitaria intimata avrebbe dovuto dimostrare concretamente di non avere avuto risorse disponibili nel periodo ottobre 2017/luglio 2018 per l’assolvimento dell’obbligo di prestazione nei confronti del disabile, al quale era stata riconosciuta una totale disabilità e la necessità dell’inserimento in un Centro diurno per l’inefficacia del percorso scolastico con insegnante di sostegno”.

Il Consiglio di Stato “non ritiene sufficiente a tal fine la mera dichiarazione contenuta nel provvedimento impugnato ‘di aver esaurito i posti nel centro diurno’; occorrerebbe la dimostrazione dell’inesistenza di fondi di bilancio a cui attingere anche per una forma di assistenza indiretta, presso Centri privati, mediante rimborso alla famiglia del costo necessario a consentire l’adeguato sostegno socio-educativo: i compiti programmatori ed esecutivi che le norme regionali richiamate pongono a carico della azienda sanitaria possono ritenersi assolti diligentemente solo se sia stata tempestivamente attivata ogni forma di aggiornamento informativo circa la necessità di ulteriori risorse affinché nel riparto annuale del Fondo la Giunta Regionale possa provvedere opportunamente a integrazioni rese necessarie per le sopravvenienze”.

Non è sufficiente, secondo i giudici che la struttura organizzativa esistente sia inadeguata a rispondere alle esigenze dell’utenza a far ritenere diligentemente esercitato il potere-dovere in capo all’Ente.

L’Ente pubblico semmai dovrebbe dimostrare che non vi sono alternative organizzative e di essersi, comunque, adoperato in ogni modo per trovarle o reperire ulteriori risorse finanziarie.

Secondo il Consiglio di Stato “non è dimostrato che il contributo di 700 euro mensili per ICDp (impegnative di cure domiciliari), per assistenza extra Lea, finalizzato a finanziare attività di assistenza e sostegno alla persona o integrativi e di educazione, che è stato utilizzato per l’inserimento di 3 giorni a settimana nel centro diurno, non potesse essere incrementato tempestivamente in misura tale da consentire il pieno inserimento settimanale del ragazzo”.

Secondo i giudici, quindi, una volta individuate le necessità dei disabili tramite il Piano individualizzato, “l’attuazione del dovere di rendere il servizio comporta l’attivazione dei poteri -doveri di elaborare tempestivamente le proposte relative all’individuazione delle risorse necessarie a coprire il fabbisogno e, comunque, l’attivazione di ogni possibile soluzione organizzativa”.

Per questo il diniego dell’Asl “deve ritenersi illegittimo e le stesse considerazioni valgono a ritenere fondata la domanda di risarcimento del danno derivato “dall’illegittimo diniego, sussistendo i profili di colpa evidenziati nella gestione dei poteri organizzativi per il reperimento delle risorse atte a dare adeguata assistenza al disabile nel periodo ottobre 2017/luglio 2018”.

Secondo il Consiglio di Stato il danno patrimoniale e non patrimonialepuò quantificarsi equitativamente, tenendo anche conto delle considerazioni svolte dall’Azienda e del parziale sostegno corrisposto, nella misura di euro 10.000, oltre interessi legali e rivalutazione a decorrere dalla liquidazione e fino al soddisfo effettivo”.

Per quanto riguarda le spese di giudizio, anche queste sono a carico dell’Asl “e si liquidano per entrambi i gradi di giudizio in euro 5.000, oltre accessori di legge”. In più, l’Azienda va anche condannata alla refusione del contributo unificato sostenuto dai ricorrenti.

Il Consiglio di stato ha quindi censurato l’Azienda sanitaria veneta perché non poteva negare prestazioni eccependo carenza di risorse: non bastava dichiarare “di aver esaurito i posti in centri diurni”, perché avrebbe dovuto dimostrare l’inesistenza di fondi di bilancio dai quali attingere anche per una forma di assistenza indiretta, presso Centri privati, mediante rimborso del costo necessario a consentire l’adeguato sostegno socio educativo.
(Quotidiano Sanità)

Disabilità, le famiglie italiane spendono 7 miliardi

Sono 3,2 milioni le persone da accudire. Lo Stato contribuisce con 1,7 miliardi

Ogni anno le famiglie italiane spendono 7 miliardi di euro in personale domestico che accudisca persone disabili. Una cifra che ha un’incidenza sul Pil di 1,3 punti percentuali. Nel tempo il lavoro domestico ha acquisito un peso sempre maggiore. Colf e badanti aiutano gli anziani che con l’allungamento dell’aspettativa di vita e la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, sono diventati un vero esercito da accudire. Ma non solo. Una recente ricerca di Domina (Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico) ha messo in luce come la categoria dei disabili sia di fatto già diventata un importante motore in grado di generare lavoro. Risultato: in Italia sono presenti oltre 900mila badanti e più di 1 milione di colf, per un totale di circa 2 milioni di lavoratori domestici. Numero che prende in considerazione anche gli irregolari (stime Flm/Domina su dati Istat). Solo il 41% dei 2 milioni è regolarmente censito dall’Inps.

Dai dati emersi si evidenzia che nel corso degli anni 2000 – spiega Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina – il fenomeno della disabilità risulta in declino: dal 6,1% del 2000 passiamo al 5,5% del 2013”. Ma questo non toglie che i nuclei familiari che vivono situazioni di non autosufficienza in casa, disabilità inclusa, si trovano ad affrontare nuove sfide assistenziali.

Nella manovra del governo approdata alla Camera, sul fronte della spesa vengono rifinanziati il fondo per le non autosufficienze (0,1 miliardi annui dal 2019), quello per le politiche sociali (0,12 miliardi annui dal 2019) e quello per le politiche per la famiglia (100 milioni annui dal 2019) – prosegue Gasparrini – Tuttavia, oltre alle risorse economiche servono anche politiche e servizi mirati sul territorio per dare respiro alle famiglie nel gravoso compito di assistenza”.

In Italia sono 3,2 milioni le persone di età superiore ai 6 anni con almeno una limitazione funzionale, di cui 2 milioni e 500mila anziani. Quando si parla di limitazione funzionale, si fa riferimento alla dimensione fisica, ovvero a problemi nel movimento (1,5 milioni di italiani), all’autonomia quotidiana, ovvero alla cura della persona (quasi 2 milioni) e all’ambito della comunicazione, che riguarda le funzioni della vista, dell’udito e della parola (circa 900 mila persone). Poi ci sono 1 milione e 400mila persone che sono costrette a stare a letto, sedute o a rimanere nella propria abitazione per impedimenti di tipo fisico o psichico.
A essere interessate sono più le donne (7,1%) che gli uomini (3,8%). Geograficamente, sono prevalentemente nel sud e nelle isole. La metà delle persone con disabilità vive con la propria famiglia.

Dagli ultimi dati a disposizione del 2013, si stima che le risorse destinate dai Comuni alle politiche di welfare territoriale ammontassero a circa 6,8 miliardi di euro, dei quali il 24% (1,7 miliardi) dedicato alla disabilità e il 19% agli anziani. Un -2,7% rispetto all’anno precedente e -4% sul 2010, quando si è toccato il massimo di spesa con circa 7 miliardi e 127 milioni di euro.

Il valore medio pro-capite è di 2.990 euro a livello nazionale, mentre cresce molto al Nord. La spesa pro capite più alta si registra in Trentino-Alto Adige (16.912 euro) e, al secondo posto, in Sardegna (8.517 euro pro capite). In coda alla graduatoria si collocano le regioni del sud in particolare la Calabria con 469 euro.

L’andamento della spesa per le persone disabili risulta ancora in crescita, anche se il ritmo ha frenato rispetto al passato: dal 2003 al 2010 l’incremento medio annuo era stato dell’8%, nel 2012 del 4%.
In questo business lo Stato risparmia ingenti risorse. “Il giro d’affari totale è di 19 miliardi di euro – commenta Gasparrini, calcolando anche l’apporto del sommerso – Contando solo le badanti, le famiglie spendono annualmente 7,3 miliardi di euro tra retribuzioni, tfr, contributi. Senza questo apporto, lo Stato dovrebbe sostenere costi più elevati per il ricovero degli anziani in struttura. Di fatto, risparmia ogni anno 6,7 miliardi”.

(repubblica.it)

Muoviti in libertà, l’app messinese dedicata alle persone con disabilità

Muoviti in libertà è un’app messinese nata nel 2015 che consente alle persone con disabilità di cercare e trovare in breve tempo un assistente personale.

Il progetto è iniziato nel 2010 nell’ambito di un Dottorato in Management presso l’Università Cà Foscari di Venezia ed è stato possibile grazie ad una campagna di raccolta fondi online tramite la Piattaforma Produzioni Dal Basso.

Muoviti in libertà è stata presentata lo scorso 26 marzo presso Palazzo Zanca nel corso di una conferenza stampa alla quale hanno partecipato l’assessore alle Politiche Sociali del comune di Messina Nina Santisi e la responsabile del progetto Tiziana De Maria.

Il progetto consiste nel creare un’applicazione scaricabile da qualsiasi dispositivo mobile con una connessione a Internet e di una piattaforma web che consentano alle persone con disabilità di scegliere un assistente personale ”dove e quando serve”.

Il funzionamento è piuttosto semplice. Una volta effettuato l’accesso basterà inserire la propria richiesta di assistenza sulla piattaforma in modo tale che gli assistenti collegati potranno rispondere. Una volta terminato il procedimento l’utente potrà scegliere il professionista che preferisce in base alle sue esigenze.

Muoviti in libertà è davvero utile, soprattutto nel caso una persona affetta da disabilità per svariati motivi si trovasse fuori casa. Grazie a questa innovativa applicazione sarà possibile trovare un assistente in modo semplice e veloce lontano dal proprio luogo di residenza.

L’applicazione in questione è molto apprezzata da suoi utenti e ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui il premio Gaetano Marzotto. Nel luglio dello scorso anno è stata, infatti, selezionata tra 500 applicazioni come miglior progetto.

Muoviti in libertà è ancora in fase di miglioramento. Gli sviluppatori stanno lavorando alla sperimentazione di un progetto pilota in alcune delle principali città italiane. Per rendere possibile tutto questo è necessario l’aiuto dei cittadini. Come accennato prima tramite la Piattaforma Produzioni Dal Basso sarà possibile finanziare il progetto: l’obiettivo è raggiungere la somma di 20000 euro. Si auspica nella buona riuscita di questo nobile intento.

Per maggiori informazioni:

https://www.produzionidalbasso.com/project/muoviti-in-liberta/

(liberopensiero.eu)