Servizi per disabili: mai più porte chiuse

I servizi sociali, socio assistenziali e socio sanitari per disabili e altre persone fragili, previsti dalla legge 328, sono servizi pubblici essenziali e garantiscono il godimento di diritti costituzionalmente tutelati. È una novità introdotta da un emendamento al DL Rilancio, approvato oggi. Le Regioni avranno 60 giorni di tempo per definire i loro piani. E lo smartworking diventa un diritto dei lavoratori con disabilità

Giorno 3 luglio in Commissione Bilancio della Camera sono stati approvati due emendamenti al Decreto Rilancio, che riguardano le persone con disabilità.
Il primo affronta la questione della sospensione dei servizi, che tanto ha penalizzato le persone con disabilità nei mesi trascorsi. L’emendamento 89.1 a firma di Lisa Noja (IV) e Elena carnevali (Pd) introduce il principio che i servizi sociali, socio assistenziali e socio sanitari per le persone con disabilità e per chi è in difficoltà sono servizi pubblici essenziali, volti ad assicurare diritti costituzionalmente tutelati. «Quindi non possono mai essere interrotti, come purtroppo è spesso avvenuto durante il lockdown», dice Lisa Noja. Tutte le Regioni e province autonome avranno 60 giorni di tempo per adottare un piano che in caso di emergenza – quale essa sia – garantisca l’accesso e la continuità dei servizi previsti dalla 328 anche in caso di emergenza, tenendo conto delle specifiche e inderogabili esigenze individuali. «Il concetto non è tanto tenere aperta la struttura, ma garantire la continuità del servizio, anche con modalità alternative e nuove. Visto quel che è accaduto, è importante parlare di diritti costituzionalmente garantiti, perché non può ripetersi l’abbandono che c’è stato nei mesi scorsi», sottolinea Noja.
Dopo il comma 2, all’articolo 89, viene quindi aggiunto questo comma: «I servizi previsti all’articolo 22, comma 4, della legge 8 novembre 2000, n. 328, sono da considerarsi servizi pubblici essenziali, anche se svolti in regime di concessione, accreditamento o mediante convenzione, in quanto volti a garantire il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati. Allo scopo di assicurare l’effettivo e continuo godimento di tali diritti costituzionalmente garantiti, le regioni e le province autonome, nell’ambito delle loro competenze e autonomie organizzative, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione, con proprio atto, definiscono le modalità per garantire l’accesso e la continuità dei servizi sociali, socio assistenziali e socio sanitari essenziali di cui al presente comma anche in situazione di emergenza, sulla base del progetto personalizzato, tenendo conto delle specifiche e inderogabili esigenze di tutela delle persone più esposte agli effetti di emergenze e calamità. Le Amministrazioni provvedono all’attuazione della presente disposizione nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza maggiori oneri per la finanza pubblica».
Un secondo emendamento riguarda il lavoro delle persone con disabilità. È l’emendamento 83.1, che ora, riformulato, va a modificare l’articolo 90 del Decreto Rilancio. L’emendamento era stato presentato con identico testo da Lisa Noja (IV), Elena Carnevali (Pd) e Massimo Enrico Baroni (M5S).
Al comma 1 dell’articolo 90 è aggiunto il seguente periodo: «Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, il medesimo diritto allo svolgimento delle prestazioni di lavoro in modalità agile è riconosciuto dai medici competenti anche ai lavoratori maggiormente esposti al rischio di contagio Covid-19 in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunosoppressione o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità accertata dal medico competente, ai sensi dell’articolo 83 del presente decreto, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione».
«È un emendamento ispirato dalle associazioni di persone con disabilità, in particolare da FISH, perché oggi il grande rischio che si profila è quello di una massiccia esclusione dal mondo del lavoro», sottolinea Noja. «In questo modo si garantisce alle persone più fragili la possibilità di continuare a lavorare in sicurezza, dando il proprio contributo. È una tutela importante perché nessuno resti isolato ed escluso».

(vita.it)

Sostieni il Blog

Aiutami a realizzare contenuti sempre più esclusivi!

€2,00

CURE DOMICILIARI: IL TAR DEL PIEMONTE DÀ RAGIONE ALLE ASSOCIAZIONI

CURE DOMICILIARI: IL TAR DEL PIEMONTE DÀ RAGIONE ALLE ASSOCIAZIONI DEL CSA E ANNULLA LE NEGATIVE DELIBERE DELLA GIUNTA REGIONALE N. 25 E 26/2013 E 5/2014

CONFERMATO CHE LE PRESTAZIONI SOCIO-SANITARIE DOMICILIARI FORNITE DA BADANTI E  VOLONTARIAMENTE DA FAMILIARI DELLE PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI SONO LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA (LEA)
SI TRATTA DI DIRITTI CHE NON POSSONO ESSERE NEGATI, NEMMENO COL PRETESTO DELLE RISTRETTEZZE DI BILANCIO O DEL RISANAMENTO DEL DEBITO SANITARIO

Diritto alle cure socio-sanitarie domiciliari per le persone malate e/o colpite da disabilità invalidante e non autosufficienza, ottime notizie arrivano dal Tar del Piemonte. Con la sentenza 156/2015, depositata il 29 gennaio 2015, il Tribunale amministrativo del Piemonte ha accolto il ricorso delle associazioni Aps (Associazione promozione sociale), Ulces (Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale) e Utim (Unione per la tutela dei disabili intellettivi), aderenti al Csa – Coordinamento sanità e assistenza tra i movimenti di base, dell’Angsa Torino (Associazione nazionale genitori soggetti autistici) e del Gva Acqui (Gruppo volontariato assistenza handicappati ed emarginati) contro le delibere della Giunta regionale del Piemonte n. 25 e 26/2013 e 5/2014, provvedimenti che sono stati annullati dalla sentenza nelle parti sostanziali. 1 Le delibere erano state impugnate perché lesive del diritto esigibile alle prestazioni socio-sanitarie domiciliari di «aiuto infermieristico ed assistenza tutelare alla persona» per gli anziani malati cronici non autosufficienti, per le persone colpite da morbo di Alzheimer o altre forme di demenza senile e da disabilità invalidante e non autosufficienza. «Secondo la Regione resistente – ha osservato il Tar nella sentenza – le parole “assistenza tutelare alla persona” si riferirebbero unicamente all’assistenza fornita da operatori in possesso di una specifica formazione professionale, quindi da infermieri o da operatori sociosanitari: pertanto, la quota a carico del Servizio sanitario non coprirebbe le prestazioni che siano rese da operatori non professionali, con conseguente loro riconduzione negli “extra Lea” e soppressione delle provvidenze economiche fin qui garantite (e loro integrale accollo al comparto assistenziale: utenti e/o Comuni)». In sostanza, classificando illegittimamente come “extra lea” tali prestazioni domiciliari, garantite attraverso gli assegni di cura, la Regione Piemonte le aveva negate come diritti, spostando il loro finanziamento sul comparto assistenziale, quindi regolato da criteri di discrezionalità e beneficienza, legato alla disponibilità di risorse stanziate. Invece, il Tar ha confermato che le «prestazioni fornite da persone prive di un attestato professionale (e quindi diverse dall’operatore sanitario: ad es., assistente familiare, badante, familiari medesimi, ecc.), finalizzate ad assistere il paziente non autosufficiente nei vari momenti della sua vita domiciliare» sono «da ricondurre ai Livelli essenziali di assistenza (Lea), con conseguente mantenimento del 50% del loro costo a carico del Servizio sanitario nazionale». Questa posizione, da sempre sostenuta dalle associazioni ricorrenti e riconosciuta pienamente legittima con la sentenza 156/2015, era già stata espressa nella sentenza 326/2013 del Tar del Piemonte (pur assolutamente negativa sul tema delle contribuzioni economiche richieste ai parenti) che aveva confermato il diritto pienamente e immediatamente esigibile delle persone con disabilità – e poiché le norme sui Lea sono identiche, anche per gli anziani malati cronici non autosufficienti e le persone con demenza senile – alle prestazioni di «assistenza domiciliare».  La sentenza 156/2015 affronta anche il tema della salvaguardia dei diritti esigibili, in contrasto con  «le esigenze della finanza pubblica» che non possono portare a «comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana» e diritto primario e fondamentale ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione. Osserva il Tar: «Se davvero l’esecuzione del programma di solidarietà sancito in Costituzione (e ormai avviato anche dalla legge che ha previsto i Lea) incontra ostacoli di natura economico-finanziaria per l’obiettiva carenza di risorse stanziabili (vieppiù nello scenario di una Regione sottoposta a piano di rientro dai disavanzi della spesa sanitaria, come il Piemonte), il rimedio più immediato non è la violazione dei Lea ma una diversa allocazione delle risorse disponibili, che spetta alle singole amministrazioni (nel caso, alla Regione) predisporre in modo tale da contemperare i vari interessi costituzionalmente protetti che demandano realizzazione».  Non è insomma lecito, né invocando l’indisponibilità di risorse, né accordi di rientro dal deficit, negare i Lea e quindi anche «le prestazioni di aiuto infermieristico ed assistenza tutelare alla persona». Già con l’ordine del giorno 1090 approvato all’unanimità dal Consiglio regionale della Regione Piemonte il 24 settembre 2013 e richiamato costantemente dai ricorrenti nei loro appelli alla Regione affinché ritirasse le delibere oggi annullate, s’impegnava la  Giunta  regionale  a chiedere al Governo uno stanziamento aggiuntivo a favore del Fondo sanitario nazionale per  le  prestazioni  da  fornire  alle  persone  non  autosufficienti  e  per  l’abbattimento  delle  liste  d’attesa, e uno stanziamento annuale continuativo per il Fondo delle non autosufficienze, da  destinare  esclusivamente  ai  Comuni  per  la  loro  funzione  integrativa.  Tali richieste –  ci risulta  –  non  sono  mai  state  portate  al  Governo. Oggi, sulla scorta della sentenza n. 156/2015 e dell’ordine del giorno approvato anch’esso all’unanimità dal Consiglio regionale del Piemonte n. 142 del 18 dicembre 2014 che chiedeva il superamento delle delibere annullate (come di quelle sulle prestazioni socio-sanitarie residenziali, ancora in giudizio al Consiglio di Stato), occorre con la massima urgenza che la Regione chieda le necessarie risorse al Governo e applichi, per le prestazioni socio-sanitarie domiciliari, la legge regionale 10/2010.
Le motivazioni della sentenza n. 156/2015 dovrebbero costituire per la Giunta della Regione Piemonte la base per l’effettiva promozione delle prestazioni domiciliari per le persone non autosufficienti, consentendo da un lato a questi nostri concittadini, colpiti da malattie o disabilità o autismo e da non autosufficienza, condizioni di vita migliori e più dignitose e nello stesso tempo realizzando consistenti riduzioni delle spese regionali (come previsto anche dalla Petizione popolare nazionale per il diritto prioritario alle prestazioni socio-sanitarie domiciliari per le persone non autosufficienti previste dai Lea, lanciata da un nutrito

Comitato promotore di associazioni guidato dalla Fondazione promozione sociale onlus, petizione di cui è in corso la raccolta di adesioni e firme fino al 31 dicembre 2015. (www.fondazionepromozionesociale.it).

di Giovanni Cupidi