#Ihavethisability: I Clio Awards per la campagna italiana su sesso e disabilità

“Nonostante si tenda a vederli come esseri angelici, la maggior parte dei disabili riesce ad avere rapporti sessuali soddisfacenti”. Giulia Teruzzi e Joshua Mancini, insigniti del prestigioso premio internazionale per la comunicazione. “Ci siamo accorti che questo accade perché quando perdi un’abilità ne sviluppi molte altre, alcune delle quali possono rivelarsi molto utili in camera da letto”

Con una campagna inclusiva intitolata #Ihavethisability sul tema sesso e disabilità due alunni italiani dell’Istituto europeo di design (Ied) di Milano hanno vinto il premio internazionale di creatività Clio Award di New York. Sono Giulia Teruzzi e Joshua Mancini, diplomati a luglio 2020 in Design della comunicazione con specializzazione in Art direction.

#Ihavethisability non è una semplice campagna, ma un invito a riflettere su un aspetto che purtroppo è ancora oggetto di numerosi tabù: la vita affettiva delle persone disabili”, spiegano i due vincitori. “Ci sono centinaia di milioni di persone disabili al mondo che nell’immaginario collettivo si tenda a vederle come ‘esseri angelici’. La maggior parte riesce, invece, ad avere rapporti sessuali soddisfacenti. Recuperando diverse testimonianze, attraverso articoli o commenti su blog e social media, ci siamo accorti che questo accade perché quando perdi un’abilità ne sviluppi molte altre, alcune delle quali possono rivelarsi molto utili in camera da letto” raccontano Teruzzi e Mancini.

Il loro progetto si è focalizzato su un innovativo racconto della sessualità in condizioni di disabilità. Ma come mai i due diplomati hanno deciso di occuparsi proprio di questo argomento?

Abbiamo colto l’opportunità di affrontare questo tema – spiegano – consapevoli dei rischi e del fatto che fosse molto più grande di noi, per dare voce alle persone disabili. Una voce che attraverso l’ironia portasse a riflettere e a normalizzare una questione che nel 2021 dovrebbe già essere “normale”. Pensandoci bene, ogni rapporto richiede ascolto, comprensione e compromessi. #Ihavethisability dimostra che finché è protetto, il sesso è bello in tutte le sue forme”.

A seguire gli Alumni Ied nella progettazione sono stati i docenti Matteo Grandese e Alessandro Candito, con il supporto dell’educational specialist Marianna Moller. Grande soddisfazione esprime anche Elena Sacco, direttrice della Scuola di Comunicazione Ied Milano e di Ied Alumni Relations. “I Clio Awards sono uno dei 4 premi top nel mondo della comunicazione. ià la sola possibilità di parteciparvi con entries di livello è di per sé un grandissimo traguardo e una opportunità unica per i nostri studenti. Il fatto di averlo vinto per la seconda volta, nel 2019 e poi quest’anno, è un’ulteriore conferma che la qualità della formazione erogata dallo Ied sia in linea con le aspettative del mercato globale della creatività”, dice.

“QUESTO TEMA NON PUÒ PIÙ ESSERE TABÙ”

Il riconoscimento internazionale – importante di per sé – è anche il frutto di diversi altri progetti che l’Istituto milanese porta avanti per sensibilizzare l’opinione pubblica in merito al concetto di pari opportunità.

In questi mesi siamo molto coinvolti sul tema della diversity, termine che racchiude varietà, inclusione e sostenibilità. Abbiamo progettato modelli per alcuni brand ma anche per l’atleta paralimpica Martina Caironi. Alle Paralimpiadi di Tokyo 2021 gareggerà con due protesi speciali personalizzate creativamente degli studenti di diversi nostri corsi” spiega la direttrice Sacco. Soprattutto, però, Ied incarna da sempre la naturale cultura dell’inclusione, a partire dal nostro slogan, Find your difference, che invita a trovare il proprio talento e unicità e a svilupparli attraverso il confronto”.

All’istituto studiano alunni con diversità culturale, geografica, di genere, background e professionalità, che possono sviluppare competenze acquisite nei cinque comparti formativi: design, fashion, comunicazione e management, arte e restauro, arti visive.
Allo Ied è inoltre attivo un gruppo di lavoro per l’inclusione di studenti con difficoltà di apprendimento. Offre loro un confronto dedicato con personale adeguatamente formato, il quale a propria volta elabora piani didattici personalizzati e comunica ai docenti le misure compensative e dispensative necessarie.

Abbiamo avuto diverse esperienze di naturale integrazione di studenti con disabilità di vario tipo nel contesto formativo”, racconta Sacco. È il caso di Natalia, art director sordomuta, che ha sviluppato col proprio gruppo di lavoro “un progetto di tesi in collaborazione con il Comune di Milano per Fabbrica del Vapore, integrandolo, oltre che con le sue competenze artistiche e grafiche, anche con una bella prospettiva sul mondo dei non udenti”.

Infine, a livello progettuale, va ricordata la tesi di accessibilità alberghiera “Hoteling for all” realizzata nell’ambito dei corsi di Product e Interior design con la collaborazione di Comune di Milano e Camera di Commercio; da quest’anno è partito, infine, presso il corso di Shoes and accessories design, un percorso di progettazione adattiva e inclusiva, dove gli studenti hanno ideato concept di collezioni moda accessibili che possano rispecchiare davvero lo stile di tutti, senza distinzione di genere, età ed eventuali disabilità.
(ilfattoquotidiano)

Sesso e disabilità: come abbattere un tabù al quadrato

Troppo spesso le persone diversamente abili vengono automaticamente considerate «asessuate» e addirittura prive di normali pulsioni sessuali. Con il suo approccio trascinante e innovativo, la sessuologa Anna Castagna è diventata a questo riguardo una figura di spicco nel campo della divulgazione sex positive. L’abbiamo intervistata per capire il problema culturale ma, soprattutto, per diffondere soluzioni

Oggi in Italia il 5,2% della popolazione vive una qualche forma di disabilità. Si tratta di oltre tre milioni di persone che oltre alla loro condizione patiscono numerose difficoltà aggiuntive e ingiustificate. Dalle barriere architettoniche alla sottorappresentazione politica e mediatica, dalle discriminazioni sociali a quelle sessuali. Molto spesso una persona diversamente abile viene infatti automaticamente considerata «asessuata». A colpirla non è infatti solo il pregiudizio che gli unici partner desiderabili siano quelli che assomigliano ai protagonisti delle pubblicità; il nostro condizionamento culturale ci convince che non abbiano nemmeno pulsioni erotiche, desideri o fantasie sessuali che fanno invece parte della vita di qualsiasi essere umano.

Se a questo punto pensate però di sapere già tutto sull’argomento, a farvi cambiare idea sarà Anna Castagna. Sessuologa, modella fetish, una laurea in Scienze dell’Educazione, un’altra in Scienze e Tecniche Psicologiche e – come dice lei – «ah già: sono anche disabile». Il suo approccio trascinante e innovativo l’ha resa una figura di spicco nel campo della divulgazione sex positive. Invita a considerare il sesso un’avventura entusiasmante anziché un fardello da gestire nonostante tutto. Anziché concentrarci solo sul problema, l’abbiamo intervistata per parlare di soluzioni, che spesso sono più semplici di quel che si potrebbe immaginare.

La prima domanda è inevitabile: quanto è ancora tabù la sessualità delle persone disabili in Italia? C’è qualche differenza sostanziale dal resto d’Europa o del mondo?

«Pensiamo a quanto sia ancora un tabù la sessualità in generale in Italia e immaginiamoci quanto possa esserlo se intrecciata a un tema come quello della disabilità! Io direi: “tanto”. Legato a tutto ciò che vortica intorno al tema della sessualità c’è un grossissimo tabù tanto quanto verso il mondo della disabilità. Unire i due temi crea un vero e proprio “tabù al quadrato”, che per essere superato richiede un lavoro di “decostruzione al quadrato”. Escludendo quelle nazioni in cui il sesso rimane un argomento ancora tutto da sdoganare, l’Italia è ancora molto indietro rispetto, per esempio, a molti stati del nord Europa che si sono mossi e hanno attivato progetti per garantire a tutti il diritto alla sessualità».

La seconda è altrettanto obbligatoria: perché? Da cosa dipende questa situazione?

«Quando parlo di “tabù al quadrato” intendo che la disabilità viene considerata spesso e volentieri solo come condizione patologica, ossia una malattia che eclissa totalmente l’identità dell’individuo. Si tende a vedere la sedia a rotelle, la difficoltà cognitiva, la difficoltà motoria e non Luca, Sara e Andrea con le loro identità e le loro storie. La disabilità è tutt’altro: è una condizione che fa sicuramente parte della vita della persona ma non è la persona stessa – e ancor meno possiamo considerare la persona una patologia. Superato questo primo equivoco sul tema della disabilità, dobbiamo adottare una prospettiva bio-psico-sociale cominciando a osservare la persona come tale, con la sua storia, la sua identità e i suoi diritti.In questo modo possiamo imparare a decostruire e rompere tutti gli stereotipi legati al mondo della disabilità, fra cui: «al disabile non interessa il sesso», «le persone con disabilità mentale sono bambini privi di impulsi», «il disabile non è una persona in grado di svolgere attività sessuale»…

Si tratta di iniziare a pensare come alcune difficoltà possano incontrarsi con le esigenze e i desideri dell’individuo. Così come esistono stereotipi sul mondo della disabilità, ne esistono anche sul mondo della sessualità. Anch’essa andrebbe quindi colta in tutte le sue sfumature bio-psico-sociali, così da sganciarla da una visione puramente riproduttiva, penetrativa e genitale. Tutto questo preambolo era necessario per poter comprendere perché la mia risposta alla domanda sul perché è che questa situazione dipende da un errore di sguardo. Prima riusciremo a decostruire il concetto di disabilità e di sessualità che abbiamo in testa, e prima potremo offrire a tutti il diritto alla sessualità».

Anna Castagna
Ma proprio non esiste alcuna iniziativa istituzionale per sdoganare l’argomento?

«Per fortuna qualcosa c’è, come l’associazione Lovegiver che oltre a difendere il diritto alla sessualità per le persone disabili sta cercando di rendere legale anche in Italia la figura dell’assistente sessuale. Si tratta di una figura professionale molto equivocata, ma l’assistenza sessuale è un percorso che permette alla persona diversamente abile di vivere e sperimentare il proprio corpo, entrando in contatto con la propria vita intima, i propri limiti e il proprio orizzonte affettivo ed erotico in modo dignitoso e consapevole».

E dire che basta davvero poco per eliminare i pregiudizi… Mi viene in mente un suo workshop di un paio d’anni fa, basato su un semplice gioco. Le va di raccontarlo?

«Ma certo! Questo esercizio riguarda in particolare la disabilità fisica. Quando parlo di questo tema amo molto far parlare l’esperienza diretta sul proprio corpo, che credo sia il miglior modo di decostruire tutti i muri e le paure che ci portiamo dentro. In pratica chiedo ai partecipanti di pescare casualmente un biglietto su cui è indicato un limite fisico. Poi faccio loro ricreare quel limite – per esempio immobilizzando una parte del corpo o bendando gli occhi – e creo coppie di “disabili” alle quali chiedo di vivere un’esperienza sensoriale. L’obiettivo è sperimentare il limite e le possibilità del nuovo corpo, ma allo stesso tempo di ascoltare le paure e le emozioni che nascono.

Oltre a permettere loro di provare il concetto di limite, la cosa più importate è che possano sperimentare quello di possibilità, scontrandosi con paure, dubbi e perplessità. Infatti è proprio partendo da queste che si riconoscono i tabù, ed è proprio partendo dai dubbi che i tabù si possono sradicare. La sessualità non è un pacchetto consegnatoci come un abito prêt-à-porter. Si tratta più di un abito di sartoria che va cucito su misura dell’individuo, e ogni individuo può cucire il proprio».

Torniamo a parlare di sesso, escludendo il capitolo delle disabilità cognitive che inficiano il concetto di ‘consenso’ alla base di ogni sessualità sana. L’incontro con corpi fuori dagli standard, o con esigenze particolari, può essere oggettivamente difficile perché non si sa come gestirli – anche solo nel chiedere indicazioni al riguardo. Cosa suggerisce di fare per superare questo ostacolo?

«Ritengo che questa considerazione possa essere estesa a ciascuno di noi. Siamo tutti diversi, e come dicevamo prima la sessualità è un abito cucito su misura – quindi la sacrosanta risposta a questa domanda è: serve dialogo. Ascoltare l’altro ci aiuta a capire le sue reali esigenze o difficoltà senza proiettare ciò che noi “crediamo rispetto alla sua situazione”. Dialogo e ascolto sono alla base di ogni rapporto sano ed equilibrato».

L’altro lato della questione è rappresentato dalla “fame di affetto” di alcune persone disabili. Pur di essere considerate anche per il loro lato sessuale rischiano brutte ricadute emotive per avere abbassato troppo i loro criteri di consenso. Cosa pensa di questo fenomeno?

«Anche questo fenomeno deriva da un concetto di stereotipo interiorizzato che colpisce in egual modo persone “normodotate” e persone diversamente abili. La risposta a tutto questo è una formazione al sesso e all’affettività che comprenda tutti, e che insegni a considerare la sessualità e la vita di ogni individuo nella sua unicità e complessità. Il primo passo verso un futuro di uguaglianza e pari diritti consiste nel farsi domande come queste e decostruire gli stereotipi. Tutti».

(vanityfaire.it)

ELLAI: disabilità, sessualità e opportunità

Rubrica a cura di Lidia Ianuario – Blogger e Social Media Marketing Specialist / CM in Sociologia

Sei settembre duemiladiciassette. Voglio scriverla per esteso, questa data, perché in me lascia ancora oggi un segno indelebile. Mia madre mi racconta di un neurochirurgo che, madido di sudore, invoca Dio dopo ben otto ore di operazione. Dodici punti, come gli apostoli. Li porto con dignità, come la mia disabilità, chiedendomi se la vita ci riserva sorprese inaspettate a noi “combattenti”, come la canzone di Fiorella Mannoia che mio zio mi invia alle tre di notte, l’unica in cui, ignara di essere paralizzata dal collo in giù, cerco di muovere le gambe, rigide, senza riuscirci, e vado in crisi.

Sì, non sono nata così: sono grata per questa mia condizione. Oggi posso perfino nuotare, il tumore al midollo spinale ha leso molte funzioni neuromotorie, tante riprese. Nessuno crede in me, in quel periodo. Nemmeno il mio neurochirurgo, solo una fisioterapista: con lei inizia la sfida maggiore della mia vita. Riabilitare il mio corpo.

Passo dopo passo, letteralmente parlando, da più di una sedia a rotelle fino alla piscina, dove mi sento parte dell’acqua calda, che mi accarezza il corpo. Come un bambino, riprendo a essere eretta e a camminare. Tante azioni compiute nella vita quotidiana sembrano scontate. Per molti, sono un modo per superare i propri limiti.

Una come me, abituata a una vita dinamica, sempre di corsa tra un corso universitario e un’attività di volontariato, tra una lezione di fitness e una videochiamata su Skype, costretta a rimanere a letto. Una che si batte per le barriere di ogni tipo, da quelle culturali a quelle architettoniche, che sogna dei media accessibili a tutti, senza quei capchta che rendono difficoltoso un commento a un cieco o che lavora in un consorzio di cooperative e riesce ad avere servizi RAI perché i suoi progetti piacciono; una, infine, che esce senza appuntamenti prefissati, basta una telefonata e si getta al volo in una nuova avventura, che se ne fa di una vita così?

Due le alternative: accettare la realtà o sognare. Mi accingo a scegliere la seconda. Invece di quaranta minuti di riabilitazione, ben due ore, ogni giorno, sabato e domenica compresi. In meno di sei mesi – solo tre – esco dal centro della Fondazione Maugeri di Telese Terme, in Campania, centro d’eccellenza, con le mie gambe e il soprannome di “Freccia Rossa”.

In ospedale metto a soqquadro l’intero reparto, con feste ogni sera e la richiesta di non essere messa a letto alle sette di sera. Rivoluziono tutto. Alla fine, vinco. Mi presento al dottor De Falco, Primario del Reparto di Neurochirurgia dell’Ospedale “Santa Maria delle Grazie” in località La Schiana, a Pozzuoli, senza nemmeno un bastone. Lui stenta a crederci.

Bisogna avere un desiderio che diventa missione di vita: il mio è scrivere. Eccomi qui, allora, con una rubrica su donne, sessualità e disabilità, perché la prima battuta una volta operata è :”Ho gli impulsi sessuali. Tutto a posto, dottore”, con lui che risponde :”Ianuario, ci manca solo un uomo. Come lo vuole?”. “Ironico, intelligente e aitante”, la mia risposta.

Ogni mattina, quindi, le infermiere e assistenti socio-sanitarie sanno che devo lavarmi, improfumarmi, abbinare lo smalto delle dita delle mani e dei piedi al mio pigiama pulito e al mio ventaglio.

Questa è ‘nata storia, come diceva Pinuccio, noto cantautore partenopeo.
Al prossimo racconto, per affrontare, tramite la mia testimonianza, un tema troppo poco trattato.

Pudore? Assenza di una giusta e corretta informazione? Poco importa, è giunto il momento di preoccuparsi dell’affettività di noi donne disabili, perché l’una è legata all’altra. Insieme, per il diritto di amare. Iniziando da questa rubrica e dalla pagina Facebook.

Buon viaggio, lo sarà questa serie di articoli, nel vasto mondo della disabilità.

(Riproduzione riservata ©)

LEI DISABILE E LUI NO: SCANDALO! PERCHE’ “SIAMO ANCORA OTTURATI DI MENTE?”

Affettività e sessualità delle donne disabili: ne parliamo con Lorella Ronconi
La prima volta che ho visto Lorella, i suoi occhi azzurri mi hanno trasmesso, insieme, accoglienza e forza.  Ebbene, non temo di esagerare dicendo che Lorella è una forza della natura, una veramente “ganza”, si direbbe dalle sue parti. Lei, toscana, classe sessantadue, è affetta da grave pseudoacondroplasia poliepifisaria dall’età di 2 anni, e in carrozzina dal 1991, ma questi potrebbero essere dettagli.
La sua biografia snocciola cariche ed esperienze (Presidente di un’associazione che si occupa di barriere architettoniche, Membro fondatore della “Fondazione il Sole  Onlus“;  Membro della consulta ASL; Commissario Commissione Pari Opportunità della Provincia di Grosseto). Tra quelle di cui va più orgogliosa, quella a Cavaliere della Repubblica Italiana per i suoi numerosi impegni e progetti dedicati al superamento delle barriere architettoniche e cultrali.
L’arte ha un grande spazio nella sua vita: poesia in primis, ma anche, di recente, fotografia. Ma sono le sue parole – quelle trasmesse attraverso i social network, i libri, i giornali –  le vere lance, armi caricate a dolcezza e forza, con le quali Lorella colpisce, a volte anche duro. Lo ha fatto anche di recente, su Facebook,  tornando sull’argomento della sessualità e affettività delle persone disabili, in particolare donne.
“Noi otturati di mente”:  parte in quarta Lorella, che nelle parole è, sempre, un concentrato di sensualità e crudezza.  E così continua: “Anche se si comincia a parlare di sessualità e affettività per le persone diversamente abili, difficilmente nell’immaginario collettivo, appare la figura della donna, della ragazza disabile, che è corteggiata da un uomo normodotato. Se si parla di sesso subito è l’immagine di un uomo in carrozzella che ci appare nei pensieri.  Siamo “otturati” di mente. Facciamo esercizi, allarghiamo le nostre limitate potenzialità e pensiamo a persone più invisibili come le donne, che per retaggi culturali e stereotipi devono essere gli angeli senza sesso, le creature eternamente bambine, e, se si azzardano a chiedere o a sognare amore, diventano da “frenare” perchè “poco serie” o inadatte ad un uomo per via delle loro incapacità a stagli accanto “come una donna normale”. Qualcuno tra quelli che mi hanno detto che “tanto non avrei mai potuto essere per un uomo come una donna normale” si sarà mai chiesto “chi è (e cosa fa) una donna normale”? Sono partita da qui, e ho sentito Lorella: voglio approfondire la questione.
Lorella, sollevi una questione che ha in comune la radice – tutta italica – di una scarsissima abitudine a vedere, dunque considerare “normalità”,  coppie “lui giovane-lei meno giovane” o “lui bello-lei bruttina”. Tu vai oltre, e dici: perché non si parla mai di una donna disabile con un uomo non disabile? Tu che sei una acuta osservatrice, perché la cosa ci stupisce tanto? Cosa disturba di questo? Io trovo che dalla preistoria si continua a pensare ed agire come se la donna fosse ancora la persona “predisposta” a cucinare, avere cura di… essere padrona, ma solo  della casa, dell’accudimento dei figli, gli uomini invece a cacciare, per il cibo, a cacciare per riprodursi: donna innamorata, sì, amante no; uomo innamorato no, amante sì. Uno stereotipo classista che è rimasto integro nel tempo! Nel “regno” della disabilità (anche se  non sopporto troppo dividere per classi) non si fa differenza, la donna rimane la parte fragile, debole, da curare e “oscurare” da sguardi  indiscreti (da tenere nella caverna) le stesse famiglie “tramandano” il tradizionale, ancestrale : donna fragile, uomo forte. Mi disturba moltissimo, io stessa lo vivo, da 51 anni, sulla pelle: sentirmi invisibile persino nei discorsi su affettività  fatti tra  “esperti in materia”, mass media o disabili stessi: il lo stereotipo, il retaggio che vuole la persona disabile “asessuata” porta in se la cellula classista! se si deve parlare di sesso per le persone disabili nell’immaginario appare una figura maschile, nei film, nelle foto dei giornali sull’argomento appare un uomo in carrozzella, un disabile psichico di sesso maschile: facci caso, cerca sul web le foto di una donna disabile in carrozella affiancando la parola sessualità…  io stessa sulla mia pagina, per fare album su donne disabili e l’amore , ho dovuto cercare  su siti stranieri: Spagna, Usa, Francia, Norvegia… Le statistiche affermano che sono più gli uomini disabili quelli senza “amore” rispetto alle donne ma io sono convintissima che sbagliano: alle donne non viene chiesto se hanno desiderio sessuale o desiderio di amore di uomo/donna  o meno, e spesso sono le donne stesse che non parlano pensando di essere “donne poco serie” se raccontano dei loro desideri sessuali.
Che responsabilità hanno i  media, a tuo avviso, nella costruzione dell’immagine della donna disabile e della disabilità in generale? E cosa potremmo fare per cambiare le cose? I media, come dicevo prima hanno l’imprinting della società italiana in cui viviamo: la famiglia tradizionale italiana=quella della preistoria. I ruoli, per i nostri media, non si sono evoluti . La cosa pazzesca è che gli stessi web marketing internazionali (per l’Italia ) “confezionano spot” che calcano i retaggi passati. Per cambiare bisogna parlarne, già lo stiamo facendo noi due adesso: stiamo riflettendo io e te… e già il nostro modo di pensare sta crescendo, no?
Recente è la notizia di una agenzia di modelle che apre anche a modelli disabili. Può essere questa una strada per cambiare la percezione della disabilità? Quanto pensi sia ancora lunga la strada per un cambiamento reale?  Si, è interessante questo, molto, basta che tutto ciò che si apre al mondo della disabilità non venga fatto per sfruttare la disabilità stessa, che non venga spettacolarizzata per far cassa, ma se questo porta ad una integrazione e attenta è una grande crescita!
Con Lorella ci siamo spinte a parlare anche di molto altro: di affettività, assistenza sessuale, costruzione dell’immagine femminile della donna disabile, e ci siamo promesse che riprenderemo l’argomento, qui, presto. Intanto Lorella ci teneva a riprendere un testo che, sospetto, conosce quasia memoria: la Convenzione Onu sui diritti delle persone diversamente abili. In particolare l’Articolo 23:
Rispetto del domicilio e della famiglia 1. Gli Stati Parti adottano misure efficaci ed adeguate ad eliminare le discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità in tutto ciò che attiene al matrimonio, alla famiglia, alla paternità e alle relazioni personali, su base di uguaglianza con gli altri, in modo da garantire che:
(a) sia riconosciuto il diritto di ogni persona con disabilità, che sia in età per contrarre matrimonio, di sposarsi e fondare una famiglia sulla base del pieno e libero consenso dei contraenti;
(b) sia riconosciuto il diritto delle persone con disabilità di decidere liberamente e responsabilmente riguardo al numero dei figli e all’intervallo tra le nascite e di avere accesso in modo appropriato secondo l’età, alle informazioni in materia di procreazione e pianificazione familiare, e siano forniti i mezzi necessari ad esercitare tali diritti;
(c) le persone con disabilità, inclusi i minori, conservino la loro fertilità su base di uguaglianza con gli altri.

(disabili.com)