Ucraina, aiuti dalla rete di associazioni delle persone con disabilità

A Palermo raccolta dei beni nella sede dell’associazione Medullolesi Spinali. Ninni Gambino (Finp): “Molti nostri ragazzi con disabilità, pur vivendo di piccoli sussidi, stanno dando il loro contributo per le persone in Ucraina”

Da ieri tante persone continuano a chiamare per saper come dare il proprio contributo nella raccolta di beni di prima necessità destinati alla popolazione ucraina, che da giorni subisce l’attacco armato della Russia. La base operativa di raccolta è stata offerta dall’associazione Medullolesi di Palermo. L’iniziativa è promossa dalla rete di associazioni Asms Medullolesi Spinali Sicilia, Asd Mo.Cri.Ni.linus , Asd I Ragazzi Di Panormus.

Bandiera Ucraina

A parlare di questa catena di solidarietà che è partita anche dalle associazioni delle persone con disabilità è il consigliere nazionale della Federazione Italiana Nuoto paralimpico (Finp) Ninni Gambino. “Da sempre in campo per i diritti di tutte le persone con disabilità – dice Ninni Gambino -, nell’ultimo periodo abbiamo creato una rete di associazioni per migliorare la risposte ai diversi bisogni di giovani e adulti con disabilità.

Questa rete, da circa un anno, si è collegata ed interfacciata anche con la comunità ucraina, prima ancora che scoppiasse il conflitto. Già, infatti, a favore dei giovani ucraini che, nel conflitto del 2014, erano rimasti amputati o con altre disabilità, abbiamo favorito degli incontri in Sicilia nella prospettiva di organizzare dei campus sportivi estivi.

Recentemente con Viktoriya Prokopovych (referente della comunità ucraina,  presidente dell’associazione Forum Ucraina) che vive a Palermo ci siamo confrontati per capire quali strumenti mettere in atto per aiutare la gente ucraina. Appena poi è scoppiato il conflitto abbiamo deciso di attivare la raccolta umanitaria grazie alla sede messa a disposizione dell’Asms“.

Oggi dalle parole bisogna passare concretamente ai fatti. Ogni persona sta donando anche nel piccolo, secondo le sue disponibilità. Molti nostri ragazzi con disabilità, pur vivendo di piccoli sussidi, stanno dando il loro contributo. E’ straordinario e bello come già da ieri stanno arrivando parecchie cose e stiamo ricevendo molte telefonate – continua ancora Ninni Gambino -.

Successivamente alla raccolta dei beni – che sta avvenendo il diversi punti della Sicilia -, ci preoccuperemo di portare con i pulmini dell’Asms tutto il materiale a Bagheria dove abbiamo preso contatto con un’azienda di autotrasporti. Questa ultima, con un mezzo di trasporto idoneo, porterà tutti gli aiuti umanitari a Verona che è il centro da dove partono i mezzi per l’Ucraina.

Tutti noi che in questo momento siamo in una condizione di vita migliore della popolazione ucraina, abbiamo il dovere di non girarci dall’altra parte ma di attivarci insieme per sostenerli in tutte forme possibili“.

Nella lista dei beni essenziali ci sono: termocamera, binocoli, caschi, ginocchiere, giubbotti antiproiettile, kit di pronto soccorso (IFAK se possibile), farmaci da banco (paracetamolo, nimesulide, antibiotici, oki, acqua ossigenata, betadine, etc.), garze e cerotti, antibiotici, antidolorifici, farmaci emostatici, medicazioni.

A questi si aggiungono inoltre: walkie-talkie (con batterie), power bank, torce elettriche, prodotti a lunga conservazione (zucchero, tè, caffè, biscotti, latte, cioccolato, cibo in scatola, olio), prodotti per l’igiene (sapone, shampoo, dentifricio, etc.). E poi ancora: calzini, biancheria, cibo per bambini, pannolini e salviettine umidificate.

Il centro di raccolta “Aiuto umanitario per l’Ucraina” è l’Asms (Associazione siciliana medullolesi spinali) in via Giovanni Evangelista di Blasi n.24,26 . Presidente Giovanni Rotino – mobile 329 1517169 (redattoresociale.it)

La battaglia di Giulia Lamarca per i viaggiatori con disabilità

Nel blog “My travels are hard trouth” e nel libro “Prometto che ti darò il mondo” il racconto delle le battaglie vinte dalla ventivovenne viaggiatrice in carrozzina. “Il personale di volo non è preparato a ricevere le persone disabili, è stato formato solo per comunicare, non per intervenire”. Un consiglio? “Mai arrendersi, determinazione e fregarsene delle altre persone per non deprimersi”

È fresco di pubblicazione “Prometto che ti darò il mondo”, il primo libro autobiografico di Giulia Lamarca, la travel blogger in carrozzina che da anni su Instagram, YouTube e tra le righe del suo blog combatte una battaglia: difendere il diritto al viaggio per le persone con disabilità e rendere il turismo accessibile.

Perché, come spiega lei stessa senza mezzi termini sul suo profilo Instagram @_giulia_lamarca: “Viaggiare per chi ha una disabilità è veramente un casino: richiede forza di volontà, motivazione, determinazione, voglia di non arrendersi mai e soprattutto di fregarsene delle persone per non buttarsi giù”.

E lei lo sa bene. Da quando dieci anni fa è rimasta in carrozzina in seguito a un incidente in scooter, a 19 anni, ha infatti fatto del viaggio la strada per riconquistare la libertà. “Ognuno ha il suo modo di salvarsi nella vita e per me i viaggi sono stato questo. Sono questo”, dice a Luce!.

Da due anni e mezzo, Giulia, torinese che adesso di anni ne ha 29, insieme al marito Andrea Decarlini – fisioterapista che ha incontrato in ospedale durante la degenza e da cui adesso aspetta una figlia, la piccola Sophie – tiene un blog dedicato al viaggio, “My travels the hard truth”, e proprio per questo è testimone di prim’ordine di tante mancanze.

Giulia Lamarca a Torino
Odissea per volare

Il volo ad oggi non è un diritto. Nonostante sulla carta la Legge internazionale della tutela dei diritti dei passeggeri sia impeccabile, sulla pelle le persone che hanno una disabilità vivono altro”. I problemi iniziano già dalla prenotazione online del biglietto. “Spesso le interfacce dei siti delle compagnie aeree non sono chiare e già trovare il modo per prenotare l’assistenza durante il volo diventa un’impresa”.

Si passa poi al tema carrozzina, che – come ci spiega Giulia – è ancora colpevolmente considerata un “bagaglio speciale”: “Di tutte le richieste di risarcimenti che ho fatto negli anni, in seguito a danni più o meno gravi alla mia carrozzina, non ho ricevuto neanche un rimborso. E, come me, tantissime altre persone che vivono la mia stessa condizione.”

“Le compagnie aeree non sanno neanche materialmente come  fare il rimborso: mancano normative. Uno dei miei obiettivi per il futuro è far partire una class action per fronteggiare questo problema. Dovremmo parlare con le associazioni di categoria per scrivere una nuova normativa insieme”.

Carrozzina e scali lunghi

Oltre ai danni, però, ci sono anche le beffe: “Viaggiando negli anni ho dovuto trovare delle strategie, vi faccio un esempio: se quando arrivo al check-in, durante uno scalo lungo, mi trovo di fronte un operatore che ha dei dubbi sul fatto di farmi riavere la carrozzina, nonostante sia un mio diritto, io lo avverto: la mia carrozzina costa 7mila euro. Se la perdete o la rompete, la vostra compagnia deve ripagarmela, più i danni morali. A quel punto, l’atteggiamento cambia e io posso riaverla per le sei ore di attesa che devo trascorrere in aeroporto”.

Personale impreparato alla disabilità

In un momento verità, che ha la forza della denuncia, Giulia si apre ancora: “Io sono una persona, ma in questi anni mi sono sentita trattata come una persona poche volte. Il personale a bordo o in aeroporto spesso è poco informato e formato. La capacità di relazionarsi con una persona che ha una disabilità non può essere una soft skill lasciata all’iniziativa del singolo, dev’essere frutto di una preparazione”.

Di che tipo? “Banalmente, dovrebbero essere gli operatori sanitari a formare il personale per prepararlo a toccare, trasportare, mettere a sedere un paziente con varie patologie. Il mondo della diversity è variegato, perché ahimè le malattie sono tantissime, ma sono raggruppabili per macro categorie: disabilità visiva, motoria, uditiva e autismo.”

“Gli operatori delle compagnie aeree devono saperle gestire. Nel 2021 è assurdo che, se sei una persona con disabilità motoria, sali su un aereo e ti chiedono una decina di volte se cammini. Mi è capitato più volte, forse anche a causa della mia giovane età. Ed è assurdo – di nuovo – che ci siano persone che ancora oggi non viaggiano perché gli operatori, sempre banalmente, non sanno prenderle in braccio correttamente”.

Il libro di Giulia Lamarca sui diritti dei viaggiatori di disabilità
Formazione? Intanto, siediti su una carrozzina

Giulia, che è laureata in psicologia, oltre a fare la travel blog nel suo My travels the hard truth, si occupa di formazione alla diversity nelle aziende. Nella sua denuncia, prende le parti anche delle persone con autismo: “Non c’è preparazione neanche in questo caso: manca totalmente la sensibilità di capire le esigenze di queste persone. E lo si vede dal fatto che spesso non c’è un posto a sedere predeterminato vicino al bagno per loro”.

Le compagnie aeree, sulla carta, sono obbligate a fare formazione per trattare le varie disabilità, ma a questo punto viene da chiedersi: come la fanno? “Qualche anno fa sono andata a vedere un corso formativo all’aeroporto di Caselle. Erano 6 ore di corso in cui si parlava soltanto di comunicazione”, ride amaramente.

Un modulo per parlare di disabilità fatto solo di slides che parlavano di come comunicare. Quando insegno agli operatori turistici a gestire le persone con disabilità, la prima cosa che faccio è farle mettere su una carrozzina. È così si formano le persone ed è così che il personale risulta preparato”.

Col Covid tremila passi indietro

Il nostro Paese in tema di assistenza alle persone con disabilità durante il volo risulta abbastanza preparato, meno del Giappone, ma più – ad esempio – della Francia, dove gli operatori seguono rigidamente il protocollo “senza ascoltare le esigenze degli utenti”, spiega Giulia.

Credo che con il Covid ci saranno  peggioramenti dal punto di vista del trasporto aereo. Questo stop – che ha pesato anche sulle compagnie aeree – doveva essere l’occasione per rinnovarsi, ma non lo è stato. Sul tema disabilità in questo periodo, il turismo in generale, ha fatto 3mila passi indietro.

Conclude Giulia: Non è stata sponsorizzata una meta per persone con disabilità in questi due anni. Si mormora che i prossimi aerei avranno dei sedili ancora più stretti, per avere più posti in aereo: è la direzione opposta rispetto a quella che si doveva prendere. Sono molto preoccupata”.

(luce.lanazione.it)

ASP gli nega il Patto di Cura, adesso dovrà risarcire 20.000 €

Affetto da disabilità gravissima, l’ASP gli aveva negato il patto di cura. Adesso dovrà risarcire ed erogare 20.000€ di arretrati. Il Giudice del Lavoro ha riscontrato la sussistenza del Diritto.

Un cittadino italiano di origine marocchina affetto da disabilità gravissima, residente a Isola delle Femmine, si è visto negare il Patto di Cura all’ASP di Carini. Il Patto (o assegno) di cura è un sostegno economico fino a 34.000€ all’anno. È destinato alle persone adulte disabili gravi o con gravissime disabilità acquisite che permangono presso il loro domicilio ed erogato ai sensi dell’art. 3 dl D.M. 26/09/2016, per l’applicazione dell’art. 9 della L.R. 8/2017 e ss. mm. ii. e del D.P.R.S. 31 agosto 2018 n. 59.

Il caso

Il soggetto è affetto da disabilità gravissima e soffre di diverse patologie sin dalla nascita, tra le quali osteogenesi imperfetta con dismorfismo del rachide, torace, bacino e arti inferiori, che lo costringono sulla sedia a rotelle e alla necessità di ricevere cure e assistenza costanti per attendere le normali funzioni della vita quotidiana. Nonostante le sue condizioni, l’ASP gli ha negato l’assegno perché la visita condotta all’INPS, per accertare le sue condizioni di salute, aveva dato esito negativo.

Sostanzialmente e nonostante le condizioni di disabilità grave, l’INPS aveva ritenuto che il soggetto non avesse i requisiti per ricevere assistenza domiciliare continuativa. In questi casi, di solito, la procedura di ricorso è indirizzata contro l’atto amministrativo rivolgendosi al TAR. Lo Studio Legale che ha curato il caso e l’Avvocato Irene Damiani hanno, invece, diretto l’istanza al Giudice del Lavoro.

Il Giudice del Lavoro – dice l’Avvocato Irene Damiani ha riconosciuto un diritto soggettivo e non un interesse legittimo derivato dall’essere riconosciuto o meno in una determinata condizione di salute o di bisogno. In sostanza, il Patto di Cura va erogato perché il soggetto si trova in determinate condizioni fisiche, a prescindere dalla valutazione delle sue capacità psicofisiche di reggere la sua condizione. E’ stato riconosciuto il valore della persona, a prescindere dalla fattispecie tecnico-burocratica”.

Si è trattato di una battaglia sociale ma anche giurisdizionale. Portando la questione innanzi al Giudice del lavoro, anziché al TAR, facendo riconoscere la sussistenza di un diritto soggettivo e non di un interesse legittimo. Il Giudice ordinario ha potuto concentrarsi sugli aspetti inerenti al diritto alla salute ed alla dignità della persona, invece che su elementi esclusivamente burocratici ed amministrativi che mal si addicono a casi “limite” come quelli dei disabili gravissimi.

Al riconoscimento del requisito sanitario in sede di giudizio, l’ASP di Carini ha dovuto riconoscere il diritto al risarcimento di circa 20.000€. Ha convocato il soggetto immediatamente dopo il provvedimento del giudice per la firma del patto di cura, evitando di prolungare ulteriormente l’attesa per l’erogazione del beneficio economico dell’avente diritto.

MA MU SPIEGHI: IL BELLO CHE NON C’E’

Ma mu spieghi, le domande dell’uomo comune

Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Ma mu spieghi… è la voce del dubbio, un messaggio in bottiglia che galleggia in attesa di risposta, domande che nascono spontanee al solo guardarsi intorno.

Oggi parliamo di un aspetto del vivere comune a mio parere solo apparentemente secondario: la perdita della bellezza.

Sotto casa mia hanno da poco ristrutturato una rotatoria. Era brutta, grigia, inutilmente gigantesca, con due fermate dell’autobus con capottina parasole squadrata, elementare, senz’anima, e nemmeno una panchina, necessaria per anziani – bambini – donne incinta, e un po’ per tutti, dati anche i tempi biblici di attesa del mezzo.

Grigia e uniforme la pavimentazione, senza un po’ di verde, neanche una margherita.

Ma una giorno sono iniziati i lavori, hanno smantellato tutto, ci ho sperato.
Rifatta identica.

E allora viene da chiedersi, Ma mu spieghi che ci voleva a pensare di aggiungere un po’ di colore, anche nella pavimentazione, con mattoni allegri che avrebbero accolto con più garbo il viaggiatore?
Che sarebbe costato aggiungere quattro piante, un’aiuola, magari una fontanella di quelle piccole e discrete… vabbè la fontanella no, sto esagerando.

Perché non cogliere l’occasione per metterle finalmente quelle benedette panchine sotto le tettoie? A quel punto ci saremmo anche fatti bastare la loro linea anonima e glaciale.
Possibile che sia così difficile immaginare la sofferenza di un anziano costretto ad attendere un mezzo pubblico in piedi sotto il sole? Il prezzo sarebbe stato davvero tanto superiore?

In questi casi mi viene da chiedermi se scelte del genere siano consapevoli, dettate magari dall’ansia di risparmiare (sempre sui cittadini) o se invece si tratti solo di incuria, se si insiste nel reiterare la bruttezza e la scomodità solo per abitudine, perché da troppo tempo si fa così e valutare la possibilità di un cambio di rotta non è più nella nostra mente. Nel nostro cuore.

Ci siamo abituati a produrre in serie, senza amore. Questa è secondo me la cosa più grave, la disumanizzazione del progetto, il fatto che trovare bellezza tra le strade si può, ma solo se si guarda al passato, tra i palazzi liberty o barocchi e i marciapiedi ricamati di mosaici che nessuno costruisce più.

Se anche a te fanno male gli occhi per il brutto che vedi intorno a te, scrivici (lavoriamoinsiemeblog@gmail.com) e ti daremo voce.
Chi lo sa che alla lunga qualcosa non possa cambiare, se la chiediamo tutti insieme…

“Josèe, la Tigre e i Pesci”: il film anime che racconta la disabilità motoria

Negli scorsi giorni è stato rilasciato ufficialmente il trailer italiano di “Josèe, la Tigre e i Pesci“, il nuovo film anime del regista giapponese Kotaro Tamura. Il film d’animazione sarà disponibile nelle nostre sale cinematografiche dal 27 al 29 settembre attraverso un evento speciale.

Il film racconta il particolare rapporto tra due giovanissimi: Tsuneo e Josèe. Tsuneo è uno studente universitario di biologia marina che lavora part time. Josèe invece è un’artista di talento disabile colpita da paralisi cerebrale, non in grado di muoversi e quindi costretta a vivere su una carrozzina. L’incontro tra i due ragazzi è fortuito, infatti Tsuneo un giorno s’imbatte casualmente in una donna anziana che spinge un’ingombrante carrozzina su cui è seduta proprio Josèe.

I due protagonisti stringono amicizia e Josèe inizia ad uscire dal proprio guscio in cui sembra essersi rinchiusa inizialmente, quindi inizia ad aprirsi totalmente a Tsuneo. Inoltre si scopre inoltre che il vero nome della ragazza disabile è Kumiko e che Josèe è il nome di un’eroina di un romanzo di Françoise Sagan. I due ragazzi che si incontrano per caso, nel corso dell’intera storia iniziano a provare sentimenti l’uno per l’altra.

La storia è ambientata ai giorni nostri affinché la storia dei due ragazzi possa rispecchiare pienamente le attuali generazioni. Una storia romantica ed appassionante che rappresenta in maniera rispettosa una tematica così delicata come quella della disabilità motoria. Un passo importante verso la sensibilizzazione dell’inclusione e dell’integrazione sociale di queste persone.

Il successo giapponese del nuovo film di Kotaro Tamura

In Giappone questo film d’animazione ha riscosso un enorme successo ed è stato addirittura nominato come “Miglior Film d’Animazione” al Japan Academy Film Prize. Non solo, infatti è stato talmente tanto apprezzato che è stato il film d’apertura al Festival Internazionale del Film d’Animazione di Annecy. Un altro riconoscimento è arrivato direttamente da Busan, dove è stato proiettato come film di chiusura al Festival Internazionale del Cinema.

Come abbiamo evidenziato nell’introduzione, il regista di questo film è Kotaro Tamura che tra l’altro fa il suo debutto ufficiale alla regia cinematografica. Il film è stato realizzato dallo Studio Bones, uno degli studi d’animazione giapponesi più famosi al mondo, celebre per aver prodotto titoli di fama internazionale come “Fullmetal Alchemist” e anche “My Hero Academia”. Hanno contribuito alla produzione di questo film anche Nao Emoto che si è occupato dei disegni e Sayaka Kuwamura che invece ha scritto l’intera sceneggiatura. Haruko Iizuka ha curato la direzione delle animazioni mentre le musiche presenti nel film sono di Evan Call e le canzoni invece di Eve.

Conclusioni

Josèe, la Tigre e i Pesci” è un film che vale la pena vedere. La sensibilizzazione di una tematica così importante ma delicata, può essere d’aiuto per tantissime persone che quotidianamente combattono con l’emarginazione sociale. L’avventura di Tsuneo e Kumiko è una di quelle storie che ti entra di prepotenza nel cuore, lasciandoti un segno. Il 27, 28 ed il 29 settembre, procuratevi del tempo e correte al cinema per l’ennesimo capolavoro di animazione giapponese.
(Rielaborato da projectnerd.it)

Surf e Disabilità, Cavalcare l’onda: la libertà è una tavola

Il mare accoglie tutti, senza distinzioni. Nata grazie alla passione del campione Massimiliano Mattei, continua a Livorno l’esperienza di Surf4All. Grazie a maniglie, cuscini e altri accorgimenti

Non sempre il podio termina con un terzo posto e una medaglia di bronzo. «Ai mondiali di San Diego, in California nel 2017, sono arrivato quarto e ho conquistato la medaglia di legno». Si percepisce soddisfazione e piena consapevolezza di sé nelle parole di Massimiliano Mattei, atleta agonistico innamorato del mare della sua Livorno, presidente dell’associazione sportiva dilettantistica Happy Wheels e campione pluripremiato di adaptive surf.

Per cavalcare le onde, infatti, non è indispensabile disporre dell’uso delle gambe, quanto piuttosto di una “tavola adattata”, che consenta di affrontare il mare anche con una disabilità. Sono trascorsi già 16 anni dal 2005, quando un infortunio stradale ha portato la disabilità nella vita di Mattei, in cui comunque lo sport è stato sempre presente come punto di riferimento. «La mia vita in quegli anni era a Manila, nelle Filippine», ricorda. «Sentivo di avere tutto, praticavo surf e stavo per realizzare i miei sogni».

L’infortunio, però, interviene a stravolgere completamente progetti e obiettivi, provocando una lesione che rende impossibile l’uso delle gambe.

«Sono tornato a vivere attraverso lo sport, avvicinandomi al tennis e al pugilato dopo l’incidente, ma il desiderio di riscoprire l’acqua e il surf non mi ha mai abbandonato, riportandomi nelle Filippine a cinque anni dall’infortunio. Sono rientrato in Italia con l’idea di un percorso che, partendo da uno “scheletro” di base, mi ha consentito negli anni di adattare sempre meglio la tavola alle mie esigenze e di surfare da sdraiato».

In foto Massimiliano Mattei, presidente di Happy Wheels e campione pluripremiato di adaptive surf

Una strada di fatica e passione quella di Mattei, quando ancora nel contesto italiano era quasi assente la pratica stessa del surf e sup (stand up paddle) adattati, intesa come capacità del mare di accogliere tutti. «Utilizzo una tavola che mi permette di stare in posizione prona e sono in grado di affrontare il mare senza assistenza», precisa Mattei, che ha anche la qualifica di istruttore con brevetto. «La conformazione è molto particolare, dotata di maniglie, contenimenti specifici per garantirmi autonomia, una tappezzeria con cuscini per favorire la giusta postura».

Il mare unisce, senza distinzioni. È proprio da questa idea di fondo che è arrivata la spinta per dare vita, nel 2015, all’associazione Happy Wheels di Livorno e alla Scuola di surf e sup adattato Surf4All, con la prospettiva di far conoscere a quante più persone possibili l’immensità del mare, con i rischi, le sfide, la capacità di ritrovare se stessi.

La scuola di surf per tutti ogni anno, durante i mesi estivi, da Livorno si trasferisce sul litorale pisano di Tirrenia, attualmente presso lo stabilimento balneare della polizia di Stato. Gli istruttori, anche in un periodo come questo reso più difficile dalla pandemia da covid-19, sono presenti due volte alla settimana per accogliere chiunque voglia approcciarsi, e per avvicinare al mare non solo la disabilità motoria, ma anche quella cognitiva, visiva e sensoriale.

«Ho scoperto il surf in occasione di un evento organizzato da Surf4All di cui sono diventato socio», racconta Matteo Salandri, atleta romano di 33 anni, ipovedente dalla nascita a causa di un glaucoma. «Vado in acqua con una guida che mi fornisce indicazioni vocali e riesco a potenziare molto il senso di spazialità e orientamento».

Accanto al surf adattato – con tavole specifiche a seconda delle esigenze di ciascuno – si può cavalcare il mare anche grazie al sup. i tratta di una tavola più lunga di quella per il surf, che può essere adattata per accogliere anche persone con disabilità, consentendo di posizionarsi seduti oppure proni. Lo sport e il mare come binomio vincente, in attesa del riconoscimento del surf come disciplina paralimpica.

Negli anni, intanto, sono stati numerosi i successi conquistati da Mattei, che ha preso parte a tre Mondiali in California, un campionato europeo e gare internazionali alle Hawaii, in Spagna, Inghilterra e Portogallo. «Lo sport certamente è in grado di salvarti», sottolinea, «ma contano molto anche la forza di volontà, l’amore delle persone vicine e i consigli di coloro che hanno vissuto la stessa esperienza».

Sono numerosi gli sport che si possono praticare anche se si ha una disabilità, «ma grazie al surf il senso di libertà è ancora più accentuato», aggiunge Matteo Badalamenti, istruttore volontario di sup alla Surf4All. Si riesce ad abbandonare la sedia a ruote, e ci si trova davvero liberi con la gestione del proprio corpo. Anche grazie all’utilizzo di modelli gonfiabili che garantiscono maggiore sicurezza.

«Ho scoperto un mondo nuovo avvicinandomi all’associazione, stando a contatto con le diverse disabilità, imparando a capire le peculiarità di ciascuno», confessa Badalamenti. «Ho risposto a persone non vedenti che mi chiedevano com’è il mare oppure come sono le onde. Negli anni ho cominciato a seguire anche giovani con autismo e sindrome di Down, imparando ancora meglio che i nostri ragazzi per noi sono semplicemente surfisti. Perché il mare accoglie tutti. Apprendo sempre anche io qualcosa, l’acqua non a caso riduce le distanze, facilita i movimenti, ci avvicina e in fondo ci riporta alle origini».

(numero di agosto-settembre di SuperAbile INAIL)

Area Marina: «Sono una persona con disabilità e ne sono orgogliosa»

«Con la fine di giugno ci siamo lasciati alle spalle il mese del Pride per entrare in quello del Disability Pride. Un orgoglio meno conosciuto rispetto a quello della comunità LGBTQ+ ma che per me ha un grandissimo valore. Mi auguro che possa ottenere presto la stessa risonanza»

Area Marina: «Sono una persona con disabilità e ne sono orgogliosa».

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Benjamin Carpenter: Papà, single e gay, ha adottato 5 bambini con disabilità

“Se io ho cambiato la loro vita, loro hanno fatto altrettanto con la mia”. Jack, Ruby, Lily, Joseph e l’ultimo arrivato, il piccolo Louis. C’è chi è affetto da autismo, chi ha la sindrome di Down, chi è sorda. Ma tutti si amano e si sostengono a vicenda

Benjamin Carpenter, gay e single di 37 anni, non ha aspettato che arrivasse l’anima gemella per realizzare il sogno di diventare papà. Ha fatto tutto da solo e dopo infinite e tormentate lotte per ottenere l’ok da parte dei servizi sociali, è riuscito a costruire il suo tanto agognato impero, la sua famiglia “speciale”. Il suo tesoro più prezioso, infatti, sono i suoi cinque bambini, tre maschi e due femmine, tutti affetti da disabilità di varia natura: Jack di quattordici anni, le sorelle Ruby e Lily, di undici e nove anni, ed infine Joseph e Louis, rispettivamente di sei ed un anno, entrambi con la sindrome di down. Jack, il primogenito di Ben, ha l’autismo; Ruby ha la sindrome di Pierre Robin e l’uso limitato delle braccia a causa di ossa mancanti; Lily è sorda.

L’uomo, originario del West Yorkshire, Gran Bretagna, ammette che fin dalla tenera età ha maturato il desiderio di diventare genitore: “L’adozione è sempre stata al centro dei miei pensieri – sostiene – A 21 anni ho capito che volevo diventare padre il prima possibile, forse ero giovane ma ho sempre avuto una testa da vecchio sulle spalle. Da single, ero convinto che anche loro non mi avrebbero preso sul serio, ma ero al settimo cielo quando è successo“.

A causa del precedente lavoro con adulti e bambini disabili – continua – sapevo che era giusto per me adottare un bambino disabile, perché sapevo che sarei stato in grado di prendermi correttamente cura di loro. All’inizio ho visto una pubblicità dei servizi sociali locali di adozione in cerca di genitori adottivi. o pensato che mai avrebbero voluto come un ragazzo single. Ma ho detto loro chi ero e dove lavoravo e sono stati davvero positivi e molto entusiasti di me, così ho adottato un bambino. Nove anni dopo, ho cinque figli e non cambierei nulla.”

A Benjamin ci sono voluti 3 anni per convincere le autorità della serietà della sua richiesta e nel 2005, quando si è coronato il suo sogno, è diventato anche uno dei più giovani uomini gay del Paese a ottenere l’adozione di un bambino. Il suo è stato un gesto molto impegnativo: “Promuovere l’adozione è la cosa più gratificante, soddisfacente e impegnativa che ho fatto, ma ho sempre detto che l’adozione di un figlio disabile non è per tutti“. E sui bambini con questo tipo di difficoltà dice: “Sono le creature più vulnerabili di questo mondo e quelle che più hanno bisogno di una casa amorevole e piena di attenzioni”.

Purtroppo, Ben ha subito una perdita devastante quando, nel novembre 2019, ha perso un figlio, Noah, a causa della sindrome di Cornelia de Lange, rara malattia genetica che può ritardare lo sviluppo. A colmare quel vuoto nel suo cuore e ad aiutarlo a rimarginare in parte la ferita c’erano gli altri quattro fratelli, che gli sono sempre stati accanto. In ogni momento difficile i bimbi ci sono sempre gli uni per gli altri. A tal proposito, Ben dice che “è bello vedere come si sostengano tutti a vicenda e sono anche orgoglioso di aver dato loro un ambiente stabile e felice in cui crescere. Se io ho cambiato la loro vita, loro hanno fatto altrettanto con la mia”.

(luce.lanazione.it)

Vela: Seguin dimostra che si può arrivare anche con una disabilità.

Lo skipper francese, nato senza una mano, è settimo nel giro del mondo. L’intervento di Spinelli (Argo Challenge): i limiti si possono superare, le barriere si possono abbattere, passione e determinazione portano a raggiungere qualsiasi obiettivo

Damien Seguin, 41 anni, di Briançon, è uno dei protagonisti del Vendée Globe appena terminato. E’ arrivato sesto, e già questo basterebbe. Ma la sua foto mentre sfila nel canale di Les Sables d’Olonne dopo il traguardo, travestito da Capitan Uncino, dice molto. Intanto, che è nato senza la mano sinistra. Pensate che difficoltà in più, affrontare gli Oceani senza poter manovrare come gli altri. Ma forse lui fa anche meglio. La sua storia è lunga. Io la faccio cominciare dal 2005, quando gli organizzatori gli negano di partecipare alla Solitaire du Figaro, una classica delle regate atlantiche, per la sua disabilità.

Lui aveva vinto un oro alle Paralimpiadi di Atene 2004 sul 2.4 e non deve esserci rimasto bene. “Per ragioni di sicurezza”, gli hanno detto. Lui non si è arreso, ci ha riprovato nel 2006, ha corso la Transat Ag2R, la Route du Rhum, la Transat Jacques Vabre (2°) sui Class 40, ha rivinto un titolo olimpico ai Giochi di Rio del 2016, il Tour de France a vela. Poi, arriva l’Imoca60, la collaborazione con Jean Le Cam, lo sponsor Apicil. E adesso, il sesto posto al Vendée Globe in tempo reale, settimo nella classifica corretta, cinque volte leader durante la corsa. Un atleta che ispira.

Ecco, a seguire, un intervento di Antonio Spinelli, torinese, velista, presidente di Argo Challenge, il team che nasce con il sogno di prendere parte all’America’s Cup e poi ad altre grandi regate con un equipaggio misto di atleti normodotati e disabili e che ha tra i suoi punti di riferimento l’olimpico brasiliano Lars Grael (fpoz). 

“Ho conosciuto Damien 15 anni fa. Gli avevo scritto raccontandogli di Argo, la folle – ma non troppo – idea di lanciare una sfida all’America’s Cup con un team di velisti con disabilità fisica.
Dopo qualche giorno dall’aver ricevuto la mia mail, mi venne a trovare, da Briançon, ed ebbi così la fortuna di conoscere una persona veramente unica ed eccezionale. Già allora mi racconto del suo più grande desiderio: partecipare alla Vendèe Globe per dimostrare, come diceva sempre lui, di essere un velista come tutti gli altri. Ecco, questa frase, da ieri, non ha più bisogno di dirla e di ripetersela.

Un velista come Damien, con ori paralimpici al collo, con Transat Jacques-Vabre e Route du Rhum alle spalle, tanto per citare qualcosa di lui, non doveva dimostrare a nessuno di essere un velista come gli altri. Ma, probabilmente, sentiva il bisogno di dimostrarlo a se stesso.
Che uno voglia ammetterlo o no, avere una disabilità ti fa sentire diverso. Solo se riesci a realizzare il tuo sogno più grande ti togli da dentro, definitivamente, quei dubbi e quelle incertezze che gli altri non percepiscono. Da ieri, con un ingresso trionfale nel porto di Les Sables d’Olonne, per Capitan Damien Uncino, che salutava il pubblico con il suo uncino alzato al cielo, tutti i dubbi e le incertezze sono sicuramente svaniti e l’abbraccio immenso della folla, degli amici e della famiglia è stata la giusta ricompensa per un’impresa che definire eroica è corretto e dovuto.

Damien Seguion all’arrivo con i suoi familiari (JM Liot)

La folla che ieri applaudiva, mi ha fatto ritornare con la mente a Saint Tropez, nell’ottobre del 2006, quando con una barca simbolo della vela francese, French Kiss, e con un equipaggio formato da velisti provenienti da mezzo mondo, alcuni di loro disabili, che mai avevano regatato insieme, Argo ha conquistato la vittoria alle Voiles de Saint Tropez. Salire sul podio, con Lars Grael in testa al gruppo che saliva gli scalini con le sue inseparabili stampelle e l’applauso del pubblico che non finiva mai è stato, sicuramente, un momento che nessuno dell’equipaggio di Argo dimenticherà mai.

Quello che ha fatto Damien è certamente più grande e immenso. Ma il senso è lo stesso. Dare al mondo un grande messaggio, quel messaggio che da oltre 15 anni Argo cerca di diffondere: we can, you can! Persone come Damien, come Lars, e tanti altri famosi e non, sono esempi viventi che i limiti si possono superare, che le barriere si possono abbattere, che passione e determinazione portano a raggiungere qualsiasi obiettivo e ottenere il riconoscimento e il rispetto in segno di gratitudine per l’insegnamento impartito.

Per la prima volta in vita mia, ho gioito per un francese che supera un Italiano. Ma sono certo che il nostro grande Giancarlo Pedote, che ha scritto una pagina storica per l’Italia, non se la sia presa. Giancarlo e Damien sono molto amici. Forse è solo una sensazione, ma qualcosa mi dice che Giancarlo abbia voluto rendere omaggio a un grande velista e un grandissimo uomo e in modo elegante e con grande spirito marinaresco, dopo una magnifica rimonta e dopo averlo superato a poche miglia dall’arrivo, abbia deciso che arrivare poco dopo Damien era la cosa giusta da fare.
Dopo un giro del mondo da solo, per Damien, non sarà facile trovare nuovi e stimolanti obiettivi e traguardi da raggiungere. Ma uno c’è. E Damien e Argo potrebbero realizzarlo insieme”.

(lastampa.it)

Ho presentato il mio libro Noi Siamo Immortali al Taobuk Festival

Come sapete ieri sono stato tra gli ospiti del Taobuk Festival, festival letterario internazionale che si svolge nella città di Taormina, per presentare il mio libro Noi Siamo Immortali. È stata per me una grande occasione quella di poter far conoscere la mia storia in un consesso importante all’interno di un evento che ha visto la partecipazione di personaggi illustri della letteratura mondiale ma non solo, come ad esempio la partecipazione di premi Nobel o di autorità istituzionali di caratura europea e per questo ringrazio tutta l’organizzazione per l’invito e le persone che hanno fatto si che io potessi essere presente all’evento. Taormina è certamente una delle città della nostra Sicilia tra le più belle e caratteristiche sia per il paesaggio che per la propria architettura di origine, basti pensare al celeberrimo Teatro Antico di epoca romana, ma proprio per questo non è molto a misura per chi vive con una disabilità motoria. Lo dico perché, seppur velocemente, non voglio sottrarmi nel riportare che ci sono stati dei problemi legati all’accessibilità della sala messa in programma per la mia presentazione tanto che poi si è dovuto provvedere a un cambio della location. Lo racconto con l’auspicio che la cultura della disabilità sia sempre più presente anche nell’organizzazione degli eventi che possano essere sempre più accessibili e fruibili per le persone con disabilità.

La mia giornata inizia presto la mattina per prepararmi al viaggio nel migliore dei modi, accompagnato dalla mia famiglia, da un assistente e da un carissimo amico. Dico viaggio non a caso perché da Palermo, anzi da Misilmeri dove vivo ci sono ben tre ore di strada da fare. Conoscevo già Taormina essendoci stato altre volte quindi sapevo bene o male quali zone sono per me più accessibili e percorribili ed effettivamente quando si percorre tutto corso Umberto a piedi e si arriva al belvedere la vista è bellissima e mozzafiato, che anche la stanchezza passa.

La presentazione del libro è stata molto bella, molto partecipata e molto ben condotta dalla giornalista Alessandra Fassari che ha svolto l’intervista. È stata una presentazione diversa dalle altre fin qui svolte, sono stati affrontati temi importanti come quelli che considero dei tabù nel mondo della disabilità quali lavoro e sessualità, anche dal punto di vista delle donne. Anzi la giornalista ha anche proposto agli organizzatori di prevedere delle sessioni ad hoc nelle edizioni successive del festival. Ma Noi Siamo Immortali ha anche dato modo di parlare di tanti altri argomenti, dalla scuola e al rapporto con gli studenti negli incontri che ho fatto insieme a loro, al rapporto con le Istituzioni e la classe politica, alle battaglie per il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità, alla difficoltà di trovarsi ad avere a che fare con la presenza di barriere architettoniche ma anche mentali e culturali, il tutto per arrivare a parlare di cosa significa vivere in una società inclusiva. Sono state altresì interessanti le domande che sono venute dal pubblico presente, la saletta era effettivamente piena, stimolato dai vari temi e che hanno permesso di aggiungere ulteriori punti di vista. Tra l’altro mi hanno riferito di essere stata una delle presentazioni più partecipate il che, oltre a farmi piacere, denota cose ci sia la necessità di parlare di disabilità e di farlo in una maniera costruttiva e penso che il modo migliore sia fare conoscere le storie delle persone e di proporre alle persone un approccio più laico e più civico che non sia dipendente solo da ciò che arriva dalla politica, dal delegare a qualcun altro la risoluzione dei problemi e che tutto questo possa creare una rete di sostegno affianco a chi vive una disabilità che deve essere considerata essenzialmente come risorsa.

Sul mio profilo pubblico Facebook potete vedere tutta la diretta della presentazione e poter quindi partecipare, anche se a posteriori, alla discussione e sentire in che modo sono stati sviluppati i vari temi.