Paralimpiadi, per l’Italia un trionfo senza precedenti

Con 69 medaglie conquistate, la spedizione azzurra entra nella storia e lascia ricordi indelebili. Dalla tripletta dei 100 metri dell’atletica a Bebe Vio e Carlotta Gilli. E adesso occhi puntati su Parigi e Milano-Cortina

Il tempo si è fermato a Tokyo, dove con la conclusione delle Paralimpiadi si è chiuso un cerchio a tinte verdi, bianche e rosse. Sono i colori di un tricolore che nella capitale giapponese è sventolato 69 volte, toccando vette mai raggiunte grazie a una spedizione che finisce dritta nella storia. Mai l’Italia era salita così in alto nel medagliere paralimpico. Mai i campioni e le campionesse azzurre si sono presi con così tanta forza la ribalta e le attenzioni dei media.

Nell’edizione più complicata della storia olimpica, la rassegna nipponica ha dato nuovo slancio allo sport italiano e aperto la porta a volti nuovi e giovani semisconosciuti ai più, che non dovranno attendere altri quattro anni per avere di nuovo i riflettori puntati.

Siamo contagiosi, e questo contagio positivo mi auguro non si spenga con lo spegnimento della fiaccola”, ha sintetizzato Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano Paralimpico, nella conferenza stampa finale dei XVI Giochi Paralimpici.

Il filo diretto Olimpiadi-Paralimpiadi 

Il bottino finale dell’Italia è senza precedenti: 14 ori, 29 argenti e 26 bronzi, nono posto finale nel medagliere, proprio come i colleghi olimpionici. E le somiglianze dei due percorsi non si esauriscono nei numeri, perché se le immagini simbolo dei Giochi sono state l’abbraccio tra Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi per i due trionfi distanti pochi minuti e il quartetto azzurro della 4×100 con la rimonta finale di Filippo Tortu, l’istantanea delle Paralimpiadi azzurra è nello storico podio tutto azzurro nella finale dei 100 metri femminili categoria T63 (atleti che competono con protesi a un arto). Il tris composto da Ambra Sabatini, medaglia d’oro in 14”11, Martina Caironi, argento in 14”46, e Graziana Contraffatto, bronzo con il tempo di 14”73 e il loro abbracci con la bandiera italiana a dominare la scena hanno fatto il giro del mondo.

Paralimpiadi Italia, l’impresa di Bebe Vio 
Vio, Trigilia e Mogos (Photo credit: Augusto Bizzi Fotografo / CIP )

Era data quasi per scontata, ma poi una delle imprese l’ha firmata la solita Bebe Vio, il volto più popolare delle Paralimpiadi azzurre, capace di confermarsi campionessa olimpica nel fioretto individuale, ancora una volta superando in finale la cinese Jingjing Zhou, proprio come cinque anni prima in Brasile. Un punto d’arrivo prestigioso diventato leggendario dopo la confessione della schermitrice. ermata da un’infezione da stafilococco e da una diagnosi che indicava l’amputazione del braccio sinistro a quattro mesi dalle gare. Sessanta giorni di tempo sono rimasti a sua disposizione per preparare gli assalti a cinque cerchi, culminati nell’affermazione personale e nell’argento a squadre (insieme a Loredana Trigilia e Andreea Mogos) con il ko in finale contro la Cina.

Il nuoto traina l’Italia
Carlotta Gilli (Photo credit: Augusto Bizzi / CIP)

Una grandissima Italia l’abbiamo vista a Tokyo anche e soprattutto in vasca, con una valanga di medaglie e l’exploit di Carlotta Gilli, nuotatrice 20enne in forza alla Rari Nantes Torino che al debutto olimpico ha trionfato nei 100 metri delfino e nei 200 metri misti nella categoria S13, cioè di atleti ipovedenti. Nel palmares personale ci sono: due secondi posti (100 metri dorso e 400 metri stile libero); il bronzo nei 50 stile libero, sempre per la categoria S13.

Grandi prestazioni sono arrivate anche da Francesco Bocciardo che, dopo l’oro nei 400 metri a Rio De Janeiro, si è ripetuto vincendo in 24 ore le gare dei 100 e 200 metri stile libero. E poi c’è stata la doppietta di Arjola Trimi, che ha primeggiato nei 50 metri dorso e nei 100 metri stile libero nella categoria S3 (oltre al secondo posto conquistato con la staffetta mista 4×50 composta da Giulia Terzi, Luigi Beggiato e Antonio Fantin).

Carica di significati la medaglia d’oro nel Team Relay di handbike vinta da Luca Mazzone, Paolo Cecchetto e Diego Colombari, che sotto la pioggia battente hanno centrato un risultato atteso cinque anni, con la dedica speciale per Alex Zanardi, perno della squadra fino all’incidente del 19 giugno 2020. Impossibile dimenticare le prove e le emozioni regalate dai 50enni terribili, Luca Mazzone e Francesca Porcellato, a bersaglio con un argento a cronometro sui pedali.

“Non fermiamoci, continuiamo a lavorare duro”
Sabatini, Caironi e Contraffatto (Photo credit: Augusto Bizzi Fotografo / CIP )

Il risultato in termini di medaglie ci inorgoglisce, ma al di là di ciò voglio far risaltare che questo è il frutto di un lavoro molto duro, di sacrifici e di umiltà ed è ancora più importante perché oltre i numeri proviene da 11 discipline differenti, fermo restando che il nuoto azzurro ha rappresentato uno straordinario risultato ma ci sono state anche tante altre medaglie da altre discipline”, ha dichiarato Pancalli, prima di sottolineare la capacità di migliorarsi degli azzurri. “Come nelle Olimpiadi siamo arrivati al nono posto e ci confermiamo nella top ten: molti rispetto a Rio hanno perso medaglie o magari sono rimasti stabili, chi è andato veramente avanti è solo l’Italia”.

“Tokyo è stato uno spot straordinario per Milano-Cortina 2026 – prosegue Pancalli – la cosa più importante è attirare l’attenzione del mondo degli sponsor che magari oggi avrà più attenzione rispetto a ieri a sposare l’immagine vincente e straordinaria degli atleti paralimpici, consapevole che faranno ancora più breccia perché sono tanti e ognuno ha una storia incredibile da raccontare che può essere fonte di ispirazione per tanti”.

(startupitalia.eu)

L’oro Bocciardo testimonial di «SportAbility day»

Lo sport protagonista e l’inclusione protagonisti a Genova. Sabato 11 settembre, l’associazione genovese Stelle nello sport lancia la prima edizione di «SportAbility day» all’impianto della Sciorba, in Val Bisagno. Una giornata di avviamento allo sport, di solidarietà e di amicizia per i ragazzi con disabilità motoria, sensoriale e intellettivo-relazionale. Dalle 10 alle 18, una giornata aperta a tutti i bambini e ragazzi in possesso di green pass e un certificato medico in corso di validità. otranno provare 23 discipline, seguiti da istruttori qualificati.

Testimonial d’eccezione il campione genovese di nuoto, Francesco Bocciardo, fresco di due ori e un argento ai Giochi Paralimpici di Tokyo. Alle 11, lo stesso Bocciardo aprirà la sfilata di tutti i partecipanti, assieme ad altri due atleti protagonisti in terra nipponica, Matteo Orsi (tennis tavolo) e Gian Filippo Mirabile (canottaggio).

L’evento rientra nel progetto «SportAbility», promosso con il sostegno degli assessorati alle Politiche sociali e allo Sport di Regione Liguria, la collaborazione della Consulta regionale per l’handicap, il patrocinio di Comitato italiano paralimpico e Special Olympics in Liguria.

Per tutta la giornata, l’assistenza sarà garantita da tre medici e a tutti i presenti sarà garantita una merenda, grazie a uno sponsor locale. «L’evento di sabato è unico nel suo genere e sono convinta che aprirà un ciclo di giornate di sport e di festa dedicate ai ragazzi con disabilità e con l’impegno di una rete di volontariato e associazionismo supportata da Regione Liguria – commenta l’assessore alle Politiche sociali di Regione Liguria, Ilaria Cavo -.

Le Paralimpiadi appena concluse con 69 medaglie e con l’exploit del nuotatore genovese Francesco Bocciardo sono un faro, un segnale di speranza, uno stimolo a credere nell’attività sportiva per scoprire le proprie abilità e svilupparle attraverso decine di discipline sportive che i partecipanti potranno provare».

L’assessore allo Sport, Simona Ferro, sottolinea «la bellezza di poter celebrare lo sport nella sua accezione più entusiasmante che è quella di superare i nostri limiti, portandoci a competere contro chi dice non è possibile. Una giornata davvero meravigliosa per qualcosa di unico e straordinario, a cui non vedo l’ora di assistere».

Francesco Bocciardo invita «tutti i ragazzi disabili a fare sport perché lo sport fa vivere meglio. Oggi non sarei la persona che sono, se non avessi fatto sport».

(corriere.it)

Sono finite le Paralimpiadi: non dimentichiamoci delle persone con disabilità

Durante le settimane delle Paralimpiadi le luci erano puntate sulle storie di atleti e atlete che ci hanno spesso emozionato. Ma ora, mentre calano i riflettori, non possiamo dimenticarci che il nostro Paese è ancora indietro quando si parla di inclusione e accessibilità per le persone con disabilità. Sono ancora pochi i fondi che investiamo per permettere alle persone con disabilità la miglior qualità della vita possibile, per non far diventare quelle che per la maggior parte dei cittadini sono semplici azioni quotidiane in vere e proprie imprese. Ed è così che la disabilità spesso diventa motivo di marginalità sociale ed economica.

Calano i riflettori sulle Paralimpiadi. Ma adesso, dopo aver festeggiato ben 69 medaglie, l’Italia non può dimenticarsi delle persone con disabilità. Non basta raccontare le storie di atleti e atlete per qualche settimana, emozionandosi per i risultati raggiunti, per potersi considerare un Paese inclusivo. Soprattutto se durante il resto dell’anno non si presta la minima attenzione a barriere architettoniche o equa accessibilità ai servizi per tutti i cittadini. Che è un problema concreto e attualissimo.

Nel nostro Paese, secondo gli ultimi dati messi a disposizione dall’Istat, le persone con disabilità sono circa 3 milioni e 150 mila, cioè il 5,2% della popolazione totale. E se pensiamo che l’Italia nel 2021 sia un Paese su misura per tutti, ci sbagliamo. Sono ancora pochi i fondi che investiamo per permettere alle persone con disabilità la miglior qualità della vita possibile, per non far diventare quelle che per la maggior parte dei cittadini sono semplici azioni quotidiane in vere e proprie imprese. Ed è così che la disabilità spesso diventa motivo di marginalità sociale ed economica.

L’Italia non è un Paese su misura per tutti

L’Italia, nel 2009 ha sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Nel sito del ministero delle Politiche sociali si legge:

Scopo della Convenzione, che si compone di un preambolo e di 50 articoli, è quello di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà da parte delle persone con disabilità. A tal fine, la condizione di disabilità viene ricondotta all’esistenza di barriere di varia natura che possono essere di ostacolo a quanti, portatori di minorazioni fisiche, mentali o sensoriali a lungo termine, hanno il diritto di partecipare in modo pieno ed effettivo alla società.

Ma è davvero così? Alle persone con disabilità viene davvero garantito il “pieno ed uguale godimento di tutti i diritti”? In realtà, basta esaminare pochi dati, presentati dal presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, in un’audizione lo scorso marzo, per rendersi conto di una serie di ostacoli che le persone con disabilità si devono quotidianamente confrontare per rendersi conto di quanto spesso l’inclusione sia solo sulla carta.

Gli ostacoli quotidiani che troppo spesso dimentichiamo

Ad esempio, “la capacità di spostarsi liberamente è molto limitata tra le persone con disabilità” e “i dati sulla mobilità, relativi al 2019, mostrano che solo il 14,4% delle persone con disabilità si sposta con mezzi pubblici urbani, contro il 25,5% del resto della popolazione“. Parte di questa differenza è dovuta al fatto che nel nostro Paese manchi l’attenzione necessaria, e conseguentemente gli appropriati stanziamenti, agli accorgimenti per rendere i mezzi di trasporto più accessibili e usufruibili anche dalle persone con disabilità.

Carenze di questo tipo hanno radici profonde, che si esplicano anche nelle politiche di inclusione di bambini e ragazzi nelle attività scolastiche. Se è vero che negli anni la partecipazione di alunni e alunne con disabilità che frequentano le scuole italiane è aumentata (tra il 2019 e il 2020 quasi 13 mila in più rispetto all’anno scolastico precedente), è altrettanto vero che il 37% di questi studenti non ha accesso a una formazione specifica. Specialmente nel Mezzogiorno.

Non solo: secondo i dati aggiornati del sistema di indicatori del Benessere equo e sostenibile dei territori dell’Istat, meno di una scuola su tre dispone di ascensori, bagni, porte e scale a norma per considerarsi accessibile per gli alunni con disabilità motoria.

Quando disabilità diventa marginalità

E anche fuori dalla scuola, l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone con disabilità non è automatico. Sebbene esistono delle norme per favorire la partecipazione al mercato del lavoro, permane comunque uno svantaggio di fondo: nel 2019 risultava occupato solo il 32,2% della popolazione con disabilità tra i 15 e i 64 anni.

Una conseguenza, sottolineata sempre dall’Istat, è che le persone con disabilità si trovano in genere in condizioni economiche più svantaggiate: “Le famiglie delle persone con disabilità godono in media di un livello più basso di benessere economico: secondo le ultime stime disponibili, il loro reddito annuo equivalente medio (comprensivo dei trasferimenti da parte dello Stato) è di 17.476 euro, inferiore del 7,8% a quello nazionale“, si legge tra i dati dell’Istituto.

Insomma, non ci si può ricordare dei diritti delle persone con disabilità solo quando le luci sono puntate sull’evento sportivo del momento e poi dimenticarsi delle barriere architettoniche nelle città o dell’insufficienza delle politiche di inclusione non appena cala il sipario sulle Paralimpiadi.

(fanpage.it)

Categorie paralimpiche: la classificazione degli sport per disabili

Scopriamo i criteri in base ai quali avviene la classificazione degli sport per disabili e vengono determinate le categorie paralimpiche

In questi giorni in cui gli occhi sono puntati sulle Paralimpiadi di Tokyo 2020 non tutti hanno ancora preso confidenza con le categorie paralimpiche, ossia il modo in cui sono classificati gli sport per disabili. Ogni disciplina è contraddistinta da un codice, composto da lettere e numeri, che indicano il tipo di prova sostenuta dall’atleta paralimpico e il tipo di disabilità.

A determinare le categorie paralimpiche ci pensa il Comitato Paralimpico Internazionale, che garantisce a ogni atleta di gareggiare con rivali che si trovano nelle stesse condizioni. Lo scopo della divisione in categorie, infatti, è quello di avere gare tra atleti di pari livello e dunque competizioni quanto più eque possibili. In particolare sono le organizzazioni internazionali di sport per disabili che fanno parte dell’Assemblea generale del Comitato Paralimpico Internazionale a definire i codici di classificazione.

I CRITERI DEL SISTEMA DI CLASSIFICAZIONE DEGLI SPORT PARALIMPICI

I criteri fondamentali in base ai quali vengono classificati gli sport per disabili sono tre:

  • la valutazione della patologia o la disabilità dell’atleta;
  • la valutazione del grado di disabilità dell’atleta;
  • la valutazione delle funzionalità fisiche residue dell’atleta, ossia che cosa riesce a fare.

In una categoria, dunque, ci possono essere diversi livelli di disabilità. Quello che la divisione in categorie paralimpiche cerca di garantire è che le persone che si sfidano tra di loro abbiamo uno stesso profilo funzionale, che dipende dalle capacità tecnico-tattiche dell’atleta paralimpico.
Per quanto riguarda il tipo di disabilità, sia per le Paralimpiadi estive sia per quelle invernali, si fa una distinzione in sette categorie principali:

  • atleti amputati: che hanno perso parzialmente o totalmente almeno un arto;
  • atleti con paralisi cerebrali: che presentano danni cerebrali non progressivi che limitano il controllo muscolare, l’equilibrio e il coordinamento;
  • atleti con disabilità intellettive: che hanno limitazioni nel comportamento (ma questa categoria risulta in sospeso);
  • atleti in sedia a rotelle: che presentano danni alla spina dorsale o altri tipi di danni che li costringono a stare in carrozzina;
  • atleti cechi: che presentano gravi problemi alla vista che vanno dalla cecità parziale a quella totale;
  • atleti sordi: che presentano gravi problemi all’udito che vanno dalla sordità parziale a quella totale;
  • gli altri: è la categoria che comprende tutti quegli atleti che non rientrano nelle precedenti categorie, per esempio coloro che sono affetti da nanismo; deformità congenite agli arti; sclerosi multipla.

Nell’ambito poi di ogni tipo di disabilità, ci sono delle associazioni internazionali che definiscono le classi di disabilità. Per esempio l’Associazione Internazionale dello Sport per Ciechi individua tre classi di atleti ciechi o ipovedenti, a seconda della loro capacità visiva che viene espressa con la formula x/60 dove x è un numero che indica a quanti metri l’atleta paralimpico vede un oggetto che un normodotato vede a 60 metri di distanza.

Quindi ci sono atleti di categoria B1 che non percepiscono la luce con nessuno dei due occhi o la percepiscono, ma non riescono a riconoscere la forma di una mano da nessuna distanza; atleti di categoria B2, che riescono a riconoscere la forma di una mano con un parametro di 2/60 o inferiore e ha un campo visuale minore di 5°; atleti di categoria B3 che riconoscono la forma di una mano e vedono con un parametro che va dai 2/60 ai 6/60 e hanno un campo visuale tra i 5° e i 20°. Nel corso della sua carriera un atleta può cambiare categoria se per esempio la sua condizione peggiora.

Per ogni sport, dunque, ci sono diverse specialità e per ognuna di esse c’è una divisione degli atleti in base al loro tipo di disabilità e al livello di disabilità, quest’ultimo indicato da un numero. Per capire meglio vediamo come funziona la divisione in categorie paralimpiche in due degli sport più importanti delle Paralimpiadi, quelli che a loro volta racchiudono più discipline: l’atletica leggera e il nuoto.

CATEGORIE PARALIMPICHE NELL’ATLETICA LEGGERA

Nell’atletica leggera ogni disciplina è indicata da una lettera e un numero. Le lettere sono: la F se è una disciplina che si svolge sul campo (F sta per “field”); la T se si tratta di una disciplina le cui prove si effettuano in pista (T sta per “track”); la P per il pentathlon. Il numero, invece, indica: dall’11 al 13 atleti ipovedenti e non vedenti (le categoria 11 e 12 gareggiano con una guida); il 20 indica atleti con disabilità intellettiva;

31-34 atleti su sedia a rotelle con paralisi cerebrali o altre patologie che limitano la coordinazione degli arti o l’uso dei muscoli; 51-58 atleti con lesioni alla spina dorsale, amputazioni, malformazioni congenite, lesioni nervose, handicap muscolo-scheletrici che li costringono sulla sedia a rotelle; i numeri 35-38 indicano atleti che hanno problemi come quelli delle categorie 31-34, ma che riescono a deambulare e a gareggiare in posizione eretta; i numero 40-46 atleti che hanno problemi come quelli delle categorie 51-58, ma che riescono a deambulare e gareggiare in posizione eretta.

CLASSIFICAZIONI NEL NUOTO PER DISABILI

Anche nel nuoto ogni classe è indicata da una o due lettere e un numero. Le lettere possono essere:

  • S per lo stile libero, farfalla e dorso
  • SB per la rana
  • SM per i misti

I numeri vanno da 1-10 per gli atleti con disabilità fisiche, da 11 a 13 per atleti con disabilità visive e il 14 per atleti con disabilità intellettive. Un singolo atleta può gareggiare anche in classi diverse. Per esempio il nostro Federico Morlacchi, che ha una ipoplasia congenita al femore sinistro, nel corso della sua carriera ha vinto medaglie nelle classi S9 (stile libero e farfalla), nella classe SM9 (nei misti) e nella classe SB8 (per la rana).

CLASSIFICAZIONI PARALIMPICHE IN ALTRI SPORT

Alcuni sport paralimpici si praticano in carrozzina, come avviene per esempio per il tennis, il rugby o la pallacanestro; per quanto riguarda la pallavolo paralimpica è il sitting volley, che è praticata da persone con disabilità motorie che giocano a volley restando a contatto con il campo (quindi da seduti).

La scherma alle Paralimpiadi si pratica in carrozzina e si distingue tra: classe A (atleti che muovono il tronco e hanno un buon equilibrio) e classe B (atleti che non muovono le gambe, hanno una ridotta funzionalità del tronco e scarso equilibrio). C’è poi la classe C che include atleti con disabilità in tutti e quattro gli arti, che non è però inclusa nei Giochi Paralimpici estivi. La nostra Bebe Vio, per esempio, fa parte della categoria B.

Nel ciclismo, invece, gli atleti paralimpici sono divisi a seconda del mezzo che usano e cioè handbike, tricicli o biciclette, che dipendono dal tipo di disabilità. per esempio la classe da H1 a H3 indica gli atleti in handbike che gareggiano reclinati, mentre quelli della H4 gareggiano seduti. Nelle classi T1 e T2 ci sono gli atleti che usano tricicli e hanno problemi di coordinazione motoria. Nelle classi dalla C1 alla C5 ci sono atleti che usano bici normali anche se sono amputati o hanno problemi di coordinazione motoria o debolezza muscolare. La classe TB è quella degli atleti non vedenti o ipovedenti che gareggiano in tandem con una guida vedente.

Nel tiro con l’arco ci sono diversi tipi di classi a seconda che gli atleti possano muovere gli arti superiori (Open), non possano muovere né quelli superiori né quelli inferiori (W1) o abbiano problemi alla vista (Visual Impaired a sua volta divisi in altre sottocategorie).
Nel tennistavolo la classificazione è in base a dei numeri che indicano da 1 a 5 atleti in carrozzina; da 6 a 10 atleti che hanno capacità deambulatorie ma altri problemi di movimento o di equilibrio; 11 per atleti con problemi psichici o cognitivi.

In altri sport ancora la distinzione, oltre che per il tipo e livello di disabilità, può dipendere, come avviene alle Olimpiadi, anche per categorie di peso, come nel caso del judo, in cui ovviamente, essendoci un combattimento, la parità tra i due contendenti dipende anche dal tipo di fisico, proprio come avviene tra i normodotati.
(gazzetta.it)

Quando le Paralimpiadi si facevano in Vaticano

Come al tempo delle gare “inclusive” volute da san Pio X, tra il 1905 e il 1908, anche oggi le Paralimpiadi sono un passo in avanti nella promozione di una diversa percezione della disabilità. A pochi giorni dall’apertura dell’evento in Giappone, ne parla l’articolo di Giampaolo Mattei su L’Osservatore Romano

“La notizia” non è che in Vaticano si svolgessero tra il 1905 e il 1908 campionati “mondiali” di atletica e che, la domenica, le parrocchie romane organizzassero gare sportive alla presenza di san Pio x.

La notizia è che, all’inizio del ’900, in Vaticano gareggiavano atleti con disabilità. Quarant’anni prima dell’avvio del movimento paralimpico, che ha preso le mosse dalle macerie della seconda guerra mondiale. Un progetto che si potrebbe rilanciare oggi attraverso Athletica Vaticana: un secolo dopo, seguendo la testimonianza di Francesco, il primo passo di  Athletica Vaticana — la squadra del Papa —  è stato proprio aprire la sezione paralimpica.

Nel settembre 1908 c’erano atleti amputati come Baldoni che gareggiava nella velocità (vittoria irlandese, per la cronaca). C’erano atleti sordi e, nel salto in alto, 9 giovani non vedenti dell’Istituto Sant’Alessio. Con il vincitore, Cittadini (1 metro e 10 centimetri), intervistato dal cronista de «L’Osservatore Romano». Forse le Paralimpiadi — che si aprono a Tokyo martedì 24 — sono nate proprio nel Cortile del Belvedere, trasformato in pista di atletica, davanti a Papa Sarto e al cardinale segretario di Stato Merry del Val. E a chi gli diceva: «dove andremo a finire?» — vedendo atleti correre nei Giardini vaticani — Pio x ebbe a rispondere in veneziano: «Caro elo, in paradiso!».

«L’Osservatore Romano» nel 1908 seguì quelle gare internazionali di atletica (già lo aveva fatto nella prima edizione nell’ottobre 1905, che si svolse anche nel Cortile di San Damaso) come fosse… «La Gazzetta dello sport»: classifiche, commenti, interviste e persino schede tecniche sull’équipe medica del Fatebenefratelli (con tanto di diagnosi degli infortunati), le note di servizio per i 2.000 atleti e per Guardia svizzera e Gendarmeria che si alternavano nell’accogliere gli sportivi, anche con le loro bande musicali, fino a fornire informazioni al Portone di Bronzo quando alcune gare vennero rimandate per pioggia. E le parole del Papa in prima pagina.

Come al tempo delle gare “inclusive” volute da san Pio x, anche oggi le Paralimpiadi sono un passo in avanti nella promozione di una diversa percezione della disabilità. La sempre più grande copertura mediatica delle Paralimpiadi favorisce una nuova consapevolezza. Stimola riflessioni preziosissime sia sul ruolo sociale dello sport sia sul concetto di abilità.

L’obiettivo del movimento paralimpico non è soltanto celebrare un grande evento, ma dimostrare quello che atleti – pur fortemente feriti nella vita riescono a raggiungere quando sono messi nelle condizioni di poterlo fare. E se vale per lo sport, tanto più deve valere per la vita.

Sì, non solo nello sport – che, però, aiuta per la sua capacità di comunicare e suscitare emozioni – le persone con disabilità vanno messe nelle condizioni di esprimere ciò che possono fare. Creando pari opportunità. Costatando consapevolmente i limiti della disabilità (che ci sono), ma guardando anche l’enorme potenzialità che ancora ciascuno può esprimere. Se ne ha la possibilità, appunto.

Lo sport può aiutare a far crescere la comprensione della disabilità fino ad abbracciarla come risorsa. Vedere le abilità di un atleta paralimpico di alto livello porta inevitabilmente alla curiosità, a interrogarsi: ma come fa, con quelle protesi? E se lo si può fare nello sport, perché non in un ufficio o in classe? Con lo sport si può (e si deve) coltivare la consapevolezza di cambiare la percezione della disabilità nella quotidianità. Famiglia, scuola, posto di lavoro.

Papa Francesco, nell’intervista a «La Gazzetta dello sport», lo scorso 2 gennaio, ha affermato — «sbalordito» — che gli atleti paralimpici hanno «storie che fanno nascere storie, quando tutti pensano che non ci sia più nessuna storia da raccontare». Storie di inclusione e «riscatto». Storie che ti sbattano in faccia la certezza che i limiti non sono nelle persone con disabilità ma nella mentalità di chi li guarda.

Purtroppo la pandemia non ha significato solo lo stop allo sport. Per molti ragazzi disabili ha voluto dire l’interruzione di un momento di inclusione fondamentale e, a volte, l’unico nelle loro vite. Con tante famiglie lasciate sole. Sì, siamo lontani dal prendere atto che lo sport dovrebbe occupare un posto nelle priorità delle agende della politica, per investire sulla persona.

Lo sport, più di qualsiasi altra esperienza umana, rappresenta una “medicina sociale” per aiutare tanti ragazzi con disabilità a ripartire. “Resilienza”, si chiama, e a un atleta paralimpico non devi spiegarla. Recuperando anche il concetto sportivo dell’assist… l’assist-enzialismo dovrebbe essere quell’esperienza di persone che si aiutano l’una con l’altra. Ecco che il concetto di assist-enzialismo può essere declinato in positivo.

È un po’ folle pensare di cambiare la cultura, mentalità radicate, con lo sport paralimpico? Forse, ma senza quella sana follia Alex Zanardi non sarebbe diventato un contagioso “incoraggiatore” di disperati e Bebe Vio sarebbe rimasta a piangersi addosso in un letto, senza braccia e senza gambe.

E, allora, da martedì prepariamoci a fare il tifo per… tutti, senza guardare le bandiere: sono donne e uomini legati dal file-rouge dalla sofferenza. E un tifo particolare per i sei atleti del Team rifugiati. Nell’edizione di lunedì «L’Osservatore Romano» racconterà le loro storie, insieme a quelli di altri atleti.

Ma non è retorica affermare che, conti (della vita) alla mano, non esiste differenza tra l’atleta di alto livello e “la base”. i fa uno sport per non stare chiuso in casa. I campioni che vincono medaglie e stabiliscono record sono testimoni che attraggono coloro che devono ancora trovare il coraggio di mettere in atto la loro resilienza.

Può sembrare persino scontato far presente cosa significa per tanti ragazzi vedere atleti con una disabilità realizzare prestazioni sportive. E arrivare, magari, a dire a se stessi: forse lo posso fare anche io, forse ce la posso fare!

Per questo le Paralimpiadi sono persino “più” delle Olimpiadi, al di là del suffisso greco “para” scelto per sancire che sono la stessa cosa e allo stesso livello. Ma sostenendo atleti disabili di alto livello si mette in moto un “circolo” virtuoso che abbraccia il ragazzino escluso perché diverso. Insomma, «un’immagine splendida di come dovrebbe essere il  mondo» ha fatto notare Papa Francesco.

La vera vittoria della “famiglia paralimpica” resta la capacità di fare comunità per creare, appunto, questo movimento che coinvolge i campioni e quei ragazzini che oggi faticano a fare un passo o ad alzare un braccio. E si vergognano di farsi vedere fragili. Per non parlare di coloro che hanno un ritardo cognitivo…

(vaticannews.va)

#WeThe15: L’Italia si tinge di viola per i diritti delle persone disabili

All’imbrunire, il Colosseo, uno dei siti archeologici più importanti del nostro Paese e nel mondo si è illuminato di viola, il colore internazionale della disabilità, per celebrare il lancio di #WeThe15, la campagna promossa dall’International Paralympic Committee (IPC) e dall’International Disability Alliance (IDA) per porre l’attenzione sui diritti delle persone con disabilità, circa 1,2 miliardi di cittadini, pari al 15% della popolazione mondiale. 

#WeThe15, il Colosseo in timelapse diventa viola per i diritti delle persone disabili

Nello stesso momento lo stesso colore è andato a impreziosire i territori che saranno protagonisti dei Giochi invernali del 2026: Palazzo Lombardia e Palazzo Pirelli (sedi della Regione Lombardia); Palazzo Marino (sede del Comune di Milano); la Torre Allianz di Milano (sede della Fondazione Milano Cortina 2026) e il Palazzo del Municipio di Cortina d’Ampezzo.

Sky Tree – Tokyo

Un’iniziativa che ha visto illuminarsi oltre 115 tra i siti più iconici al mondo: la Sky tree e il Rainbow Bridge a Tokyo; il Geneva’s Jet d’Eau, la Torre di Ostankino e lo Stadio Luzhniki (che fu teatro dei 200 d’oro di Pietro Mennea all’Olimpiade del 1980 e che da ieri fino al 29 agosto ospita i Mondiali di beach soccer) a Mosca; il London Eye di Londra e le Cascate del Niagara tra Canada e Stati Uniti.

London Eye – Londra

L’iniziativa #WeThe15, lanciata a 5 giorni dalla cerimonia inaugurale dei Giochi Paralimpici di Tokyo 2020, mira a porre fine alla discriminazione nei confronti delle persone con disabilità e ad agire come un movimento globale che promuove l’inclusione e l’abbattimento delle barriere fisiche e culturali.

Luzhniki – Mosca

Questo il commento di Luca Pancalli, Presidente del Comitato Italiano Paralimpico: «Abbiamo voluto fortemente supportare e promuovere anche nel nostro Paese questa campagna internazionale ideata dall’IPC che punta a porre l’attenzione sui diritti di cittadinanza delle persone con disabilità di tutto il mondo. Ed è importante che ciò avvenga a pochi giorni dall’inizio delle Paralimpiadi che rappresentano il motore di una rivoluzione culturale volta a cambiare la percezione della disabilità nel mondo.

Siamo felici – continua – che la Fondazione Milano Cortina, diverse amministrazioni territoriali e un partner del Comitato Paralimpico Internazionale come Allianz, abbiano voluto sposare questa causa. Insieme possiamo dare ancora più forza a questa importante battaglia culturale con la speranza che le imprese degli atleti paralimpici possano essere fonte di ispirazione per tante ragazze e ragazzi con disabilità».

(lastampa.it)

24 Ore Le Mans, sul prototipo Srt41 corrono due piloti disabili

Iscritto alla 24 Ore di Le Mans 2021, il prototipo numero 84 è dell’Association Srt41, progetto legato al motorsport per piloti con disabilità. A bordo il giapponese Takuma Aoki e il belga Nigel Bailly, due ex motociclisti paraplegici, con il francese Matthieu Lahaye

Con lo sport si può andare oltre i propri limiti fisici, conquistando il diritto di essere protagonisti di eventi di respiro mondiale. Una tensione verso obiettivi nobili che anche nel motorsport trova un teatro d’elezione.

Tenacia, passione e ambizione sono elementi inscritti nel Dna di Association Srt 41, la realtà fondata da Frédéric Sausset, che alla 24 Ore di Le Mans 2021 porta in gara un prototipo affidato all’equipaggio formato dal giapponese Takuma Aoki, il belga Nigel Bailly, e il francese Matthieu Lahaye. I primi due piloti, disabili, hanno perso l’uso delle gambe in seguito a incidenti motociclistici, senza però voler abbandonare la grande passione per le corse e per i motori.

Frédéric Sausset è il responsabile del team Srt41
Frédéric Sausset è il responsabile del team Srt41
IL PROTOTIPO NEL GARAGE 56

Livrea nei colori blu, rosso e bianco che richiamano il vessillo nazionale francese, bandiera del team Srt, acronimo di Sausset Racing Team 41. Il prototipo di classe Lmp2 (Oreca 07 motorizzato Gibson, che monta un motore V8 in grado di erogare 650 Cv) porta il numero 84, ed è opportunamente modificato per consentire a Aoki, classe 1974, e Bailly, nato nel 1989, di disporre di comandi manuali in luogo dei pedali; il prototipo partecipa alla 24 Ore di Le Mans nella speciale categoria “Innovation Car”, facendo dunque classifica a parte rispetto alle altre 61 vetture inscritte.

Nel dettaglio il prototipo numero 84 monta un comando manuale per accelerare e uno per frenare, posti dietro il volante. A muovere questo equipaggio, e il progetto collegato, un desiderio inseguito con forza e conquistato grazie all’impegno del team fondato da Frédéric Sausset, team manager di Srt41, che nel 2016 fu il primo pilota quadri-amputato (a causa di un’infezione) a concludere la gara endurance più famosa al mondo.

Il pilota giapponese Takuma Aoki con il team Srt41
Il pilota giapponese Takuma Aoki con il team Srt41
I PILOTI

Alla 24 Ore di Le Mans 2021 il prototipo di Srt41 ha base nel Garage 56, il box dedicato ai team che si distinguano per progetti speciali e innovativi. “Iniziai a gareggiare a sei anni facendo motocross, poi a 14 anni in seguito a un incidente divenni paraplegico – ha raccontato in primavera Nigel Bailly, all’inizio della stagione che ha come apice il debutto alla 24 Ore di Le Mans –, ma due mesi e mezzo più tardi ero al volante di un kart.

Non ho mai perso l’amore per questo sport” ha aggiunto il belga, che nel 2017, debuttò a Spa-Francorchamps in una gara endurance lunga sei ore, chiudendo 14° assoluto (di 60 iscritti) e secondo nella classe Clio Cup. Nel 2018 l’incontro tra Bailly e Sausset, che stava progettando di schierare un prototipo alla 24 Ore di Le Mans del 2020, appuntamento poi rimandato a causa della pandemia al 2021.

GLI OBIETTIVI

Nell’impegno al quarto round del Mondiale endurance Wec dell’Association Srt41 soggiace un messaggio universale sintetizzato da Nigel Bailly: “È già un successo partecipare alla 24 Ore di Le Mans. Penso che abbiamo già guadagnato il rispetto di molte persone. Vogliamo finire la gara, questo è il nostro primo obiettivo“.
(gazzetta.it)