Parole di Carta: Insight

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione

La soluzione dentro di noi (insight)

Di fronte a un problema in genere si spera che la soluzione possa venire dall’esterno o si procede per tentativi, per prove ed errori, o ancora ci si riflette a lungo su o si tenta di comportarsi da manuale riproponendo atteggiamenti messi in atto da altri.

Spesso la verità sta invece in ciò che si sente e non in ciò che si pensa, e la soluzione compare inaspettatamente nella mente.

La nostra società ha purtroppo imparato a desensibilizzarsi, occludendo i canali sensoriali che tanto possono dirci di noi stessi e degli altri. In tal modo viene preclusa, o quanto meno ostacolata, l’intuizione che, immediata e improvvisa, talvolta individua come risolvere un problema senza impelagarsi in ragionamenti farraginosi.

Per poterle dare modo di essere, però, è necessario aprire il canale sensoriale, condizione alla quale è possibile anche individuare il reale bisogno da soddisfare.

Insight

È ciò che la psicologia della Gestalt definisce “apprendimento per Insight”.
Ce ne parla la dottoressa Alessandra Messana, psicologa a indirizzo clinico.

Nell’apprendimento per insight, o intuitivo, accade qualcosa di simile a ciò che è successo nel corso di un esperimento messo in atto da Kohler, in cui uno scimpanzé, dopo aver esplorato gli strumenti a propria disposizione, intuisce la soluzione in un unico passaggio e usa due bastoni per prendere una banana che altrimenti non sarebbe stata accessibile per lui.

Come calare questi concetti nella vita di tutti i giorni e soprattutto quale lezione possiamo trarne?

IL CONSIGLIO

Il più delle volte – afferma la dottoressa Messana – la risposta è data da ciò che già c’è, nel senso che bisogna stare nel qui e ora, vivere il presente pienamente e in modo creativo per poter fare il passo successivo e costruire il futuro. Now for next lo definisce la psicoterapia della Gestalt, l’adesso come base di ciò che sarà nel futuro immediato, mentre il nostro passato fa da sfondo a ciò che siamo nel presente.

Insight

L’insight si fonda proprio su questo, sull’essere pienamente presenti con i nostri sensi per entrare in correlazione profonda con ciò che ci circonda “cocreando il campo”, ossia trovare una soluzione senza passare attraverso un’estenuante catena di tentativi ed errori, entrando in relazione con gli altri e con l’ambiente senza pregiudizi e preconcetti, ma a sensi aperti, permettendo alla soluzione di manifestarsi in modo intuitivo e istantaneo nella nostra mente.”

Quindi la soluzione sta spesso nel “tra”, nella relazione con l’altro o con l’ambiente, se impostata con la spontaneità del pieno contatto.
Per esplicitare il concetto la dottoressa fa ricorso a un esempio, quello delle barriere architettoniche contro cui troppo frequentemente si trovano a scontrarsi una persona con disabilità e il suo caregiver, la persona che se ne occupa a tempo pieno.

La prima cosa da valutare è cosa c’è nel campo: sicuramente il desiderio di risolvere, la relazione tra la persona disabile e il caregiver, il “tra” che, se vissuto aprendo il canale dei sensi, quindi percependo dentro di sé il bisogno dell’altro, può diventare il terreno da cui emerge la soluzione. Talvolta viene fuori in modo istantaneo, con un solo passaggio, altre è necessario procedere per piccoli passi cercando sempre di “sentire” l’altro e venendosi incontro.

A volte può risultare opportuno procedere per adattamenti, quando la soluzione che poteva andar bene in un determinato momento può non essere più efficace in seguito. Non c’è da scoraggiarsi in questo caso, l’essenziale è rimanere in contatto attivando canali profondi e quasi primordiali di comunicazione con l’altro e con l’ambiente, e ciò è possibile solo se rimaniamo pienamente presenti con i sensi che faranno da cassa di risonanza nel trovare nuove soluzioni.

Parole di Carta: La forza di non mollare

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione
Testimonianza di forza di una donna che ce l’ha fatta

Il quotidiano di una donna è in genere fitto d’incombenze: casa, lavoro, famiglia e quant’altro.
Non è sempre facile poter gestire tutto, incastrare gli impegni con precisione millimetrica e farlo mantenendo comunque una certa serenità.

Le cose si complicano se interviene un imprevisto, soprattutto se si tratta di qualcosa di importante come una malattia.

Allora in molti casi, guardandosi indietro, si capisce che la vita condotta fino a quel momento, sia pur caotica e magari stressante, non è nulla rispetto al presente e si sarebbe potuta affrontare anche con meno ansia da prestazione.

Qualcuno tra coloro che ci sono passati racconta che nel periodo immediatamente successivo alla scoperta della malattia non ci si rende immediatamente conto di ciò che si sta per affrontare.Qualcuno tra coloro che ci sono passati racconta che nel periodo immediatamente successivo alla scoperta della malattia non ci si rende immediatamente conto di ciò che si sta per affrontare.

Doriana, una donna, una mamma, un’amica, racconta: “Quando mi hanno diagnosticato il tumore, all’inizio era come se stessi guardando un film, come se la cosa non mi riguardasse direttamente. Le prime lotte cominciano subito, nella ricerca del medico giusto, del centro migliore, nelle prenotazioni e nelle liste d’attesa. E’ come stare in un sogno e tutto è un’incognita. Procedendo con gli esami, si inizia a capire la gravità e allora il primo pensiero va alle persone amate, in primo luogo ai figli se ne hai. Ricordo che prima dell’intervento feci dei regali a ciascuna delle mie figlie e le affidai a persone vicine nel caso qualcosa fosse andata storta.

Come affrontare una situazione del genere senza lasciarsi travolgere dagli eventi e mantenendo la forza e la determinazione per cercare di tornare a star bene? Non ci sono purtroppo ricette valide per tutti, ma ci auguriamo che riportare la testimonianza di una donna che è riuscita a venirne fuori ricostituendo la propria vita possa essere d’aiuto ad altri.

IL CONSIGLIO

I momenti peggiori sono stati quelli successivi ai vari cicli di chemioterapia – aggiunge Doriana – Mi chiudevo in camera giorno e notte, qualunque stimolo mi faceva star peggio. Non appena mi sentivo meglio, mi precipitavo in cucina, cucinavo e mangiavo di tutto. Tutto sommato, il ricordo di quei momenti di sollievo riesce a farmi sorridere, così come l’immagine delle piante del giardino che vedevo quando finalmente mi decidevo ad aprire le persiane e mi sembravano sempre più verdi e brillanti.

Forza delle donne

Riscoprire la bellezza di ciò che di solito si dà per scontato. Un disagio non indifferente, soprattutto per una donna, è l’inevitabile perdita dei capelli che la chemio provoca. Anche in questo caso, cercare dentro di sé lo spirito giusto può fare la differenza.

Doriana ricorda: “Scelsi di tagliarli molto corti per non affrontare il trauma di vederli cadere a ciocche. Mi procurai dei turbanti colorati che mettevo in modo che una parte mi cadesse sulla spalla a mo’ di coda. Ne avevo di vari colori e li abbinavo ai vestiti. In qualche modo diventò un vezzo, m’illudevo di avere i capelli lunghi, incoraggiata anche dal fatto che chi m’incontrava e non sapeva della malattia mi faceva i complimenti per l’estro.

E’ importante anche avere un progetto, un sogno da custodire, programmarne la realizzazione quando la tempesta sarà passata. Proiettarsi nel futuro con un obiettivo da realizzare.

Nelle pause mi dedicavo alla stesura del mio libro-testimonianza Spenderò il mio capitale in cielo e appena sono stata un po’ meglio sono tornata in palestra da allieva, io che ero sempre stata un’istruttrice di fitness musicale. Il pensiero di tornare al mio lavoro mi spaventava, non sapevo se sarei stata in grado dato anche il fatto che le cure mi avevano modificato il fisico. Inoltre avevo già 42 anni e anche questo non giocava a mio favore. Una volta, in un momento di crisi lanciai contro il muro i libri sul pilates che tenevo a casa.

Anche chi ha una buona capacità reattiva, come la nostra amica, può avere momenti in cui si viene sopraffatti dallo scoraggiamento.
Che fare in questi casi? Mollare può sembrare la soluzione più a portata di mano quando le battaglie sono troppo dure e sfiancano.

Eppure: “Per caso mi accorsi che nella palestra che frequentavo c’era una sala aerobica libera e, un po’ per gioco, iniziai a intrattenere alcune delle mie compagne di corso. In breve riuscii a ricostituirmi un gruppo di allieve e da allora, un passo alla volta, ho continuato nel mio cammino d’istruttrice e di mamma, ho gradualmente recuperato le forze fisiche e mentali e rimesso in piedi la mia vita. Oggi ho una mia palestra dove insegno pilates e il mio lavoro continua a essere per me fonte di forza.”

Nei momenti in cui si sta peggio è inevitabile dover affidare la cura dei figli più piccoli ad altri. E’ possibile poi recuperare appieno il rapporto? Come procedere?

A me è successo di riavvicinarmi alle mie figlie riprendendo un po’ alla volta a fare per loro ciò che facevo prima della malattia: cucinare, accudirle, accompagnarle a scuola. E’ così, riprendendo la routine quotidiana a piccoli passi, evitando di colpevolizzarmi per i momenti in cui non avevo potuto esserci, e cercando di dare di me tutto ciò che potevo, che la mia vita ha ripreso il proprio percorso.

(Non sconfiggerai mai la mia anima)

Per concludere, Doriana ci dice che secondo lei tra le cose più importanti rimane la capacità di chiedere aiuto quando se ne ha bisogno e lasciare che al proprio posto entrino altre figure che provvisoriamente possano svolgere i nostri compiti. Se si semina bene, al momento del bisogno qualcuno disposto ad aiutarci si trova.

Parole di Carta: La Disabilità Visiva (Parte 2)

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione
Consigli di vita quotidiana

In un precedente articolo è stato affrontato il tema della disabilità visiva. Con il contributo della dottoressa Arianna Ranauro, psicologa, ci si è mossi provando a comprendere ciò che accade quando la disabilità si presenta improvvisa e ci si è anche soffermati sulla differenza rispetto a quando si tratta di una disabilità acquisita da lungo tempo o alla nascita.

Si sono inoltre esplorate possibili strategie a supporto delle persone con disabilità visiva e la dottoressa ha suggerito possibili modi per arginare i problemi e aggirare gli ostacoli.

Proseguiamo oggi nel cammino verso l’individuazione di consigli da dare a chi ha una disabilità visiva e a chi vive a contatto con una persona con disabilità, spunti validi soprattutto perché forniti da una persona competente in materia sia per averla studiata sia perché vive in prima persona questa condizione.

Chiediamo alla dottoressa quali passaggi siano necessari per poter acquisire sempre maggiore autonomia e migliorare pertanto la qualità della vita.

IL CONSIGLIO

“Risulta molto importante frequentare almeno un corso di Autonomia domestica e uno di Orientamento e mobilità – consiglia Arianna – Se condotti con operatori qualificati, infatti, sono molto utili per imparare non solo a procedere in sicurezza con il bastone bianco, ma anche per imparare tecniche di orientamento come ad esempio cogliere la forma di uno spazio in base a come vi si diffonde la voce, o anche rendersi conto del contesto stradale in cui ci si trova in base al rumore prodotto dal traffico.

Se lo si sa decodificare, il rumore è un fondamentale strumento di orientamento anche dentro casa e per le occupazioni quotidiane. In cucina si può capire se la pasta è cotta dal suono prodotto in pentola o dal profumo. Quando uno dei sensi è penalizzato, è vero che gli altri si potenziano e quindi una persona non vedente ha un olfatto e un udito più sviluppati che l’aiutano a compensare.

In cucina si usano le mani molto di più di quanto faccia chi non è ipovedente e quindi ci si sporca di più. Nell’imparare, conta molto una buona dose di buon senso; essere precipitosi può risultare pericoloso ma è essenziale dare fiducia a chi ha una disabilità e consentirgli di agire quanto più possibile in autonomia rispettando i suoi tempi ed evitando di cedere alla tentazione di sostituirsi a lui per facilitare o accelerare il compimento di un’azione.

Disabilità visiva

Pur condividendo quest’affermazione, viene da chiedersi se non sia pericoloso per chi ha una disabilità visiva avvicinarsi ai fornelli o usare il coltello. La dottoressa risponde:

“Anche in questo caso contano la giusta misura e un adeguato grado di prudenza. La persona non vedente deve avvicinarsi con criterio al fornello acceso, così sentirà il calore e saprà dove fermarsi evitando di scottarsi. Per quanto riguarda l’uso del coltello, ho sperimentato una soluzione che per me è risultata valida: metto il dito a un paio di centimetri dalla lama e lo uso come unità di misura per capire che distanza mantenere; devo dire che funziona, non mi sono mai tagliata.”

Altro aspetto non trascurabile è la cura di sé, il desiderio di apparire in ordine e vestiti in modo armonioso. Come fa un non vedente a orientarsi nella scelta dei colori da abbinare?

Articolo consigliato: “Parole di Carta: La Disabilità Visiva (Parte 1)

Una via può essere quella di scegliere di acquistare capi di abbigliamento con colori sempre abbinabili tra loro e disporli poi nell’armadio con un ordine riconoscibile da parte della persona non vedente. Se si sceglie di comprare qualche capo dai colori particolari, lo si può conservare in una parte precisa dell’armadio in modo che si sappia dove rintracciarlo senza il rischio di sbagliare.

Oggi comunque ci sono nuovi ausili che aiutano tanto a riconoscere i colori. Penso ad esempio a delle penne speciali che, appoggiate sul capo d’abbigliamento, ne “leggono” a voce alta il colore; o ancora esistono speciali etichette con un codice che permette di registrare un messaggio vocale che contiene le informazioni utili, non solo il colore ma anche la temperatura e il tipo di lavaggio da far fare in lavatrice a quello specifico abito. Le etichette sonore sono utilissime anche nella catalogazione del cibo, in special modo di quello congelato, difficile da riconoscere al tatto.

Ringraziamo la dottoressa Ranauro per le preziose indicazioni fornite a chi vive una condizione simile, ma anche per aver implementato la conoscenza di una realtà molto più complessa, attiva e propositiva di quella che dall’esterno si può immaginare.

Parole di Carta: La disabilità visiva (parte 1)

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione
Uno degli errori che è naturale commettere quando si scopre da vicino la disabilità è lasciare che essa occupi tutto il nostro spazio mentale ed emotivo. Così si finisce spesso per dimenticare che dietro c’è un individuo e alla disabilità viene attribuita la causa di qualunque disagio la persona manifesti, soprattutto se priva di un mezzo efficace di comunicazione.

L’interazione con una persona con disabilità e con chi le è più vicino può aiutare ad allargare l’orizzonte e arricchire la prospettiva da cui si osserva la vita facendo cogliere aspetti e significati di essa del tutto inediti.

C’è chi, per comprendere meglio la condizione di chi non vede affronta dei percorsi tattili guidati in cui persone non vedenti guidano al buio altre che non hanno problemi di vista.

Con la dottoressa Arianna Ranauro, psicologa, parliamo oggi di disabilità visiva partendo proprio da esperienze come questa.

Questi percorsi – sostiene la dottoressa – talvolta distorcono la realtà dei fatti. Ciò che spaventa è immaginare se stessi improvvisamente privati della vista. Questa è una condizione simile solo a quella di una parte dei non vedenti o degli ipovedenti. Diversa è la condizione di chi, come me, è nato già privo della vista, e anche quella di coloro che la perdono gradualmente. Se c’è una patologia degenerativa si verifica un adattamento graduale a una condizione che muta continuamente.

Se la perdita dovesse essere improvvisa, la prima cosa da fare prima di provare a riorentarsi è accettare il fatto di essere disorientati, elaborare il lutto per ciò che si sta perdendo. Bisogna accettare il fatto che alcune cose non si possono fare e che altre possono farsi in modo diverso rispetto agli altri, capire che non tutte le esperienze si possono condividere e che ci sono persone che si rifiutano di accogliere un disabile. In quel caso cambiare orizzonte può essere l’unica soluzione.

Che consiglio dare nello specifico a chi si trova ad affrontare una disabilità visiva e alle persone della sua famiglia?

IL CONSIGLIO

Innanzitutto – aggiunge a tal riguardo la dottoressa Ranauro – è indispensabile un ambiente a misura, nel quale gli oggetti siano disposti secondo un ordine che sia rispettato da tutti coloro che si muovono in quel contesto. Trovare le cose sempre nello stesso posto facilita per il non vedente l’acquisizione di maggiore autonomia.

Bisogna anche dar tempo alla persona disabile visiva di esplorare l’ambiente, gli oggetti, le persone e studiare le proprie strategie per muoversi tra di essi in modo funzionale. Importante che non si provi a sostituirsi alla persona con disabilità, che non si intervenga a suo supporto prima che possa aver trovato da sola il modo per superare un determinato ostacolo, tranne ovviamente che la situazione lo richieda davvero.

Ciascuno di noi possiede un’inclinazione naturale al voler fare ma se, anche per affetto e per un eccesso di spirito protettivo, si continua a intervenire in sua vece, si corre il rischio di spegnergliela.

Disabilità visiva

Cosa fare se ad avere questo tipo di disabilità è un bambino? Come insegnargli a muoversi in autonomia?

La dottoressa Ranauro spiega: “Nei casi di disabilità visiva precoce viene meno l’apprendimento per imitazione, proprio perché il non vedere preclude canali importanti. In questi casi bisogna sopperire al fatto che il bambino non ci veda materialmente compiere dei gesti e lo si può fare ad esempio descrivendo ciò che stiamo facendo; va inoltre sempre stimolato a esplorare ciò che gli sta intorno e a manipolarlo, altrimenti si corre il rischio di produrre altri ritardi, come quello motorio o del linguaggio.

Purtroppo un problema che si manifesta frequentemente a scuola è la mancanza di preparazione specifica dell’insegnante di sostegno. C’è un modo per aggirare l’ostacolo consentendo al bambino di poter accedere a mezzi di comunicazione validi per lui?
Assolutamente sì. Bisogna rivolgersi al proprio Comune e alle Associazioni di categoria per richiedere la presenza di un tiflologo che affianchi la famiglia e la scuola.

Chiediamo alla dottoressa di chiarire di cosa si occupi nello specifico il tiflologo e risponde: “Il tiflologo è un esperto di problematiche relative alla disabilità visiva e, oltre che formare le figure parentali e indirizzare l’insegnante di sostegno, fornisce degli ausili indispensabili alla buona prosecuzione del percorso di apprendimento del bambino, come pc con sintesi vocale, righello con segni tattili in corrispondenza dei centimetri, cartine geografiche a rilievo e mappe tattili di varie opere d’arte.

Tanti sono i suggerimenti dati dalla dottoressa Ranauro e questo articolo non può contenerli tutti. Si rimanda perciò alla lettura del prossimo articolo sulla disabilità visiva.

Parole di Carta: Oltre il limite, ma non a ogni costo

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione
Il concetto di “limite” nell’immaginario comune assume in genere una valenza negativa e viene associato all’idea di ostacolo, percepito come una barriera oltre la quale non si riesce ad andare.

Esistono limiti oggettivi, come ad esempio alcuni deficit fisici, e limiti mentali o emotivi.

La dottoressa Arianna Ranauro, psicologa, psicoterapeuta ed esperta in percorsi di sostegno alla genitorialità, attraverso una metafora efficace spiega come vivere male le proprie difficoltà possa portare a conseguenze spiacevoli.

E’ un po’ come rimanere aggrappati al cancello di una prigione e vedere solo ciò che c’è oltre – afferma – Il paziente che, ad esempio, sa di essere in procinto di perdere una funzione importante come la vista o la motilità, comincia a pensare ossessivamente a tutte le cose che non potrà più fare e a ciò che non potrà più essere.

Nel difficile cammino verso l’accettazione di quanto sta per accadere o è già accaduto, ci si trincera dietro lo schermo di quello specifico limite a detrimento della qualità della vita, e si dimentica che, anche riuscendo a superarlo o a spostarne i confini quel tanto che serve a poter vivere un po’ meglio il nuovo quotidiano, rimarrebbero comunque aspetti da sistemare del proprio modo d’essere o del contesto.

Quale può essere quindi l’atteggiamento più costruttivo davanti agli ostacoli più o meno imprevedibili che si possono incontrare nel proprio cammino? Come evitare di rimanere ingabbiati?

IL CONSIGLIO

La dottoressa Ranauro a tal proposito sostiene che il limite psicologico-emotivo è spesso solo una spia di qualcosa che abbiamo cercato di superare forzando.

Un po’ come quando si ha l’affanno perché si è corso troppo, oltre la nostra capacità di resistenza. Il disagio è invece spesso solo l’indizio del nostro limite vero, quindi occorre innanzitutto fermarsi a cercare quest’ultimo e provare ad accettarlo, considerarlo come un confine che ci definisce e dice ciò che siamo e ciò che non siamo. Il limite in sé è qualcosa di costitutivo dell’essere, della natura in generale e non solo dell’uomo e di esso non possiamo fare a meno, anche perché in molti casi provare a superarlo è uno stimolo alla crescita personale.

Limite vignetta peanuts

Ma come capire quindi quando è il caso di accettarlo e quando invece è opportuno reagire e tentare di andare oltre l’ostacolo?

La risposta non è semplice – afferma la dottoressa – Se il limite fisico oggettivo va sicuramente accettato cercando di trovare soluzioni d’appoggio per affrontare meglio possibile la quotidianità, per quanto riguarda i limiti soggettivi, come ad esempio quelli psicologici, il discorso si complica. Come suggerivo, è indispensabile imparare innanzitutto a conoscerli e a riconoscerli, individuare la vera causa del disagio interiore.

Fatto ciò, non bisogna pensare di dovere a tutti i costi abbatterla cancellandola definitivamente. Spesso il limite non scompare ma si sposta perché accade qualcosa a livello emotivo, a prescindere dalla ragione. Al contrario, è facile che sforzandosi di riflettere troppo sullo stesso problema si finisca col non vedere più chiaramente una possibile soluzione.

Come tra gli estremi di un intervallo numerico qualunque in cui è compreso un numero infinito di cifre, anche dentro qualsiasi limite ci sono numerose possibilità intermedie.
A rimanere aggrappati al cancello con lo sguardo fisso oltre, invece, si finisce col trascurare che al di qua di esso c’è tanto da esplorare e valorizzare.

Parole di Carta: Quando la radio si fa inclusiva

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione

Agli individui che la società cataloga come fragili, il trattamento assegnato, bene che vada, si limita spesso a essere quello assistenziale, di sicuro utile e in molti casi essenziale, ma non esaustivo, soprattutto se si pensa a quanto sia difficile per queste persone fare ascoltare la propria voce o collaborare attivamente allo sviluppo di questa società che è anche la loro e di cui i più non vogliono sentirsi ospiti passivi.

Di sicuro, per assistere una persona con disabilità, un anziano, un bambino con alle spalle un percorso familiare difficile è necessario avere le giuste competenze ma anche, e forse soprattutto, cuore.

Vivere da vicino realtà legate a importanti difficoltà oggettive aiuta a cambiare prospettiva e a vedere il mondo con gli occhi di chi parte da una condizione svantaggiata. Si capisce allora che molte delle barriere fisiche e mentali potrebbero essere abbattute se si lavorasse insieme tutti nella stessa direzione e che molto può dipendere anche da noi.

Qualcosa di simile è accaduto a Francesco Baldi, per anni operatore socio-sanitario, educatore di minori a rischio e oggi editor di Rainbow Diversamente Radio, una web radio che si occupa di sociale e di disabilità e che conta nella propria redazione anche persone con disabilità.

Francesco Baldi di Rainbow Diversamente Radio
Francesco Baldi

L’intento è quello di trarre spunto da esperienze come la sua per stimolare chi ha voglia di mettersi in gioco per gli altri a farlo davvero e in modo costruttivo e sottolineare come non ci si debba scoraggiare davanti ai problemi perché spesso proprio l’ostacolo diventa lo spunto per progredire impegnandosi a superarlo.

A testimonianza di ciò, Francesco racconta: “Assistere alcuni malati di SLA mi ha cambiato profondamente. A turbarmi di più è stato il fatto che talvolta i parenti si ritirassero più o meno gradualmente dalle loro vite, rinunciando persino a entrare nella stanza e limitandosi a parlare con loro al di là della parete; di contro ricordo un bambino meraviglioso che disse di essere felice di avere il papà sempre a casa con lui. Persone sole e senza possibilità di comunicare, così come molti anziani di cui mi sono occupato o ragazzi autistici gravi o ancora bambini con storie di violenza alle spalle e genitori con dipendenze di vario tipo.

Assimilavo le problematiche dei miei assistiti, me le portavo a casa e sognavo un luogo in cui potessero dar voce ai propri bisogni direttamente, senza che fossi io o chi me per a cercare di portarli all’attenzione di chi di dovere senza spesso ricevere alcuna risposta.

IL CONSIGLIO

Il mio consiglio è quello di mettere ciò che si sa fare meglio a servizio dei propri sogni e di non smettere mai di crederci. Per quanto riguarda me, ho coniugato la mia esperienza di speaker radiofonico con la passione per il computer. Ho studiato i programmi necessari e ne è nata prima l’Associazione I ragazzi della barca di carta e poi Rainbow Diversamente Radio che è un progetto dell’Associazione, un progetto di comunicazione sociale, direi quasi una terapia occupazionale.

Per chiarire il concetto aggiunge: “Il mio intento era quello di dar voce a tutto quel comparto sociale che, più di vent’anni fa, quando il progetto è nato, era ancora più sommerso di adesso. Non a caso lo slogan di RDR è La voce di chi non ha voce.

Ai tempi erano solo i giovani, e neanche tutti, ad avere più dimestichezza con internet e infatti il nostro pubblico erano quasi esclusivamente loro. Nel tempo per fortuna questa cosa è cambiata. Oggi posso dire che RDR è veramente una fonte d’inclusione, sia per gli argomenti di cui tratta, ma soprattutto perché in redazione lavorano fianco a fianco normotipici e persone con disabilità e ciascuno dà il proprio unico e speciale contributo.

Penso ad esempio ad Anella Mannola con la sua rubrica sul turismo accessibile, ad Andrea De Chiara che per tanto tempo è stato con noi con le sue interviste, a Giuseppe Laccertosa con “Io sono disabile”, alle donne di Disabilmente Mamme con “Un caffè con” o ancora alle Mamme Matte che si occupano di storie di affido di bimbi speciali, alla Vagaband, gruppo musicale composto da ragazzi con varie disabilità, e a tanti altri che insieme compongono una squadra che s’impegna per l’obiettivo comune della vera inclusione.”

Non si ferma Francesco, si sta impegnando a insegnare loro un mestiere che non sia necessariamente quello dello speaker, in modo che imparino varie funzioni che è possibile svolgere in una redazione, per poterne fare sempre più un lavoro a tutti gli effetti, anche per altre testate.

Per quanto RDR abbia anche un profilo Instagram e una pagina Facebook per le dirette e i video, e un flusso streaming h24, il suo sogno è quello di poter coinvolgere attivamente in redazione ciascuna delle realtà sommerse, anche gli anziani che tanto hanno ancora da dire e da dare se c’è qualcuno che gliene dà la possibilità.

Non è necessario indossare un mantello e saper volare per cambiare il mondo. Per iniziare, basta volerlo davvero.

Parole di Carta: La 5G Academy

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione

5G Academy, Una rivoluzione nella rivoluzione

Ciò che non si conosce talvolta può creare diffidenza, o anche paura.
Ad esempio, accade di frequente di non sapere come comportarsi di fronte a una persona con una disabilità, soprattutto se particolarmente invalidante.

Si viene presi dall’imbarazzo di non sapere cosa fare o dire per relazionarsi con lei e, nel dubbio di sbagliare, spesso si rinuncia finendo così col tenere le distanze.
Se poi per un evento fortuito si viene in relazione con questo mondo “diverso”, si capisce che così diverso in realtà non è, ma che invece è popolato di persone simili alle altre per certi aspetti e diverse per altri, come tutti.

Come la trama di un film non procede senza un evento che spezzi la routine dei protagonisti, così nella vita di ciascuno certi momenti di rottura degli equilibri pregressi sono utili, necessari, addirittura auspicabili, anche se quasi sempre è difficile rendersene conto nel momento in cui si presentano.

Guardando poi a ritroso il percorso compiuto, ci si rende conto che non lo si sarebbe intrapreso senza quel momento di difficoltà che ci ha costretto a cambiare direzione portandoci a essere le persone che siamo oggi. Talvolta una caduta, reale o metaforica, può segnare l’inizio di un percorso nuovo e migliore per sé e per chi si incrocia nel proprio cammino.

La perdita di un primo lavoro e un successivo periodo di stallo per una brutta caduta sono stati la chiave di volta per Amelia Focaccio, oggi speaker e program manager di Rainbow Diversamente Radio, molto attiva nel sociale, lei che – ammette – prima si lasciava bloccare dal timore nell’approccio con ogni forma di disabilità.
Oggi collabora con l’Università di Napoli Federico II per la 5G Academy, un importante progetto che coinvolge a vario titolo anche persone con disabilità.

IL CONSIGLIO

Stavolta non è uno soltanto il consiglio da poter dare a chi legge. Lo facciamo attraverso le parole della dottoressa Focaccio: “A mio parere è necessario smettere di considerare le persone con disabilità come l’elemento fragile della società. Al contrario, il mio intento, attraverso le attività della Radio e collaborazioni come quelle con l’Università di Napoli, è quello di far comprendere che possono essere un punto di forza, delle importanti risorse per la società, ovviamente compatibilmente con le oggettive difficoltà che la disabilità porta con sé.

Classe 5G Academy
Studenti nella classe della 5g Academy

La 5G Academy, coordinata dalla professoressa Antonia Tulino, nasce dalla collaborazione tra il CESMA, realtà dell’Università Federico II, TIM e Nokia, ed è un corso di alta formazione che punta alla creazione di figure professionali di alto livello da impiegare a servizio del potenziale rivoluzionario del 5G.

Radio Rainbow ha sottoscritto un protocollo d’intesa con il CESMA e siamo felici perché è presente una rivoluzione nella rivoluzione. Da quest’anno, infatti, il bando della 5G Academy ha riservato dei posti a laureandi e laureati con disabilità, oltre che ai normotipici, per i percorsi formativi che potranno essere di sbocco per impieghi professionali importanti, grazie alla possibilità per questi ragazzi di essere attenzionati per i propri meriti sia dai partner impegnati nella 5G Academy che da parte di aziende esterne.

Anche tra i componenti lo staff è presente un ragazzo con disabilità, il dott. Giovanni Cupidi, una persona molto valida che darà sicuramente il proprio contributo alla buona riuscita del progetto.

Vorrei concludere con un messaggio di incoraggiamento sia alle persone con disabilità perché si mettano sempre in gioco in ciò per cui si sentono portate, sia a chi in generale vive un momento di difficoltà. Per esperienza personale posso dire che proprio grazie a certi incidenti di percorso sono entrata in contatto con un mondo, quello del sociale e della disabilità in particolare, dal quale oggi mi sento arricchita.

Parole di Carta: Il cane d’assistenza (parte 2)

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione

Il cane d’assistenza, valido supporto per ulteriori forme di disabilità

Approfondiamo oggi con l’addestratore certificato Giuseppe Fortunato della KanyKory Onlus la conoscenza del cane d’assistenza, supporto di grande importanza non soltanto nel caso di bimbi autistici, ma anche per altre forme di disabilità.

Avere costantemente accanto un cane addestrato a compensare i deficit della persona con disabilità aiuta quest’ultima ad acquisire molta più autonomia e a dipendere sempre meno da qualche altro essere umano per la gestione della quotidianità.

Il costo è abbastanza sostenuto, ma le associazioni che addestrano i cani organizzano allo scopo raccolte di fondi o cercano di procurarsi degli sponsor.

IL CONSIGLIO

Per questo è necessario parlarne di più, anche per invogliare gli sponsor a investire in questo che può essere uno strumento formidabile per coadiuvare la persona con disabilità e la sua famiglia. Prendiamo in esame le diverse specializzazioni dei cani d’assistenza.

Oltre a quelli per l’autismo, di cui si è trattato nel precedente articolo, e a quelli per non vedenti che sono i più utilizzati al momento in Italia, esistono anche i cani per non udenti che riconoscono i segnali sonori, come lo squillo del telefono, il clacson di un’auto e simili, e lo comunicano con dei segnali condivisi alla persona disabile.

In Italia non esiste ancora il cane di supporto psicologico per donne che hanno subìto violenza, ma il suo utilizzo in altri Paesi dimostra che riesce a dare loro sicurezza, infatti molte che prima si barricavano in casa per il trauma e la paura iniziano a uscire perché si sentono protette.

Cane d’assistenza
Cane da terapia conforta il personale sanitario in prima linea contro il coronavirus

In Italia invece si fa ricorso al cane d’assistenza, tra l’altro, per supporto emotivo, ad esempio in presenza di un problema cronico che può portare la persona all’isolamento sociale. In questi casi il cane funge da modulatore sociale anche perché spinge gli altri ad avvicinarsi.

Fondamentali anche i cani usati per allerta medica, ad esempio nel caso di un bambino con diabete. Il cane viene addestrato a riconoscere l’odore della persona a cui è affidato, e a coglierne le variazioni venti minuti prima di quando può manifestarsi una crisi. Non a caso è definito cane salvavita, perché riesce a evitare il coma ai pazienti diabetici anche di notte.

I genitori con un figlio diabetico sono costretti a svegliarsi ogni due ore per controllare l’insulina e fare l’iniezione al bambino. Il cane invece è addestrato a svegliarsi al posto dei genitori ogni due ore e li sveglia nel caso di crisi imminente. Tra l’altro, tra i 16 e i 17 anni d’età il fisico smette di segnalare alla persona diabetica il momento di crisi, quindi paradossalmente questo tipo di cane risulta più utile per gli adulti che per i bambini.

Immagine dal web

Il cane d’assistenza è anche a servizio delle persone con ridotta mobilità o su sedia a rotelle. In genere lo si dà a chi ha perso, oltre all’uso delle gambe, anche quello degli addominali e delle braccia. Il cane in questi casi sa togliere e mettere il freno alla carrozzina, è addestrato a prendere oggetti dallo zaino posto sullo schienale della sedia a rotelle, a raccogliere da terra gli oggetti che dovessero cadere e a porglieli sulle gambe.

Sa riconoscere circa venti oggetti a casa e portarli, accende e spegne le luci, apre e chiude la porta a comando, sa usare una tastiera speciale che serve ad allertare eventualmente i soccorsi e individua i tasti per chiamare i parenti e l’ambulanza.

Cosa non meno importante, aiuta la persona con disabilità a vestirsi e svestirsi e mette i vestiti in una cesta e fa da ponte nel passaggio dalla sedia a rotelle al letto e viceversa, per cui la persona che spesso rimane da sola, specie di notte, in questo modo riacquista l’autonomia di potersi alzare per esempio per andare in bagno.

Un universo meraviglioso il cui uso andrebbe incentivato per migliorare significativamente la qualità della vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie.

Parole di Carta: Il cane d’assistenza

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione

Cane d’assistenza. Valido supporto per bimbi autistici ma non solo

Chi ha un figlio autistico sa quante difficoltà si incontrano nel gestire i momenti di crisi, la relazione con gli altri, nell’acquisizione delle autonomie.

In genere le famiglie tentano ogni tipo di terapia riabilitativa per cercare di migliorare la qualità della vita del bambino e, di riflesso, anche quella degli altri componenti il nucleo familiare. In Italia si parla ancora poco della possibilità di far ricorso al cane d’assistenza, figura diversa rispetto al cane da Pet Therapy.

Non tutti forse sono a conoscenza del fatto che esiste una normativa europea acquisita dall’Italia che regolamenta il valore terapeutico e sociale dei cani d’assistenza. Ce ne parla Giuseppe Fortunato, addestratore certificato dell’Associazione KanyKory Onlus.

IL CONSIGLIO

Scegliere di affiancare al proprio figlio un cane che diventi a tutti gli effetti parte integrante della sua quotidianità, non è facile; comporta comunque una rivoluzione, ma gli aspetti positivi sono tali che nella quasi totalità dei casi ne vale la pena.

Quando si pensa a cani di questo tipo, in genere vengono in mente quelli per non vedenti, ma questa norma si riferisce anche a quelli per bambini autistici, per persone su sedia a rotelle, non udenti o sordomuti, diabetici e anche ai cani utilizzati per il supporto emotivo nelle situazioni difficili, come ad esempio per le donne che hanno subìto violenza.

Cane d’assistenza

La formazione di un cane è molto lunga e viene strutturata sulla base delle esigenze della famiglia a cui è destinato. Quest’ultima deve affrontare un percorso affinché venga istruita sulla gestione e sul mantenimento delle abilità acquisite dal cane durante l’addestramento.

Esistono delle tecniche di gioco base per mantenere alte le capacità del cane, che rimane comunque di proprietà dell’ente che lo ha formato e va in comodato d’uso alla famiglia.

Viene seguito dagli addestratori per tutto il tempo della permanenza in famiglia, ad esempio intervengono se va modificato qualcosa e possono pure riprenderlo nella struttura per un periodo per formarlo a un nuovo compito per rispondere alle esigenze che via via possono emergere da parte del soggetto a cui si accompagna.

Quando il cane invecchia gli si toglie il patentino (costituito da un certificato e dalla pettorina di segnalazione) e la famiglia può scegliere di adottarlo o restituirlo.
Il patentino fa sì che la legge tuteli il cane come una protesi indispensabile, quindi un cane certificato ha accesso ovunque tranne che in sala operatoria.

In aereo non paga il biglietto e alcune compagnie gli permettono di viaggiare sdraiato ai piedi del disabile, anche perché sono addestrati a non disturbare e a rimanere in silenzio.

Per i bambini autistici diventa un compagno di vita che non giudica ed è un grosso aiuto per la famiglia, infatti è in grado di estinguere le stereotipie, di bloccare il bambino se prova a scappare, di ritrovarlo se si perde; diventa la sua valvola di sfogo e riduce i comportamenti problema.

Il cane è anche in grado di gestire il bambino nel sonno, adotta la posizione del rilassamento (schiena contro schiena) e questo crea un contatto che fa rilassare le fasce muscolari profonde, per cui è facile evitare il momento di stress durante il sonno. Capita infatti che il bambino autistico si svegli per un picco di adrenalina che dura 5/10 secondi e se il cane lo blocca e lo rassicura subito, impedendogli inoltre di alzarsi, è facile che si riaddormenti.

Il consiglio è comunque quello di rivolgersi a strutture qualificate e certificate per addestrare questo tipi di cane.
Degli altri usi specifici del cane d’assistenza si parlerà nel prossimo articolo.

Parole di Carta: CAA, tassello numero 3

Antonella Carta
Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione
CAA: ancora un passo verso la comunicazione

Da un paio di settimane in questa rubrica si parla di Comunicazione Aumentativa Alternativa, efficace strumento terapeutico in caso di disturbi della comunicazione.

Affrontiamo oggi il terzo passaggio dell’iter che ci ha portato a indagare su questa tecnica elaborata per favorire l’acquisizione di un mezzo espressivo, non necessariamente vocale, per chi non ha la possibilità di far uso della comunicazione tradizionale.

Accanto ai comunicatori autonomi, come vengono definiti gli individui che non manifestano alcun tipo di problema, esistono infatti i cosiddetti comunicatori di transizione e i comunicatori emergenti.

Di transizione vengono definiti coloro che, pur avendo delle difficoltà, non sono partner dipendenti e usano invece strategie proprie per farsi comprendere. Per costoro è sufficiente che si lavori con ausili per favorire il linguaggio.

Comunicatori emergenti sono invece gli individui non verbali, incapaci di scelte produttive, del tutto non autonomi.
Soprattutto da parte di questi ultimi si manifesta un comportamento disfunzionale che va diagnosticato e corretto attraverso adeguata terapia.

Di fatto, l’impossibilità a estrinsecare bisogni e malesseri influisce molto negativamente sulla qualità della vita della persona che si trova in questa condizione, ma anche sulla vita di chi gli è vicino e spesso entra in crisi perché non riesce a individuare la causa dei comportamenti problema che, di conseguenza, esplodono.

Come affrontare i comportamenti problema delle persone con disabilità verbale?

IL CONSIGLIO

Dopo aver valutato il soggetto e il suo ambiente di riferimento – spiega la dottoressa Tizzoni dell’Associazione Nasininsùper ridurre i comportamenti problema è necessario mettere in atto un training di comunicazione funzionale, ossia insegnargli, per step, come comunicare in modo almeno sufficientemente chiaro.

I principi che guidano il training di comunicazione funzionale sono tre.

Il primo è quello di Equivalenza: il comportamento insegnato deve avere la stessa funzione del comportamento da sostituire; se il comportamento problema si manifesta nel momento in cui al soggetto viene negato o impedito qualcosa, occorre insegnargli un modo funzionale per fare la richiesta.

Fondamentale anche il principio di Efficienza ed efficacia della risposta: il risultato non deve essere raggiunto attraverso un comportamento troppo difficile da attuare per il soggetto e al tempo stesso dev’essere efficace, nel senso di ottenere la medesima conseguenza, altrimenti il soggetto si scoraggerà e tornerà a chiudersi e a riproporre il comportamento problema.

In ultimo il principio del Buon adattamento, in base al quale a volte basta cambiare alcuni aspetti dell’ambiente, ad esempio alternando esperienze più complesse ad altre più semplici che possano rassicurare e incoraggiare il destinatario della terapia.

Che la CAA non applica a tutti lo stesso protocollo ma costruisce per ciascuno un percorso individualizzato è dimostrato anche dal fatto che le strategie d’approccio mutano in base ai soggetti a cui sono destinate.

Inoltre, se necessario, è possibile valutare la possibilità di cambiare strategia in corsa se la risposta del destinatario suggerisce un approccio diverso.

Nel prossimo articolo concluderemo la trattazione della CAA esaminando proprio le varie strategie che è possibile adottare per ottenere buoni riscontri.