Nuove forme (di democrazia)


di Nadia Covacci


È finito il tempo
delle manifestazioni di piazza. Ormai non vengono nemmeno più raccontate dai media e anche se di larga partecipazione passano in sordina. 

È finito il tempo
dei gesti estremi. Solo fino a qualche anno fa era abitudine annuale quella dei malati di Sla di minacciare di togliersi l’ossigeno in caso non fosse stato rinnovato il Fondo per la non autosufficienza e i risultati ottenuti erano quelli di una piccola elemosina insufficiente per ottenere la copertura di tutte le ore necessarie di assistenza.

È finito il tempo
della carità ottenuta con sorrisi e sberleffi: la persona con disabilità come buffone di corte o fenomeno da circo, seppur spesso ancora richiesta, non solo è deleteria per l’idea stessa che veicola della disabilità, ma non apporta assolutamente nulla alla causa dell’inclusione sociale. 
Anzi, la persona con disabilità che deride se stessa senza impegnarsi più di tanto nel difendere i suoi diritti è forse quella più socialmente accettata proprio perché non disturba nessuno. 
L’hashtag #vorreiprendereiltreno ne è un esempio: da improvvisa comparsa sul web con l’obiettivo di vedere sempre più treni accessibili a tutti è diventata una onlus intenta a vendere gadget e pubblicare articoli scontati e banali, proprio adatti a ricevere consenso senza nessuna ricaduta concreta. 
Le sue raccolte fondi sono servite per comprare una carrozzina elettrica, garantire un mese di cure a un bambino gravemente ustionato e ottenere da Trenitalia la promessa che avrebbe migliorato l’accessibilità in ben 264 stazioni italiane (ancora nessun lavoro è iniziato, del resto era una promessa, senza alcun impegno sottoscritto e priva di tempistica).

È finito il tempo
delle opere di sensibilizzazione. A parte che la partecipazione è sempre più scarsa – basta vedere che quest’anno “Notte di Luce” ha dovuto coinvolgere ben 500 bambini delle scuole per avere il pienone in città – ma come ho sempre ribadito non c’è alcun passaggio diretto e conseguente tra partecipazione/sensibilità e atti concreti. 

VanityFair
ha parlato di “Notte di Luce” nel suo blog Rotellando e ha terminato l’articolo proprio in questo modo: “Sarebbe però interessante che il prossimo anno i commercianti che aderiscono all’iniziativa, oltre ad accendere le candele, mettano uno scivolo per agevolare chi è in carrozzina all’entrata dei propri negozi e l’amministrazione comunale dia la possibilità di inserirli senza far pagare l’occupazione del suolo pubblico. Ho visto ancora troppi luoghi non fruibili con le rotelle”. 
Ecco, già mi immagino che bella atmosfera di esclusione sociale quella sera: tante lucine nei negozi chiusi alle persone con disabilità. Questa è la sensibilità: fare ciò che è inutile e dimenticarsi di fare ciò che invece servirebbe.
Bisogna cambiare strategia e smetterla di cercare a tutti i costi il consenso sociale delle nostre necessità. Se parli di barriere architettoniche, di parcheggi occupati abusivamente, di sostegno scolastico insufficiente e di assistenza indiretta inesistente, ricevi moltissimi “Vergogna!“, “Dovrebbero trovarsi loro in quella situazione!“, “I ladri al governo però mangiano alle nostre spalle!“, “Siamo con te/voi!“.
Eppure tutta questa solidarietà a parole è totalmente inutile, non serve a risolvere nessuna delle inadempienze e soprattutto non ci garantisce che quelle stesse persone, messe nelle condizioni di dover fare qualcosa, poi lo facciano davvero. Anzi, gli esempi ci raccontano, purtroppo, molto spesso il contrario.

Cosa fare?

Studiare le leggi. Impararle a memoria e pretendere che siano applicate attraverso l’uso delle vie legali. In particolare la legge di riferimento che tutela le persone contro ogni forma di discriminazione è la legge n. 67 dell’01/03/2006.

Art. 1. 

1. La presente legge, ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione, promuove la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali.

2. Restano salve, nei casi di discriminazioni in pregiudizio delle persone con disabilità relative all’accesso al lavoro e sul lavoro, le disposizioni del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, recante attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Art. 2.

1. Il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità. 
2. Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga. 

3. Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone. 

4. Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti.

Sì, lo so, la risposta che ricevo è sempre la stessa: un avvocato costa, non possiamo fare sempre causa per tutto. Sbagliato, per tre motivi. Primo, perché se il giudice accerta la discriminazione, e se il ricorrente lo richiede, può ordinare il risarcimento del danno da discriminazione, cioè quello che deriva dal non aver potuto fare una cosa come gli altri, compreso il pagamento delle spese legali. 
Secondo, perché spesso ci si può organizzare e fare un ricorso in gruppo, per cui la spesa dell’avvocato diventa veramente ininfluente. Terzo, perché chi ritiene di avere subìto un atto discriminatorio sia dal privato sia dalla pubblica amministrazione può depositare il ricorso, anche personalmente, presso la cancelleria del tribunale civile in composizione monocratica, con il quale può chiedere sia la cessazione del comportamento discriminatorio che il risarcimento del danno.

Le scuse non possiamo più accettarle. Dobbiamo agire e fino ad ora tutti coloro che hanno presentato dei ricorsi ai sensi della legge n. 67/2006 hanno ottenuto non solo la rimozione della discriminazione, ma anche il risarcimento del danno. 

Vi faccio solo qualche esempio preso dalle attività svolte dall’Associazione Luca Coscioni.
1) Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 4929 emessa il 05/03/12, ha condannato il Comune di Roma a rendere accessibili alle persone disabili i marciapiedi corrispondenti alle fermate degli autobus ubicate in via Cernaia, passeggiata di Ripetta, piazza Fiume, via Veneto e via dei Cerchi; nonché a risarcire il danno non patrimoniale cagionato a Gustavo Fraticelli (5mila euro) e a pagare le spese di lite (2.500 euro).
2) Il 18 aprile 2013 l’Associazione Luca Coscioni ha presentato un ricorso per condotta discriminatoria nei confronti di Ferrovie dello Stato Italiane a causa della presenza delle barriere architettoniche sul binario n. 12 della stazione di Roma-Ostiense […]. La causa si è quindi estinta in quanto Rete Ferroviaria Italiana ha finalmente realizzato l’ascensore sul binario n. 12 della stazione Ostiense, rendendolo così accessibile anche ai disabili, e ha versato la somma di duemila euro all’associazione.
3) L’Associazione Luca Coscioni ha agito in giudizio contro Roma Capitale per la presenza delle barriere architettoniche presso le fermate della metropolitana (stazione Cipro e Cinecittà); barriere che non consentono al figlio della sig.ra Fois di prendere la metro come tutti gli altri ragazzi della sua età […]. Alla fine – con ordinanza del 4 giugno 2014 – il Tribunale ha accolto in pieno la nostra domanda condannando in solido sia Roma Capitale che Atac S.p.a. a risarcire il danno non patrimoniale cagionato al disabile (2.500 euro) e a pagare le spese legali (circa 3mila euro), oltre ovviamente a cessare la condotta discriminatoria mediante l’adozione di urgenti misure organizzative atte a garantire la costante presenza di personale presso le stazioni della metropolitana in modo da garantire il continuo funzionamento dei servoscala e degli ascensori.
4) Lucia Giatti contro Poste Italiane spa (Tribunale di Ancona – sezione distaccata di Jesi), poiché l’ufficio postale di San Paolo di Jesi (AN) è dotato di un servoscala che però è fuori uso da moltissimi anni e nessuno si decide a rimetterlo in funzione, con la conseguenza che le persone disabili non possono recarsi alle poste per effettuare pagamenti, raccomandate, prelievi etc. […]. Il Tribunale di Jesi – con ordinanza del 28 maggio 2013 – ha condannato Poste Italiane a mettere a norma il servoscala entro sei mesi (il che è puntualmente avvenuto), condannando inoltre la società a risarcire il danno non patrimoniale cagionato alla disabile Lucia Giatti (3mila euro) e al pagamento delle spese di lite (1.800 euro).
Mi fermo qua, ma è sufficiente una semplice ricerca su internet per trovare altri innumerevoli casi che ci convinceranno che questa è la strada giusta. Adesso abbiamo una nuova enorme opportunità che ci permetterà di creare un precedente di fondamentale importanza: il ricorso collettivo nei confronti degli organizzatori della Mostra di Van Gogh Alive a Roma. 
Lo stabile si presenta così:
Non solo, ma sul sito della mostra, nella sezione Faq, è ammessa dichiaratamente la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità: “Ci sono indicazioni particolari da seguire per persone con disabilità fisica o psichica? […] Ai visitatori con disabilità motoria sarà possibile accedere alla mostra a partire dalla data che verrà comunicata quanto prima sul sito ufficiale della mostra, su Facebook, sul sito di TicketOne e direttamente a coloro che, comunicando i propri riferimenti, richiedano di essere ricontattati. Il Palazzo degli Esami, sede della mostra, è un edificio storico degli anni ’20 sottoposto a vincoli e tutele tale per cui sono state avviate le richieste per l’installazione di un monta scale”.
L’intento di questo ricorso è di ottenere non solo la rimozione della discriminazione, perché evidentemente dovevano prima ottenere l’installazione del montascale e solo dopo aprire la mostra al pubblico, ma anche il risarcimento del danno non patrimoniale patito dalle persone con disabilità di 200 euro a partecipante.
Possono partecipare le persone con disabilità motoria che non hanno potuto visitare la mostra a Roma, anche se straniere o di altre città italiane, andate in vacanza nella Capitale nel periodo della mostra o che hanno desistito dal raggiungere i luoghi della mostra per via dell’impossibilità di accedervi. Nel caso siano minori e/o non in grado di autorappresentarsi parteciperanno a loro nome i genitori tutori legali e/o i loro amministratori di sostegno.
Per partecipare occorre iscriversi ad Avvocato del Cittadino e versare la quota associativa di 20 euro – ora non potete proprio dire che sia una cifra impossibile da sostenere! – al seguente Iban: IT 11 P 03599 01899 050188529509. Questo è Il modulo per iscriversi: all’atto dell’iscrizione si riceveranno tutte le indicazioni dei passi successivi.
Per iniziare l’azione collettiva è necessario che si raggiunga il numero di 125 partecipanti (le quote d’iscrizione saranno restituite se il quorum non si raggiunge): per questo invito tutti i lettori con disabilità motoria a provarci insieme a noi per costruire insieme un precedente spendibile in moltissime altre occasioni.
Del resto, quanti eventi aperti al pubblico sono di fatto vietati alle persone con difficoltà motorie? Moltissimi e lungo tutto lo stivale. Quante volte dobbiamo prima telefonare per essere sicuri di poter entrare? Sempre. In quante occasioni ci viene detto che è accessibile e poi quando siamo sul posto scopriamo che il loro concetto di accessibilità prevede due o tre gradini, tanto ti aiutano tirandoti su di peso? Troppe.

Forza
. Siamo noi a poter cambiare le cose. Facciamogli capire che le candeline possono tenersele loro. Che le pacche sulla spalla non sono richieste. Che non siamo pacchi da sollevare e che valiamo almeno quanto i cani che entrano in più luoghi aperti al pubblico rispetto a noi.

Le leggi che ci sono, facciamole rispettare.

(24emilia.com)

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